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Nord e Sud uniti nella lotta
Gli articoli apparsi sui giornali 30 anni fa
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Il Messaggero
Nord e Sud uniti nella lotta
di Mirella Serri
Il Manifesto
Nord e Sud uniti nella lotta
di Renzo Paris
Paese Sera
Uno scrittore operaio
di Angelo Guglielmi
Il Secolo XIX
Fabbrica maledetta fabbrica
di Giuseppe Gallo
Il Lavoro
Nord e Sud uniti nella lotta
di Tullio Cicciarelli
L'Unità
Storie operaie tra Nord e
Sud
di Vittorio Spinazzola
Mondoperaio
Scritti con rabbia
di Enzo Golino
Il Giornale di Calabria
Speciale
Premio Sila
di Enzo Costabile
L'Avanti!
L'operaio cambia il
linguaggio
di Walter Pedullà
Il Secolo d'Italia
Oscenità da latrina in un libro
diffuso nelle scuole
di Mauro Ferrari
Il Corriere della Sera
Sequestrato per le parolacce
di Cesare Medail
L'Avanti!
Perbenisti e fascisti uniti
contro la cultura
di Walter Pedullà
L'Avanti!
Azione penale contro il
magistrato sequestratore
di Walter Pedullà
Il Tempo
Il P.G. di Catanzaro
denunciato da Mancini
Il Secolo XIX
Considerato «osceno» un libro
antifascista
di Guido Arato
Il Giorno
Premiato dai critici, osceno
per il giudice
Paese Sera
Come si sequestrano le
parolacce
di Daniele Del Giudice
L'Osservatore Romano
Quale cultura?
di Raimondo Manzini
L'Espresso
Ordine: sequestrate tutte le
copule
di Maria Gentile
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Da Il Messaggero del 4 settembre 1974
Nord e Sud uniti nella lotta
di Vincenzo Guerrazzi
di Mirella Serri
«Questo libro, come tutti potranno facilmente capire è nato
dall'interno della fabbrica, dall'interno della condizione di vita dell'operaio»
afferma l'introduzione a Nord e Sud uniti nella lotta di Vincenzo Guerrazzi,
ricordando che il racconto è nato come testimonianza diretta. Resoconto di un
viaggio, organizzato dal sindacato a Reggio Calabria nell'ottobre 1972, la
narrazione si colloca dalla parte della più «fedele» resa descrittiva della
situazione operaia.
«hanno collaborato alla stesura di questo libro, discutendolo, criticandolo,
rivivendolo in uno stimolante procedimento di composizione collettiva»).
Vincenzo Guerrazzi. Operaio metalmeccanico calabrese trapiantato da quasi vent'anni
a Genova, (quindi non un intellettuale penetrato in fabbrica con qualche
travestimento «sociologico») si preoccupa di descrivere la propria personale
esperienza per farla diventare materiale acquisito, patrimonio «consapevole» e
collettivo. (Avverte la nota di copertina che i compagni di fabbrica «hanno
collaborato alla stesura questo libro, discutendolo in uno stimolante
procedimento di composizione collettiva»).
Guerrazzi non si limita a raccontare la vita di lavoro in fabbrica, al nord, ma
accomuna anche i suoi ricordi del «profondo» sud all'immagine attuale di questa
terra di dialetti inutili, immalinconiti per via dell'emigrazione della scarsa
importanza nel contesto nazionale. Il libro è costruito con una tecnica di
montaggio che sfrutta tutti i più pregnanti documenti della «rabbia proletaria»:
il linguaggio sindacale politico il fraseggio standard picciistico e quello
extraparlamentare, l'anarco ribellismo delle scritte murali, incise nei cessi
della fabbrica, delle stazioni, dei bar, ed anche i dettami espressivi
dell'invadente midcult svenduti a basso prezzo. Dal lessico giornalistico,
televisivo, cinematografico, dei fumetti.
La dimensione rabbiosa di questa scrittura si esprime poi negli inserti
grotteschi che evidenziano un desiderio di liberazione, manifesto anche a
livello biologico.
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Da Il Manifesto del 4 settembre 1974
Nord e Sud uniti nella lotta
di Renzo Paris
Vincenzo Guerrazzi è un operaio metalmeccanico di
trentaquattro anni. Ha scritto un romanzo intitolato: Nord e Sud uniti nella
lotta. Guerrazzi innesta nello spazio di un viaggio per una importante
manifestazione sindacale avvenuta a Reggio Calabria nell’ottobre del '72,
episodi significativi della sua biografia di calabrese emigrato a Genova. Il
romanzo si svolge su una nave affittata dal sindacato per permettere agli operai
genovesi di partecipare alla manifestazione meridionale. La nave ha vari piani;
in quelli inferiori, più scomodi, viaggiano gli operai; in quelli superiori, più
confortevoli, viaggiano i sindacalisti e le loro mogli e amanti, queste ultime
sempre pronte, sembra, a godersi la vita, a pettegolezzare come scervellate dame
borghesi. I temi del libro sono essenzialmente due, sapientemente intrecciati
tra loro: 1) il bisogno di possesso, rappresentato come bisogno sessuale,
presente dalla prima all'ultima pagina; 2) l’insofferenza, la vera e propria
nausea per la condizione di operaio, che Guerrazzi descrive con molta cura. In
sordina ne appare un terzo, che è poi il motivo per cui il protagonista
riferisce i dibattiti politici con l’amico odiato amato Paolo o semplicemente
ascoltati sulla nave, in maniera sempre più esterna, paesaggistica. Il
protagonista infatti è un operaio diverso, vorrebbe essere uno scrittore, come i
suoi compagni sanno. Ma la sua specifica condizione lo ostacola in questa sua
aspirazione. L’amico Paolo, l’interlocutore del libro, è presentato come un
«missionario» del partito, che sacrifica tutta la sua vita privata alla politica
e non «va a donne»; un uomo cioè che ha tutto sublimato nella politica, abituato
ormai a non vedere più nei suoi bisogni quelli della classe ma al contrario.
Questo romanzo è una vera sorpresa: finalmente un operaio visto come un
individuo; che ha bisogni sessuali continui e che li urla, insoddisfatto, in
tutto il suo libro; un uomo profondamente nauseato dal lavoro di fabbrica, che
vuole uscire dalla sua condizione, costi quel che costi. La condizione operaia è
quella di sempre: nausea, vomito per il lavoro, desideri sessuali sfogati nelle
scritte sui muri dei gabinetti, carcere, inferno. Questo è un libro che ha i
numeri per fare arricciare il naso a più di un critico letterario e a più di un
politico, abituati a vedere nell'operaio o la classe operaia in blocco, con
tutti i suoi bravi comportamenti prestabiliti, cosciente di sé stessa ecc., o la
lotta per un lavoro «meno alienante». Vincenzo Guerrazzi ci tiene a dire che
l'operaio non è un robot prefabbricato da inserire in film o in romanzi di
successo, ma una persona per nulla affezionata al suo mestiere.
Con buona pace di tutta la letteratura piccolo borghese sull'operaio onesto
lavoratore, fornito di buoni sentimenti e anche di quella più recente
dell'operaio massa, portatore inevitabilmente di un progetto politico globale.
La lotta politica per Guerrazzi deve passare attraverso le sue, per così dire,
«private» esigenze, deve tener conto anzitutto dei suoi bisogni se vuole essere
abbracciata totalmente. La novità forse più scandalosa poi che Guerrazzi aspira
ad essere uno scrittore del livello di Joyce e non si accontenta di Pratesi. C’è
nel suo libro una precisa attenzione alla struttura e alla scrittura, un
riferimento chiaro a esperienze avanguardistiche ultime che però in lui hanno
trovato risonanze di cupe «malinconie», per tutto quello che nella sua vita di
operaio meridionale non ha potuto avere. Il finale di Nord e Sud infatti, come a
qualcuno sarebbe potuto venire in mente, non è glorioso. Il protagonista si è
addormentato stanco del viaggio di ritorno e degli slogans di Paolo, con negli
occhi il ricordo della sua adolescenza calabrese, di una donna ricca che non ha
mai potuto amare. Guerrazzi dunque disubbidisce due volte: una prima volta a chi
lo vede come uno schema, un robot, un «personaggio positivo», una seconda volta
a chi lo vuole subalterno nelle sue scelte culturali di scrittore, e tutt’insieme
fa lo sberleffo a tutta quella cultura piccolo borghese che si è occupata
dell'operaio finora.
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Da Paese Sera del 27 settembre 1974
Nord e Sud uniti nella lotta
Uno scrittore operaio
Il tema del romanzo di Guerrazzi è il viaggio verso
la Calabria per una manifestazione antifascista
di Angelo Guglielmi
A parlare di Nord e Sud uniti nella lotta il recensore
onesto teme il rischio di fare o del trionfalismo o del paternalismo. Del
trionfalismo perché il libro di Vincenzo Guerrazzi operaio alla catena della
Meccanica Varia di Genova, gli pare un buon libro; del paternalismo perché ha il
sospetto che gli appaia tale perché scritto da un operaio cioè da un non addetto
(verso i quali si è, sempre disposti alla comprensione, tanto non contano). E
l’imbarazzo cresce allorché deve prendere atto che questo libro romanzo non è
qualcosa di marginale, di estraneo al campo della letteratura per così dire
professionale, giacché di essa presuppone la consapevolezza e ne accetta le
regole. Guerrazzi quando, scrive non è un operaio in vacanza (dalla sua attività
primaria) ma uno scrittore impegnato in una attività collaterale (a quella
usuale). Se è così il libro di Guerrazzi chiede di essere giudicato come un
qualsiasi altro libro e rifiuta ogni sorta di generosa benevolenza.
Intanto cos’è Nord e Sud uniti nella lotta? racconta il viaggio di una
nave con cui un migliaio di operai genovesi raggiunge Reggio Calabria per una
grande manifestazione unitaria e popolare all’indomani della grave provocazione
fascista organizzata da Ciccio Franco e dai suoi sicari.
Il viaggio dura tutta una notte e così anche il libro romanzo che allora non
comprende se non di striscio (primo suo merito) il racconto della manifestazione
della mattina (troppo violentemente significativa per poter essere trasportata
in un’altra forma di espressione). Evitato il pericolo della facile agiografia e
della celebrazione stucchevole il libro di Guerrazzi esibisce subito un altro
merito che è quello di presentarci l’operaio come il personaggio negativo che
rifiuta il rispetto peloso e l'ammirazione interessata e chiede quello stesso
sprezzo ed odio con cui gratifica il suo nemico di classe. A lui il lavoro non
interessa nel senso che irride al tentativo di convincerlo che lui è la spina
dorsale del paese e non ha ritegno a preferire le donne, il giuoco, la macchina
e il week end. Ha deciso di non rispondere alle chiamate di corresponsabilità
per l’edificazione della salvezza della Patria giacché è una Patria che non gli
appartiene e in cui non c'è posto per il suo piacere (regolarmente represso e
mortificato). Che bel rovesciamento di fronte rispetto alla retorica del
realismo socialista e al misticismo irresponsabile della nuova letteratura
populista!
Ma il libro romanzo ha anche altri meriti a cominciare dalla scelta della nave
come spazio di teatralizzazione di un’analisi, alla dilatazione della dimensione
temporale grazie allo stretto intreccio del tempo reale col tempo del ricordo
(che non si aggiunge a quello reale ma su di esso interviene per disarticolarlo
e approfondirlo), al non finito della vicenda che avanza iterando se stessa. Ma
qui siamo già nell’ambito dell’indagine più immediatamente formale che contiene
anche altre scoperte. Mi pare chiaro che Guerrazzi conosce il romanzo della
neoavanguadia e, più in generale, le esperienze della letteratura sperimentale.
Di essa fa propria la tendenza a rompere l’unicità espressiva del discorso,
disperdendolo in numerosi rivoli che fluiscono contemporaneamente.
Ma Nord e Sud uniti nella lotta è anche un libro collettivo nel senso di un
libro scritto tenendo conto delle varie osservazioni, indicazioni, suggerimenti
che Guerrazzi ha ricevuto dai suoi compagni di lavoro ai quali era stato dato da
leggere un primo brogliaccio. E allora vediamo confermato quello che abbiamo
sempre saputo e detto e cioè che la rottura dell’unicità del discorso,
introdotta dalla grande letteratura di avanguardia, rispondeva alla necessità di
ridurre la presenza egemonica dell’io e fare posto a esigenze di coralità. Cioè
significava il recupero di una espressione oggettiva contro il processo di
intensa soggettivizzazione delle esperienze operate dalla cultura romantica. Ma
l’interesse del libro del Guerrazzi non è tanto nell’essere come una cartina di
tornasole di verità da sempre sapute quanto nel sapersi porre in una linea di
continuità con le più avanzate ricerche della letteratura sperimentale per
tentare un discorso di recupero del vissuto che a quella letteratura sembra
precluso. E allora non farei gran rumore per le numerose ingenuità e rozzezze
che pure il libro esibisce, astenendomi dal rimproverargli il facile
bozzettismo, la pretesa di esemplarità, il pressappochismo del linguaggio che,
specie nelle descrizioni naturali, è ancora pregno di sentimentalismo borghese.
Giacché poi proprio sul linguaggio Guerrazzi si prende delle gagliarde rivincite
come quando ci pone sotto gli occhi le scritte che gli operai scrivono sui cessi
della cui autonomia espressiva l’operaio prefattore dell’introduzione al libro
annota: «Il linguaggio operaio al contrario di quello grossolano e volgare degli
studenti, mostra come l’operaio sia ricco di una cultura che non gli viene
riconosciuta per potergliela rubare più facilmente e di sentimenti che gli
devono essere sistematicamente negati perché a lui si chiede solo la fatica e il
lavoro».
E di questa cultura e di questi sentimenti Guerrazzi è qui a pretendere che
vengano emancipati dalla loro condizione minorile e fatti agire nella
costruzione di un diverso discorso sull'uomo e la storia.
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Da Il Secolo XIX del 27 settembre 1974
«Nord e Sud uniti nella lotta»
l'odissea di un operaio calabrese
Fabbrica maledetta fabbrica
Quale può essere l’esperienza di lavoro di un
giovane
operaio meridionale in una industria del nord, in una
grande città come Genova? «In Nord e Sud uniti nella
lotta» (Marsilio editore) Vincenzo Guerrazzi giornalista e
scrittore, cerca di rievocare con uno stile immediato, ricco
di citazioni dialettali, venti anni di lavoro e di lotte sindacali
di Giuseppe Gallo
Nell’autunno di due anni fa i grandi sindacati organizzarono
una grossa manifestazione per l'unità della classe operaia del Nord con quella
del Sud: fu noleggiata la nave «Arborea», che partì da Genova alla volta di
Reggio Calabria. A bordo, con altri mille operai c'era Vincenzo Guerrazzi, nato
a Mammola (Reggio Calabria),dall'età di diciassette anni, operaio
metalmeccanico, «all'inferno» che sarebbe poi la non meglio identificata
«Meccanica Varia», forse parte di un tutto e pur già da sé grande come un mondo,
prigioniero in un piccolo spazio; un dio di metallo che s'illumina bruciando
uomini nel suo ventre.
Quando Vincenzo Guerrazzi fu assunto correva l’anno del Signore 1957, ma per lui
era, più che altro, il centoquattresimo anno di vita della Meccanica Varia. «A
Mammola - lo rimproverò subito l’ingegnere non ti hanno insegnato che a Genova è
nata la Meccanica Varia?... Non ti hanno detto che la prima locomotiva è nata a
Sampierdarena?... Noi della Meccanica abbiamo anche fatto la prima macchina
perforatrice, e poi le navi, i sommergibili, le corazzate, gli incrociatori, le
turbo-navi, gli aerei e le automobili, ecco chi è la Meccanica».
Ma quando Vincenzo Guerrazzi entrò affamato in quel mondo la gloria dei grandi
capitani d’industria era già passata: non avrebbe potuto stordire la sua
angoscia nemmeno la grandezza del dio cui stava per essere sacrificato. E
quando, fatto uomo dopo quindici anni «all'inferno», salì lo scalandrone
dell’«Arborea» che lo avrebbe riportato per un giorno a Reggio Calabria,
«Genova, vista dal basso, con le luci tutte accese che sembravano, diamanti
falsi, aveva un certo fascino... »
Un'esperienza d'uomo era conclusa, ed nato un libro, così come tutti i libri
dovrebbero nascere. Naturalmente non si possono eliminare dal mondo le nascite
illegittime. Questo, invece «Nord e Sud uniti nella lotta» di Vincenzo Guerrazzi,
Marsilio Editori), è letterariamente un buon libro, politicamente importante.
Guerrazzi aveva già pubblicato «Vita operaia in fabbrica: alienazione» e scritto
Le ferie dell'operaio, aveva pubblicato racconti sul «Lavoro» e , sul nostro
giornale. Ma lasciamo stare il cosiddetto «caso letterario». Non è affatto un
caso che un uomo sinceramente commosso dalle proprie esperienze abbia saputo
esprimerle. Se mai, purtroppo, è un «caso» che sia riuscito a farsi ascoltare.
La tecnica di questo «Nord e Sud uniti nella lotta» è, quasi necessariamente
quella del «flash back» perché il racconto sta tutto nell’unità di tempo del
breve viaggio da Genova a Reggio, e i ricordi affiorano disordinatamente,
stimolati ora da un colpo di mare, o di nausea, dalla inaspettata saggezza di un
ubriaco, da una frase d'amore udita casualmente nella promiscuità della nave; e
il pensiero e la rivolta nascono dalla provocazione di inflitte ma non subite
banalità.
Il linguaggio è quello che una volta si chiamava triviale. Ma attenzione: qui
non è usato per contrabbandare conclusioni patriarcali sotto colori volgari. Qui
ha la stessa funzione di certe sgrammaticature, senza dubbio volute, dei lunghi
brani in dialetto calabrese siciliano (indecifrabili) o genovese
(ortograficamente intollerabili). Ha la funzione, purtroppo negativa, ma onesta
e necessaria, di asserire che il dialogo tra il mondo della Meccanica Varia e il
mondo borghese (eh, si, come altrimenti chiamarlo?), che lo sovrasta, non solo
non c'è ma non è nemmeno possibile, perché i due non solo dicono cose diverse,
ma le dicono in lingue diverse. Ebbene, il linguaggio è quello in cui sono
scritte le cose terribili, irripetibili, talora inconfessabili che gli schiavi
scrivono sui muri dei gabinetti: dell'«inferno», e che Guerrazzi ci racconta.
È «l'urlo della notte quotidiano, si stampa qui nelle porte della Meccanica
Varia». Gabinetto n. 4 della 5.a navata lato ponente: «Operaio sai che il Papa
Eugenio Pacelli era...». Gabinetto n. 3. stessa navata: una lunga invettiva in
siciliano. Con risposta: «Siete tutti deficienti cronici perché vi lasciate
portare a Genova come un branco di pecore». Maledizione di un genovese contro la
Meccanica Varia.
Non sono sciocchezze: una collera che speravamo non fosse esasperata fino al
limite della pazzia. È la collera che nel racconto, durante il breve viaggio per
mare, viene spietatamente scagliata in faccia, soprattutto, a Paolo: l’apostolo
disperato del grande Partito Comunista.
Paolo è l’unico «personaggio», nel senso tradizionale dell'espressione, ma non è
un grande personaggio: è il capro espiatorio che l’Autore getta tra le fauci del
coro, che è la folla inferocita, il vero e solo protagonista, la classe operaia.
Tutto viene rimproverato a Paolo: a cominciare dalla sua castità, come un
sospetto forse non tanto di disumanità quanto di proibizionismo, di disciplina.
Perché tutto è coinvolto e travolto: il Partito, i partiti, quel sindacato,
tutti i sindacati, i gruppi extraparlamentari, accusati di «collaborazionismo» o
con la sinistra ufficiale. La parola «padrone» non si ritrova nemmeno: quando il
nemico si personalizza spesso un «capo», o un «capetto» (crudele distinzione).
Tutto fa parte, tutto è strumento,ciascuno è complice, «Pezzo originale»,
elemento costitutivo del dio d'acciaio, immotivato e maledetto, che si chiama
Meccanica Varia. I1 dio buono esiste: si chiama Rivoluzione: ma è smarrito nel
cielo inesprimibile della speranza, forse perché è stato tradito da sacerdoti
bugiardi.
Il libro raggiunge un alto valore documentario quando riferisce come Vincenzo
viene sottoposto a un ameno esame da una mezza dozzina di psicanalisti
ingaggiati dalla direzione per la messa a punto di modernissime tecniche
motivazionali, ai fini del buon governo dell'azienda. La cosa più allucinante
non è lo svolgimento del tentativo, bensì il sospetto che qualcuno pensi davvero
che possa servire a qualcosa.
D'accordo: è incomunicabilità, ma non c’è niente da indagare. L’Autore da
silenziosamente, atto, col suo relativo disinteresse, che il salario,
quantitativamente parlando, solo un aspetto dei problema: l’altro è l’angoscia
che ti nasce dentro da un lavoro idiota, ed è forse il peggio perché l’uomo, per
sua condanna, è intelligente.
Infatti, sulla nave a «Arborea», ciò che offende Vincenzo, e che Vincenzo
ingiustamente finisce col rovesciare sull’innocente apostolo Paolo, tarato dalla
castità e distrutto dal mal di mare, non è il privilegio dei sindacalisti
«importanti», i quali a spese del sindacato hanno portato mogli e fidanzate in
prima classe, ma la loro velleità intellettuale. La pretesa di conversare su un
poeta di cui non si riesce a pronunciare il nome o su un compositore di cui non
si ricorda nemmeno un'opera. Questo distrugge non solo i velleitari, ma la
stessa cultura ufficiale alle cui falde essi s'aggrappano, non per liberare gli
schiavi ma per disertare dalla loro schiera.
Non resta che un dio, ma lontano, irraggiungibile, «passato» addirittura, ed è
sulla copertina del libro: un antico manifesto di propaganda sovietica dove ben
altra nave che «Arborea», l’incrociatore «Potemkin», la mitica corazzata della
Rivoluzione proletaria, appare radioso, irto di minacciosi cannoni, ma con la
plancia sormontata da una tuba borghese, e per di più infiocchettata da un
ridicolo nastro.
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Da Il Lavoro del 29 settembre 1974
Una testimonianza operaia
Nord e Sud uniti nella lotta
di Tullio Cicciarelli
Operaio metalmeccanico, calabrese di nascita, trentaquattro
anni, residente a Genova, grande voglia di scrivere, testa gremita di idee,
sogni, fantasie, memoria aggrappata come, una sanguisuga alla zattera dei grandi
dibattiti ideologici sulla classe operaia con Marx, Lenin, Stalin sempre i tra i
piedi, Vincenzo Guerrazzi ha pubblicato: Nord e Sud uniti nella lotta (Ed.
Marsilio, lire 1800) una specie di quaderno rosso dove con il pretesto della
cronaca del viaggio via mare da Genova a Reggio Calabria di mille metallurgici,
l'autore affastella con intenzionale caos mnemonico una serie di motivi, di
situazioni e di giudizi sulla condizione dell'operaio in fabbrica.
Smontando pezzo per pezzo l'albero motore del linguaggio ed elevando a strumento
fonetico conoscitivo quanto certi operai scrivono sui muri dei gabinetti (dalla
esclamazione sessuale ad una vera e propria oratoria contro i dirigenti, i
ruffiani, le spie ed i provocatori e senza lesinare critiche a volte feroci
contro i militanti delle commissioni interne e contro gli esponenti dei
sindacati), Guerrazzi incolla sulla pagina frammenti della sua vita, ricorda
l'infanzia calabrese, la solitudine genovese, fotografa il guizzo del sesso a
contatto con le donne, ficca il naso nei comizi e nei cortei, si abbandona a
volte alla contemplazione della natura (ma la luna assomiglia alla omelette
della mensa dello stabilimento) e registra con morboso dettaglio il meccanismo
del pensiero, il suono delle parole e dei gesti dei suoi compagni di lavoro.
In sostanza il libro di Guerrazzi più che scritto è detto, urlato e vissuto. La
collera operaia, i distinguo ipocriti dei dirigenti, il grande «pasticcio»
stalinista, la Cecoslovacchia, il fascismo nostrano, Il lavoro nell'azienda
visto sempre come un rapporto di odio e di amore, le «settembrate», gli
scioperi, la cronaca di tutti i giorni, gli errori che si commettono nella vita,
.la filosofia delle scelte politiche rasentano il mastice ed il mastice di
questa testimonianza che in definitiva segnala alla nostra attenzione un
irregolare, una specie di orfano della cultura.
Quest'ultima, poi, viene permanentemente violentata, seviziata, rovesciata dal
megafono linguistico di Vincenzo Guerrazzi il quale ha il coraggio di denudare i
fanatismi di ogni genere e di denunciare le mezze calzette della cucina
politica.
Il libro nei suoi teppistici sussulti ed in un certo terrorismo da nipotino
anarcoide è abbastanza un pugno, nello stomaco, forse una bomba carta manipolata
da un bambino terribile.
Ed è bene che sia così perché, per ora, Guerrazzi ragiona con la propria testa e
si nutre del proprio stile. Certo è un libro che potrebbe a qualche stomaco
delicato provocare il vomito, certo qualche papavero della programmazione
definirà il Guerrazzi un farneticante ossesso da ricoverare subito nel reparto
neuro. Meglio ancora. Il quaderno scarlatto è ormai in circolazione e la realtà
di certi discorsi e di certe rabbie non si può mettere nel bidone della rumenta.
Non siamo in grado di sapere quali saranno gli ulteriori esiti raggiunti da
Guerrazzi. Può darsi che; come purtroppo hanno fatto tanti, si metta a sedere
pensando alla pancia ed allo stipendio. Non siamo indovini e la faccia dei segni
sulla mano dell'autore è ancora un enigma. Sappiamo solo che Vincenzo Guerrazzi,
operaio calabrese che ha la testa invasa dalle chiacchiere degli altri, dal
rumore della strada e dal colore della casa e che ha nelle sue tasche il tono
della periferia, ha voluto in «Nord e Sud uniti nella lotta» mettere fuori un
grosso sfogo. Grattandosi ha cacciato fuori il peso ed è con questo peso che noi
dobbiamo fare i conti senza timore di essere presi per quelli che «cioccano come
una lama».
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Da L'Unità del 21 novembre 1974
Storie operaie tra Nord e Sud
di Vittorio Spinazzola
A dispetto dello slogan che gli fa da titolo, Nord e Sud
uniti nella lotta non è un libro propagandistico; e nemmeno una dichiarazione di
fede politica. Si tratta del resoconto del lungo viaggio per nave compiuto
nell’ottobre '72 da un migliaio di operai genovesi per partecipare alla giornata
di lotta indetta dai sindacati a Reggio Calabria, come risposta alla sedizione
dei «boia chi molla». Ma la grande manifestazione svoltasi all’arrivo è
rappresentata solo di scorcio; e del resto in tutta l’opera il tema antifascista
ha una presenza scarsissima. E proprio l’esperienza del viaggio ad accentrare
l’interesse del protagonista-narratore, incitandolo a rimeditare la sua
condizione di operaio in una grande industria del Nord, immigrato da paesello,
appunto, calabrese e aderente alla sinistra extraparlamentare.
Il racconto è articolato con scioltezza, attraverso una successione di
paragrafi, su una pluralità di piani. C’è anzitutto la dimensione spaziale della
stiva, angusta e afosa, in cui dormono, conversano, litigano gli operai; e c’è
il ponte superiore, dove alloggiano i dirigenti sindacali con le loro famiglie.
Dalle occasioni della convivenza a bordo emerge il ricordo della vita di
fabbrica; vi si innesta la reminiscenza della vita paesana. Il dato ideologico
più chiaro riguarda l’atteggiamento polemico contro i sindacalisti, «ricchi» e
soprattutto le loro mogli, «nonne e bisnonne dalla pelle rattrappita come quella
delle scimmie», «dal volto incartapecorito», «bruttone senza età», «mammiferi di
una specie sconosciuta»: se tutto il libro fosse a questo livello di volgarità,
non varrebbe davvero la pena di occuparsene. Poco nuove sono d’altronde le
pagine di memoria negli anni giovanili, risolte in aneddoti d'un facile
effettismo melodrammatico.
Ma più intensa è la rappresentazione diretta del comportamento e della mentalità
operaia dominate dal confronto tra militanti comunisti ed extraparlamentari.
Anche in questo ambito, tuttavia, non è tanto questione d'una diversità di
posizioni politiche quanto di stile di vita morale.
Nel vivacissimo scambio di accuse e controaccuse, scatti d’insofferenza, gesti
di solidarietà, Guerrazzi atteggia i comunisti come i portatori modesti e tenaci
di una dedizione alla causa impersonata dal Partito, che li ha indotti a
sacrificare le loro più legittime esigenze individuali. I «gruppettari?» invece,
e il protagonista in primo piano, accampano anzitutto il loro diritto a un
godimento immediato dell’esistenza fisica. Da ciò il rifiuto di ogni
giustificazione etica per il lavoro, cui si è costretti senza alcuna
partecipazione; e il rovello sessuale, tanto più pungente quando più la
coscienza ritiene di averlo risolto abolendo i tabù passatisti.
Viene così delineata una sorta di rapporto fra padri e figli in cui questi
ultimi ostentano un atteggiamento duro, scostante, poco preoccupato di
accattivar simpatia, teso solo all’affermazione di ribellismo socialmente
indiscriminato. Questa fierezza della propria gioventù, e volontà di viverla
sino in fondo, spiega fra l’altro il risentimento viscerale contro le donne
vecchie; e, com’è ovvio, sottintende una fragilità interiore piena d'angoscia:
«Sono nervoso, la notte non riesco a dormire oppure se mi addormento è solo per
qualche attimo per svegliarmi più agitato e pieno di paura. Paura di che? Di
tutto. Della vita come della morte. Mi tengono prigioniero nella fabbrica».
Ovvio è anche che un simile stato d'animo tenda a risolversi nello sberleffo,
nel gesto dissacrante, nella protesta virulenta, senza coltivare la pazienza dei
progetti strategici a lungo termine.
Sul piano espressivo, Guerrazzi si sforza di evitare i rischi del patetismo
populista per puntare, fra molte ingenuità e incertezze sull’autenticità
assoluta del parlato popolare. Tuttavia le sue doti migliori non vanno in
direzione di un oggettivismo neoverista ma piuttosto di una sovreccitazione
espressiva al limite del surreale. L’episodio più felice è un girotondo di
personaggi incontratisi casualmente attorno a una panchina; sembra quasi una
scena da teatro dell’assurdo, sia pur sorretta da una motivazione sociale. Del
resto, nello stesso senso va la trovata espressiva più estrosa, cioè la
riproduzione delle scritte vergate nei gabinetti, con la loro violenta carica di
icasticità scombinata.
A questo punto va aggiunto che Vincenzo Guerrazzi, calabrese metalmeccanico
dell’ Ansaldo, non è nuovo ad esperienze letterarie, si identifica realmente con
il protagonista del racconto. Ciò ne accresce l’interesse documentario, come
sottolinea l’introduzione, dove un gruppo di compagni di lavoro espone la parte
avuta nella lettura e nella critica collettiva del manoscritto. Ma la
testimonianza portata da questa confessione d’inquietudine e di tristezza è
d’ordine essenzialmente psicologico-esistenziale: ne emerge una realtà esibita
con tanto più vivace candore quanto più appare riluttante alla razionalità della
coscienza critica.
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Da Mondoperaio del marzo 1975
Scritti con rabbia
di Enzo Golino
Circola da alcune settimane, sulle pagine dei giornali,
l'espressione «letteratura selvaggia». C'è chi la attribuisce ai prodotti
narrativi di scrittori non professionali che raccontano in chiave autobiografica
esperienze esotiche e avventurose. C'è chi la attribuisce ai prodotti narrativi
di scrittori professionali che registrano in chiave antropologica e sociologica
le vicende di tipi umani non troppo integrati nella società. C'è chi la
attribuisce al fenomeno del romanzo proletario scritto da un proletario contro
la società dei padroni. Ma queste attribuzioni, tripartite per ragioni di
chiarezza nomenclatoria, si intrecciano e si confondono mescolando poi i filoni
indicati. Sarà utile dunque, per chi esiga una più accurata sistemazione dei
generi vegetanti all'ombra della «letteratura selvaggia», non ignorare le
differenze analizzate da Michel Ragon nella sua Histoire de la littérature
prolétarienne en France (Albin Michel, Paris 1974, pag. 320, fr. 49) tra
letteratura naturalista, letteratura populista, letteratura popolare,
letteratura militante, letteratura proletaria. Per ora, dell' idea di
«letteratura selvaggia», resta la suggestione giornalistica di una etichetta che
ricorda con eguale pertinenza l'aggettivo «selvaggio» (denso di echi vichiani e
rousseauiani) utilizzato sia da Claude Lévi-Strauss per sottolineare l'autonomia
logica e le regole peculiari del pensiero dei primitivi, sia dal Iinguaggio
politico sindacale di teorici e militanti a proposito di scioperi improvvisati
tanto per citare occasioni correnti.
In questa rete di riferimenti semantici è rimasto di recente impigliato il nome
di Vincenzo Guerrazzi, trentacinquenne operaio dell'Ansaldo Meccanico Nucleare
emigrato a Genova dalla Calabria, autore di due Iibri usciti quasi
contemporaneamente: Nord e Sud uniti nella lotta (Marsilio Padova 1974,
pag. 110, lire 1.800) e Le ferie di un operaio (Savelli, Roma 1974, pag.
155, lire 1.500). Se Guerrazzi appartiene o meno alla «letteratura selvaggia»
non è argomento di primario interesse: conviene piuttosto ragionare sulla
qualità dei Iibri e su ciò che essi rappresentano, indipendentemente dalla
riuscita, nel panorama culturale italiano.
Nord e Sud uniti nella lotta è il resoconto romanzato di un viaggio da Genova a
Reggio Calabria di mille metalmeccanici delle fabbriche genovesi. Il viaggio in
mare, con una nave presa a nolo, è organizzato dai sindacati per portare una
testimonianza democratica alla città offesa dai disordini provocati da Ciccio
Franco e dalle sue bande. La cronaca e il comportamento dei nuovi Mille è
integrata a sprazzi dalla cronaca di ritorno in treno da Genova a Mammola (il
paese calabro dov'è nato Guerrazzì), da storie della vita operaia dei
protagonista (cioè Guerrazzi) e dei suoi rapporti di lavoro con i compagni e i
superiori. Discussioni politiche, scene d'amore voyeuristicamente rubate
dall'occhio del narratore personaggio, rovelli esistenziali, ricordi d'infanzia,
malesseri, scandiscono il ritmo del racconto costruito sul maniacale andar su e
giù per la nave dell'inquieto eroe, nevrotico Abba della spedizione, e
sull'esplosione a tutti i livelli dei desiderio frustrato (fisiologico: il
sesso, sociale: lo status). Il protagonista, con tutto se stesso, è una
vorticosa machine désirante.
Non dissimile, a parte i luoghi e l'occasione politica, è la materia raccolta
sotto il titolo Le ferie di un operaio, ripreso dal più lungo e ambizioso dei
racconti. Il punto di vista è sempre operaio, anzi di un operaio che sperimenta
sul proprio corpo e nella propria coscienza la tristezza della condizione
operaia. Come nell'altro libro, la spartizione dell'universo è implacabilmente
manichea: gli operai, e quelli che operai (beati loro) non sono. È illecito però
affermare, come enfaticamente scrive nella introduzione a Nord e Sud uniti nella
lotta uno dei compagni di Guerrazzi che con lui hanno discusso, criticato, e
collaborato alla stesura dei libro, che il libro «non l'ha scritto Guerrazzi,
l'ha scritto la classe operaia, col suo linguaggio schietto e genuino». Capisco
la funzione provocatoria dello slogan, ma l'estensione rischia di suscitare
equivoci in qualche anima bella in preda a sussulti di operaismo sessantottardo.
Per fortuna, la classe operaia, benché drammaticamente livellata e massificata
dal modo di produzione capitalistico, non può essere ontologicamente ridotta
alla scala di valori e alle azioni agite e parlate in queste vicende.
E non bastano certamente un po' di parole considerate brutte o troppo crude
dalla moralità benpensante per definire un linguaggio «schietto e genuino». Ci
vuole ben altro... Il linguaggio dei libri di Guerrazzi non è il linguaggio
della classe operaia, per la semplice ragione che il linguaggio della classe
operaia ancora non esiste. E forse è bene che non esista, perché sarebbe un
linguaggio separato come gli altri linguaggi separati in cui oggi si articola il
modo di comunicare nella nostra società. Utopia per utopia, non è di un
linguaggio di sua esclusiva elaborazione e proprietà che la classe operaia ha
bisogno, ripetendo così l'errore della classe dominante, ma del linguaggio di
tutti, magari rinsanguato dal contributo specifico della classe operaia, del
linguaggio di tutti finalmente unificato al di sopra dei gerghi settoriali
inquinanti, una volta spezzata la crosta della merce verbale manipolata nei
canali dell'informazione, nei libri di testo per le scuole, nelle strategie
politiche più repressive e diversive, una volta interrotta la spirale sempre più
soffocante della divisione del lavoro sia materiale sia linguistico.
E non bastano certamente, neppure in un romanzo, a individuare la voce
collettiva della classe operaia, come qualcuno ingenuamente crede in base alla
propria falsa coscienza letteraria, le divertenti invettive che Guerrazzi
trascrive nelle pagine di Nord e Sud uniti nella lotta, prelevando rabbiosi
sintagmi una sorta di WC Graffiti dai muri dei cessi della fabbrica. Il
linguaggio di Guerrazzi, nei due libri, è l'esatto contrario di ciò che vorrebbe
o dovrebbe essere il linguaggio della classe operaia (che ancora nessuno ha
prefigurato) poiché dimostra quanto il linguaggio di un operaio è stato
storicamente costretto a subire mediocri fonti espressive paternalisticamente
concesse dalla cultura delle classi dominanti e dal relativo sistema di
trasmissione del sapere.
Dal linguaggio in cui si esprime, Guerrazzi si serve come un mezzo per
intrecciare, nella scrittura, il momento della realtà e il momento della
visione. Deformando la realtà con l'uso del grottesco, Guerrazzi punta l'arma
del sarcasmo e della derisione contro il nemico bersagliato nel sindacalista
imborghesito, nella donna che gli si nega, nel prete fellone, e nel padrone in
tutti gli aspetti possibili (dal caporeparto al direttore, dal professore al
giornalinta). E là dove la realtà si capovolge perfettamente nella sua
degradazione, Guerrazzi ottiene efficaci soluzioni narrative: straordinaria, nel
racconto Armando in Le ferie di un operaio, l'allucinata trasmutazione
agli occhi dell'io narrante del rosso del sangue e del blu della tuta di un
operaio maciullato dalla pialla nei colori rossoblu della maglia indossata dai
calciatori del Genoa, fotografati sul giornale insieme alla scena del mortale
incidente.
Un emblema olfattivo domina entrambi i libri di Guerrazzi, ed è la puzza, una
puzza di sudore, di piedi, di merda, di vomito, dei ferro che sta addosso alla
pelle degli operai in fabbrica e s'insinua nella pelle anche fuori, il ferro che
è l'odore e il sapore dell'operaio, una maledizione, la mortificazione
innaturale della carne. La puzza è lo stigma dell'escluso, del diverso, la puzza
diventa il simbolo da abbattere di una classe e della sua condizione, tanto che
l'autore e il narrante sembrano trasformarsi, nelle pagine dei due libri, in un
enorme organo percettivo ossessivamente librato a cantare ogni puzza. Nella
narrativa di Guerrazzi la puzza è dunque il correlativo simbolico della
condizione operaia, il segno sgradevole di un patologico complesso
d'inferiorità, mentre le aspirazioni culturali (anzi l'odio amore per la grande
cultura borghese, scrive giustamente Goffredo Fofi nella introduzione a Le ferie
di un operaio) ne sono il tema di fondo. Un bisogno viscerale di cultura,
ingenuo se si vuole, sentimentale, frustrato, ma terribilmente autentico, si
scatena con rabbia da queste pagine che, con tutti i limiti, non dovrebbero
essere evitate dalla letteratura italiana per così dire ufficiale, una
letteratura spaventosamente priva di articolate esperienze creative del reale,
monotonamente esercitata per secoli su nozioni oppressive e restrittive della
realtà, nozioni in una parola classiste. La risposta di Guerrazzi non è il
tradimento della sua classe per passare al campo della letteratura, come se la
letteratura in sé fosse il campo del nemico, ma piuttosto la scelta della classe
operaia (o meglio, di un suo rappresentante) quale soggetto e oggetto narrativo
in una letteratura che di classi ha rappresentato attendibilmente soprattutto la
borghesia.
Siamo dunque al primo vistoso passo di una letteratura proletaria che, guardando
a esperienze di altri paesi già concluse o in via di ulteriore sviluppo dovrà
tendere «alla soppressione del proletario in favore dell'individuo reintegrato
nella sua vera dimensione, diritti e doveri, affinché abbia inizio una buona
volta per sempre, la storia degli uomini reali» (André Laude, Le Monde,
13 dicembre 1974). Inevitabilmente il ciclo dei consumo culturale, la moda, la
necessità di forzare il mercato con nuovi pretesti pubblicitari e nuovi tipi di
produzione letteraria, le parole d'ordine del giornalismo più aggressivo,
sfrutteranno un evento che in Italia non ha tradizione ma isolati precedenti.
Non sembra però, questo fenomeno, una vampata effimera o scarsamente motivata:
nella società italiana il movimento operaio ha uno spazio cospicuo, esige
un'attenzione non solo politica ed economica ma anche culturale che le
istituzioni esistenti non sono in grado di dare. È quindi inevitabile che la
classe operaia cominci a interrogarsi su se stessa, a esprimersi in piena
autonomia, non delegando ad altri la propria immagine, a diffondere in pubblico
il disegno della propria identità attuale e il rifiuto della mistica del lavoro
di stampo ottocentesco, con i mezzi espressivi di cui può disporre.
I libri di Vincenzo Guerrazzi, e degli altri come lui che leggeremo, vanno
accettati senza volgari trionfalismi e imbellettate mistificazioni. Al di là di
ogni giudizio critico, che pure meritano senza pelose esitazioni, questi libri
sono il sintomo sociale ed estetico di una domanda insoddisfatta di cuitura,
riempiono un vuoto di cui questa società è responsabile. E allora non si può non
seguire il consiglio di un filosofo dei linguaggio, Wittoenstein, quando
raccomandava, se si vuoi capire bene il senso delle parole, di non guardare solo
alle parole ma anche a chi le sta usando.
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Da Il Giornale di Calabria del 1 maggio 1975
Speciale Premio Sila
di Enzo Costabile
La Decima edizione del Premio Sila ha compiuto stasera
il suo ultimo giro di boa prima del «rusch» finale di domani, con un dibattito,
aperto da una relazione introduttiva di Rosario Villari, organizzato nell'aula
del «Polifuninzionale» nell'università degli studi della Calabria, al quale
hanno partecipato oltre agli autori delle opere finaliste, numerosi e
qualificati esponenti del mondo culturale e politico nazionale ed un folto ed
attento pubblico.
Al tavolo della Presidenza sedevano insieme a Villari, ed a quattro dei cinque
finalisti Piero Flecchia, Vincenzo Guerrazzi, Roberto Calasso e Mariano
D'Antonio (Luisa Mangoni aveva comunicato in precedenza di non poter essere
presente alla manifestazione per sopravvenuti ed improrogabili impegni) anche
Mauro Leporace, Walter Pedullà, Forni e Michele Cozza.
Subito dopo l'avvio dato al dibattito dalla nota introduttiva di Villari, nel
corso della quale era stata peraltro anche se brevemente, decisamente
riaffermata la completa validità delle premesse quanto dei risultati
dell'iniziativa, intervenuto per illustrare significato, il fine ed i contenuti
della sua opera Piero Flecchia.
A questo proposito, l'autore ha affermato che lo spunto iniziale della sua opera
gli è venuto dalla lettura di un fatto di cronaca, appreso da un quotidiano.
L'episodio riguardava le violenze fisiche subite da una domestica meridionale ad
opera dell'esponente tipo di una certa classe manageriale. Flecchia, ha
affermato di volere attraverso questa vicenda, porre in risalto «tutta la
ferocia originaria che sorregge l'agire della classe dominante, colta nel
momento di un atto di rivolta», ed ha continuato dicendo che i luoghi deputati
dal potere alla individuazione materiale dell'emarginazione possono diventare il
momento deflagrante di tutte le contraddizioni del sistema. capace di annullare
il potere mistificante che garantisce la sanzione pubblica.
È intervenuto quindi Calasso, che dopo aver affermato di aver derivato il suo
libro-inchiesta, da le «memorie di un malato di mente» di Daniel Paul Schreber.
edito in lingua tedesca agli inizi del secolo, ne ha riassunto l'intento finale
affermando di aver voluto tracciare il «cammino tortuoso» di quel processo
invisibile che porta alla paranoia, di aver voluto indagare su quello che dietro
lo specchio della storia della coazione come simbolo macroscopico e portante
dell'istituto familiare organizzato secondo norme e criteri di repressione.
Vincenzo Guerrazzi, autore, o meglio come egli stesso ama definirsi amanuense
del libro «Nord e sud uniti nella lotta», ha espresso nel corso del suo
interessante intervento due affermazioni pregiudiziali.
La prima riguardante la natura di anti-libro della sua opera,e la seconda
relativa alla dimensione collettiva del suo lavoro, opera a quanto egli ha
espressamente dichiarato nata dalla immediata, puntuale e semplice trascrizione
sulla carta delle esperienze di vita e di lotta, dei bisogni e delle speranze,
insomma delle coordinate quotidiane del mondo degli operai, del quale oltre ad
essere un testimone fedele è un interprete egli stesso, essendo quella la sua
classe di appartenenza.
Guerrazzi, che ha rifiutato insieme qualsiasi attributo di stalinismo o di
estremismo, ha parlato ancora della solitudine pesante che caratterizza il mondo
del lavoro e degli effetti indotti che tutto questo provoca sulla psicologia e
sulla socialità degli operai, affermando «che l'operaio in fabbrica è solo, che
il lavoro è di per se emarginante ed alienante perché è lo strumento principe di
cui si serve il potere per garantirsi la continuità dello sfruttamento e della
espropriazione delle risorse collettive, che l'operaio è solo nelle spire in una
logica del profitto che lo sottomette e lo aliena, che lo fa produrre sempre di
più e sempre più in fretta e che alla fine lo getta via quando non più utile al
ciclo».
«Questa e solo questa» ha concluso Guerrazzi «è la verità; tutto il resto è
retorica falsa e vuota che non serve né alla classe operaia né tantomeno a un
generale processo di rinnovamento delle strutture del Paese».
Le relazioni sulle opere finaliste sono state concluse dall'intervento di
Mariano D'Antonio che ha parlato della sua opera dicendo di essersi proposto
come scopo ultimo della sua elaborazione politico-economica, quello di dare una
risposta al perché delle costanti inesattezze riscontrabili nei vari tentativi
d'analisi compiuti con l'ausilio degli strumenti dell'economia "classica" della
crisi e della stagnazione dell' economia italiana. A questo proposito D'Antonio
afferma di avere individuato l'origine "'dell'errore" nella logica
meccanicistica di queste analisi e nella loro confusione profonda fra il livello
del sociale e quello del politico.
Dopo una breve ricostruzione dei punti macroscopici di contraddizione di questo
metodo ed un riesame "en passant" delle tappe essenziali del processo di
crescita della classe operaia, con il riferimento d'obbligo allo spartiacque del
'69, D'Antonio ha chiuso il suo intervento sottolineando che "la crisi della
profittabilità", cioè la crisi del saggio di profitto "se pone nuovi problemi
alla classe dirigente nazionale apre anche nuove prospettive alla classe
operaia".
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Da L'Avanti! dell'11 maggio 1975
L'operaio cambia il linguaggio
di Walter Pedullà
Il romanzo di Vincenzo Guerrazzi, Nord e Sud uniti nella
lotta, è la storia di un desiderio. Parlano gli operai e Guerrazzi, che è
dei loro, ci mette poca «autorità» e ancor meno ce ne vorrebbe mettere, al punto
da voler essere considerato solo un amanuense. Che è anch'esso un desiderio,
diffuso nella cultura più avanzata, quella cioè che mette in discussione i ruoli
e aspira alla fine della divisione del lavoro.
Intanto in questo romanzo Guerrazzi sembra limitarsi a disporre l'una accanto
all'altra le battute o le scritte, per lo più nei cessi, con quali gli operai
dicono cosa sono e cosa vogliono. E dicono cose che smentiscono la mitologia
operaia dell'Ottocento e del partiti e dei sindacati e di tutti coloro che, sia
pure in buona fede, si tengono prigionieri di un modo dì vedere che è sempre più
cecità.
L'operaio di Guerrazzi non, ha più nulla dell'«eroe» di tanta letteratura e
pubblicistica, ha un'altra cultura, che va prendendo consapevolezza di
controcultura. È fatta di politica quanto di sport e di sesso; e ha smesso di
vergognarsene.
Questi «esemplari» operai cioè si presentano per quelli che sono: sono il
presente più duramente coinvolto nel lavoro e nello sfruttamento, e sono anche
il futuro, un futuro che ha possibilità di essere diverso e migliore, solo se si
decide di avviarlo da questo «basso» presente che è la condizione di molti
altri, oltre che degli operai. I quali stanno certo parlando solo di se stessi e
gelosi di un destino «singolare» che pagano più caro di quasi tutti gli altri. E
tuttavia stanno parlando un linguaggio nuovo, secco, sfrontato e perentorio, che
si adatta bene a tutti coloro che stanno perdendo la pazienza per il troppo poco
che ottengono e per il troppo poco che gli si chiede di fare per cambiare
qualcosa nella loro «unica» vita di oppressi, cui si nega anche il «desiderio».
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Da Il Secolo d'Italia del 31 maggio 1975
L’On. Mancini, il Premio Sila e un
volume «raccomandato» ai presidi
Oscenita’ da latrina in un
libro diffuso nelle scuole
È stato inviato a tutti gli istituti
secondari della Calabria dal Comitato
promotore del premio letterario, di cui è presidente l’alto esponente
del PSI, sollecitandone la maggiore divulgazione fra gli alunni.
Lo scandalo denunciato dal senatore Dinaro in un’interrogazione
al ministro della Pubblica Istruzione - «Nord e sud uniti nella lotta»:
un titolo stimolante dietro cui si nasconde una gratuita esibizione di
scurrilità da trivio condite con slogans socialcomunisti.
di Mauro Ferrari
È accaduto lo scorso mese in Calabria: tutti i presidi degli
istituti d'istruzione secondaria della regione si sono visti recapitare a scuola
un pacco postale contenente libri. Allegata al plico, una lettera, su carta
intestata, del Premio Sila - spiegava che il Comitato promotore di questo premio
letterario, di cui è presidente l'on. Giacomo Mancini, aveva preso l’iniziativa
di inviare gratuitamente a tutte le scuole calabresi i cinque volumi concorrenti
al Premio Sila 1975, e sollecitava quindi i capi d’istituto ad adoperarsi per la
più ampia diffusione delle opere stesse fra gli studenti, affinché questi ultimi
potessero, esprimere un loro giudizio critico sui libri in lizza.
Dopo aver inforcato gli occhiali e non senza aver prima espresso mentalmente un
cauto compiacimento per una iniziativa che una volta tanto, almeno alla prima
apparenza sembrava rivolgersi alla massa studentesca con seri intenti culturali,
per sollecitarne lo spirito critico e gli interessi letterari piuttosto che
istigare, come così spesso accade oggi, all'odio fazioso ed al ribellismo
anarcoide, i presidi in questione, spinti in parte da doveroso scrupolo di
responsabilità professionale e in parte da ovvia curiosità intellettuale hanno
preso a sfogliare i cinque volumi.
Uno di essi è subito balzato alla loro attenzione; soprattutto per via del
titolo, indubbiamente stimolante: Nord e Sud uniti nella lotta, autore
l'operaio metalmeccanico Vincenzo Guerrazzi «con la collaborazione di un
collettivo di fabbrica» pubblicato da Marsilio Editori «Collettivo» di Padova.
Ma, data una scorsa al libro, grande è stato lo stupore e massima l’indignazione
nel costatare che il volume consisteva in buona parte in intere pagine colme di
oscenità irripetibili, esposte nel linguaggio scurrile proprio delle latrine
pubbliche, dalle quali peraltro risultavano, con dichiarato e «goloso»
compiacimento desunte, raccolte e trascritte.
Era così imponente la massa limacciosa di oscenità da cloaca e di trivialità
scatologiche riunita con un gusto maniacale da coprofago nelle pagine del libro,
che a stento si riusciva a districarsene per risalire al pretesto narrativo, che
era quello di offrire un resoconto della «spedizione dei mille metalmeccanici»
da Genova a Reggio Calabria, organizzata dalla triplice sindacale nel 1972 come
risposta polemica contro le lotte popolari di cui fu protagonista Reggio: un
viaggio effettuato su di una nave appositamente noleggiata dalla centrale rossa.
Frammiste, poi, alle scurrilità più sconcertanti, numerose le invettive volgari
contro la Destra Nazionale e i valori morali in cui essa si identifica, unite a
contenuti rivolti a fomentare l'odio sociale e ideologico.
Per completare il quadro, non mancavano espressioni ispirate al più volgare
anticlericarismo, dove non si esitava ad oltraggiare nel modo più disgustoso la
memoria di un grande Papa
Il fatto ha suscitato vivaci proteste da parte di presidi e professori delle
scuole cui il libro è stato inviato. Lo scandalo è stato oggetto di
un’interrogazione del senatore Dinaro, del MSI-DN al Ministro della Pubblica
Istruzione.
Eccone il testo:
«Premesso che con lettera del 10 marzo 1975 a firma dell’avv. Mauro Leporace,
il comitato promotore del Premio Sila di cui è presidente l’on. Giacomo Mancini,
con sede in Cosenza – corso Telesio, 53, ha inviato gratuitamente a tutte le
scuole ed istituti statali d’istruzione secondaria della Calabria i cinque
volumi concorrenti al Premio Sila 1975, tra i quali Nord e Sud uniti nella
lotta, scritto dall’operaio metalmeccanico Vincenzo Guerrazzi con la
collaborazione di un collettivo di fabbrica e pubblicato da Marsilio Editore
“Collettivo” di Padova.
«Rilevato che con la richiamata lettera del 10 marzo u.s. si sollecita la
collaborazione dei capi d’istituto per la maggiore diffusione delle opere stesse
tra gli studenti, ai fini della formulazione su di esse di un loro giudizio;
rilevato altresì che il libro di Guerrazzi e compagni – con pretesto di narrare
(e non interessa qui, ovviamente, come) da Genova a Reggio Calabria, organizzato
nel 1972 dai sindacati della triplice come risposta alle note vicende di lotta
per il capoluogo di quella regione ed effettuata su di una nave appositamente
noleggiata – sotto un titolo in sé avvincente e stimolante che può indurre
facilmente in errore qualunque capo d’istituto, contrabbanda in effetti;
- a) contenuti ispirati a fomentare tra i giovani l’odio e la lotta di classe;
- b) frasi ed espressioni di un anticlericalismo rozzo,calunnioso e volgare che
non esita neppure ad oltraggiare la memoria di un Papa come Pio XII;
- c) e soprattutto intere pagine di una oscenità sconcertante, rese con il
linguaggio scurrile tipico delle pubbliche latrine dalle quali, peraltro,
dichiaratamente e con particolare predilezione e compiacimento sono state
raccolte e trascritte (data la loro irripetibilità, si allegano in fotocopia a
mo' di esempio le pagg. 78 e 89 del libro contenenti tra l'altro, i riferimenti
a Siri e ad Eugenio Pacelli, nonché le pag. 17, 28, 60 62, 72 73, 78 79, 81, 86
87): l’interrogante chiede di conoscere se il Ministro della P.I. abbia comunque
autorizzato il Comitato promotore del Premio Sila e il suo presidente a
diffondere nelle scuole il libro di cui alle premesse:
«in caso contrario, se e quali azioni egli intenda promuovere anche in relazione
all'art. 526 c.p. nei confronti dei responsabili della diffusione di scritti
così osceni e pervertitori dei costumi e delle coscienze. Operate per giunta in
pubblici istituti frequentati nella stragrande maggioranza da ragazzi e ragazze
minori degli anni 16».
DINARO
Affinché i nostri lettori possano avere una fedele visione dei «valori culturali
e letterari» contenuti in questo libro «esemplare» che l'on. Mancini ha inviato
a tutte le scuole calabresi perché venga diffuso fra ragazze e ragazzi d’età.
media inferiore ai sedici anni, riportiamo un piccolo campionario di questa
prosa escrementizia, chiedendo preventivamente scusa ai lettori per il fatto di
dover pubblicare così immonde brutture uscite dalla penna di uno «scrittore
marxista»:
(pagine 78 e 79)
«Perché Mao è stato mandato da Dio risposi con un filo di voce. Il prete mi
lasciò per strada. Nei gabinetti c'era scritto anche: La lotta è arrivata'al
culmine o mollare a spaccare tutto incominciando dal culo del sindacato. W la
classe operala che con la borghesia di Siri se ne va, al paradiso. Io ho
chiavato la nipote di Siri e ora mi tocca lavorare in questo merdaio. - Abbasso
il MSI partito di legno marcio di merda Almirante sei il migliore delle merde W
il grande Almirante uomo di onore e grande partigiano Su una montagna di merda.
DC=deficienti e cornuti. – Non vi rendete conto che siete dei bambini; perché
non vi scrivete sopra il culo? Vi purgheremo come nel passato. Cadenasso oltre a
essere un bastardo sei anche un comunista come tutti gli operai comunisti. W
Gimondi W Agostani- – Sei un povero analfabeta – Viva Gimondi viva Agostani 10
volte campione del mondo. Sei un fesso - Seminal; W tua sorella che si gusta il
mio cazzo come se fosse una caramella.
(…)
Sei una merda W la classe operaia W i comunisti W 1a lotta partigiana W la
gloriosa classe operaia nata dalla Resistenza. Operai scioperate fino all'ultimo
respiro il fascismo non passerà abbattiamo i1 governo fascista Andreotti nemico
numero uno della classe operala e del suo partito W i1 nostro partito comunista
W le lotte delle riforme -
Viva Reggio Calabria fascista. I meridionali sono tutti figli di puttana e
chiavano le madri e le sorelle sono peggio delle bestie Sono terroni e dobbiamo
metterli alla gogna altrimenti ci ritroveremo i1 fascismo alle porte delle
fabbriche. No alle fabbriche del Sud perché laggiù sono vagabondi quelli che
vogliono lavorare vengano pure al Nord a morte 1 fascisti che sono tutti
meridionali. -
(pagina 81)
A Gioiosa Marina le strade erano deserte per i1 caldo, nel muro rosso della
stazione della ferrovia una scritta nera bruciata dal sole, Valpreda libero W
gli anarchici . Nel gabinetto n°6 della quinta navata c'era una valanga di
scritte:
- Pinelli assassinato dai padroni e dallo stato. Io me ne sbatto le palle W la
Juve che ha fatto 4 contro, il Milan merda. - Chi lecca la fica faccia un
trattino -- -- - -- -- -- -- ecetera. – Asino si scrive eccetera con due c. Ia
fica non ne piglio però ho Angela, una puttana di Pre che con 5 sacchi me ne fa
fare due e lo lecca. Mi tratta bene perché sa che sono un operaio di sinistra e
quando abbiamo fatto lotta me l'ha, data senza soldi. Angela è di sinistra
perché è nel commercio. Il partito non dice che tutti i commercianti sono gli
mici degli operai?
(pagina 89)
Tirai fuori il blocchetto degli appunti. Aldo disse: «Ahi ahi ci siamo,
gabinetti» risero tutti e io lessi: Gabinetto n. 4 delta navata lato ponente:
-Operaio sai che i1 papa Eugenio Pacelli era pieno di donne e le manteneva con
lo sfruttamento di tuo padre anch'egli operaio?
Sai che una delle sue amanti, suor Pasqualina, era un pezzo di fica con la F
maiuscola? Tutte e due giravano nudi per le stanze vaticane mentre tuo pare si
faceva il culo nella fabrica. –
(pagina 17)
Ciccio Franco va fa'n culo, Ciccio Franco va a fa'n culo, Ciccio Franco va a
fa'n culo. Come un lampo si era diffuso questo slogan lanciato un compagno del
servizio d’ordine del sindacato.
Cosa? Dove? Ma chi è quel pazzo che grida cosi? Ma Siete tutti pazzi?
Disgraziati, vi rendete conto dove siamo?
(pagina 60 e 61)
Un soldato stava con la testa appoggiata sulla parete. con lo sguardo cercava
di penetrare nel seno quasi scoperto di una signora ch'era lì di fianco. Il
giorno prima ero ancora in fabbrica, nei cessi raccoglievo le scritte. Al
gabinetto n° 1 della quinta navata lato ponente:
Attenzione! Scelba ve lo ricordate? Massacratore di operai, autore della legge
truffa, aperto sostenitore della mafia, simpatizzante e amico dei fascisti ora
di nuovo ritornato al governo difende la democrazia sostenendo la stampa
comunista che 1’ha sempre smascherato negli intrighi dei governi neofascisti. -
Anarchia surrogato di fascismo -
Bravo; scemo. Chi vuole parlare di politica deve avere i1 coraggio di farlo alla
luce del sole come lo fa Antossi quel bel ragazzo che ha un bel cazzo qui nel
cesso si dove parlare solo di culo e di cazzo ieri sera me l'hanno rotto e ora
che faccio? perché era bello tanto bello.
(pagina 62)
Due agosto 1972 vigiglia delle ferie. Sono andato al gabinetto. Era tappato
di merda, uscii di corsa ed entrai in un altro. Una maschera di scritte.
(Ha... Ho ... ) ancora, ancora, togliemi le mutandine, su, toccami tutta, (ha)
sì, sì, così, come godo, baciami i capezzoli, leccami la fica: ora sverginami.
La mussa senza peli si lecca meglio. W la CIA. In questo luogo. di fetente asilo
fece uno stronzo che pesava un chilo. Viva il cazzo viva la merda. - Operaio
ribellati. Non lavorare come un mulo.
Quella qui riportata non è che una delle sconcezze e delle aberrazioni di cui è
costellato breve esemplificazione il libro «Nord e Sud uniti nella lotta».
Liberissimi gli autori marxisti di scrivere e gli editori comunisti e socialisti
di stampare questa prosa da letamaio e da latrina. Segno questo, se non altro
che la ideologia di sinistra non può ormai trovar nutrimento se non rimestando
nella melma delle cloache. Ma è mai concepibile che i signori socialisti del
Premio Sila. e il suo presidente on. Mancini possano impunemente propagandare un
simile e immondo libro nelle scuole secondarie statali, raccomandandone la
diffusione «a scopo di studio» fra studenti e studentesse che non hanno superato
i 16 anni d’età? Non è forse, questa, materia da codice penale? Cosa ne pensa in
merito il ministro, della Pubblica Istruzione?
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Da Il Corriere della Sera del 3 giugno 1975
«Nord e Sud uniti nella lotta» dell'operaio
Guerrazzi
Sequestrato per le parolacce
di Cesare Medail
Il libro «Nord e sud uniti nella lotta» di Vincenzo
Guerrazzi è stato sequestrato in tutta Italia per ordine del procuratore
generale della Repubblica di Catanzaro, Donato Bartolomei. Nel documento del
magistrato si legge: «... lo scritto del Guerrazzi essendo osceno è sottoposto
alla misura cautelare del sequestro la cui efficacia si estende in tutto il
territorio dello Stato». In questo articolo, un'intervista allo scrittore
operaio Vincenzo Guerrazzi.
Abituati ai sequestri di pellicole o di riviste ritenute oscene per i nudi o le
frasi oscene, iniziative come quella del Procuratore della Repubblica di
Catanzaro, Donato Bartolomei non desterebbero particolare impressione se
l'ordine di sequestro non riguardasse un libro, in cui non c'è alcuna
illustrazione pornografica ma soltanto frasi o parole che sono state giudicate
«oscene», come si legge nel documento dell'alto magistrato.
Il libro di Vincenzo Guerrazzi, «Nord e sud uniti nella lotta» (pp. 110,
Marsilio editore, L. 1.800), racconta il viaggio di migliaia di operai verso
Reggio Calabria nell'ottobre del 1972, una risposta politica unitaria alla
rivolta gestita dai fascisti che per molti mesi aveva sconvolto il capoluogo.
Viaggio, che fu insidiato da tentativi dinamitardi contro i treni da parte
dell'estrema destra.
Sfogliandolo, troviamo, è vero, delle parolacce, pronunciate da lavoratori
contro il leader dei «boia chi molla» reggini, Ciccio Franco, e frasi che
Guerrazzi ha ricopiato dai muri dei gabinetti di alcune fabbriche: in cui c'è il
turpiloquio, ma anche la denuncia politica. Basta tutto questo per far
sequestrare da ogni edicola e libreria del paese una pubblicazione? Secondo il
procuratore Bartolomei sì, anche se fior di scrittori abbondano di termini non
proprio da galateo nei loro romanzi, ricevono premi letterari e nessuno si sogna
di denunciarli.
Anche Guerrazzi è in lizza per un concorso: il «Premio Sila», di cui è finalista
e la fondazione culturale promotrice aveva sollecitato la sua diffusione nelle
scuole calabresi. Il professor Amato, preside dello scientifico di Castrovillari,
lo aveva definito «documento eccezionale e opera valida ».
«Il pretesto dell'oscenità - dice Vincenzo Guerrazzi, operaio calabrese emigrato
a Genova dove lavora presso l'Ansaldo, reparto meccanico nucleare - serve a
coprire un retroscena preelettorale». «Sono rimasto stupito. Probabilmente
questo magistrato non conosce niente di letteratura; le parolacce ci sono anche
in Dante»,
Ma perché la questione sarebbe politica?
«Ho 34 anni; da 17 lavoro all'Ansaldo, mi danno del gruppettaro, mentre faccio
parte del direttivo provinciale del Partito Socialista Italiano di Genova. Lo
stesso onorevole Mancini, il 30 aprile, quando nell'aula magna dell'università
di Cosenza mi venne consegnato il premio "Opera prima" per questo libro, mi ha
detto non ci credo che tu sia del mio partito». «Eppure io non sono un
extraparlamentare, nei miei libri voglio soltanto portare alla luce i problemi e
i drammi della condizione operaia in Italia, come ho fatto con "L'altra
cultura", una mia pubblicazione uscita domenica scorsa. Inchiesta sulla
condizione di vita in fabbrica scritta dagli stessi operai genovesi ai quali due
mesi prima avevo consegnato un questionario da riempire».
Guerrazzi, dirigente socialista, operaio, sostiene di non aver nulla a che fare
con l'ultra sinistra. Lo stesso «Secolo XIX» di Genova pubblicò una serie di
suoi racconti sulla vita di fabbrica, raccolti poi da Samonà Savelli nel libro
«Le ferie dell'operaio». Il movente politico del sequestro di «Nord e sud uniti
nella lotta» nasce proprio, secondo Guerrazzi, dal clima preelettorale infuocato
creatosi fra socialisti e democristiani, in particolare in Calabria. La crociata
puritana lanciata da un magistrato noto per aver ordinato il sequestro di
quindici film in sei mesi lo scorso anno ed aver fatto ritirare dalle edicole
circa duecento pubblicazioni ritenute oscene potrebbe essere una risposta al
premio di Cosenza consegnato a Guerrazzi col viatico di Mancini. suo compagno di
partito.
Non possiamo sottoscrivere quest'ipotesi, né fare processi alle intenzioni di un
giudice. Certo, non abbiamo ricordi, nell'Italia democratica, del sequestro di
un libro di documentazione politica. E l'episodio non può non destare
inquietudini.
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Da L'Avanti! del 4 giugno 1975
Perbenisti e fascisti uniti
nella lotta contro la cultura
Indignazione per il sequestro del romanzo
di Guerrazzi, finalista al «Sila»
di Walter Pedullà
Sarebbe troppo facile e anche scontata «ritorsione», quella
di sostenere che il vero scandalo è la decisione del magistrato di sequestrare
il libro di Vincenzo Guerrazzi, «Nord e Sud uniti nella lotta». Provvedimenti
del genere sono ormai così rari nel mondo che in sostanza vengono registrati
come curiosità periferiche, lepidi anacronismi, fenomeni o animali in via di
estinzione. Tuttavia pure il fascismo pareva roba passata, vergogna immonda,
ridottasi a farsa e ad altra forma di spettacolo grottesco; invece lo vediamo
rimesso a nuovo, il doppio petto o in abiti paramilitari, quelli che misero a
fuoco e fiamme la stessa Reggio Calabria dove sono indirizzati a portare
solidarietà antifascista i personaggi del romanzo che il magistrato di Catanzaro
vorrebbe suppergiù dare alle fiamme.
Coincidenze a parte, che magari sono casuali, non ci si può limitare a
sghignazzare o il rammarico del «proprio a noi doveva capitare». Infatti
potrebbe capitare non solo ai calabresi ma a tutti gli italiani, se prendesse
piede l’abitudine di vedere denunciato ogni libro sgradito a un deputato
fascista o a un giornale fascista. Solo Il Secolo d'ltalia infatti ha attaccato
truculentemente un libro che è stato invece variamente e talvolta assai
apprezzato dal Corriere della Sera, da Il Messaggero, dal l’Espresso, da Paese
Sera, da L’Avanti!, da Panorama e da tanti altri quotidiani e settimanali di
ogni tendenza culturale. L’hanno letto centinaia di magistrati, ma solo uno ne
ha ordinato il sequestro, trattandosi comunque di una coincidenza, non ci si
sofferma più del tempo della sua registrazione.
Discutibile è però che si attribuisca l’«evidente finalità di abbruttire il
costume degli scolari calabresi» al comitato promotore del premio Sila; che non
c’entra per niente con la decisione di includere il romanzo di Guerrazzi tra i
tre libri finalisti per il premio Sila «opera prima» di narrativa. Della scelta
sono unicamente responsabili i membri della giuria, che spesso sono uomini di
scuola e talvolta anche calabresi e sono ovviamente certi che il romanzo di
Guerrazzi «possa abbruttire il costume degli scolari calabresi».
Carlo Bo è il rettore dell'università di Urbino critico letterario del Corriere
della Sera, illustre scrittore cattolico: non l’hanno offeso le espressioni
verso il cardinale Siri e Papa Pacelli esecrate dal deputato fascista (cattolico
è pure un altro membro della giuria, Geno Pampaloni, il critico letterario del
«Giornale» di Milano e collaboratore culturale della TV). Rosario Villari,
calabrese, insegna nell'università di Firenze; Umberto Caldora, Calabrese,
insegna nell'università di Cosenza; Enrico Forni in segna nell'università di
Cosenza; Walter Binni insegna nell'università di Roma e nella stessa università
insegna l'autore di questo articolo. Pietro Garofalo, che insegna in una scuola
romana, è un calabrese; e calabresi sono gli altri membri della giuria: Michele
Cozza, Raffaele Cundari, Mauro Leporace, Giuseppe Selvaggi, uno scrittore che ai
problemi della scuola ha dedicato ampi servizi giornalistici.
Sono costoro dunque a volere «abbruttire il costume morale degli scolari
calabresi?» ma perché non si accusano loro e si attacca il comitato promotore
del premio Sila? Perché il suo presidente è Giacomo Mancini, il più accanito
nemico dei fascisti di Reggio Calabria e non solo di Reggio Calabria? Sarà una
coincidenza ma a quindici giorni dalle lezioni regionali non è arbitrario
ritenere che il sequestro di Nord e Sud uniti nella lotta «riunisca» vecchi
alleati nella lotta al socialismo.
L’impressione che si sia voluto cercare il pelo nell'uovo è assai robusta; o,
più precisamente, diciamo che si è andato alla ricerca delle «parole oscene»
senza curarsi della loro funzione letteraria. Con questo criterio, proporzioni a
parte, risulterebbe osceno ogni autore italiano, a cominciare dal padre Dante,
che i termini «puttana» e «culo» li fa recitare anche agli scolari calabresi. Ma
il conto lo facciamo fare a chi si diletta di bilanci simili ai cultori della
latinità e ai loro complici fascisti. Vale la pena di ricordare i versi di
Catullo in una recente traduzione tuttora non esclusa dalla scuola:
«In bocca e in culo ve lo ficcherò, / Furio e Aurelio, checche bocchinare che
per due poesiole libertine / quasi un degenerato mi considerate che debba esser
pudico il poeta è giusto, / ma perché lo dovrebbero i suoi versi?».
Che cosa facciamo? lo «purghiamo» Catullo, e Marziale e tanti altri latini e
greci e italiani di oggi e di ieri? Come ieri sono stati «purgati» e non bastava
la carta quando proprio non manganellati. Estranea assolutamente all’idea della
«purga» ad uso dei fascisti, la giuria ha ritenuto di dover proporre la lettura
di un testo che era stato segnalato come un documento di sconcertante
originalità sul mondo operaio.
Il libro di Guerrazzi smantella un’arcaica mitologia che rappresenta l’operaio
secondo modelli ottocenteschi, sui quali si nutre una nostalgia interessata a
non cambiare realmente una società caratterizzata proprio dalla preponderante
presenza operaia. Guerrazzi porta le prove dissacranti ma inoppugnabili che
l'operaio va preso per quello che è almeno in una parte non trascurabile per la
sua passione politica, per i suoi furori ideologici, per i modi della sua
solidarietà, ma per i suoi «vizi», per il suo gusto del gioco, per le sue
frivolezze verbali, per i suoi capricci sportivi, e per le sue ossessioni
sessuali: tutto messo insieme a formar un personaggio cui non si può più
chiedere una massiccia ma povera coerenza. Come è fatto non lo si scopre solo
nelle riunioni sindacali o nei comizi o nelle manifestazioni di protesta.
L’operaio, si confessa nelle latrine, nei cui muri registra ogni più libero
desiderio: come se sognasse, senza che alcuno lo censuri: il luogo del suo
isolamento anche il luogo dove manifestare più autenticamente ciò che è e ciò
che ritiene gli si debba secondo giustizia che tenga conto del lavoro fatto da
ognuno. Le «oscenità» sono esse stesse (l'interpretazione è del grande psicologo
Kerenvi) manifestazione della sua importanza a realizzare i programmi che una
cultura secolare considera sacrosanti ma sempre più frequentemente tenta di
dimostrare utopistici.
D'altronde l’unica cultura che viene in concerto messa a dispsizione di operai
stroncati dalla fatica e frustrati nelle aspirazioni sociali è proprio quella
dei fumetti per soli uomini e per uomini soli. Il fariseismo della «borghesia
colta» si allarma dal fatto che questi operai non leggono tanti bei romanzi e
saggi almeno tascabili.
Guerrazzi invece invita alla constatazione che siffatti sono gli operai c che da
operai siffatti bisogna aspettarsi il poco di mutamento che la società italiana
consente. Sono operai che bestemmiano e sputano in terra e dicono parolacce?
Solo ora ci si accorge che sono sgarbati, tracotanti, osceni, incivili? Cosa
hanno fatto effettivamente le istituzioni, la scuola, la magistratura, ecc.
perché non si comportassero e non si esprimessero cosi? Vincenzo Guerrazzi,
calabrese, operaio autodidatta, è stato mandato a cercarsi lavoro a Genova. Ora
lo si vuole condannare perché ha mandato a quel paese Ciccio Franco con poco
garbo. La cultura e i lavoratori italiani sono chiamati a mandare a quel paese
tutti i complici di Ciccio Franco. Gli scolari calabresi preferiscono la santa
verità all’inganno filisteo.
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Da L'Avanti! del 5 giugno 1975
Sarà promossa azione penale
contro il magistrato sequestratore
L'iniziativa è stata presa dal comitato
promotore del «Premio Sila»
Dichiarazione del compagno Giacomo Mancini
di Walter Pedullà
La decisione del magistrato di sequestrare Il libro di
Vincenzo Guerrazzi «Nord e Sud uniti nella lotta» registra, oltre che la
reazione indignata di tutta la cultura italiana, una ferma e coraggiosa
iniziativa del comitato promotore del Premio Sila. Infatti il comitato avvierà
azione penale e di risarcimento danni contro Il procuratore generale che ha
effettuato il sequestro.
Lo rende noto il compagno Giacomo Mancini, presidente del comitato promotore del
«Premio Sila», il quale ha fatto la seguente dichiarazione: «Nessuna parola
sull'inquisitore di Catanzaro e sul suo operato. Annuncio invece che a nome del
comitato promotore del Premio Sila, promuovo azione penale e di risarcimento dei
danni nei confronti del procuratore generale, impegnandomi a devolvere il
ricavato per la pubblicazione in edizione economica del libro di Guerrazzi».
«Nello stesso tempo prosegue Mancini ho chiesto alla casa editrice Marsilio di
autorizzare la ristampa a spese del comitato promotore dei Premio Sila
dell'opera dello scrittore operaio calabrese, volendo aderire alle numerosissime
richieste pervenute in questi giorni da docenti e studenti dell'università di
Calabria e delle altre scuole .
Intanto negli ambienti intellettuali nazionali è vivissima la deplorazione per
il provvedimento del magistrato di Catanzaro. È stata avvertita dappertutto per
quello che esso rappresenta, al di là dell'episodio che lo ha provocato;
l'inizio di una campagna di intimidazione verso la cultura più avanzata. insomma
una minaccia da respingere subito energicamente, un disegno politico culturale
da far fallire. È questo in sostanza il senso delle dichiarazioni di solidarietà
pervenute da tutta Italia al comitato promotore del «Premio Sila». Fra gli
altri,hanno telefonato o telegrafato Cesare Zavattini, Carlo Bernari, Maria
Luisa Astaldi, Luigi Malerba. Aurelio Roncaglia, Diego Carpitella, Carlo Bo,
Geno Pampaloni, Elio Pagliarani, Giacinto Spagnoletti, Lamberto Pignotti, Gian
Luigi Piccioli, Lucio Villari; Raffaele La Capria, Francesco Burdin, Renzo
Rosso, Giuliano Gramigna, Angelo Guglielmi, Nanni Balestrini, Pietro A .
Buttitta, Cesare Milanese, Bruno Torri, Luciana Martinelli, Giuseppe Alvaro, La
Casa della Cultura di Roma.
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Da Il Tempo del 5 giugno 1975
Il sequestro del libro di Guerrazzi
Il P.G. di Catanzaro
denunciato da Mancini
L'esponente socialista difende il volume
destinato a circolare anche nelle scuole
La polemica aperta dalla decisione del Procuratore generale
di Catanzaro, Donato Bartolomei, di sequestrare perché contiene frasi o parole
che, a suo parere, rendono lo scritto osceno il libro di Vincenzo Guerrazzi
«Nord e Sud uniti nella lotta» (Marsilio editori), già finalista all'ultima
edizione del Premio Sila, registra un nuovo sviluppo. Il comitato promotore del
Premio ha deciso, infatti, di promuovere azione penale contro il magistrato.
Lo ha reso noto il presidente, on. Giacomo Mancini, che ha fatto questa
dichiarazione: «Nesuna parola sull'inquisitore di Catanzaro e sul suo operato.
Annuncio invece che, a nome del comitato promotore dei Premio
Sila, promuovo azione penale e di risarcimento dei danni nei confronti del
Procuratore generale, impegnandomi a devolvere il ricavato per la pubblicazione,
in edizione economica, del libro di Guerrazzi».
«Nello stesso tempo - ha aggiunto Mancini - ho chiesto alla casa editrice
Marsilio di autorizzare la ristampa, a spese del comitato promotore del Premio
Sila. dell'opera dello scrittore operaio calabrese, volendo aderire alle
numerosissime richieste Pervenute in questi giorni da docenti e studenti della
Università di Calabria e delle altre scuole».
Sul sequestro è intervenuto ieri, polemicamente, il procuratore generale. «Il
libro è stato sequestrato per suburra, non può perseguire altra finalità che
quella di un deprecabile abbrutimento del costume degli adolescenti che le
frequentano. È chiaro che il mio operato non ha avuto altro scopo che quello di
adempiere al mio dovere».
«La politica - aveva tenuto a chiarire il procuratore generale Bartolomei - non
c'entra affatto nella esposta vicenda. C'era soltanto il dovere del magistrato
di applicare la legge ai casi della vita che vengono portati a sua conoscenza».
A proposito di certe sue asserite connivenze, il magistrato aveva poi
decisamente affermato di non avere, «nulIa da spartire con il MSI» cosi come in
passato nulla ebbe «da spartire col fascio littorio».
I libri finalisti del «Sila» secondo il nuovo regolamento del Premio, vengono
diffusi anche nelle scuole per un parere consultivo dei giovani prima della
scelta definitiva.
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Da Il Secolo XIX del 6 giugno 1975
Il sequestro dell'opera di Guerrazzi
Considerato «osceno»
un libro antifascista
di Guido Arato
Il sequestro del libro di Vincenzo
Guerrazzi, Nord e Sud uniti nella lotta, è stato ordinato dal procuratore
generale della Repubblica di Catanzaro, Donato Bartolomei. L'accusa è di
oscenità; la «misura cautelare» (il sequestro) ha efficacia in tutto il
territorio dello Stato: per ora l'ordine è stato eseguito sulle copie giacenti
nella sede veneziana dell'editore del volume, Marsilio di Padova.
Che cosa ha mosso la giustizia? L'iniziativa d'un privato, una denuncia
presentata dal marchese Cola Nunziante, agrario della piana di Gioia Tauro,
candidato del MSI DN alla Regione. Sul romanzo, il racconto del viaggio per mare
di mille metalmeccanici genovesi diretti a Reggio per partecipare alla
manifestazione antifascista dell'ottobre '72, la polemica è nata in Calabria e
si sta sviluppando soprattutto a Roma. Il Secolo d'Italia, organo del MSI, lo ha
attaccato violentemente citandone con ampiezza i brani proibiti; un senatore
missino, Dinaro, ha presentato un'interrogazione in Parlamento. Denuncia,
sequestro, interrogazione si distinguono per la loro assoluta eccezionalità.
Intorno al libro, uscito nel giugno del '74, l'interesse era rinato ai primi del
maggio scorso, in occasione del premio Sila al quale Guerrazzi partecipava nella
sezione «opera prima». Allora, una giuria ai studenti gli alunni di terza del
liceo classico «Bernardino Telesio» di Cosenza, un gruppo di studenti lavoratori
e di universitari lo aveva prescelto a grandissima maggioranza in una rosa di
tre candidati; la giuria ufficiale (della quale facevano parte, tra gli altri,
Carlo Bo, Geno Pempaloni, Rosario Villari, Walter Binni e Walter Pedullà) gli
aveva infine assegnato con ampie lodi il secondo posto. Ma da quei giorni è
cominciata un'accesa polemica tra sostenitori e avversari del (mancato)
vincitore. Perché?
Secondo Guerrazzi (35 anni a dicembre; da 18 operaio all'Ansaldo Meccanico di
Sampierdarena; una sua inchiesta operaia, L'altra cultura, è uscita da
due settimane), l'accusa di oscenità ha un preciso connotato politico. Non
sarebbero tanto le «brutte parole» contenute in certe citazioni (le scritte nei
gabinetti che contrappuntano la narrazione) ad aver suscitato l'indignazione del
denunciante e messo in moto la macchina della giustizia; quanto certi nomi e
certi slogan: in particolare, lo slogan che manda a farsi benedire (ma in forma
più cruda). Ciccio Franco, l'«eroe» delle giornate di Reggio, alla prima riga
della prima pagina. (Radio Montecarlo, dando notizia del sequestro, si è
riferita a quest' espressione).
E le cose dette dalle «scritte indecenti» contro un pontefice (papa Pacelli) e
un cardinale (il cardinale Siri)? Guerrazzi non ha dubbi nel rispondere:
«Entrate in fabbrica; entri in una fabbrica il procuratore Bartolomei. Veda e
senta, prima di pronunciarsi. Del resto, non ci sono parole e frasi meno pesanti
ed esplicite nell'Ulisse di Joyce, per non citare padre Dante. Ma il punto è un
altro. La vera oscenità la giustizia non la vede dov'è: nelle baronie, che non
sono anacronistiche ma oscene; com'è oscena l'alleanza dei notabili che
appoggiano i fascisti. Il mio libro è un libro duro, crudo: rispecchia una certa
realtà che, secondo me, va presa in seria considerazione». Aggiungiamo (è appena
il caso) che una rilettura del libro testimonia a favore di Guerrazzi. Occorre
malizia morale e politica per non cogliere nello spessore acre di queste pagine
una precisa e, vogliamo sottolineare, pulita intenzione denuncia civile
Guerrazzi era a Reggio nel '72, testimone della rabbia sconfitta dei fascisti,
che sino a pochi mesi prima il senatore Franco aveva mobilitato a decine di
migliaia nelle piazze. È un altro mondo, dice; un'altra Italia, disperata e
strumentalizzata. Quella rabbia ora ha trovato un oggetto nel romanzo-inchiesta.
Guerrazzi è socialista lombardiano; in Calabria (dove è nato, a Mammola) ha
trovato la solidarietà dei socialisti di Mancini.
Il Giornale di Calabria, socialista, unico foglio di sinistra di tutta la
regione, è sceso in campo in sua difesa. Sull'Avanti!, il quotidiano romano del
partito socialista, Walter Pedullà ha scritto ieri per Guerrazzi sotto il
titolo: «Perbenisti e fascisti uniti nella lotta contro la cultura». Ma il
fatto, politicissimo, che vede di fronte socialisti e fascisti, è adesso uno
scandalo nazionale.
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Da Il Giorno del 6 giugno 1975
Interrogazione PSI su «Nord e Sud uniti nella lotta»
Premiato dai critici
osceno per il giudice
I Socialisti Riccardo Lombardi, Giacomo Mancini e Claudio Signorile hanno
presentato al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia una
interrogazione per sapere se siano a oscena del gravissimo attentato alla
libertà di espressione rappresentato dal sequestro, disposto dal Procuratore
generale di Catanzaro Di Bartolomei del libro di Vincenzo Guerrazzi "Nord e Sud
uniti nella lotta"; e se, in Particolare «siano a conoscenza dell'assurdità
giuridica del sequestro, privo - a quanto è dato a sapere – di ogni parvenza di
motivazione (tale non è infatti la definizione di osceno, che deve a sua volta
essere argomentato)».
Lombardi, Mancini e Signorile chiedono di sapere inoltre se «non ritenga o che
in ogni caso il libro – in quanto segnalato in un Premio letterario nazionale
della cui giuria facevano parte alcuni tra i massimi critici ed esperti di ogni
tendenza debba essere giudicato al di là di ogni giudizio di merito come opera
espressione artistica e quindi sottratta, a norma del codice vigente, alla
possibilità di incriminazione per oscenità: se non ritengano inoltre, nella
sostanza, particolarmente grave il tentativo, ottuso e reazionario, di
assimilare in una unica crociata sanfedista ed autoritaria, opere che si
richiamino indubbiamente alla realtà sociale del Paese e pubblicazioni realmente
oscene».
I tre esponenti del PSI interrogano il ministro Guardasigilli e per sapere se
non intenda far conoscere nelle forme ad esso consentite, al Consiglio superiore
della Magistratura, organo di autogoverno dell'ordine giudiziario, «la propria
valutazione sul comportamento del Procuratore Di Bartolomei, la cui monomania
censoria e repressiva si esercita sistematicamente nei confronti di tutti i
prodotti culturali rendendo l'intera regione Calabra, su cui si estende la sua
competenza, un territorio i cui cittadini sono considerati intellettualmente
sottosviluppati e "minus abentes" (con la conseguente necessità di sottrarli
coattivamente alla contaminazione rappresentata dalla gran parte delle
espressioni culturali contemporanee)».
Nell'interrogazione si chiede infine, se non si ritenga che «tale comportamento
abnorme - che sarebbe ridicolo se non ledesse le libertà Costituzionali – oltre
che giuridicamente del tutto ignorante e sprezzante della legge e delIa
giurisprudenza, non costituisca ormai un vero e proprio caso di lesione del
prestigio dell'ordine giudiziario».
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Da Paese Sera del 6 giugno 1975
Il caso del romanzo di Guerrazzi
«Nord e Sud uniti nella lotta»
Come si sequestrano le parolacce
di Daniele Del Giudice
Nella stupefacente vicenda di Nord e
Sud uniti nella lotta bisognerebbe poter separare il valore reale, il
significato del libro, dal procedimento penale cui è stato sottoposto. Il
romanzo di Guerrazzi risulta, infatti, abbastanza discutibile (e forse più
nell'uso di moda che ne è stato fatto che non per sua natura); indiscutibile è
invece il carattere fascista dell'ordinanza di sequestro, inammissibile per
principio e nei fatti rappresaglia politica. Si finirebbe altrimenti per
confondere, in un un'unica difesa, il diritto fondamentale dell'espressione,
tanto più sacrosanto quando esercitato da una classe subalterna a quelle che
abitualmente consumano cultura, con un equivoco letterario.
La denuncia dei fascisti (per l'esattezza e per bocca del principe Cola Nuziante,
candidato del MSI DN alle elezioni calabresi) cumulava in sé un buon bottino di
vendetta e di spregio: riparare «l'onore» di Ciccio Franco, che si è ritenuto
gravemente offeso dal modo in cui nel romanzo di Guerrazzi e anche fuori e
sempre con eguale ragione gli operai definiscono i picchiatori del suo stampo;
colpire due socialisti con una sola botta (e tutti gli altri idealmente): il
Guerrazzi autore, calabrese, emigrato all'Ansaldo Meccanico Nucleare, membro del
direttivo genovese del PSI e Giacomo Mancini, nella duplice veste di dirigente
socialista e di membro del comitato promotore del PremIo Sila, per il quale il
libro in questione è finalista; dar prova, in periodo di campagna elettorale, di
forza incontrastata, se non altro nel volgere a proprio favore le strutture
istituzionali. È dunque In questo ambito, tutto calabrese e tutto interno ai
modi disperati con cui il fascismo di ritorno cerca di aprirsi strada, l'origine
e la motivazione reale del sequestro. Così disposta, la questione si presenta
dunque come una battaglia politica contro il fascismo, reggino, calabrese,
nazionale.
Più delicato sarebbe sostenere Nord e Sud uniti nella lotta come prodotto
di una cultura alternativa (che in questo caso si vorrebbe stroncare) come
testimonianza, per usare una parola grossa, di una letteratura proletaria; o
meglio, per usarne una minore più banale e più imbrogliona, di una letteratura
«selvaggia». Il romanzo, come l'altro e successivo libro di Guerrazzi, i
racconti di Le Ferie di un operaio, rivela, infatti, da una parte
l'imitazione dei modelli alto borghesi e dall'altra l'identificazione
inconsapevole con il modello «basso» cui la borghesia costringe (e gusta) ogni
letteratura diversa dalla propria. L'origine di classe non è un salvacondotto e
Vincenzo Guerrazzi, da 17 anni operaio collaudatore dell'Ansaldo, scrive oggi
non in maniera autonoma, ma subalterna alla cosiddetta cultura borghese, cui non
dispiacciono parolacce, illitterazione, brivido della rabbia anarcoide. Ciò che
già conoscemmo nello pseudo operaio Alfonso, di Nanni Balestrini.
Di tutto questo è in certo modo consapevole lo stesso Guerrazzi; e non a caso la
sua nota più sincera e più significativa, molto al di là della denuncia della
propria condizione, è proprio questo problema, fondamentale nei suoi libri: i
rapporti con la Cultura, con una cultura non sua, di cui subisce il fascino ed
accetta i modelli (sia quelli «alti» sia quelli «bassi») e che al tempo stesso
respinge, alla ricerca di una propria autonomia. Romanzo e racconti di Guerrazzi
si pongono dunque come problema e non come risultato (magari «selvaggio»);
semmai vera testimonianza della estrema arguzia di una classe che, dopo aver
tolto anche le scarpe a quelle subalterne, le mette al piede per fare
letteratura con i buchi, provare il gusto del compiacimento estetico e forse più
del pentimento.
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Da L'Osservatore Romano dell'8 giugno 1975
Quale cultura?
Grottesco appello del Sindacato Scrittori
Italiani contro il
sequestro ad opera del procuratore Generale di Catanzaro
di un libello, carico, di oscenità largamente diffuso e
raccomandato fra gli alunni delle scuole calabresi
di Raimondo Manzini
Si stenta a credere ai propri occhi
leggendo quanto il Sindacato Scrittori Italiani ha pubblicato circa il
provvedimento di sequestro emesso dal Procuratore Generale delle Repubblica di
Catanzaro contro il libro di Vincenzo Guerrazzi che raccoglie una tale antologia
di oscenità e di sudicerie a livello (ci si scusi) di latrina, da essere qui
irripetibili.
L'opuscolo (Nord e Sud uniti nella lotta) è uno dei cinque libri che
hanno meritato il "Premio Sila" 1975, lustro della cultura calabrese, per
cui è stato raccomandato ai Presidi e largamente distribuito tra gli alunni
delle scuole calabresi in seguito ad una raccomandazione di un autorevole
parlamentare socialista.
Il testo del Sindacato Scrittori parla di «azione repressiva contro la cultura
(!) italiana» di cui questo sequestro sarebbe un esempio e farnetica di una
vasta azione di «restaurazione» esprimendo «viva solidarietà al collega»
eccetera.
Si esorta anche alla «mobilitazione di tutti coloro che hanno a cuore le sorti
della libertà» e si è trovato naturalmente uno scrittore del «Corriere della
Sera» disposto a farsi eco di queste espressioni rivendicative «culturali».
Per chiarezza dei lettori ed a riprova del punto estremo di conformismo e di
assurdo a cui giunge certa «intellighenzia» (forse perché il libro pretende di
essere illustrativo della lotta per il capoluogo regionale calabrese?) citiamo
stralci del «decreto di sequestro» emesso dal Procuratore Generale di Catanzaro
Massimo Bartolomei.
Eloquenti sono i passaggi del decreto:
«Premesso che, con lettera del 10 marzo 1975, a firma dell'avvocato Mauro
Leporace, il comitato promotore del "Premio Sila", con sede in Cosenza (Corso
Telesio, 53), di cui è presidente l'on. Giacomo Mancini, ha inviato
gratuitamente a tutte le scuole ed istituti statali d'istruzione secondaria
della Calabria, i cinque volumi concorrenti al "Premio Sila 1975", tra cui
l'opuscolo «Nord e sud uniti nella lotta», scritto dall'operaio metalmeccanico
calabrese Vincenzo Guerrazzi (in forza all'Ansaldo Meccanico Nucleare di Genova)
e pubblicato dalla "Marsilio Editori – Collettivo", avente sede in Padova e
Venezia; che, con la suindicata lettera, veniva sollecitata la collaborazione
dei Capi d'Istituto ai fini della massima diffusione, tra gli scolari, degli
elaborati concorrenti al "Premio Sila 1975" , ivi compresi il libretto del
Guerrazzi, nel quale si narra il viaggio di mille metalmeccanici da Genova a
Reggio Calabria, organizzato nel 1972 dai sindacati della "Triplice", come
risposta alle vicende della lotta per il capoluogo della regione calabra;
«che nell'opuscolo del Guerrazzi – allegato ad una denunzia, presentata dal
Comandante Luigi Coda Nunziante – alle Procure di Castrovillari e di Palmi
nonché a questa Procura Generale – vengono divulgate espressioni pornografiche
di livello postribolare, tra le quali fanno spicco… (non possiamo qui riprodurre
le frasi testuali per il loro grado di oscenità: esse superano l'invalicabile
limite del rispetto al lettore).
«Considerato che, divulgando un lurido frasario da suburra (che si compiace
anche d'infangare la memoria di Papa Pacelli), l'opuscolo in parola si palesa
manifestamente osceno, ponendosi in contrasto con l'art. 21 – ultimo comma –
della Costituzione, il quale vieta le pubblicazioni a stampa contrarie al buon
costume, e dando luogo al reato di pubblicazione oscena, previsto e punito
dall'art. 528 C.P. in relazione al successivo art. 529;
«che, data l'evidente finalità del Comitato promotore del "Premio Sila 1975" di
abbruttire il costume degli scolari calabresi, fra i quali fanno diffondere lo
scandaloso stampato, si rende applicabile al caso concreto l'art. 14 Legge 8
febbraio 1948 n:47, in virtù del quale le pene, stabilite dal menzionato art.
528 con riguardo alle pubblicazioni oscene, sono aumentate, qualora, come nella
specie, tali pubblicazioni siano destinate "agli adolescenti", e si palesino
"idonee ad offendere il loro sentimento morale o a costituire per essi
incitamento alla corruzione";
«che ai sensi dell'art. 2 R.D.L. 31 Maggio 1946 n.561, lo scritto del Guerrazzi,
essendo osceno, va sottoposto alla misura cautelare del sequestro, la cui
efficacia si estende, giusta l'art. 575 C.P.P., in tutto il territorio, in tutto
il territorio dello Stato; … (seguono le dichiarazioni).
«Ordina il sequestro in tutto il territorio dello Stato, del libro Nord e Sud
uniti nella lotta di Vincenzo Guerrazzi, edito dalla "Marsilio Editori
–Collettivo".
La cultura, certo, va difesa, ma quale idea se ne sono formati quei deputati
socialisti che hanno presentato un'interrogazione circa il sequestro?
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Da L'Espresso del 10 giugno 1975
Cultura
Ordine: sequestrate
tutte le copule
Il procuratore Bartolomei, il magistrato che
ha fatto ritirare
dalle librerie il romanzo "Nord e Sud uniti nella lotta", lo ha
incriminato «per uso di linguaggio postribolare». Di che si tratta?
di Maria Gentile
«"Ciccio Franco va fa'n culo, Ciccio
Franco va fa'n culo, Ciccio Franco va fa'n culo": signor procuratore, è vero che
il libro che lei ha sequestrato comincia così?». Massimo Bartolomei, procuratore
della Repubblica in Calabria, ha un sussulto e arrossisce. Mi guarda fisso,
dice: «Lei lo ha letto?». «Sì, signor procuratore», «Quanti anni ha?». «Questa,
signor procuratore, lei la definirebbe una domanda ininfluente...?». Scuote la
testa: «Lei è così giovane, così femminile... È per persone come lei che l'ho
fatto. A questa età, specie se si è donne, bisogna avere nell'animo sentimenti
di amore, cose pulite insomma. E invece questo libro è un'antologia di scritte
da latrina, sozzure, cose irripetibili... è scritto in linguaggio postribolare».
Bartolomei ha circa cinquant'anni, l'aria sofferta, lo sguardo evasivo. La sua
carriera è una crociata contro quella che lui chiama la «pornovita». Il suo
bilancio dell'ultiimo anno è di 216 sequestri: quindici film, duecento
pubblicazioni oscene, ed ora il libro dell'operaio Vincenzo Guerrazzi, "Nord e
Sud uniti neIIa lotta", candidato al premio "Sila".
«Vede», spiega, «io sono di idee liberali, sono un uomo del nostro tempo, ma
quel libro oltrepassa ogni limite». «In che senso, signor procuratore?». «Allude
a cose contro natura». «Per esempio?». Mi guarda, si aggrappa allo sguardo del
suo segretario personale, un signore basso e grosso che gli siede di fronte ed
acconsente sempre: «Non mi faccia parlare, diffonderei il corpo del reato...
insomma, dottor Ciampa, mi aiuti lei...». Si fanno coraggio a vicenda, poi
Bartolomei sussurra: «Copule contro natura, pederastia femminile, padri che
possiedono le figlie, accoppiamenti in posizioni innaturali! A pagina 96 per
esempio...». Lo ha letto attentamente, signor procuratore...
«Ebbene sì, ho meditato a lungo: due giorni e due notti chiusi in una stanza io,
Guerrazzi e la mia coscienza. Due giorni di inferno, ma ho avuto le mie
soddisfazioni». Per esempio? Uno sguardo di intesa e Ciampa apre un cassetto
della scrivania: ne tira fuori ritagli di un quotidiano locale, la "Gazzetta del
Sud", e due telegrammi. Comincia a leggere ad alta voce: «Umile ed oscuro padre
di famiglia plaude ferma autorevole meravigliosa sua difesa...». Lo interrompo:
Dottor Bartolomei, ci sono alcuni però che protestano. Dicono che il libro di
Guerrazzi ha ricevuto un riconoscimento dalla giuria dei premio "Sila" per
particolari meriti letterari: non è un po' strano per un'antologia di scritte da
latrina come lei lo definisce? E poi lei dice di aver agito su denuncia di un
"povero padre di famiglia", Luigi Cola Nunziante. Ma c'è chi sostiene che Cola
Nunziante è anche uno dei più grossi latifondisti di Reggio Calabria. Del
comitato promotore del premio "Sila", colpevole di aver premiato un libro del
genere, è un socialista, l'onorevole Mancini. Tutto questo avviene in piena
campagna elettorale. E allora?
«Fandonie». reagisce Bartolornei «mi dia retta, lei è una donna. non può
capire... Ora le spiego tutto: Guerrazzi ha avuto il premio perché è dello
stesso colore politico di quelli della giuria, tutti una cosca». Anche scrittori
come Carlo Bo e Geno Pampaloni che facevano parte della giuria? «Anche loro». E
il "Giornale di Calabria" che riporta due intere pagine di opinioni di
intellettuali proGuerrazzi? «È l'organo di stampa della lo cosca elettorale».
Sa che la giuria del premio ha annunciato un ricorso al Consiglío superiore
della magistratura e ha ordinato 300 copie da diffondere gratuitamente? «Sempre
motivi di cosca». «Il signor procuratore», interviene Ciampa, «è uno che non si
fa prendere sottogamba, ha le idee chiare». «E soprattutto coraggio», conferma
Bartolomei, «a noi magistrati non è concesso avere paura. Soprattutto quando si
sceglie di combattere sul terreno dei buon costume. Perché, vede, parte tutto da
lì. Lo ha detto anche il giurista Pietro Nuvolone in un dotto articolo:
"Aberrazioni del buon costume". I libri come quello di Guerrazzi producono la
tossina psichica della depravazione sessuale, questo virus si diffonde a
velocità abnorme, abbatte i freni morali, e dalla copula contro natura alla
delinquenza il passo è breve, brevissimo. Peccato che la mia sia una "vox
clamans in deserto". Come difenderci? L'ultima barriera è la "ratio legis":
ultimo comma articolo 21, articoli 528, 529 codice penale ».
Sarebbe a dire? «Divieto di pubblicazioni a stampa, spettacoli ed altre
manifestazioni contrarie al buon costume: senza questi articoli la battaglia è
perduta». Si ferma, sembra pentito di aver parlato tanto. «Mi prometta», dice,
«che quando questa porta si chiuderà sul nostro incontro, tra noi non resterà
niente di scritto. Non dovevo accettare di vederla: troppo chiasso sul mio nome,
troppo fango. Devo tornare nell'ombra, lo hanno detto anche i miei amici: niente
interviste. Lavorare in umiltà. Ho parlato troppo, vero Ciampa?». Ciampa fa
cenno di sì.
Bastava tagliare una decina di muri
L'ordine di sequestro del libro "Nord e Sud uniti nella lotta", emesso da
Massimo Bartolomei, scatta dalla Procura generale della Repubblica di Catanzaro
alle 18 di sabato 31 maggio. Scritto da Vincenzo Guerrazzi, operaio calabrese
dell'Ansaldo, il libro narra del viaggio che migliaia di operai affrontano in
una nave noleggiata dal sindacato per partecipare alla manifestazione indetta a
Reggio Calabria nell'ottobre del 1972 in risposta alle provocazioni fasciste di
quel periodo. I punti sui quali si è appuntata la censura, sono quelli che
Guerrazzi ricopia fedelmente dai muri dei gabinetti della Meccanica Varia, il
reparto della fabbrica in cui lavora. Eccone qualche saggio.
«Gabinetto numero 4 della quinta navata, lato ponente: Leggete "L'urlo della
notte" quotidiano si stampa qui nella parete Meccanica Varia. La lotta è
arrivata al culmine o mollare o spaccare tutto cominciando dal culo del
sindacato. W la classe operaia che con la borghesia di Siri se ne va al
paradiso. lo ho chiavato la nipote di Siri ed ora mi tocca lavorare in questo
merdaio. DC uguale deficienti e cornuti. W Gimondi W Agostini».
«Gabinetto 3, seconda navata: Operaio sai che il papa Eugenio Pacelli era pieno
di donne e le manteneva con lo sfruttamento di tuo padre anch'egli operaio? Sai
che una delle sue amanti, suor Pasqualina, era un gran pezzo di Fica? Tutti e
due giravano nudi nelle stanze vaticane mentre tuo padre si faceva il culo in
fabbrica».
Il decreto di sequestro dice: «L'opuscolo del Guerrazzi, divulgando un lurido
frasario da suburra, viene considerato osceno e dunque sottoposto alla misura
cautelare di sequestro in tutto il territorio dello Stato».
Eppure "Nord e Sud uniti nella lotta" risulta finalista di un premio letterario,
il premio "Sila" per la sezione opera prima.
«Il libro di Guerrazzi», è la motivazione della giuria, «smantella quella
mitologia che rappresenta l'operaio secondo modelli ottocenteschi. Guerrazzi
porta le prove che l'operaio va preso per quello che è: per la sua passione
politica, ma anche per i suoi "vizi", per il gusto del gioco, per i suoi
capricci sportivi e le ossessioni sessuali. Come è fatto non lo si scopre solo
nelle riunioni sindacali o nei comizi o nelle manifestazioni di protesta.
L'operaio si confessa nelle latrine, sui cui muri registra ogni più libero
desiderio, come se sognasse, senza che alcuno lo censuri».
Gli stessi compagni di lavoro di Guerrazzi che scrivono la prefazione dei libro,
giustificano le espressioni riportate: «lo sono Giuliano, n. 858298, terzo
livello, reparto Cald, professione tubista: molti diranno che non è vero che gli
operai scrivono sui gabinetti, che solo pochi pazzi lo fanno, altri che non era
bello mettere quelle scritte, ecc. Non è così: in quattro anni di lavoro io ho
notato che "Urlo della notte", il giornale murale più famoso, conta tra i suoi
redattori centinaia di operai, anche cinquantenni ormai pensionabili».
Il caso sembra non doversi fermare qui. Numerosi intellettuali (Carlo Bo, Luigi
Malerba, Leonida Repaci tra gli altri) hanno firmato una protesta contro il
sequestro. Un'interrogazione in Parlamento è stata presentato dai socialisti
Mancini Lombardi e Signorile.
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