Orgoglio Granata Torino Cronaca Torino Sette La Stampa web Pelle Granata
Da Torino Cronaca del 23 ottobre2003
Orgoglio Granata di Nicola Mollone È stato chiamato libretto, come se
contassero le dimensioni.
Da Torino Sette del 17 ottobre2003
Cos'è l'orgoglio granata Michele Monteleone è nato a
Moncalieri, ma le sue origini (i genitori) sono calabresi e in Calabria o è
Inter o è Juve. E invece per Michele Monteleone è stato Torino, una realtà
colorata di granata: un destino, va da sé, che trae forza da una storia e da un
modo di essere. L’editore se lo è andato a cercare a Genova per pubblicare “Orgoglio
Granata” (Fratelli Frilli Editori, pp.88 euro 7).
Da La Stampa web del 13 ottobre2003
Orgoglio Granata di Andrea Parodi Torino, domenica 4 maggio 2003. Da un’idea di Massimo Gramellini si svolge la «Marcia dell’Orgoglio Granata». A 54 anni esatti dalla sciagura di Superga e nel giorno dell’ennesima retrocessione del Toro in serie B. Sarà un successo: club provenienti dal Canada, da Londra e dalla Finlandia, oltre che da Roma, Catania e Treviso. Non solo Piemonte, dunque. Cinquantamila persone che sfilano per la città cantando cori e sventolando le proprie bandiere. Tra questi cinquantamila ci sono anche Michele Monteleone e la sua famiglia al gran completo. Dal resoconto di questo evento, e dall’amore per la propria squadra, nasce il racconto «Orgoglio Granata», edito dalla Fratelli Frilli Editori. Tolgo subito il dente, così non ci giro troppo intorno e non procrastino l’argomento a conclusione di questa recensione. Il libricino in questione è assolutamente da sconsigliare a un pubblico granata troppo sensibile e facilmente rissoso: potrebbe incitare la violenza, ma soprattutto quell’odio insulso che rovina il nostro calcio. È scritto da un tifoso, non da uno scrittore. È quasi un manifesto ideologico di tifoseria granata. Ma di certo non equa, non super partes. Michele Monteleone lo precisa quasi da subito nel suo lungo racconto dedicandogli addirittura il sesto capitolo, dal titolo «Dolorosa ammissione». Monteleone scrive: «Lo ammetto, non sono uno sportivo». Tutto il capitolo è speso solo e unicamente per manifestare il suo «viscerale odio verso la Juve…ritenuta ideatrice, mandante e regista dell’attuale situazione del Toro e simbolo di tutto ciò che c’è di marcio nel calcio…». Non è compito di questa rubrica, né tantomeno del suo curatore, stabilire se le affermazioni di Monteleone siano vere o sbagliate. Una cosa è senz’altro certa. Un autore serio non si permetterebbe mai, e sottolineo mai, di andare a manifestare la propria mancanza di sportività e di professarla quasi appositamente per contagiare i suoi lettori. Michele Monteleone scrive in veste di tifoso e come tale il libro deve essere letto e affrontato. Un celebre tifoso, come ad esempio Piero Chiambretti, non farebbe mai tali dichiarazioni. Se poi si condividono davvero le tesi di Monteleone questo è un altro discorso. Ma di certo se le terrebbe per sè. In questo modo non gli si può rimproverare, almeno, di non essere stato sincero da subito. Ma questa dolorosa ammissione diventa complice di una colpa. Se non ci fosse mai stata il lettore avrebbe avuto l’impressione di trovarsi di fronte a uno scrittore sarcastico, forse troppo pesante a volte, ma semplicemente ironico. In questo modo Monteleone non da spazio a dubbi: non è uno sportivo e tutto quello che scrive in realtà è esattamente quello che pensa, e quello che vuole trasmettere ai propri lettori. In chiave ironica e sarcastica, certamente, ma non sicuramente educativa. È un gran peccato che si debba sottolineare da subito questa nota negativa perché per il resto il testo di Michele Monteleone non è neppure tanto malvagio, anzi… Ritorna, come spesso accade sui libri scritti da veri torinisti sulla propria squadra, il tema del malinconico ricordo del glorioso passato granata, indiscutibilmente vero e genuino. Degna di nota è sicuramente la poesia che Monteleone dedica a Gigi Meroni e che include nel testo. Una poesia sicuramente autobiografica, visto che narra di un bimbo che perde il suo primo amico, il suo campione, il suo eroe. Un tema ricorrente nella sua generazione. Come per un celebre giornalista televisivo, Darwin Pastorin, coetaneo di Monteleone e vero amante del calcio sportivo sin dalla più tenera età. Anche se da sempre profondamente e autenticamente juventino Darwin ancora oggi pone il torinista Gigi Meroni tra i più grandi giocatori mai conosciuti. Direttore di Sky Calcio, Darwin è stato anche l’autore di un servizio dedicato alla marcia dell’orgoglio granata su Stream Tv. Ma Darwin non parlerà mai pubblicamente male del Toro. È una questione di stile, di rispetto, di sportività e di professionalità. Manlio Collino, un torinista che ha scritto la prefazione al libricino, lo soprannomina «Mike Gillette», nel senso che paragona Monteleone a una lama che, senza pietà, si da alla scrittura con uno stile tagliente e sanguinante. Davvero non poteva trovare un paragone più azzeccato. Sicuramente il testo di Monteleone è un testo ben scritto, nel senso letterario del termine, non sempre nel senso dei contenuti, come si è detto. Un testo ben scritto soprattutto se si considera che il suo mestiere è ben lontano da quello della scrittura. Di certo colpisce la parte dedicata allo stadio Filadelfia (forse perché l’unica non offensiva per venti righe consecutive), quel tempio dello sport teatro di imprese calcistiche degne di un monumento. «Non l’hanno cancellato il nostro Fila, vive nei mattoni conservati in mille case, nei pezzetti di legno della tribuna e delle panchine… vive nelle vecchie e sbiadite bandiere che oggi sventolano al fianco delle nuove», scrive Monteleone. Degno di nota il dialogo tra padre e figlio, tra Michele e Luca. Un raro esempio di genuino dialogo generazionale. «Noi del Toro siamo fatti così, non viviamo di ricordi ma ricordiamo tutto, e lo tramandiamo», dice il padre mentre racconta tutti gli aneddoti del Toro campione, del Toro che fu. Un po’ come quello che scrisse un giorno Massimo Gramellini in un articolo per lo speciale a fascicoli: «Toro, il mito e i campioni», pubblicato da La Stampa per il cinquantenario della sciagura di Superga. «Noi tifosi del Toro del dopo-Superga, scrisse Gramellini quattro anni fa, abbiamo sempre sentito parlare del Grande Torino come di un nonno mai conosciuto, morto prima della nostra nascita. […]. Troppo comodo innamorarsi di uno squadrone invincibile come fecero i nostri padri». Michele Monteleone è sicuramente un tifoso vero e autentico di una delle squadre più prestigiose (come storia e tradizione) del campionato italiano. Difficile trovare in lui un modello a cui ispirarci, soprattutto nel suo concetto di sportività. Preferisco di gran lunga ispirarmi a un Franco Ossola, portatore sano di una fede granata, ma soprattutto sportiva (tra l’altro autore di libri sul Grande Torino, ma non solo) o a un Nando Della Chiesa, tifosissimo interista, ma autore di uno dei più bei libri sportivi scritti negli ultimi anni e dedicato a Gigi Meroni (La farfalla granata, Limina). Sicuramente non va proprio come si gestisce oggi la tifoseria e il mondo degli ultras. Illuminante è stato, recentemente, un incontro con il dott. Carlo Bolmida, dentista torinese, grande cuore granata, ma soprattutto figlio del più celebre e sportivo fra i tifosi granata di ogni tempo. Suo padre infatti fu Oreste Bolmida, il celebre «Trombettiere del Filadelfia». Di professione capostazione a Porta Nuova, il Bolmida senior portava la tromba del principale scalo ferroviario torinese durante le partite del «Grande Torino» per incitare gli undici mitici giocatori di quello squadrone invincibile. «I giocatori del Torino erano abituati alla vittoria, dice Carlo Bolmida, succedeva quindi che in alcuni incontri battessero la fiacca. Ecco quindi che interveniva mio padre». Ma il tifo, ai tempi di Oreste Bolmida, era davvero un’altra cosa. «Mio padre era solito portare mazzi di gladioli in campo ad ogni incontro del Torino contro la Juventus, in segno di amicizia e di sportività». Oreste Bolmida non cenava e non mangiava tutto il lunedì quando il Toro non vinceva la domenica. Era il suo personale segno di protesta. Era un grande torinista, oggi ricordato e osannato da tutti (gli hanno addirittura dedicato un film per la regia di Vincenzo Verdecchi, «Ora e per sempre», in uscita nelle sale italiane nel febbraio 2004). Carlin Bergoglio nel 1936 gli dedicò la copertina del «Guerin sportivo» e un titolo che riassume il tutto: «L’arte del tifo». Oreste Bolmida era soprattutto un grande sportivo, dai grandi valori.
Un esempio da seguire, per tutti.
Da Pelle Granata del 10 ottobre2003
Orgoglio Granata Presentiamo la recensione del nuovo libro di Michele Monteleone "Orgoglio Granata", nella speranza che molti di voi siano invogliati a procurarsi questo bellissimo racconto, i cui veri protagonisti sono i 50.000 del 4 maggio, un momento importante della storia del nostro Toro. Michele è un nostro fratello granata, assiduo frequentatore del forum di ToroNews (con il nick name "Libero") ed apprezzato collaboratore di "Fegato".
Il libro vuole evitare di essere il classico racconto
celebrativo sulla storia del Grande Torino o di quello di Gigi Radice, altri
l’hanno già fatto, e anche bene. Questo breve racconto cerca invece di esprimere
le sensazioni provate dall’autore prima, durante e dopo la marcia, e di farlo
cercandone anche il lato comico. Per arrivare a questo si descrivono le
motivazioni tipiche del tifoso granata, cercando di evitare di essere
eccessivamente stucchevoli o retorici. L’ironia e la metafora sono le armi
utilizzate per descrivere le varie situazioni che si presentano. Armi che, se
correttamente dosate, riescono ad essere più efficaci di cento discorsi.
Soprattutto consentono di sorridere, magari con un po’ di amarezza, cercando sì
di riportare il calcio alla sua dimensione di svago, ma non negandone il
grandissimo impatto riguardo il formarsi delle opinioni su argomenti più seri. |