Qualcuno vuol darcela a bere
Clicca sui titoli per visualizzare l'articolo corrispondente

Lo speciale di "Il Nostro Tempo" (2 novembre 2003)

Lo speciale di "Liberazione" (27 agosto 2003)
 

Il Domani di Bologna
Qualcuno vuol darcela a bere
di Danny Labriola

La Gazzetta di Parma
Non è vero che il rubinetto è meno sicuro della bottiglia

La Gazzetta di Modena
Quando vogliono darcela a bere
di Vincenzo Brancatisano

Il Giornale del Piemonte
Una ricerca lancia l’allarme acque minerali
di Christian Benna

Teatro Naturale
Acqua minerale? Meglio quella del rubinetto

TG Leonardo - RaiTre
Inchiesta acque minerali
di Michele Ruggiero

L'Eco di Bergamo
Acque minerali: non sempre limpidissime
di Adriano Giannini

Repubblica - Salute
Rubinetto è meglio
di Paolo Cornaglia Ferraris

La Stampa - TuttoScienze
Più garanzie bevendo al rubinetto
di Piero Bianucci

mentelocale.it
Acqua da leggere, storia da bere
di Laura Santini

Unione Consumatori
Quelle strane acque minerali

Il Nuovo
Leggere per capire l'attualità
di Ernesto Capasso

Il Nuovo
Acque minerali, un affaire indigesto

gufetto.it
Qualcuno vuol darcela a bere
di Danilo Montaldo

Il Sole 24 Ore
Acque minerali, quasi un thriller da bere

Redattore Sociale
Qualcuno vuol darcela a bere
di Sonia Postacchini

Il Secolo XIX
Minerale sotto accusa, il rubinetto è più sicuro
di Annamaria Rimassa

Corriere della Sera
Acqua minerale
di Anna Bartolini 

 


Torna alla pagina dei libri

 

 


Da Il Domani di Bologna del 7 dicembre 2003

Qualcuno vuol darcela a bere

di Danny Labriola

Ogni anno gli italiani bevono 172 litri di acqua minerale a testa, più di chiunque altro al mondo. L’acqua dell’acquedotto che arriva nelle nostre case è ormai declassata ad acqua di serie B. Ma l’acqua minerale, per cui ogni famiglia spende in media 260 euro all’anno, è davvero più pura e salubre dell’acqua di rubinetto? Giuseppe Altamore, vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana”, ha scoperto che le cose non stanno proprio così. Il suo libro inchiesta “Qualcuno vuol darcela a bere” (Fratelli Frilli Editori), presentato a Bologna nel corso di un convegno organizzato dall’associazione culturale Eco, al quale hanno partecipato anche Alessandro Zanasi, medico e presidente dell’Associazione Risorsa Acqua, e Paride Zaganelli, Responsabile del Settore Qualità di Coop Italia, racconta come un perito chimico lucano, Pasquale Merlino, sia riuscito nel 1999 a far avviare una procedura d’infrazione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia (sotto accusa il decreto del 1992 che disciplina le acque minerali) per il mancato rispetto delle direttive europee in materia di tutela dei consumatori. Merlino si era accorto che 19 sostanze tossiche potevano essere presenti nella minerale in misura superiore rispetto ai limiti previsti per l’acqua di rubinetto. In sostanza l’acqua minerale poteva essere non potabile, la permissiva legislazione italiana infatti prevedeva valori e controlli meno severi rispetto all’acqua di rubinetto. In più per i produttori non vi era l’obbligo di dichiarare al Ministero della Salute, e tanto meno sulle etichette, la presenza di eventuali componenti indesiderabili anche quando queste superassero la soglia di potabilità.
Nel suo intervento Altamore ha sottolineato come la potenza economica dell’industria dell’acqua minerale riesca a controllare i mass media e a condizionare le scelte dei consumatori e persino del Parlamento. Si tratta di un business da capogiro che fattura 5.500 miliardi delle vecchie lire e spende 700 miliardi in pubblicità. “Sono riusciti a darcela a bere in tutti questi anni – spiega – utilizzando una pubblicità sempre più ingannevole ed aggressiva. L’acqua minerale è un prodotto costruito a tavolino, partorito dalla fantasia del marketing, giocato sull’idea di purezza. L’obiettivo del mio libro non è però quello di demonizzare un intero settore, ma offrire al consumatore degli strumenti critici per un consumo più consapevole”. “Per fortuna – ha concluso Altamore – è stata approvata una direttiva europea che stabilisce limiti più severi e la possibilità di sottoporre a trattamento le acque per ridurre ferro, manganese e arsenico”.
Giancarlo Leoni, direttore della Divisione Reti e Ricerca-Sviluppo di Hera, ha invece parlato dell’acqua di rubinetto illustrando nel dettaglio la stato di salute dell’acquedotto bolognese. Incalzato da Paolo Galletti, direttore editoriale del periodico Eco e moderatore della serata, e dal numeroso pubblico, Leoni ha spiegato come i rigorosi controlli del gestore e dell’Ausl garantiscano la salubrità della nostra acqua. La rete, estesa per 7 mila km, viene monitorata in 1352 punti e ogni anni vengono effettuati 5000 controlli sull’intero acquedotto.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 


Da La Gazzetta di Parma del 5 novembre 2003

Presentato il libro "Qualcuno vuol darcela a bere"
«Non è vero che il rubinetto è
meno sicuro della bottiglia»
 

«Per tanti anni ci hanno raccontato che l'acqua minerale è pura e fa bene, in realtà l'acqua in bottiglia non è migliore di quella del rubinetto. Per tanti anni, dunque, ce l'hanno data a bere» ha spiegato Giuseppe Altamore presentando il suo libro «Qualcuno vuol darcela a bere» (Fratelli Frilli Editori). L'autore, Fabio Faccini presidente di Legambiente di Parma, Mauro Bocciarelli direttore Ascaa e il giornalista Francesco Dradi si sono incontrati alla libreria Fiaccadori per illustrare ad un folto pubblico il volume, i cui diritti d'autore saranno devoluti alle suore saveriane missionarie impegnate nel progetto Pozzi che riguarda le zone del Camerun e del Ciad. Faccini ha spiegato: «La presentazione di questo libro si inserisce in Scritture d'acqua, premio internazionale giunto all'VIII edizione di cui Legambiente con tante altre realtà è referente. Il 90% dei parmigiani beve acqua minerale. E' lecito porsi interrogativi quali: sarà la scelta giusta? Come può il commercio di acqua commercializzata aver preso così potere in poco tempo? Altamore ha fornito spiegazioni esaurienti a questi ed altri interrogativi scrivendo un libro che non interesserà solo gli addetti ai lavori».
Spiega Altamore che è vice caporedattore di Famiglia cristiana: «Il libro illustra quali interessi hanno spinto l'industria dell'acqua minerale a usare ogni mezzo per condizionare le scelte del Parlamento fino a bloccare almeno due tentativi di riforma della normativa del settore e racconta di come un perito chimico italiano sia riuscito ad avviare una procedura d'infrazione dell'Unione europea nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto delle direttive europee in materia di tutela della salute dei consumatori. Inoltre fra le pagine viene descritto come l'abbiano spuntata le multinazionali dell'acqua che sono riuscite ad aggirare le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della Sanità e perfino severe norme del Codex alimentarius che regola il commercio internazionale».
Cosa nascondono alcuni produttori di acqua minerale? Che cosa rischiano i consumatori che non sanno cosa si cela nella bottiglia? Aggiunge l'autore: «Due Procure della Repubblica (Torino e Bari) stanno indagando sull'affare acqua in bottiglia; ci sono già stati due sequestri e il Ministero della Salute ha sospeso qualche autorizzazione».
Bocciarelli ha definito il libro di Altamore di interesse collettivo e ha poi illustrato come le acque delle nostre zone che provengano dalle profondità siano biologicamente pure. Ha inoltre illustrato anche il percorso legalmente necessario che le porta ad un processo di disinfezione. Da lì il motivo di aggiungere cloro all'acqua per renderla potabile.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 


Da La Gazzetta di Modena del 5 novembre 2003

Un libro sugli scandali d’affari legati alle acque

Quando vogliono darcela a bere
 

di Vincenzo Brancatisano

Lunga storia di scandali, quella delle acque minerali italiane, raccontata nel libro inchiesta “Qualcuno vuol darcela a bere”, editore Fratelli Frilli, del giornalista Giuseppe Altamore, vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana”, esperto di consumi e di sicurezza alimentare. Il libro (200 pagine, 14 euro), uscito a giugno, racconta come una potentissima lobby ha potuto condizionare le scelte politiche di vari governi fino ad ottenere una legislazione troppo attenta alle esigenze commerciali dei produttori di acque minerali e poco rispettosa della salute dei consumatori. Con un paradosso incredibile, emerso anche nella nostra inchiesta: spulciando la legge si scopre che l’acqua di rubinetto può essere più sicura della minerale. Esistono infatti controlli e limiti più severi relativi alla presenza di sostanze tossiche nell’acqua potabile. L’arsenico per esempio, non può superare la concentrazione di 10 microgrammi per litro. Chi beve acqua minerale invece può ritrovarsi nel bicchiere una dose fino a 50 microgrammi per litro. Un limite addirittura più generoso di quel previsto per le acque reflue che non possono superare i 20 microgrammi per litro. Il libro spiega quali interessi hanno spinto l’industria dell’acqua minerale ad usare ogni mezzo per condizionare le scelte del Parlamento, fino a bloccare almeno due tentativi di riforma della normativa che regola il settore. Si racconta come un perito chimico italiano sia riuscito a far avviare una procedura d’infrazione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto delle direttive europee in materia di tutela della salute dei consumatori e come ancora una volta l’abbiano spuntata le multinazionali dell’acqua, che sono riuscite ad aggirare le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e perfino le severe norme del Codex Alimentarius che regolano il commercio internazionale. Ma che cosa hanno da nascondere i produttori di acqua minerale? Che cosa rischiano i consumatori che non sanno che cosa si nasconde nella bottiglia? Lo si scopre leggendo il libro, che si chiude con un ampio capitolo dedicato ai rischi legati soprattutto al cloro.

Minerale, sarà buona ma cosa contiene? In corso un’inchiesta nazionale della magistratura.
L’acqua minerale, fonte sospetta di migliaia di intossicazioni alimentari ogni anno. Secondo un gruppo di ricercatori britannici, circa il 12 per cento delle infezioni da campylobacter, il battere responsabile di molti avvelenamenti, vengono contratte bevendo acqua in bottiglia. È quanto emerge da uno studio diretto dal dottor Meirion Evans della University of Wales di Cardiff, che è andato ad indagare i motivi per cui l’organismo umano viene contagiato dal battere. Il «campylobacter» è una delle cause principali dell’intossicazione alimentare, ma nonostante ciò per il 60 per cento dei 50.000 casi annui di avvelenamento in Gran Bretagna non ne viene identificata la causa. Secondo gli scienziati l’acqua in bottiglia sarebbe una delle principali cause di infezione, così come l’insalata e verdure consumate crude, soprattutto i pomodori e i cetrioli. Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno chiesto a 213 pazienti affetti da questo batterio, e ad altre 1.144 che accusavano problemi di stomaco pur non essendo infette, che cosa avessero mangiato prima di sentirsi male. L’acqua minerale è risultata essere il principale sospetto nel 12 per cento dei casi, insalata e verdure crude nel 21 per cento delle intossicazioni ed il pollo addirittura nel 31 per cento. Gli stessi scienziati hanno ammesso di non averre mai trovato il battere nell’acqua in bottiglia. Tuttavia, hanno denunciato, un’analisi che identifichi la presenza del campylobacter viene fatta raramente nel caso dell’acqua minerale. Caustico il commento di Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, associata a Confindustria: “Escludo - tuona - che l’acqua minerale naturale possa essere causa di intossicazioni determinate da campylobacter. Nelle acque minerali naturali sono per legge ricercati i coli: l’assenza di questi coli, per conseguenza, esclude la presenza di altri patogeni intestinali quali il campylobacter, patogeno presente negli intestini degli animali e meno resistente dei coli. Pertanto è escluso che il campylobacter si possa ritrovare nelle acque minerali naturali che provengono da sorgenti profonde e protette e che per legge devono essere batteriologicamente pure”. La ricerca inglese aggiunge tuttavia preoccupazioni a quelle indotte da una recente inchiesta condotta in tutta Italia dal procuratore di Torino, Raffaele Guariniello, che ha chiesto all’Istituto Superiore di Sanità di analizzare un campione di 98 acque minerali, regolarmente in commercio. Di queste, addirittura 86 non sono risultate in regola poiché contenenti idrocarburi e pesticidi. Ulteriori dubbi sarebbero derivati dalla circostanza che molte marche avevano presentato le proprie analisi dopo l’entrata in vigore della legge, più restrittiva, del 2001. Il dottor Armando Franceschelli, dirigente medico del Servizio igiene, alimenti e nutrizione del Dipartimento di Sanità pubblica di Modena, esclude irregolarità sulle acque prodotte nella nostra zona e spiega che in realtà “Guariniello si riferiva ad una questione tecnica relativa alle metodiche usate dai laboratori”. “Si chiedeva se tutti i laboratori fossero in grado di rilevare la presenza nell’acqua minerale di quantità anche minime di sostanze tossiche tra cui gli antiparassitari”. E qual è la risposta data a Guariniello? “Il procedimento è tuttora in corso. Il fatto è che la nuova normativa è complicata perché non ha chiarito le metodiche, che andrebbero standardizzate. Cè in effetti un pò di confusione”. Si pensa già di ritoccare la legge? “C’è dibattito al Consiglio Superiore della Sanità. Sì, si pensa di ritoccarla”.

Le sgradevoli sorprese nella bottiglia: «Mai lasciare la minerale sotto il sole»
Tempo fa una signora modenese denunciò di avere aperto durante una cena una bottiglia di acqua minerale di una marca molto reclamizzata e di avervi trovato dentro della varechina. Aperta una seconda bottiglia, la spiacevole sorpresa veniva confermata. Caso eclatante e isolato, dovuto probabilmente ad un errore nel lavaggio delle cisterne, come spiegò un responsabile della ditta, poi intervistato. Ma è possibile che ci siano “sostanze indesiderate”, quantunque inodori e insapori, nelle bottiglie che compriamo in negozio o nei bicchieri che consumiamo al bar o al ristorante ad un prezzo sempre più indigesto? Se l’acqua minerale non fosse in regola il cittadino cosa potrebbe fare? Secondo una rivoluzionaria sentenza della Corte di Cassazione, non solo lo Stato ma anche il cittadino può farsi promotore di una causa davanti al giudice a tutela della salute. La Cassazione ha accolto il ricorso di una signora che al momento del consumo di una bottiglia di acqua minerale acquistata al supermercato vi aveva trovato corpuscoli neri. Il gip del tribunale di Roma aveva disposto l’archiviazione del procedimento sostenendo che soltanto lo Stato avrebbe potuto farsi promotore di una causa. Ma la Cassazione ha dato ragione al consumatore riconoscendo che, “fermo restando l’obbligo delle istituzioni nella protezione, anche per via giudiziaria, della salute come interesse pubblico, deve riconoscersi l’autonomo interesse giuridico delle persone ad accedere alla giustizia a tutela della salute”. Ma quante segnalazioni avvengono a Modena? “Sporadicamente ci viene segnalata la presenza di cattivo odore - spiega il dottor Armando Franceschelli - dipende da come viene conservata dal commerciante e dal consumatore. Se si lascia per mesi al caldo si possono produrre questi problemi, anche se non ci sono evidenze di problemi di salute”. Spesso d’estate certi negozi tengono al sole l’acqua minerale. “È una cosa da non fare. L’acqua va tenuta in luogo asciutto e fresco. Noi facciamo controlli sia alla produzione, sia ispezioni nei negozi e possiamo prendere i provvedimenti opportuni”. Si sta diffondendo, anche nei supermercati, la vendita in contenitori riutilizzabili di acqua depurata, che costa pochi centesimi. Un affare per il consumatore, ma si può stare tranquilli? “È acqua dell’acquedotto sottoposta a trattamenti per migliorare gli aspetti organolettici. È un campo nuovo e presuppone l’accortezza del consumatore di lavare bene il contenitore”. Ma cos’è l’acqua minerale? Secondo il Decreto legislativo 105/1992 (modificato dal D.Lgs. 339/1999), sono acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute. Esse si distinguono dalle ordinarie acque potabili per la purezza originaria e per la sua conservazione, per il tenore in minerali, oligoelementi o altri costituenti. (vi.bra.)

Altroconsumo: «Dai rubinetti acqua del tutto simile a quella in bottiglia»
Quando il rubinetto... vince. L’associazione indipendente “Altroconsumo”, che da anni si batte a difesa dei consumatori anche con l’omonima rivista, ha condotto un’inchiesta sull’acqua potabile delle città. Il risultato? “Non ha niente da invidiare alle più costose minerali. La qualità è mediamente buona, o accettabile, ma solo l’1% viene usata per bere o cucinare”. Altroconsumo ha analizzato l’acqua potabile di 16 città italiane, con prelievi presso fontanelle pubbliche, fin dove, cioé, l’acquedotto è responsabile della qualità del prodotto distribuito. Lo stato dell’acqua pubblica è accettabile, con punte di qualità a Reggio Calabria: “mediamente buona, potabile, anche se va difesa e migliorata”. Sono state analizzate anche 5 acque minerali, mettendo a confronto parametri quali calcio, sodio, durezza e residuo fisso. L’acqua di rubinetto è del tutto comparabile con quella delle minerali. Il dottor Armando Franceschelli conferma che anche a Modena e provincia lo stato dell’acqua è buono: “Come responsabile dell’organo di controllo posso dire che l’acqua dei nostri acquedotti soddisfa i requisiti di potabilità”. L’acqua del rubinetto non è sempre gradevole, cosa si può fare? “Per renderla più piacevole ogni acquedotto ha le sue cartatteristiche. Per eliminare l’odore di cloro basta lasciare l’acqua un po’ di tempo in una caraffa”. Si dice che l’acqua del rubinetto, specie se è dura come la nostra, produce calcoli renali. È vero? “Non c’è alcuna correlazione tra le due cose”.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 

 


Da Il Giornale del Piemonte del 30 ottobre 2003

Veleni in bottiglia, una ricerca
lancia l’allarme sulle acque minerali
L’autore: «L’acquedotto che dimostra più
trasparenza è quello gestito da Smat»

 

di Christian Benna

Chiare fresche e dolci acque con 19 veleni in bottiglia sulle tavole del 90 per cento degli italiani. È lo spunto tutt’altro che rassicurante da cui è nata l’inchiesta giornalistica di Giuseppe Altamore, vice caporedattore di Famiglia Cristiana, raccolta in 200 pagine di un libro, presentato ieri a Torino alla Libreria Torre di Abele. Il titolo è inequivocabile: «Qualcuno vuol darcela a bere: acqua minerale, uno scandalo sommerso», edito dalla Fratelli Frilli Editori di Genova.
Uno scandalo che ha fatto rumore, «ma non troppo» secondo l’autore, franato sulle aziende produttrici di acqua naturale dalla denuncia (1999) alla Commissione Europea di un perito chimico lucano Pasquale Merlino e passato al setaccio dai Carabinieri del Nas nel 2003 durante l’indagine avviata dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, dopo il sequestro di una partita di acqua minerale in provincia di Torino con tracce di cloroformio. Passo dopo passo, Altamore ripercorre il cammino di una vicenda a tinte fosche in cui le certezze del consumatore si sgretolano di fronte a un bene di uso comune come l’acqua in bottiglia.
Ci sono due normative diverse a regolare l’acqua in bottiglia e quella erogata dagli acquedotti: blanda la prima, severissima la seconda. Risultato scontato: fino al 2001 le acque minerali potevano contenere 200 microgrammi litro di arsenico, mentre quella di rubinetto aveva il limite fissato a 50 mg/l. Solo un esempio di come per legge 19 sostanze tossiche in bottiglia potevano eccedere i limiti consentiti per l’acqua potabile. Dopo una procedura di infrazione dell’Unione Europea, contro il decreto del 1992 che disciplinava le acque minerali, l’Italia è parzialmente corsa ai ripari abbassando i limiti di alcune sostanze tossiche. Ma fa davvero male bere l’acqua minerale? «Bisogna fare una distinzione. Le acque in bottiglia nascono come prodotti curativi - spiega Giuseppe Altamore -. Se fossero destinate alla farmacie non ci sarebbe nulla da ridire. Invece finiscono sulle tavole della gran parte degli italiani insieme con certe sostanze come l’arsenico, il manganese, che bevute in eccesso possono portare seri danni alla salute». E aggiunge: «Ci sono studi scientifici che lo provano come quelli relativi ai casi di alti tassi di tumori, ipertensione e diabete mellito riscontrate in un comune del Viterbese le cui falde acquifere erano inquinate dall’arsenico. Il tutto grazie alle potenti lobby dell’acqua». La confusione, oltre agli interessi in ballo, sarebbe di origine culturale, come spiega il giornalista. «L’arsenico di per sé può essere curativo per certe malattie, ma per altri soggetti sani è estremamente nocivo. Nel 2001 la Commissione europea ha chiesto all’Italia maggiore trasparenza e ha imposto di abbassare i limiti di certe sostanze»
Allora tutti di corsa a bere l’acqua del rubinetto? «La Smat Torino è l’unico acquedotto che lascia in visione su Internet le analisi delle acque - continua Altamore - perfino quelle delle fontanelle di fronte casa. Più trasparente di così...». Anche il presidente della Smat (Società metropolitana acqua Torino) Giorgio Gilli, nonché ordinario di igienistica all’Università di Torino, difende i 3500 chilometri di rete dell’acquedotto pur non sconsigliando i consumatori all’acquisto di acqua minerale. E spiega: «Il cittadino guarda spesso con scarsa fiducia all’acqua del rubinetto. E sbaglia per un pregiudizio culturale infondato. La nostra acqua costa poco ed è sicura. Se il problema è l’odore del cloro, che resta comunque un’importante conquista per la disinfezione, si può risolvere».
L’Italia è il primo produttore di acque (7 miliardi di litri) imbottigliati da 160 imprese per 220 etichette ed è il primo consumatore pro-capite (circa 220 litri l’anno) in Europa, attestandosi al terzo posto nel mondo.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 


Da Teatro Naturale del 27 ottobre 2003

Acqua minerale? No
meglio quella del rubinetto


Anna Bartolini, la celebre giornalista ch'è componente peraltro del Comitato Consumatori dell'Unione europea, Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo, e Giulio Burchi, presidente della Metropolitana Milanese oltre che gestore del Servizio idrico integrato della città, hanno presentato giovedi scorso a Milano, il libro del vicecaporedattore di "Famiglia Cristiana" Giuseppe Altamore il cui titolo, quanto mai emblematico, Qualcuno vuol darcela a bere. Acqua minerale, uno scandalo sommerso, già chiarisce le intenzioni alquanto forti dell'autore, di chiara denuncia verso quella potentissima lobby che è riuscita finora a condizionare le scelte politiche di vari governi al fine di ottenere una legislazione compiacente, favorevole agli interessi commerciali delle aziende confezionatrici, ma non certo ai consumatori.
L'analisi del fenomeno acque minerali porta a conclusioni paradossali, ovvero che la tanto vituperata "acqua di rubinetto" sia in verità, a termini di legge, di gran lunga più sicura rispetto a molte acque minerali presenti in commercio. Per quest'ultima esistono infatti controlli e limiti più severi circa la presenza di sostanze tossiche nell’acqua potabile.
Il contenuto in arsenico, per esempio, non può superare la concentrazione di 10 microgrammi per litro, ma chi beve acqua minerale può addirittura ritrovarsi nel bicchiere una dose fino a 50 microgrammi per litro. Ecco dunque l'utilità del libro, che spiega con dovizia di particolari quali interessi abbiano spinto l’industria dell’acqua minerale a usare ogni possibile mezzo per condizionare le scelte del Parlamento, fino a bloccare almeno due tentativi di riforma della normativa che regola il settore.
Altamore riferisce di come un perito chimico italiano, Pasquale Merlino da Rionero in Vulture, sia riuscito a far avviare una procedura d’infrazione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia proprio per il mancato rispetto delle direttive europee in materia di tutela della salute dei consumatori e come, ancora una volta, i soliti noti delle multinazionali dell'acqua l’abbiano potuta spuntare riuscendo ad aggirare le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e perfino le severissime norme del Codex alimentarius che invece ne regolano il commercio internazionale.
Cosa hanno da nascondere i produttori di acqua minerale, si chiede l'autore? Intanto, sul fronte delle acque l’Italia sarà obbligata a recepire una nuova Direttiva europea che entrerà in vigore dal prossimo anno, a partire dal primo gennaio 2004. Per le multinazionali non dovrebbe essere facile adeguarsi alle norme sanitarie più severe e per i consumatori, salvo imprevisti, ci sarebbero più garanzie.
L'autore del libro, Giuseppe Altamore, come abbiamo già precisato, è vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana” e si occupa in particolare di economia, di consumi e di sicurezza alimentare. Non nuovo allo scandalo delle acque minerali, vi ha dedicato diverse inchieste. Nel libro edito dai Fratelli Frilli di Genova, oltre agli otto capitoli in cui è
suddiviso, vengono posti in evidenza, in "bibliografia e altre fonti", le normative sulla materia e accurate e approfondite tabelle informative.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 


Da TG Leonardo - RaiTre del 14 ottobre 2003

Inchiesta acque minerali

di Michele Ruggiero

In Italia anneghiamo nelle acque minerali. I dati sono chiari: 11 miliardi di litri prodotti ogni anno, 3 miliardi esportati, e ognuno di noi, in media, consuma 172 litri d'acqua minerale l'anno.
C'è da chiedersi se dietro a numeri come questi ci sia un bisogno reale o indotto, insomma se le acque minerali siano davvero indispensabili e soprattutto siano quello che promettono di essere...

Tempi duri per le aziende di acque minerali. La nuova normativa europea, in vigore dal prossimo primo gennaio, sarà meno permissiva del passato.
Che cosa significa? Che sostanze naturali, arsenico, manganese, bario ed altre ancora, non potranno più superare la concentrazione stabilita dall'Organizzazione mondiale della sanità e dal codice internazionale delle norme sanitarie, noto come "codex alimentarius".
Sembra paradossale, ma in materia di purezza suona come una rivincita per la tanto bistrattata acqua del rubinetto che rispetta parametri meno generosi. Prendiamo una sostanza a caso: l'arsenico, fattore rischio per il tumore. Nell'acqua potabile non può superare il limite di 10 microgrammi per litro. Nelle care  - in tutti i sensi - acque minerali la sua presenza può arrivare fino a 5 volte tanto.
E che dire del manganese, un metallo tossico per il quale non è prevista neppure la segnalazione in etichetta? La sua tolleranza è fissata in 2.000 microgrammi litro. Un'assurdità se confrontata con l'acqua del rubinetto il cui limite è di 50 microgrammi.

I dati li ricaviamo dal libro "Qualcuno vuol darcela a bere". Documentate e polemiche, le 200 pagine illuminano quello che viene definito uno scandalo sommerso. Ma il quadro è davvero così nero?
Lo abbiamo chiesto all'autore, Giuseppe Altamore, giornalista, che ha confermato la situazione. Questa storia di denuncia pubblica ha una genesi curiosa. Nel luglio del 1999 un perito chimico di Rionero in Vulture accertò 19 sostanze tossiche in un'acqua minerale mille volte più costosa di quella potabile. Stizzito dall'indifferenza delle istituzioni, il nostro si mise al computer e scrisse alla Commissione europea, che aprì una procedura d'infrazione contro l'Italia. Nel varco s'infilò anche la magistratura, che fino ad oggi ha messo sotto inchiesta 211 delle 260 acque minerali italiane.
Morale della vicenda: forse spetta anche ai consumatori - correttamente informati - ristabilire un giusto equilibrio tra le due acque e premiare chi le regole le rispetta.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 


Da L'Eco di Bergamo del 29 settembre 2003

Acque minerali: non
sempre "limpidissime"

di Adriano Giannini

Gli italiani sono i primi consumatori al mondo di acqua minerale: ne consumano 175 litri all’anno a testa per una spesa annua di 47,26 euro, convinti che essa sia più affidabile, salutare e leggera di quella che sgorga - a un prezzo almeno 500 volte inferiore - dal rubinetto di casa. Ma sono vere tutte queste mirabolanti qualità o «Qualcuno vuol darcela a bere?» come recita il titolo dell’approfondita inchiesta di Giuseppe Altamore pubblicata da un editore nella collana Controcorrente (Frilli Editori, via Priaruggia 31/1, Genova, tel. 0103074244, www.frillieditori.com, pagine 220, 14 euro).
L’autore, caporedattore del settimanale «Famiglia Cristiana» ed esperto di economia, consumi e sicurezza alimentare, sapeva di toccare un tasto dolente quando aveva deciso di andare a fondo nell’indagare sulle lacune e sulle zone d’ombra di un prodotto che, per il 50 per cento degli italiani, è di uso quotidiano. Ma non immaginava certo che il suo libro potesse suscitare tanto interesse. E invece, uscito a giugno, è già arrivato alla seconda edizione con grande soddisfazione dell’editore, ma anche (e forse più) delle Suore missionarie Saveriane, che operano in Camerun e in Ciad: è a esse, e al loro utilissimo «Progetto pozzi» che sono infatti destinati i proventi del libro.
Quello che viene fuori dalla documentata inchiesta di Altamore è davvero sorprendente e in qualche caso preoccupante. Sapevate, per esempio, che mentre per l’acqua potabile la legge consente un tenore massimo di arsenico di 10 micromoli per litro, per le acque minerali tale parametro è elevato a 50 e non vi è alcun obbligo di dichiararlo sull’etichetta, così come avviene del resto per altri metalli tossici o cancerogeni come il cadmio, il cianuro o il cromo. Quindi nessuno di noi è in grado di sapere se l’acqua in bottiglia violi o no il «Codex alimentarius» che regola il commercio internazionale. E sembra che per ora non ci sia verso di spuntarla contro la potente lobby delle acque minerali: come dimostra il tentativo, fallito, di un perito chimico che aveva avviato una procedura d’infrazione presso l’Unione Europea, basata sul fatto che il nostro Paese non rispettava le direttive europee in fatto di tutela della salute del consumatore.
Che cosa si può fare dunque? Cominciare col bere acqua minerale solo quando è necessario o ci sono indicazioni precise e convincerci che l’acqua che sgorga dal nostro rubinetto non è solo potabile, ma anche spesso di buona qualità, in particolare a Bergamo, Reggio Calabria, Bologna e Roma.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 


Da Salute di Repubblica del 25 settembre 2003

Rubinetto è meglio

di Paolo Cornaglia Ferraris

"Qualcuno vuol darcela a bere" è un libro di Giuseppe Altamore sull’acqua minerale, definita uno "scandalo sommerso" (Fratelli Frilli Editori, 2003). Racconta come una lobby abbia ottenuto una legge poco rispettosa della salute dei consumatori. Spulciando tra gli articoli, si scopre che l’acqua di rubinetto è più sicura della minerale, perché sono più severi controlli e limiti di sostanze tossiche nell’acqua potabile.
Il libro spiega quali interessi hanno spinto l’industria dell’acqua minerale a usare ogni mezzo per condizionare le
scelte del Parlamento, fino a bloccare due tentativi di riforma della normativa. Si racconta come un perito chimico italiano sia riuscito a far avviare una procedura d’infrazione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia, per il mancato rispetto delle direttive europee sulla tutela della salute e come l’abbiano spuntata le multinazionali dell’acqua, aggirando le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e le norme del Codex alimentarius che regolano il commercio internazionale.
Ma cosa nascondono i produttori d’acqua minerale? Cosa rischiano i consumatori? Due Procure (Torino e Bari) indagano.

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 

 


Da TuttoScienze - La Stampa del  20 agisto 2003

Acque minerali
"Più garanzie bevendo al rubinetto"


di Piero Bianucci

Gli italiani sono i maggiori consumatori di acqua minerale ed è probabile che questa estate così calda abbia rafforzato il loro primato. Nel 2002 in media ogni italiano ha bevuto 172 litri di acqua in bottiglia, contro i 120 dei francesi, gli 80 dei tedeschi e i 40 degli americani. Se domandate il perché di questa costosa preferenza che comporta un forte salasso alle finanze domestiche (260 euro all’anno) un consumatore su due vi risponderà che ritiene l’acqua minerale più sicura di quella del rubinetto e 35 su cento vi diranno che la ritengono più buona. Sono convinzioni fondate? Giuseppe Altamore, un giornalista di «Famiglia cristiana» che si occupa soprattutto di economia e di sicurezza alimentare, nutre molti dubbi su queste opinioni e nel suo ultimo libro, «Qualcuno vuol darcela a bere» (Fratelli Frilli Editori, 200 pagine, 14 euro; i diritti d’autore andranno alle suore missionarie impegnate nel Progetto Pozzi del Camerun-Ciad) ci presenta una documentazione ampia e aggiornata. Per fare un esempio, un’acqua minerale può contenere 50 microgrammi di arsenico per litro contro i 10 ammessi per l’acqua di rubinetto; fino al 2001 la dose di questo elemento cancerogeno ammessa per le acque minerali era addirittura di 200 microgrammi, nonostante i richiami dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità). Può sembrare strano, ma tutto ciò avviene nel rispetto della legge. Semplicemente le acque minerali, essendo considerate curative e in qualche modo assimilabili ai farmaci, non devono vedersela con la severa normativa che tiene sotto controllo gli acquedotti: le sostanze che esse contengono, eventualmente anche pericolose per la salute, sono proprio quelle che le distinguono da un’acqua comune, giustificando la loro vendita a un prezzo che è all’incirca mille volte più alto di quello dell’acqua di rubinetto. E infatti una pubblicità facilmente scambiabile per informazione disinteressata inserita qualche settimana fa in molti periodici da Mineracqua, la federazione italiana delle industrie delle acque minerali, consiglia acqua solfata per stimolare le vie biliari, acqua con bicarbonato per favorire la digestione e l’attività sportiva, acqua sodica per “carenze specifiche”, acqua a basso contenuto di sodio per “diete povere di sodio” e così via. Si direbbe quindi che bevendo acqua minerale gli italiani non cerchino di dissetarsi ma pratichino una terapia prescritta dal medico. E’ evidente che in tutto ciò qualcosa non funziona. Tanto più che sulle etichette possiamo trovare specificati quei componenti ai quali vengono attribuiti effetti benefici, ma non quelli dannosi talvolta presenti, dai cianuri ai fenoli, dal mercurio al cadmio. Altamore di anomalie ne segnala anche altre. Le acque minerali date in concessione da enti pubblici (regioni) vengono pagate pochissimo dalle industrie che le imbottigliano: la colla per l’etichetta, si dice, costa più dell’acqua che viene venduta all’assetato acquirente, per non parlare dei costi di smaltimento delle bottiglie di plastica che gravano sulla collettività. C’è poi una forte concentrazione industriale: in Italia 160 aziende imbottigliano 7 miliardi di litri all’anno sotto 250 diverse etichette ma il 70 per cento del mercato è in mano a sei sole aziende, di cui è capofila la multinazionale Nestlé. Ciò consente ai marchi leader grossi investimenti pubblicitari: 300 milioni di euro all’anno. Infine, mentre l’acqua del rubinetto viene controllata più volte al giorno, l’acqua minerale, una volta imbottigliata, può rimanere in circolo per anni, anche in contenitori che, come quelli di plastica, non danno garanzie assolute perché fotodegradabili. Dobbiamo dunque diffidare dell’acqua minerale? Non necessariamente e non di tutte. Dobbiamo però anche avere più fiducia nell’acqua del rubinetto e, quando acquistiamo acqua in bottiglia, diventare consumatori più critici e consapevoli, domandandoci innanzi tutto se vogliamo soltanto dissetarci piacevolmente con un po’ di bollicine o curarci. In quest’ultimo caso occorre scegliere l’acqua che realmente faccia al nostro caso, e probabilmente non sarà quella pubblicizzata dall’ultimo spot televisivo che abbiamo visto.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 


Dal mentelocale.it del 6 agosto 2003

Acqua da leggere
storia da bere


di Laura Santini

È facile d’estate parlare d’acqua, è facile come parlare di libri da spiaggia.

E allora andiamo fino in fondo, con la scusa che il 2003 è l'Anno Internazionale dell'Acqua: leggiamo un libro che non è per niente da spiaggia, Qualcuno vuol darcela a bere: acqua minerale, uno scandalo sommerso di Giuseppe Altamore (Frilli Editori), ovvero l’acqua minerale e l’acqua potabile a confronto alla luce delle normative che in Italia ne disciplinano la gestione.

Ma, prima di tutto, facciamoci una domanda: chi è Giuseppe Altamore?
È giornalista e scrittore: vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana”, ha al suo attivo tre volumi (Istruzioni per l’uso, Oscar Mondatori, 1992; Tutte le parole dell’economia, Oscar Mondatori, 1994; Personal Budget, Sole24 Ore, 2001).
Il suo nuovo libro ci mette di fronte ad una serie di osservazioni piuttosto approfondite relative all’acqua che beviamo: acqua potabile (di rubinetto o del sindaco, come amano dire alcuni) e acqua minerale naturale in bottiglia.
Forse molti sanno che, ormai da tempo, noi italiani siamo il popolo che consuma più acqua in bottiglia, terzi nel mondo dopo USA e Canada. Per dare qualche altro numero (dato il caldo, è concesso): sono 84 i milioni di ettolitri d’acqua in bottiglia prodotti in Italia, contro i 77 della Germania e i 63 della Francia; 160 sono le imprese che lavorano nel settore, ma il 70% del mercato è controllato dai primi 6 gruppi; 700 sono le sorgenti e 250 le etichette.
Fermiamoci qui. Che la cosa sia un interessante business, mi sembra scontata.
Il fatto è che in Italia ci sono due normative distinte che regolano le acque da bere: l’una l’acqua potabile, l’altra l’acqua minerale. L’esistenza di due sistemi normativi indipendenti, come sottolinea Altamore, crea alcune ambiguità e insoddisfazione da parte di quei pochi utenti che amano essere informati.
Per esempio: “le concentrazioni stabilite per alcuni parametri chimici per le acque minerali naturali divergono anche sensibilmente rispetto a quelli fissati per le acque potabili”. È il caso, per esempio, dell’arsenico, dei nitrati, del manganese, del bario, del fluoro, del cadmio, ecc. Inoltre per “taluni metalli pesanti non sono previsti limiti". Occorre aggiungere che “non è previsto l’obbligo di indicare la composizione analitica delle 19 sostanze più pericolose per la salute”, e ancora che “le etichette possono riportare alcune indicazioni sulle caratteristiche dell’acqua (clorurata, magnesica, ferruginosa, ecc.), ma le eventuali controindicazioni sono facoltative”.

Il libro pone in relazione atti legali, lettere, interviste, estratti di Decreti legislativi, tabelle, ecc. a volte a dir la verità utilizzati senza spurgare il linguaggio giuridico da termini tecnici e barocchismi del caso, cosa che avrebbe certo reso queste parti più snelle e leggibili.

Per tornare al ludico e alle letture da spiaggia cosa c’è di meglio di un classico fumetto, magari anche vecchio di qualche mese, ma mai finito di leggere. Eccoti là che persino in Topolino, n° 2465, del 25 febbraio 2003, la storia di punta, (p. 5-29), in stagione non sospetta, si occupa proprio di acqua: Zio Paperone e la Sfida Minerale. È la classica battaglia tra Paperone e Rockerduck che senza sorprese, ma con rocambolesche avventure, si conclude con la vittoria di Paperone.
Senza inoltrarsi troppo tra i disegni di Alessandro Gottardo e i testi di Giorgio Pezzin, va notata l’attualità della storia e la riflessione concreta che pone: com’è possibile produrre più acqua da una sorgente senza snaturarne il fenomeno geologico che la rende acqua minerale? Risposta: è impossibile, perché diventa insipida, come decreta funereo l’omino nero del disegno, che si occupa del “controllo qualità”.
Come fa allora Rockerduck a produrre milioni di bottiglie, contro le sole cinque mila di Paperone? Ci viene in aiuto una didascalia, che segue la scoperta da parte di Paperone e nipoti dell’intrigo perpetrato da Rockerduck: “La sorgente è esaurita da tempo e l’acqua che riempie il lago proviene da un tubo collegato all’acquedotto!”. E Rockerduck ci finisce di spiegare “In fabbrica ci limitiamo ad aggiungere bollicine e sali...”
Insomma, leggetevi la storia: è uno spasso, però se vi leggete anche il libro di Altamore, forse tanto spassosa non la troverete più.
E poi dicono che certa letteratura è di intrattenimento...
 

Torna alla pagina dei libri


 

 


Dal sito dell'Unione Nazionale Consumatori - 24 luglio 2003

Alimentazione
Quelle strane acque minerali


Molte stranezze delle acque minerali si spiegano con la storia della normativa del settore che risale a una vecchia legge del 1919, quando era esageratamente considerata un prodotto con caratteristiche curative e non era bevuta a tavola, ma alle terme. All’acqua termale erano permesse, quindi, concentrazioni di sostanze, anche abnormi, che si ritenevano utili per certe malattie, ma che avrebbero reso imbevibile l’acqua di tutti i giorni. Man mano che l’acqua minerale diventava acqua da tavola, la legislazione si è faticosamente adeguata ponendo dei limiti ad alcune sostanze indesiderabili, ma più tolleranti di quelli previsti per l’acqua di rubinetto, con la differenza che quest’ultima può essere disinfettata (generalmente con composti di cloro) per impedire la proliferazione microbica, mentre l’acqua minerale deve essere “microbiologicamente pura”. Giuseppe Altamore, un giornalista esperto di problemi del consumo, ha rifatto la storia recente e passata delle acque minerali in un libro dal titolo provocatorio “Qualcuno vuol darcela a bere” e dal sottotitolo “Acqua minerale, uno scandalo sommerso”, destinando i proventi del libro al “Progetto pozzi” delle suore missionarie Saveriane che operano nell’area del Camerun e del Ciad. Vi sono 19 sostanze indesiderabili per alcune delle quali soltanto recentemente è stata prevista la “tolleranza zero”, ma da una recente indagine giudiziaria sembra che non sia rispettata, mentre per altre sostanze i limiti continuano ad essere superiori a quelli dell’acqua di rubinetto. Il libro si snoda con una storia narrativa incalzante che ne rende la lettura piacevole a tutti. (Giuseppe Altamore, “Qualcuno vuol darcela a bere”, Fratelli Frilli editori).
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 


Da Il Nuovo del 23 luglio 2003

Leggere per capire l'attualità


di Ernesto Capasso

Tra le pezze d'appoggio fornite agli studenti, poteva esserci, forse, anche, qualche brano di un testo da poco giunto in libreria: Qualcuno vuol darcela a bere (Frilli editori, pp.208, euro 14) del giornalista di Famiglia Cristiana, Giuseppe Altamore. Si tratta di un'inchiesta che racconta come una potente lobby abbia condizionato le scelte politiche di vari governi fino ad ottenere una legislazione molto attenta alle esigenze commerciali dei produttori di acque minerali e poco rispettosa della salute dei consumatori. Esaminando la legislazione in materia, l'autore rende noto che l'acqua del rubinetto può essere più sicura della minerale poiché esistono controlli e limiti più severi. Nel libro si racconta anche l'esperienza di un perito chimico italiano capace di mettere in moto una procedura d'infrazione dell'Unione europea nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto delle direttive in tema di tutela della salute dei consumatori e come ancora una volta l'abbiano spuntata le multinazionali.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 

 

 

 


Da Il Nuovo del 22 luglio 2003

Acque minerali, un affaire indigesto

Lobby in azione in Parlamento, limiti di tossicità più elevati
delle acque di scarico, inchieste giudiziarie. In un libro-inchiesta
la verità mai raccontata su chi "vuol darcela a bere".


MILANO – L’acqua di rubinetto è più sicura di una bottiglia di minerale: i controlli sulla tossicità sono meno severi sui prodotti imbottigliati, fino alla paradossale situazione che su certe sostanze, come l'arsenico, sono ammesse nella minerale concentrazione più alte nella minerale che nelle acque di scarico.
 
È una delle sorprendenti rivelazioni contenute in un libro uscito di recente in libreria: “Qualcuno vuol darcela a bere. Acqua minerale, uno scandalo sommerso” , di Giuseppe Altamore. Un’inchiesta puntigliosa e precisa, che mette in luce i rischi per la salute che possono provenire da una bottiglia di minerale e che svela l’esistenza di una potente lobby dei produttori, capace di influenzare e condizionare le scelte dei governi, fino a rendere intoccabile una legge attenta alle esigenze dell’industria, ma poco rispettosa della salute dei cittadini.
 
Giuseppe Altamore, giornalista e vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana”, ha compiuto un viaggio attraverso la legislazione italiana e comunitaria, scoprendo inquietanti “zone d’ombra” che lasciano più di un dubbio, soprattutto in considerazione del fatto che l’Italia è uno dei paesi con il più alto consumo di acqua minerale.
 
Il libro si apre con la storia di un chimico italiano, autore di una ricerca inviata alla Commissione Europea. Fu l’inizio di una querelle tra Governo italiano e Ue. La contestazione ha poi portato a due progetti di legge, in realtà falliti, diretti a limitare la quantità e il numero di sostanze tossiche presenti nelle bottiglie. In realtà, racconta Altamore, nemmeno il procedimento d’infrazione avviato dall’Unione europea è riuscito a scalfire le multinazionali dell’acqua, che sono riuscite perfino a aggirare le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e le norme rigidissime del Codex alimentarius, l’insieme di regole che indirizzano e controllano il commercio internazionale.
 
L’autore di “Qualcuno vuol darcela a bere” spiega i vuoti normativi sulle etichette, i procedimenti seguiti nella lavorazione dell’acqua, arriva a segnalare i rischi legati alla presenza di sostanze come l’arsenico non possa superare i 10 microgrammi per litro nell’acqua potabile, mentre nelle minerali il limite sia addirittura di 50 microgrammi.
 
Due sono le inchieste aperte, una dalla Procura di Torino, la seconda a Bari. Le indagini hanno già portato a qualche risultato, sono stati effettuati alcuni sequestri, mentre il Ministero della Salute ha sospeso diverse autorizzazioni. Tutto questo però è solo un piccolo passo. Le ultime pagine del testo sono dedicate ai rischi presenti nella disinfezione delle acque potabili con il cloro.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 


Da www.gufetto.it del 22 luglio 2003
 
Qualcuno vuol darcela a bere

 

di Danilo Montaldo

L'Italia è uno dei paesi dove si consuma la maggior quantità di acqua minerale imbottigliata: per citare alcuni dati, 10,5 miliardi di litri è il consumo totale ogni anno, 175 litri è il consumo pro capite, per una spesa di 2,8 miliardi di euro (5.500 miliardi di lire);insomma una vera e propria "miniera" di "oro blu" per i grandi gruppi alimentari che si dividono la torta. La scelta del consumo di acqua imbottigliata è sicuramente dovuta alla "considerazione", per certi versi negativa, che gli Italiani hanno dell'acqua di rubinetto. Ma cosa c'è di davvero preoccupante in questi dati? In "qualcuno vuol darcela a bere", Altamore ci presenta un'inchiesta sconcertante, che mette in luce l'enorme potere raggiunto dalle lobby dell'acqua minerale e come le scelte politiche siano state più attente alle esigenze commerciali dei produttori anziché a quelle dei consumatori; Tra le tante cose "svelate" in questo libro, quella che desta maggiori preoccupazioni è che le multinazionali della "minerale" sono riuscite ad aggirare le norme e i limiti disposti dal Codex (organismo che disciplina il commercio internazionale) e dell'organizzazione mondiale della sanità in materia di componenti a rischio; un elevato contenuto di arsenico e di manganese in un litro di acqua ad esempio, possono risultare addirittura cancerogeni; purtroppo in Italia non esiste l'obbligo di riportare in etichetta il contenuto di questi elementi e la normativa non è abbastanza severa da limitarne la concentrazione per litro; il potere acquisito da chi detiene la produzione dell'acqua imbottigliata, non è un problema solo italiano, l'acqua sembra essere infatti il "petrolio" di questo secolo, per il quale si combattono vere e proprie guerre economiche, privatizzazioni, fusioni, acquisizioni anche a livello internazionale da parte delle note multinazionali (Danone e Nestlè per citare le maggiori). L'acqua invece è da considerarsi un bene di tutti e soprattutto quest'anno di particolare siccità nel nostro paese, riusciamo a comprenderne l'importanza e la necessità di non sprecarla; ma purtroppo, c'è chi ne approfitta e vuole quotare in borsa e privatizzare un bene vitale per l'uomo.

Torna alla pagina dei libri


 

 

 


Da Il Sole 24 Ore del 18 luglio 2003

Acque minerali
un thriller da bere

 

Poteva essere un pamphlet arrabbiato, scarsamente documentato. Superficiale e inutile, in fin dei conti. Invece questo saggio di Giuseppe Altamore, giornalista di “Famiglia Cristiana”, è corrosivo proprio perché ben impostato. Rimarrà sotto silenzio, niente di più facile: qualche imbarazzo lo creerà. Gli interessi e i problemi che girano intorno alle acque minerali sono molti, tanto che le recenti inchieste giudiziarie del giudice torinese Guariniello hanno destato preoccupazione e interrogativi anche nell’opinione pubblica.
Che in Italia esistano contraddizioni normative è fuor di dubbio. Sennò, come mai nell’acqua potabile l’arsenico non può superare la concentrazione di 10 microgrammi per litro e nell’acqua in bottiglia è tollerata una quantità fino a 50 microgrammi? È vero, dopo il 31 dicembre di quest’anno, il limite sarà portato a 10 microgrammi, tuttavia – si domanda Altamore – perché si sono arenate recentemente due proposte di legge (di An e della Lega, quindi della maggioranza), che si proponevano una riforma dell’intero sistema? Otto capitoli, una ricca bibliografia con tanto di fonti giuridiche, numerose tabelle a corredo. “Molte stranezze – osserva Altamore – si spiegano in realtà con la storia della normativa del settore, che risale a una vecchia legge del 1919. L’acqua minerale naturalmente è stata usata in passato prevalentemente come un prodotto con caratteristiche curative. In anni più recenti la minerale è stata utilizzata soprattutto come acqua da tavola, in sostituzione dell’acqua di rubinetto. I produttori – aggiunge l’autore – affermano che le acque minerali possono avere proprietà favorevoli alla salute, ma questa, ormai, non è una peculiare caratteristica che, la definisce, in quanto nell’articolo 1 del Dlgs 105 del 1992 e successive modifiche, è espressamente riportato “… caratteristiche igieniche particolari, e, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute”.
I proventi di questo volume – pubblicato dai genovesi Fratelli Frilli – saranno devoluti al “Progetto Pozzi” del Camerun – Ciad, gestito in questa difficile zona africana dalle missionarie Saveriane.
Una destinazione apprezzabile e dichiarata. Invece per tante cose che succedono nel Bel Paese, purtroppo la regola è acqua in bocca.
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 

 

 


Da Redattore Sociale del 14 luglio 2003

Libri sociali
Qualcuno vuol darcela a bere

 

di Sonia Postacchini

Si tratta di un’ inchiesta che racconta come una potentissima lobby ha potuto condizionare le scelte politiche di vari governi fino ad ottenere una legislazione troppo attenta alle esigenze commerciali dei produttori di acque minerali e poco rispettosa della salute dei consumatori. Con un paradosso incredibile: spulciando la legge si scopre che l’acqua di rubinetto può essere più sicura della minerale. Esistono infatti controlli e limiti più severi relativi alla presenza di sostanze tossiche nell’acqua potabile. L’arsenico per esempio, non può superare la concentrazione di 10 microgrammi per litro. Chi beve acqua minerale invece può ritrovarsi nel bicchiere una dose fino a 50 microgrammi per litro, ma fino al 2001 si poteva addirittura arrivare a 200 microgrammi per litro. Tutto questo nonostante le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità che da almeno 10 anni indica una dose massima di 10 microgrammi per litro in modo da evitare il rischio di ammalarsi di cancro. Il libro spiega quali interessi hanno spinto l’industria dell’acqua minerale a usare ogni mezzo per condizionare le scelte del Parlamento, fino a bloccare almeno due tentativi di riforma della normativa che regola il settore. Si racconta come un perito chimico italiano sia riuscito a far avviare una procedura d’infrazione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto delle direttive europee in materia di tutela della salute dei consumatori e come ancora una volta l’abbiano spuntata le multinazionali dell’acqua. Inoltre che cosa hanno da nascondere i produttori di acqua minerale? Che cosa rischiano i consumatori che non sanno che cosa si nasconde nella bottiglia? Intanto, ben due procure della Repubblica (Torino e Bari) stanno indagando sull’affaire della minerale. Ci sono già stati dei sequestri e il ministero della Salute ha sospeso qualche autorizzazione e ben 89 marche sarebbero fuori legge perché contengono fenoli, idrocarburi e tetracloroetilene. Il libro si chiude con un ampio capitolo dedicato ai rischi legati soprattutto al cloro impiegato per disinfettare l’acqua potabile.

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 


Da Il Secolo XIX del 9 luglio 2003
 
Minerale sotto accusa
«il rubinetto è più sicuro»

 

di Annamaria Rimassa

Acqua all’arsenico, acqua al cloro, leggi permissive alla faccia dell’indignazione della Commissione europea: è un libro coraggioso, “Qualcuno vuol darcela a bere”, scritto dal giornalista sociologo Giuseppe Altamore (47 anni) vicecaporedattore a “Famiglia cristiana”, che per la sua quarta pubblicazione ha scelto la casa editrice genovese “Fratelli Frilli” di via Priaruggia. Il libro (14 euro) rivela i particolari della potente lobby che domina la l’imbottigliamento dell’acqua minerale. Il ricavato verrà devoluto alle suore missionarie Saveriane.

Che cosa versiamo nel bicchiere?
«Se parliamo di acqua del rubinetto, possiamo dire che è più sicura di quella minerale. Esistono controlli e limiti più severi relativi alla presenza di sostanze tossiche. L’arsenico, ad esempio, non può superare i 10 microgrammi per litro. Chi beve acqua minerale può ritrovarsi nel bicchiere una dose fino a 50 microgrammi per litro. Fino al 2001 si poteva arrivare a 200 microgrammi per litro».

Come è arrivato a questa conclusione?
«Nel ‘99, un perito chimico che conobbi lo scoprì e scrisse subito alla Commissione europea. Partì così una procedura d’infrazione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia, che corse ai ripari nel maggio 2001 con un decreto che però non fu risolutivo».

E ora che cosa sta succedendo?
«Un fatto importante: il ministero ha mandato a 89 aziende produttrici di acqua minerale, la diffida perché le analisi non sono buone. Quali siano, però, non è dato di saperlo. Quindi il consumatore continua a comprare quelle marche lo stesso».

L’acqua che esce dai rubinetti di Genova è notoriamente buona.
«Non è l’unica. La maggior parte dell’acqua potabile è di ottima qualità. E non solo: la maggior parte delle acque non confezionate sono oligominerali».

Quindi?
«In certi casi, non ha senso pagare per certe bottiglie confezionate che non danno maggior sicurezza al consumatore».

Quanto gli spot influenzano il mercato?
«La spesa in pubblicità che riguarda l’acqua è di 700 miliardi di vecchie lire».
 

Torna alla pagina dei libri


 

 

 

 


Da Il Corriere della Sera del 3 luglio 2003

Il Salvaprezzi
Acqua minerale

Secondo voci non ufficiali circa il 73 per cento
delle bottiglie in vendita non sarebbe in regola

 

di Anna Bartolini

«Secondo voci non ufficiali circa il 73 per cento delle bottiglie in vendita non sarebbe in regola».
Intorno a questa denuncia che anticipava alcuni dati provvisori di alcune inchieste della magistratura di Bari e di Torino, si è scatenato il putiferio tra i nostri lettori, preoccupati di apprendere per esempio da una puntata di «Mi manda Raitre» che le acque minerali con un alto contenuto di fluoro dovrebbero avere una etichetta che lo indica in modo completo con l’aggiunta che tali acque non sono adatte ai bambini in età inferiore ai 7 anni (Direttiva della Ue del 23 maggio scorso). Interpellato da noi, il pretore Guariniello di Torino dichiarava di aver inviato gli atti delle sue indagini al ministero della Salute affinché provvedesse a richiedere alle aziende produttrici i risultati delle loro più recenti analisi. Su questa vicenda è caduto un silenzio preoccupante in quanto, da voci non ufficiali, si è appreso che circa 73 su 100 acque minerali non sarebbero in regola con quanto disposto dalle normative. In altre parole si rilevano contenuti in arsenico, fluoro, manganese sopra la norma. Interpellato più volte da noi il ministero della Salute ha anticipato un possibile intervento in materia qualora i dati definitivi contengano dettagli preoccupanti. C’è stata anche un’interpellanza parlamentare dell’On. Andrea Annunziata della Commissione Giustizia della Camera, affinché il ministro faccia luce su questo strano «film giallo».
In questi giorni esce un volume di Giuseppe Altamore «Qualcuno vuol darcela a bere» in cui le vicende da noi accennate sono definite uno «scandalo sommerso» (editore Fratelli Frilli, pagg. 201, euro 14). Concludiamo con una frase dell’introduzione: «...non vogliamo affermare che tutte le acque minerali costituiscono un rischio per la salute. Sicuramente esistono acque con le carte in regola ma è probabile che altre non rispettino le norme sanitarie internazionali, pur se rispettano alla lettera la permissiva legislazione italiana». In questi giorni in cui in molte regioni si consuma acqua minerale al 90% in sostituzione di quella potabile, non c’è da stare allegri.
 


 

Torna alla pagina dei libri