Obbligo di referto

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La Cronaca di Cremona
Lo sguardo spietato dei testimoni sulla tregiorni di follia genovese
di Max Muzzolon

Tempi di fraternità
Sdegno e umanità dei sanitari al G8 di Genova
di Gino Tartarelli

Liberazione
Giornate di Genova, medici in prima linea
di Tonino Bucci

La Nuova Sardegna
Genova, notti cilene e giornate di furore. I medici raccontano
di Mario De Murtas

La Stampa - Genova
Un documento sull'attività sanitaria del Genoa Social Forum
di Paolo Lingua

Il Manifesto
I ragazzi con le magliette bianche e le croci rosse
di Enrico Ratto

Il Lavoro
La notte dei manganelli
di Alberto Puppo

Il Lavoro
Quel campo di battaglia tra i ricordi di scuola
di Alberto Puppo


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Da La Cronaca di Cremona del 6 dicembre 2001

  

Domani sera la Feltrinelli ospita un incontro letterario

Lo sguardo spietato dei testimoni
sulla 'tregiorni' di follia genovese

 

di Max Muzzolon

«Quanti punti di sutura sono stati dati? Ma soprattutto quanti ne serviranno per ricucire gli animi feriti e la dignità umana umiliata? Medici, infermieri e volontari facilmente identificabili dalle magliette e dalle scritte sono stati oggetto di brutalità fisiche e psicologiche e questo solo perch%eacute; operavano per difendere i più deboli, i feriti e chiunque ne avesse bisogno».
Questo è uno stralcio tratto dal libro "Obbligo di referto", che sarà oggetto, domani sera (alle 18) di un interessante incontro di presentazione presso la libreria Feltrinelli di Corso Mazzini. Questa testimonianza (che, per la cronaca, fu resa da Franco Fanconi) è solo una delle tantissime contenute in questo volume edito dalla Frilli Editori di Genova, una vera e propria miniera di informazioni su quanto accadde durante il G8 genovese. Fatti che gli ancor più tristi fatti di cronaca successivi a questo evento hanno in parte cancellato dalla coscienza collettiva, ma che nessuno può, di fatto, ignorare. Emergono chiarissimi due pensieri, sfogliando le dolorose pagine di questo libro: il primo è la netta impressione che i media, per un verso o per l'altro, abbiano reso un pessimo servizio sui fatti di Genova. Chi per chiara volontà d'insabbiamento, chi per convenienza politica, nessuno fra i network d'informazione nazionale è riuscito a far trapelare, in occasione degli incidenti genovesi, l'esatto svolgimento dei fatti. Il secondo è che, nonostante tutti i tentativi di soppressione (parziale o completa) della verità, nessuno potrà mai far tacere le voci più forti emerse da quell'esperienza, che ritroviamo, più spietate delle telecamere, in questo libro. Sono gli occhi dei testimoni per eccellenza, a parlarci da queste pagine, quelle dei Sanitari che, durante la tre giorni del vertice, assistettero agli scontri. Qualcuno venne coinvolto, altri si occuparono di soccorrere i feriti, di qualunque barricata fossero, altri ancora non poterono far altro che osservare quell'escalation di violenza (che ritroviamo qui nella scelta cronologica del racconto, che impernia questo lavoro editoriale) che, a tutt'oggi, rimane senza colpevoli ed una sola vittima... il povero Carlo Giuliani.

 

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Da Tempi di fraternità del gennaio 2002

  

Recensione

Sdegno e umanità dei sanitari
al G8 di Genova

 

di Gino Tartarelli

È un libro crudo, terribile, scritto dai medici, infermieri e volontari che sono stati impegnati in prima linea nel soccorso delle centinaia di feriti che la violenza di quelle giornate ha prodotto. È un punto di vista di chi ha scelto di mettere a disposizione del movimento antiglobalizzazione la sua professionalità di sanitario o la sua sensibilità di volontario per essere al servizio di chiunque avesse bisogno di soccorso, senza alcuna distinzione. Il titolo è significativo: l'obbligo di referto è quel documento che il medico, quando vi fate male e venite ricoverati al Pronto Soccorso, qualsiasi medico è obbligato a stilare ed a consegnarvi. È un vostro diritto chiederlo! Nei giorni del G8 a Genova invece non è stato p ossibile scrivere i referti, così quelle centinaia di fratture, quelle prognosi riservate non rimarranno testimoniate da nessun documento medico che attesti l'accaduto. Oltre 40 testimonianze di medici e vario personale sanitario in cui traspare la forte umanità, le emozioni di chi ha vissuto quelle giornate sulla propria pelle, anche in senso letterale, superando mille difficoltà per garantire il diritto alla salute di tutti, anche di chi, rifiutando per paura il ricorso alla sanità pubblica, rischiava di esserne escluso.
Tra tutte le testimonianze ne segnaliamo una che, per la sua crudezza e il senso di smarrimento che trasmette, ci ha fatto venire le lacrime agli occhi. Si tratta dello scritto di Gabriella Tratta, dell'Ufficio Pubbliche Relazioni dell'Azienda Ospedaliera San Martino di Genova, ma che durante il G8 ha svolto una turnazione al Pronto Soccorso dello stesso ospedale. Eccone alcuni stralci (pagg. 106-107-109-110):
«(...) Più passano le ore, più mi sento su un altro pianeta... gente di tutte le età. Tutti pestati a sangue, con i chiari segni del manganello (non credo che ci voglia un esperto per capire che due staffilate rozze parallele sono manganellate appena date). Arriva un ragazzo, ammanettato in barella, circondato da carabinieri con casco e manganello... tutti in corsia. Le manette sono di metallo, agganciate alla barella, non quelle strane fascette stringitubo che vedo ad altri manifestanti fermati. Senza maglietta, a torso nudo, tutto completamente ricoperto di segni rossi del manganello, come ustioni fresche sulla pelle. Non ha un centimetro libero e continua a ripetere, se non ricordo male in inglese: "È stata la polizia! Aiuto! È stata la polizia!". Cerco di dirgli di non parlare di questo, di stare zitto, quando il carabiniere ai piedi della barella gli molla una manganellata sulle gambe, con cattiveria, con rabbia: "Ma cosa fa? Siamo in un ospedale!" Mi esce spontaneo dalla gola, nonostante la paura. "Troia, bastarda... a te ci penso dopo...". Aveva gli occhi iniettati di sangue ma si è allontanato, andando a parlottare fuori con altri suoi colleghi, indicandomi con fare concitato. (...) Comincia la processione di dolore e sangue, man mano che arrivano i 27 che ufficialmente erano nelle due scuole, accompagnati da torme di poliziotti che abbandonano la corsia solo dopo che viene loro chiesto con fermezza dal personale, sembra una processione di cacciatori che mostrano le prede, festanti. Sembrano in preda ad uno strano senso, non so come definire, di orgasmo? Di onnipotenza? Comunque visibilmente agitati dall'odore del sangue. A me come agli altri colleghi fa male, invece, la vista, l'odore, gli occhi pesti, le teste rotte. (...) Vorrei calare un velo pietoso su una delle cose che mi ha fatto più male: tutta la notte ho sentito i commenti trionfali degli agenti che andavano e venivano, con dovizia di particolari sadici descrivevano come si picchia meglio, come fare più male, se dal manico del manganello o dall'altra parte o altre porcate di questo genere, come: "Li abbiamo conciati così in pochi minuti, se me li lasciavano una settimana ci pensavo io a conciarli per le feste", "Guarda quegli stronzi, mi hanno sporcato le scarpe di sangue" (con tono canzonatorio). Vorrei piangere, ma non si può. Non si può ora. Fuori c'è il sole, è quasi ora di timbrare e di andare via».

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Da Liberazione del 20 dicembre 2001

 

Giornate di Genova
medici in prima linea

Esce "Obbligo di referto", il libro di testimonianze
dei sanitari del Genoa Social Forum

 

di Tonino Bucci

«Il referto medico: è obbligo del medico rilasciarlo e vostro diritto chiederlo, un diritto come quello alla salute che, come molti altri durante le giornate di Genova, è stato sospeso in ogni suo aspetto, dal rispetto dell'integrità fisica al libero accesso alle cure». Obbligo di referto è il primo libro sul vertice del G8 scritto dai medici, infermieri e volontari che sono stati impegnati in prima linea nel soccorso delle centinaia di feriti provocati dalle cariche della polizia e dal teppismo dei Black Bloc. Il volume (Fratelli Frilli Editori, 153 pagine, 10mila lire) raccoglie oltre quaranta testimonianze di carattere professionale, una serie di resoconti sulle ferite maggiormente riscontrate sui manifestanti: tagli profondi e lacerocontusioni dovute alle manganellate o ai candelotti lacrimogeni sparati ad altezza del viso, ematomi, fratture alle braccia e alle mani (tipiche di chi cerca di difendersi da colpi e percosse). Ma emergono, di quei giorni, anche le emozioni e l'umanità di chi li ha vissuti. «Siamo in Corso Torino, intorno alle 12 - a raccontare è uno dei sanitari, Stefano Agnese, la data è il venti luglio - la tensione cresce, il gruppo vestito di nero e col volto coperto comincia le devastazioni... Sono circa 50 i metri che dividono le forze dell'ordine da quel centinaio di teppisti che stanno distruggendo ogni cosa. Ci attendiamo la carica da un momento all'altro. Il corteo si è allontanato, la devastazione continua, ci guardiamo: perché non caricano? Poi, in un attimo i teppisti si dileguano, velocemente, fantasmi neri. Nello stesso istante i primi lacrimogeni, uno, due, tanti. Mettiamo maschera ed occhiali e guardiamo verso la celere, si muovono, lentamente, battendo i manganelli sugli scudi. Li guardiamo senza capire. Poi cominciano a correre e quando capiamo è già troppo tardi». Tra i sanitari del Gsf ci sono medici, infermieri, reduci da lunghi anni di associazionismo o volontariato per la tutela del diritto alla salute in terre sconvolte dalla miseria e dalla guerra. «Ore 12.37, la furia, la cattiveria, animali, urlano, urliamo - continua il racconto -. Quando finiscono sono stupito di essere ancora intero. Michele è senza occhiali e continua a urlare: "Sono un medico! Perché? Perché?". È una maschera di sangue, lo faccio sedere e cerco di tamponargli una ferita lacerocontusa all'arcata sopraccigliare destra». Nei ricordi dei sanitari del Genoa Social Forum si succedono, identiche, le immagini dei manifestanti colpiti dalle cariche indiscriminanti della polizia. Non c'è distinzione, si colpisce nella massa - medici e infermieri volontari, manifestanti pacifici, molto spesso giovanissimi, alla loro prima esperienza di partecipazione a un evento politico collettivo, ma anche persone più anziane, in ogni caso ben lontane dal costituire un pericolo per l'ordine pubblico. Ma se si dovesse pensare a questo come a un libro "fazioso" si sbaglierebbe strada: «Queste pagine - lo spiega Vittorio Agnoletto nella prefazione - non contengono proclami ideologici, né illustrano teorie preconfezionate, ma narrano, con immediatezza e semplicità, una gran quantità di episodi, anche drammatici, affrontati con grande intelligenza professionale, con profonda sensibilità e con intensa partecipazione umana». Si va da un massimo di generalità - l'affermazione universale del diritto alla salute, per esempio all'accesso di tutti ai farmaci anti-Aids, e la «denuncia delle tante multinazionali che in nome del profitto calpestano i più elementari diritti umani» - a un massimo di particolarità nella descrizione dei casi di violazione dei diritti. È il caso del manifestante «non mascherato, non vestito di nero... I poliziotti lo picchiano in cinque, continuano anche quando è a terra disteso sulla pancia. Quattro gli danno dei calci prevalentemente sulle articolazioni, uno lo afferra per i capelli e gli sbatte ripetutamente la testa sull'asfalto... Corro verso di loro urlando: "Mollatelo, lasciatelo stare! Ha bisogno di assistenza medica e non di altre bastonate" ...Sciaquo la testa del ragazzo per capire da dove esce tutto quel sangue e gli chiedo "Com'è successo? Come ti chiami?". Subito i poliziotti mi minacciano di non parlargli. Anche un legale del Gsf cerca di intervenire ma gli viene impedito. A quel punto i poliziotti ci gridano: "Basta! Basta!". E caricano a forza il ragazzo su una camionetta e se lo portano via in fretta».

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Da La Nuova Sardegna del 25 novembre 2001

 

Genova, notti cilene e giornate di furore
I medici raccontano

Le testimonianze dei medici del GSF sulle violenze di luglio

 

di Mario De Murtas

"Obbligo di referto", che raccoglie le testimonianze dei sanitari del Genoa social forum (Fratelli Frilli editore, 154 pagine, 10.000 lire) non è un bel libro, è un libro agghiacciante: dimostra senza possibilità di dubbio che nelle giornate del G8 a Genova, il 20 e 21 luglio, quando un giovane manifestante, Carlo Giuliani, venne abbattuto dal colpo di pistola esploso da un carabiniere, venne sospesa ogni forma di legalità, e che essa venne sostituita dalla violenza e dall'arbitrio di chi invece avrebbe dovuto assicurarla. Questa conclusione non è contenuta nel libro, neppure nella breve prefazione di Vittorio Agnoletto: è semplicemente l'unica alla quale si può giungere dopo la lettura dei racconti degli oltre quaranta testimoni che compongono il volume.

I narranti sono per la maggior parte sanitari del Genoa Social Forum, i medici, infermieri e volontari che nelle giornate del G8 erano impegnati ad assicurare assistenza e cure ai manifestanti: testimoni diretti perché impegnati accanto ai cortei, che riferiscono de relato solo quando devono motivare una decisione («accorremmo in tal punto perché ci era stato detto che...»); la puntuale corrispondenza delle testimonianze, la loro univocità sbarrano la strada tuttavia a chi volesse sostenere che si tratta di una versione precostituita, "ideologica". Altri testimoni, infatti, sono medici e dipendenti delle strutture sanitarie pubbliche di Genova (anzi è proprio dai loro racconti che spesso emergono i particolari più inquietanti) e forniscono una conferma diretta alle accuse dei volontari del Gsf.

La violenza della polizia è stata esercitata quasi esclusivamente nei confronti di manifestanti pacifici e inermi, di passanti coinvolti per caso, addirittura di sanitari (numerosi tra i testimoni che compaiono nel libro) impegnati a prestare soccorso a dimostranti feriti e ben riconoscibili per la maglietta bianca con la croce rossa e la vistosa scritta "Sanitario Gsf". Non si è trattato, dunque, con ogni evidenza di un legittimo uso della forza volto a impedire reati: negli ultimi casi citati, addirittura è stato volto a impedire azioni la cui omissione (questa sì) avrebbe costituito per un medico reato.

Secondo tutte le testimonianze hanno invece potuto operare indisturbati, nella più assoluta tranquillità, i "casseurs" del cosidetto Black Bloc, nei confronti dei quali vengono segnalati addirittura atteggiamenti "dialoganti" da parte delle forze di polizia. C'è un episodio segnalato da una dipendente amministrativa dell'ospedale San Martino che solo un candore angelico impedirebbe di considerare altamente sospetto: «Un collega viene da me, mi prende per un braccio e mi dice: "vieni a vedere". Mi accompagna in corridoio: c'è un ragazzo vestito di nero, pantaloni neri imbottiti alle ginocchia, fazzoletto metà rosso e metà nero, anche lui circondato di carabinieri. Chiedo sottovoce al collega se è uno dei famosi Black bloc, ma no ! È delle forze dell'ordine ! Ha la maglietta nera, ma ancora si nota il segno della stiratura. Chiedo se ha bisogno di qualcosa, mi risponde un carabiniere: "No, grazie, questo è un collega"».

Altre testimonianze riferibili all'operazione alla scuola Diaz-Pertini, conclusasi con decine dei feriti tra le persone che dormivano o lavoravano in quei locali, di fatto la base dei servizi legali, informativi, organizzativi e sanitari, aprono interrogativi ancora più pesanti. Riferiscono due medici di aver chiamato il 118 dopo l'irruzione alla scuola, e di aver visto la polizia respingere le prime ambulanze chiamate sul posto, di aver quindi richiamato al 118 e di essersi sentiti rispondere che «le ambulanze erano già sul target, la polizia le aveva richieste». Richieste "prima" dell'irruzione ?

Le testimonianze sulla violenza dell'operazione nelle due scuole hanno avuto larga circolazione nelle giornate immediatamente successive. I militanti no global portati fuori pesti e sanguinanti, spesso con lesioni gravissime, ancora chiusi nei loro sacchi a pelo costituiscono non la semplice prova ma l'evidenza palmare che in quella occasione l'uso della forza non fu né proporzionato né legittimo: qualcuno riesce a immaginare come si possa opporre resistenza a un pubblico ufficiale immobilizzati in un sacco a pelo ?

Ma le accuse più gravi vengono proprio dal'interno degli ospedali. Il fotografo inglese Martin W. Cowell viene portato all'ospedale, secondo la testimonianza dell'impiegata già citata, da un'ambulanza del 118 sulla quale stanno dei carabinieri, uno dei quali, «grande e grosso, in divisa, con l'accento romano», il quale spiega: «Questo è un tossico in crisi di astinenza. Ecco chi sono i militanti del Social forum». E la stessa versione viene ripetuta più volte.

Neppure le ambulanze si salvano: un medico del San Martino racconta di aver raccolto le testimonianze di un infermiere secondo il quale gli agenti avevano aperto le porte posteriori dell'ambulanza del 118 sulla quale si trovava e colpito con manganellate il ragazzo ustionato a un braccio che trasportavano.

Ed è proprio negli ospedali che si verificano episodi gravissimi: un altro infermiere racconta di un ragazzo piantonato in stato d'arresto e ricoverato in neurochirurgia ammanettato. La soglia della legalità scompare: se a parlamentari, giornalisti, avvocati era stato impedito l'accesso alla scuola Diaz-Pertini, ai ricoverati in stato d'arresto (praticamente tutti quelli che si rivolgono alle strutture sanitarie pubbliche) viene impedita ogni assistenza legale e (per gli stranieri) consolare. Al personale ospedaliero viene proibito di fornire ogni notizia sui presenti perfino ai familiari che li cercano senza averne notizia. Desaparecidos, di fatto, e l'affermazione di Massimo D'Alema, nel corso del suo intervento parlamentare, sulla situazione "cilena" che era stata instaurata a Genova non appare per nulla impropria o sproporzionata alla gravità dei fatti che emergono.

Sono considerazioni che nel libro non trovano spazio ma che devono essere tenute presenti per una riflessione serena ma senza riguardi ipocriti che, lasciando ai magistrati il compito di definire le responsabilità penali, riconsideri sul terreno politico l'intera materia. Sappiamo che a Genova il vice premier Gianfranco Fini stazionava in quei giorni nei centri operativi dei carabinieri. Che abbia spinto per una sorta di rivincita storica sulla rivolta che nel '60 impedì il congresso del partito del quale è stato segretario fino al frettoloso lavacro in acqua di Fiuggi, non è un sospetto che si avanza qui: è una tesi che lui stesso deve dimostrare infondata. E ha aspettato anche troppo per farlo.

A D'Alema, d'altro canto, va ricordato che le forze di polizia impegnate a Genova in quei giorni erano agli ordini di vertici che non erano stati scelti, di regola, dal governo di destra appena insediato, ma da quelli presieduti da Prodi, poi da lui stesso, infine da Amato, succedutisi nei cinque anni precedenti. Il furore ideologico che emerge da alcuni racconti suscita più di un dubbio sui meccanismi di selezione delle forze di polizia ai tempi dell'Ulivo. Quando avvenne il pestaggio di massa a San Sebastiano, ministro della giustizia era Fassino, che certo ebbe dopo quei fatti atteggiamenti assai diversi da quelli tenuti dal suo successore Castelli a Genova: ma è così temerario pensare che chi agì in quell modo si sia sentito, non si vuol dire autorizzato, ma almeno non scoraggiato a sufficienza o in modo sufficientemente esplicito ?

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Dalle pagine genovesi de La Stampa dell'11 novembre 2001

 

L'editoria genovese dimostra ancora molta vivacità pur tra alti e bassi:
L'attività di De Ferrari e Fratelli Frilli

«Obbligo di referto»: un documento
sull'attività sanitaria verso i manifestanti
feriti del Genoa Social Forum

 

di Paolo Lingua

      GENOVA   --   Gli editori genovesi hanno sempre avuto, in particolare nel dopoguerra, alti e bassi: ci sono state meteore, momenti fortunati e anche «cadute». A nessuno, o quasi, è riuscito il «balzo in avanti», ovvero l'uscita dalla dimensione regionale, come invece è accaduto, tanto per fare un esempio classico, alla palermitana Sellerio. Uno spazio vasto è stato occupato negli ultimi due anni dalla De Ferrari che ha avuto uno produzione assai varia, dalla narrativa alla poesia, alla saqggistica e alla memorialistica, sia pure senza un piano preciso e preordinato. Ora, con l'intento di provocare e di «sfondare» i confini territoriali, ecco apparire la Fratelli Frilli che ha solo un paio d'anni di vita.

       OBBLIGO DI REFERTO è il titolo d'un breve pamphlet che farà discutere, come del resto tutti i documenti scottanti, che i Fratelli Frilli hanno pubblicato per conto dei sanitari del Genoa Social Forum (con prefazione di Vittorio Agnoletto) sulla delicata e controversa questione delle cure approntate ai manifestanti feriti e contusi dei giorni del luglio scorso. Documento vivo, quindi controverso e oggetto di passioni di parte. Da leggere dunque e da giudicare, poi, secondo coscienza e conoscenza.

 

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Da Il Manifesto del 20 ottobre 2001

 

I ragazzi con le magliette bianche
e le croci rosse

Presentato ieri a Genova Obbligo di referto,
il libro-testimoninanza dei sanitari volontari del Gsf
sulle giornate di contestazione al G8

 

di Enrico Ratto

I venti di guerra non ce la fanno a portarsi via i ricordi di chi ha vissuto le quattro giornate di Genova. E così, quando l'interesse mediatico si è ormai inevitabilmente spostato dai manganelli di Genova alle bombe sopra Kabul, in libreria compare un nuovo libro-testimonianza sulle manifestazioni genovesi del 19-20-21 luglio.
Obbligo di referto (Fratelli Frilli Editori, Lit. 10.000, prefazione di Vittorio Agnoletto, in libreria dal 29 ottobre), presentato ieri sera al Palazzo Ducale di Genova, roccaforte di chi quei giorni li ha vissuti "transennato" dietro una linea rossa, raccoglie il punto di vista dei medici, degli infermieri e dei volontari del Genoa Social Forum. I curatori del libro, Monica Battifora, Clizia Nicolella e Massimo Costantini, hanno fatto parte del servizio sanitario del Gsf per far fronte ai molti rischi che hanno preoccupato gli organizzatori nei giorni immediatamente precedenti al vertice, tra cui il problema della tutela dei dati personali di ogni manifestante. «Il referto medico - spiega Massimo Costantini, medico epidemiologo dell'Istituro Tumori di Genova - è obbligo del medico rilasciarlo e vostro diritto chiederlo, un diritto come quello alla salute che, come molti altri durante le giornate di Genova, è stato sospeso in ogni suo aspetto. Molti giovani infatti non hanno potuto goderne perch&eacuite; hanno preferito tenersi lontano dagli ospedali piuttosto che rischiare di finire un'altra volta nelle mani delle forze dell'ordine».
Infatti chiunque abbia avuto accesso alla fonti ufficiali durante i giorni del G8 sa come fosse aleatorio il reale numero dei feriti, e come questo alla fine risultò essere in maniera impressionante più grande di ogni previsione. La necessità di un servizio sanitario interno, spiegano gli autori, è nata quindi dalla paura che l'organizzazione sanitaria statale fosse insufficiente, e soprattutto non potesse garantire ad ogni manifestante una effettiva sicurezza nella gestione dei dati personali.
Le testimonianze di medici e volontari del Gsf contenute nel libro sono più di quaranta, e tra queste non manca la notte del blitz alla scuola Diaz, dove il personale sanitario aveva la propria sede operativa. La lunga prefazione di Vittorio Agnoletto è un ringraziamento a tutti "quei medici, infermieri e volontari, che tanti di coloro che erano presenti a Genova hanno incontrato in momenti difficili di paura e di sofferenza; per molte persone queste donne e uomini con la maglietta del servizio sanitario del Genoa Social Forum hanno rappresentato, venerdì 20 e sabato 21 luglio l'unica àncora disponibile alla quale agganciarsi e affidarsi. Una maglietta che non sempre li ha protetti dalla violenza delle forze dell'ordine e che più di una volta non è stata rispettata come lasciapassare: infatti, in non poche occasioni questi volontari hanno dovuto porre a rischio la loro stessa sicurezza fisica, per fornire soccorso a chi ne aveva assoluta necessità".
E a tre mesi da quei giorni, visto che la storia ha sempre bisogno dei propri simboli, viene quasi naturale associare i volontari del Genoa Social Forum ai pompieri delle Twin Towers; con la differenza che se gli Usa oggi hanno bisogno di nuovi eroi per combattere una guerra dalla parte giusta, la speranza espressa tra le righe di Obbligo di referto è che dei "nostri" eroi, nel prossimo futuro, non ce ne sia più bisogno.

 

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Da Il Lavoro del 16 ottobre 2001

La notte dei manganelli

In un libro di 150 pagine rivivono i giorni del G8
Un dossier-denuncia dei medici che curarono i ragazzi

 

di Alberto Puppo

«Quando vi fate male, o quando qualcuno vi fa male, viene rilasciato dal medico che vi ha visitato un referto che localizza, quantifica e descrive le lesioni che su di voi sono state riscontrate. Il referto medico: è obbligo del medico rilasciarlo e vostro diritto chiederlo, un diritto come quello alla salute che, come molti altri durante le giornate di Genova, è stato sospeso in ogni suo aspetto, dal rispetto dell'integrità fisica al libero accesso alle cure. Abbiamo deciso di chiamare questa raccolta di testimonianze "Obbligo di referto" proprio in nome di quelle decine e decine di referti che nei giorni del G8 non sono stati stilati, di quelle centinaia di giorni di prognosi di cui non rimarrà traccia, se non nella memoria di chi li ha subiti e di chi li ha curati». Iniziano così le 150 pagine di racconti e testimonianze raccolte dai medici del Genoa Social Forum. Per corroborare denunce e esposti, ma anche per offrire un punto di vista il più documentato possibile su quanto accaduto nella nostra città nei giorni del G8. Giorni violenti, di black bloc padroni indisturbati, di cariche, e, si scoprirà poi, pestaggi nelle caserme.
Ma a dominare la memoria collettiva rimane, oltre al dramma di Carlo Giuliani, il blitz alla scuola Diaz, nella notte tra il 21 e il 22 luglio, un momento quasi simbolico, che sembra condensare in sé le mille tensioni e le mille contraddizioni di quelle giornate. A parlare sono gli stessi medici, a cui, come a tutti, venne concesso solo il ruolo di spettatore. Capiranno davvero quello che è accaduto quando riusciranno a parlare con i feriti, nella bolgia del Pronto Soccorso. Il libro è pubblicato dalla casa editrice genovese Fratelli Frilli che ha già dato alle stampe altri tascabili che hanno scandito l'avvicinamento al G8 e il momento della riflessione: "Da Seattle a Genova" di Claudio Marradi e Enrico Ratto, "Le quattro giornate di Genova" di Raffaello Bisso e Claudio Marradi e "Lamento in memoria di Carlo Giuliani", raccolta di poesia di Nichi Vendola.

 

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Da Il Lavoro del 16 ottobre 2001

 

Quel campo di battaglia
tra i ricordi di scuola

L'ultima "lezione": la violenza

 

di Alberto Puppo

Ho visto il sangue nei corridoi, il crocifisso che grondava, la lunga striscia rossa sui muri delle scale. Ho visto i ragazzi portati via, in penombra, con teste, braccia e gambe rotte, come in una surreale processione di spettri. Ho visto, come molti, e non riesco a cancellare quelle immagini. Neppure oggi, tre mesi dopo, in tempo di Torri Gemelle e bombe sull'Afghanistan. Chissà, forse perché Diaz e Pascoli erano, e rimangono, le mie scuole. E, in fondo, nei giorni del G8, vederle trasformate nella base operativa del Genoa Social Forum mi causava un misto di tenerezza per il colorato andirivieni multilinguistico nelle mie classi e di sconcerto per l'anarchica presa di possesso del fortino dei miei ricordi. Da lì avevo ricevuto una telefonata allarmata, venerdì 20, in cui si annunciava un prossimo assalto dei black bloc in ritirata dalla Foce verso Albaro. Non era successo nulla. Nella scuola, almeno: in piazza Alimonda moriva Carlo Giuliani.
Quando il cellulare squilla per l'ennesima volta, intorno alle undici di notte di un sabato già sufficientemente folle, capisco solo una cosa: intorno alla Diaz sta scoppiando un grande casino. E subito ripenso ai black bloc. Un taxi in fretta, la fermata obbligata in via Trento. Otto ragazzi sono ammanettati dietro una delle mille auto della polizia che impediscono l'accesso a via Cesare Battisti. Chiedo perché, non ottengo risposta. Un ragazzo mi urla il suo nome. Prendo nota. «Sono un geometra del Comune, chiamate mia mamma, a questo numero». È inginocchiato, come tutti gli altri, con un manganello ad altezza del naso. Arriva un avvocato. Anche lui è uno di quelli che alla Diaz è cresciuto. Raccoglie qualche dato, chiede invano spiegazioni. Di fronte alle videocamere di Ricky Tognazzi un funzionario decide che la genuflessione è difficilmente giustificabile. La sensazione è che qui nessuno abbia la situazione sotto controllo. La ressa aumenta, si cercano auto per caricare gli arrestati. Si saprà dopo che la loro unica colpa è stata quella di trovarsi davanti alle scuole al momento del blitz.
Già, il blitz. Perché nessuno ci fa avvicinare alla Diaz? La risposta pochi metri più in basso, dopo avere aggirato senza nessuna difficoltà il farraginoso sbarramento. Un altro ragazzo, immobile, a terra, in piazza Merani. Ha una profonda ferita sulla testa, quella che diverrà l'inconfondibile firma della notte dei manganelli. Insieme alle urla. Urla disperate e urla furiose che decine di amici che abitano in zona, il giorno dopo, mi giureranno di avere sentito. Quando arrivo a gridare sono solo i ragazzi che sono riusciti a sottrarsi all'assalto, all'interno della scuola elementare. Ovvero nel centro stampa, distrutto in nome di non si sa quale mandato. In strada si confondono i fari. Quelli delle telecamere di mezzo mondo e quelli dell'elicottero che da ore ronza sulle case. Il tempo sembra sospeso. E con lui anche i diritti. Chi chiede di vedere, di entrare nella Pertini, improvvisato dormitorio, viene respinto dal cordone di polizia. Via i giornalisti, via i parlamentari. Via anche Vittorio Agnoletto a cui si cerca di impedire anche il rientro alla Diaz. Intorno centinaia di persone furiose ma come inebetite da quanto sta accadendo. O da quanto stanno intuendo.
Inizia la processione di barelle. Una, due, dieci, venti. I più fortunati escono con le proprie gambe. Ma con le braccia al collo. Ci vogliono quasi due ore perché i 93 ragazzi lascino via Battisti. Tutti fermati, tutti, tranne uno, immediatamente rilasciati dalla magistratura. La ricostruzione ufficiale, che dovrebbe portare all'individuazione (improbabile) dei responsabili è ancora materia di indagini. Ma nessuno nega che i ragazzi siano stati picchiati selvaggiamente. Erano black bloc? Probabilmente no, almeno la stragrande maggioranza. Ma il particolare è assolutamente irrilevante.
Ancora oggi, a tre mesi di distanza, con molte teste saltate e decine di avvisi di garanzia, rimangono molti misteri sul blitz. A cominciare dal suo perché. La polizia ha corretto il tiro più volte, ha parlato di aggressioni, di lancio di bottiglie, di notizie avute da infiltrati. Gli stessi responsabili dell'operazione si rimpallano responsabilità davanti ai giudici e al comitato parlamentare. Ma probabilmente non si allontana troppo dalla verità chi è convinto che il vero scopo della perquisizione fosse quello di dimostrare un teorema più volte invocato: dimostrare che il Genoa Social Forum fosse connivente, se non addirittura colluso, con le frange estreme. Una mossa comprensibile, dal punto di vista della strategia politica, in grado di azzerare in un sol colpo il consenso che il movimento sembrava ottenere anche da parte dell'opinione pubblica moderata. Un progetto che i pestaggi, impossibile da giustificare, hanno mandato all'aria. E così si riapre un altro fronte: perché tanta brutalità? Il raptus di un manipolo di esaltati? Sarebbe da augurarselo, ma nei giorni del G8 non si picchiò solo nella mia scuola, ma anche in piazza e nelle caserme. Solo coincidenze?

 


 

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