I silenzi della zona rossa

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La Cronaca di Cremona
I silenzi della zona rossa
di Roberto Rossi

Pickwick
I silenzi della zona rossa
di Cristiano Armati

  
 


  
 

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Da La Cronaca di Cremona del 16 maggio 2002

 

I silenzi della zona rossa

  

di Roberto Rossi

Il ricordo di ciò che è successo a Genova lo scorso luglio è ancora fresco nella nostra memoria. Sulla città della lanterna sono stati puntati i riflettori di tutto il mondo per il vertice del G8, ma i nostri ricordi, o meglio i ricordi di ciò che abbiamo visto e sentito alla TV in quei giorni di metà estate, non ci mostrano che il tetro replay della violenza, della prevaricazione, dello squadrismo, della morte. Ci mostrano le foto di Carlo Giuliani riverso sull'asfalto in una pozza di sangue, ci rivelano le immagini d'immensi cortei di protesta attaccati e dispersi dagli idranti, dai lacrimogeni e dai manganelli, ci proiettano scene di guerriglia urbana, ci mostrano le macchie di sangue sui termosifoni di una scuola... Al contrario, il ricordo di ciò che gli otto Paesi politicamente ed economicamente più potenti della Terra hanno deciso al termine del summit, ovviamente, risulta sbiadito; se mai è esistito. Se mai abbiamo creduto a una vera decisione, a un vero piano di ristrutturazione globale, se pensiamo che in due soli giorni Bush & Co. hanno discusso, tra cene di gala, incontri mondani e foto di gruppo, di globalizzazione dei commerci, lotta alla corruzione, lotta all'AIDS e alla malaria, riduzione del debito del terzo mondo, istruzione, formazione, occupazione, fame, agricoltura e sicurezza alimentare, tecnologia digitale, ambiente, lotta alla criminalità e alla droga, e chi più ne ha più ne metta. Viene da pensare che i "grandi" abbiano dibattuto superficialmente, intorno al tavolo di Palazzo Ducale, fatta eccezione per i loro affari e i loro stessi interessi... Nel centro di Genova trasformato in cittadella blindata del potere, protetta da file di container, corazzata di alte e robuste grate di ferro, sorvegliata da migliaia di uomini armati, elicotteri e mezzi pesanti per la sicurezza dei potenti (la "zona rossa"), il silenzio regnava sovrano, in tutti i sensi. All'esterno, la violenza abusiva, arrogante e prevaricatrice stendeva le sue spire... Il genovese Mizio Ferraris, autore de "I silenzi della zona rossa", in quei giorni si trovava nel suo appartamento, blindato in zona rossa; nel suo lavoro editoriale, narrato in prima persona, ci mostra che cosa è stata Genova nel mese di luglio prima, durante e dopo lo sciagurato summit, raccoglien- do decine di documenti, un imponente materiale fotografico, agghiaccianti testimonianze dirette ed indirette, che ripropongono domande tuttora senza risposta sulle responsabilità delle forze dell¹ordine, riguardo a fatti che ormai sono ritenuti orribili ombre nella storia del nostro Paese: gli attacchi indiscriminati ai manifestanti, le perquisizioni "da gestapo" alle scuole Pertini e Pascoli, gli orrori della caserma di Bolzaneto, il sopruso che rende illegittima la legge. Significativamente Ferraris, tra i tanti, cita un episodio avvenuto durante uno dei tanti scontri di Genova tra manifestanti e forze dell'ordine: un giornalista del tg3 chiede ad un sindacalista della polizia: "ma perchè avete attaccato?" E questi risponde trafelato: "non ha visto? Perchè si avvicinavano minacciosi!" Il difensore della legge, a comando, si è deformato in strumento del potere, che alla fine si è rivelato usurpatore della legge stessa; a farne le spese è la moltitudine, sempre più numerosa, dei manifestanti, che non può fare altro che urlare in piazza la propria protesta, contro la globalizzazione ingiusta e disumana, contro il sistema dello sfruttamento dell'economia forte sull'economia debole, contro l'inazione sui problemi dell'inquinamento, contro l'inazione sulle guerre che non fanno comodo, una moltitudine che, seppur variegata ed eterogenea, costituisce un fronte comune di opposizione; a farne le spese è stato Carlo Giuliani e le centinaia di feriti; a farne le spese sono tutti quelli che credono nella democrazia, che non può esistere senza opposizione. Lo scorso luglio eravamo tutti a Genova, fuori dalla zona rossa

 

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Da Pickwick del 29 aprile 2002

 

La recensione

I silenzi della zona rossa

"Quanto poi alle creste del drago, non si trova nessuno
che le abbia vedute" (Plinio il Vecchio, XI, 122)


 

di Cristiano Armati

"Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione". Lo scriveva Guy Debord, e tutto ciò che è successo a Genova in occasione del G8 sembra confermare le parole dell’intellettuale francese: una città intera sacrificata alla scenografia di una battaglia dove, tra le moltitudini di sigle e strane infiltrazioni, ognuno poteva scoprirsi straniero a se stesso e arrivare all’improvviso dove si è sempre soli, come è successo a Carlo Giuliani.

Ambientato tra il "G8 e dintorni", il libro di Mizio Ferraris prova, da una prospettiva moderata, a risalire la corrente sfociata nel mare noglobal: Porto Allegre, Seattle, la Tobin Tax, gli accordi di Kyoto…

Scritto in forma di dialogo, I silenzi della zona rossa (Fratelli Frilli Editori, pp. 240, euro 16,53) ha il pregio di raccontare l’infuocato luglio genovese attraverso una geografia locale minuta e dettagliata. Particolari spesso perduti da tante grandi narrazioni dei fatti di Genova, confusi da un panorama variegato di progetti politici e di istituzioni e da un vasto assortimento di grandi marche multinazionali con le quali fare i conti. Per contro una reazione sociale forte e disarticolata, eppure palpabile e diffusa: dai gruppi anarchici tedeschi, alle parrocchie di campagna. 

Il libro di Ferraris, di tono didascalico, contiene una vasto apparato documentario: schede, fotografie, ritagli di stampa. Una sorta di archivio portatile che, prudentemente, si apre con una citazione dell’antico storico Plinio il Vecchio: "Quanto poi alle creste del drago, non si trova nessuno che le abbia vedute". Perché tra le vie di Genova, in quei giorni tra il 17 e il 23 luglio, il drammatico e il fantastico non trovarono altra soluzione che sciogliersi in un grande paradosso: come evento, il G8, "da solo è costato quanto il debito estero di Malawi, Mali, Mozambico e Burkina Faso insieme".

Perché la rappresentazione, di cui parlava Debord, non ha certo la qualità della realtà di cui, al massimo, riesce a essere simulacro… e poi perfino a costare di più!





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