Supercarcere Asinara
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Il Corriere della Sera
L'Asinara, viaggio nell'isola dei dimenticati
di Luca Orsenigo

Le due città
Asinara, isola da ricordare

Alto Adige
Asinara, l'ispettore racconta

di Mauro Di Giangiacomo

Il Roma
Supercarcere Asinara

La Nuova Sardegna
L'Asinara e le storie del supercarcere
di Gianni Bazzoni

La Nuova Sardegna
Viaggio nei ricordi dell'Asinara, isola dei dimenticati

di Andrea Massidda

La Nuova Sardegna
«Così boe tradì la nostra fiducia»

di Andrea Massidda

La Nuova Sardegna
L'Asinara e il carcere, un libro sui detenuti

 


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Da Il Corriere della Sera del 2 settembre 2003

L'Asinara, viaggio nell'isola
dei dimenticati


di Luca Orsenigo

L'attacco: "Sono arrivato sull'isola nel 1965, in un giorno di maggio. Avevo 23 anni e un piccolo cassetto di ricordi legato, soprattutto, alla mia infanzia e alla mia precoce adolescenza. Sono un prodotto del dopoguerra e in quei tempi, dentro la nostra Sardegna c'erano poche scelte: restare a raccogliere speranze o tentare di andare via: una partenza che non doveva essere un tradimento, una partenza che doveva ricondurci dentro questa terra. (…) Avere dentro il fuoco, quello che si vive a venticinque anni, che si raccoglie negli sguardi e nei profumi, che si mischia nei pensieri, che si contorce nella branda di una caserma angusta, dimenticata e da dimenticare, dentro un'isola che è una prigione e dalla quale, nel 1965 si poteva ottenere una licenza ogni tre mesi, era una condanna non contemplata."

Il tema: Già la parola supercarcere è di per sé un'enormità e qui, in questo romanzo nato dalle parole di Lorenzo Spanu, agente di custodia, ma tradotto sulla carta da Giampaolo Cassitta, educatore all'Asinara dall'85 al '98, tutto è enorme ed eccezionale. A prima vista almeno. Poi la vita vissuta su quell'isola dimenticata si fa a tratti dolce e generosa e l'abnorme che contiene tanto umano, da lasciar affiorare emozioni e pensieri ritenuti, a primo acchito, del tutto banditi da quel mondo irreale, "un'isola acquario, dove il carcere sembrava solo un contorno." Vi si raccontano vicende tutto sommato normali se non fosse che si svolgono appunto in un ambiente che normale non lo è affatto. Lì uomini che panificano o tagliano i capelli, pur da carcerati, cercano di sfuggire alla stessa condanna che li accomuna ai carcerieri: camminare "sempre con gli occhi dentro i pensieri"; lì, solo le Brigate Rosse sono riuscite a portare un'inquietudine cattiva, perché loro "non parlavano, non dialogavano, dettavano esclusivamente i loro proclami. Non chiedevano e pretendevano con le minacce", mentre per gli altri, gli agenti di custodia, " non c'erano pensieri per i figli, per la moglie, per gli amici, non c'erano momenti di pausa, non avevamo occhi se non per i loro occhi…" Il carcere è stato chiuso nel 1998. Ora è un parco nazionale.

Perché leggerlo: Ce lo dice lo stesso Cassitta: "Perché è un libro della memoria e la memoria è sempre più importante di questi tempi; perché parla di un'isola ancora sconosciuta a molti italiani e perché infine vi si racconta di uomini che non sono eroi, ma hanno comunque scritto una piccola pagina di storia."
 

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Da Le Due Città del marzo 2003
 

Asinara, isola da ricordare

 

Esistono luoghi che sono stati teatro di storie allegre e tristi vissute da persone relegate ai confini del mondo sociale. Luoghi fisici ormai abbandonati perché il tempo li ha superati, luoghi della memoria per chi ci ha vissuto.
L’isola di Asinara, con i suoi edifici penitenziari vuoti, costruiti vicino ad altri edifici più remoti e diroccati, un tempo destinati a lazzaretto, con le abitazioni degli agenti e di tutte le altre persone che si sono trovate a doversi trasferire sull’isola per lavoro, è uno di quei luoghi della memoria, ora destinato ad essere un parco naturale.
Nel suo secondo libro sull’isola-carcere, Giampaolo Cassitta, ritorna idealmente all’Asinara per dare voce a un narratore che ha vissuto sull’isola dal 1965 fino alla chiusura del penitenziario. L’io narrante del libro è infatti un Brigadiere, il Brigadiere Spanu, oggi Ispettore di Polizia Penitenziaria ad Alghero, che all’Asinara approdò come agente all’età di 23 anni e che con Cassitta, educatore nel carcere, ha condiviso una condizione umana che ha dell’eccezionale.

Nessun altro luogo come una piccola isola, infatti, può rappresentare simbolicamente temi diversi come la costrizione, la prigione, il ritorno alla natura, il viaggio interiore dell’uomo, l’intensità e il bisogno dei rapporti affettivi, il tempo fermo, l’astoricità e l’isolamento sociale, i confini invalicabili e infine il ritorno e la crescita dopo l’addio al luogo che ha nutrito e accolto nonostante la non-scelta di abitarlo. Si pensi all’Isola misteriosa di Verne, elogio dell’homo faber, a Robinson Crusoe, all’Isola di Arturo di Elsa Morante con il tempo fermo di un’infanzia lasciata a se stessa, o al recente Cast away. Si trova sempre una scoperta “interiore”, una scoperta di se stessi e della natura, di se stessi con gli altri, delle proprie capacità, in una dimensione estrema e caratterizzata dalla messa alla prova.

Nella Premessa del libro Cassitta dichiara che intende raccontare le piccole storie di gente dimenticata, che è esistita ma della cui esistenza non si parla mai nella Storia con la S maiuscola, che esiste e incarna qualcosa di universale che ha tutto il diritto di essere tratto dall’abbandono. Queste storie, vissute dal Brigadiere a volte in prima persona, a volte molto da vicino, raccontate nelle lunghe sere invernali davanti al fuoco, quando l’ultima pilotina era partita e l’isola era veramente “isolata”, sono narrate nel libro insieme ai ricordi di un lavoro e di una vita trascorsi ai confini del mondo. Solo due delle storie sono parte della memoria personale di Cassitta.
Ogni racconto è preceduto da una citazione in epigrafe che orienta nella lettura e rivela un amore profondo per la scrittura e la letteratura. Lo stesso amore che nell’episodio Il brigadiere e il professore porta il narratore a interrogarsi su Emilio Lussu e la guerra dei generali contro i soldati durante il massacro della Grande Guerra, sul significato della disciplina militare.

Molti degli episodi raccontati sono accaduti negli anni ’60 e ’70, prima della riforma e della legge Gozzini. Le fotografie in bianco e nero che arricchiscono il libro sono un documento di come era l’isola e di come vi vivevano i detenuti, gli agenti e le altre persone che lavoravano nel penitenziario e che in molti casi avevano portato con sé la famiglia. Altri episodi sono più recenti e toccano il periodo tragico della presenza dei brigatisti rossi a Fornelli e della loro identificazione degli agenti come nemici da distruggere.

Del narratore, si rivela l’amore per una terra su cui è approdato per caso e di cui non conosceva l’esistenza; si rivela la capacità di provare soddisfazione per un lavoro tecnico, manuale, ben riuscito (si veda la costruzione della foresteria o del campanile); la capacità di comunicare tale soddisfazione ai detenuti che lavorano con lui, uniti nell’impegno della realizzazione di qualcosa di veramente importante; la capacità di ascolto della sofferenza della detenzione; la lealtà e il rispetto della dignità dei detenuti.

Si percepisce anche la comprensione bonaria delle piccole furbizie, o espedienti, messi in atto dai condannati, della loro allegra vitalità. Si sente nel narratore la capacità di identificarsi, di capire e di accettare le diversità, senza lasciarsi coinvolgere, restando capace di cogliere la profonda umanità di certi comportamenti e di provare un sentimento di ottimismo.

I racconti parlano della vita e, purtroppo, anche della morte sull’isola, della sfida alle condizioni proibitive del mare quando soffiava il levante e si trattava di salvare qualcuno, della reclusione degli stessi agenti sull’isola e di stratagemmi ingegnosi per sopravvivere all’isolamento doloroso, del rispetto delle regole del gioco e della solidarietà: si veda l’episodio del detenuto che, pur potendo approfittare di una situazione favorevole alla sua fuga, decide di soccorrere l’agente che è svenuto e riporta il moschetto al capodiramazione.
La fuga vista come fantasia necessaria alla mente, come diritto dei detenuti nel gioco dei ruoli con gli agenti.

E poi il lavoro. Il lavoro all’Asinara era ciò che rendeva quel carcere molto diverso da tanti altri carceri d’Italia: a lungo si narra dei detenuti “sconsegnati” che trascorrevano la loro giornata liberi di girare per l’isola pascolando gli animali o coltivando la terra, di cucinare il loro cibo negli ovili, di amare e curare le bestie, di stabilire l’antico rapporto gratificante che lega l’uomo agli animali domestici. Tutto ciò non sarebbe stato possibile in un carcere di cemento e ferro, uno di quei carceri che sono stati costruiti nelle zone periferiche delle città. E all’amore per la terra e i suoi frutti, all’amore per gli animali, condiviso da detenuti e non, i racconti lasciano molto spazio.

La prigionia diventa lentamente, oltre che il tempo della sofferenza, il tempo dell’amore verso la natura e l’alternarsi delle stagioni.
La grande consolazione che le piante, gli animali, il mare, il semplice guardare il mare, regalano a tutti gli esseri umani ha avuto una parte importante per le persone che per diverse ragioni si sono trovate all’Asinara. Non a caso, il carcere più afflittivo, il carcere borbonico di Santo Stefano di fronte a Ventotene, aveva struttura circolare e le finestre delle celle erano rivolte non verso il mare e l’orizzonte, bensì verso la piazza d’armi interna, dove venivano eseguite le pene corporali e le condanne a morte.

Il momento della partenza dall’isola, per ritornare al mondo più vasto, è il momento della nostalgia o del vuoto: in uno spazio limitato e isolato – quale è qualsiasi carcere, e quello sull’Asinara in particolare, definito “acquario umano” – i rapporti umani sono per forza intensi e significativi. Ci si finisce quasi per caso, ma ci si deve restare. I compagni non si scelgono, ma si troveranno degli amici che mai si sarebbe pensato di trovare “fuori”. Si pensa sempre a come fare per andarsene, ma l’isola lascerà un segno dentro, un vuoto e una nostalgia.

Lo stile della narrazione è a volte poetico e rappresenta perfettamente gli stati d’animo, come l’esasperazione dei detenuti, la rabbia, la paura degli agenti durante la rivolta di Fornelli al tempo delle Brigate Rosse, l’entusiasmo e il riscatto di una vita disgraziata per un gol segnato da un detenuto durante una partita con una squadra di calcio vera. Altre volte è la ripetitività dei gesti ad essere rispecchiata nella ripetitività delle parole.

Alla fine della lettura ci si accorge che alcune domande nascono da molti racconti e si impongono all’attenzione: anzitutto, ci si domanda, come dovrebbe essere un processo penale? Infatti, la storia del detenuto Salenti raccontata nell’episodio Una condanna annunciata, fa riflettere su come sia vissuta una sentenza da parte di una persona che non si sente colpevole, che non capisce il significato della condanna, quando i giudici si limitano ad applicare gli articoli del codice senza ascoltare o capire o interpellare nel giusto modo. Come si deve parlare ad un uomo perché prenda coscienza della sua responsabilità? E come si fa a punire un uomo per i suoi comportamenti senza distruggere ciò che di positivo c’è in lui e il suo legame con il mondo? Il carattere mite e tollerante del narratore, anche disponibile all’umorismo, sembra un modo per cavalcare le onde e l’isola su cui arriva il naufrago-detenuto o il naufrago-agente, più o meno accogliente a seconda delle condizioni del naufragio, permette di ambientarsi con sentimenti ambivalenti e, tramontata l’illusione della fuga, dopo la partenza sarà dimenticata non senza nostalgia.


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Da Alto Adige del 3 marzo 2003
 

Il supercarcere dal 1965 al 1998

Asinara, l'ispettore racconta


di Mauro Di Giangiacomo

La «Cajenna italiana» raccontata da chi vi ha vissuto per 35 anni. Non un ergastolano, ma un ispettore della polizia penitenziaria, Lorenzo Spanu. In «Supercarcere Asinara», come è peraltro successo dal 1965 al 1998 sull'isola, s'intrecciano storie diverse: quella della clamorosa evasione del bandito sardo Matteo Boe e quella del palio degli asinelli; quella dell'agghiacciante rivolta brigatista del 2 ottobre 1979 e quella di un detenuto che sogna di segnare un gol alla squadra di Gianfranco Zola. Ergastolani tristi e allegri, imbroglioni e poeti, e con loro poliziotti che vivono storie paradossali. I colori ed i rumori di un'isola di dimenticati che avevano qualcosa di inverosimile da raccontare. Un libro di piccole storie che nessuno voleva più narrare, ma che attraverso i ricordi di Spanu prendono corpo, per rimanere indelebili nella memoria. Lorenzo Spanu, che all'Asinara ha vissuto per decenni con moglie e figlia, l'uomo che nel 1998 ha metaforicamente «consegnato le chiavi» dell'isola, è accompagnato nel suo racconto da Giampaolo Cassitta, educatore all'Asinara dal 1985 al 1998.


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Da Il Roma del 7 febbraio 2003

Supercarcere Asinara 


Un gioco della memoria attraverso gli occhi di un ispettore di polizia penitenziaria che ha vissuto 35 anni sull'isola che è stata, per un lungo periodo, la Cajenna italiana. I suoi ricordi si mischiano in colori diversi e netti: l'azzurro del mare, il giallo dell'estate isolana, il rosso del sangue. Le storie, alcune magiche, altre poetiche, altre dure, durissime, raccontano un'isola di dimenticati dal 1965 al 1998, anno della definitiva chiusura del carcere.
È un intreccio strano questo libro. Può essere all'apparenza una carrellata di racconti su un'isola che è stata per molti anni al centro dell'attenzione. Ma non è questo. Non è solo questo. Scopriamo la verità sull'evasione più incredibile: quella del bandito sardo Matteo Boe; viviamo con gli occhi dei poliziotti l'agghiacciante rivolta del 2 ottobre 1979, quella delle Brigate Rosse durante gli anni di piombo, ma non solo.
L'intreccio ci porta alla scoperta di uno strano palio degli asinelli che aveva come fantini i detenuti; oppure riusciamo ad innamorarci di un detenuto che gioca una partita di calcio e vive nella speranza di poter segnare un gol alla squadra di Gianfranco Zola. Conosciamo detenuti tristi, allegri, imbroglioni, poeti, ma anche poliziotti che vivono storie inverosimili, minimali, tutte molto colorate. Dentro questo libro i colori e i rumori di un'isola di dimenticati che avevano qualcosa di inverosimile da raccontare. Un libro che per la prima volta racconta l'Asinara attraverso gli occhi di chi vi ha veramente vissuto e vi ha sorriso, ha pianto, ha urlato. Un libro di piccole storie, che nessuno aveva voglia di raccontare e che, attraverso i ricordi di un testimone, l'ispettore di polizia penitenziaria Lorenzo Spanu, prendono corpo e rimangono immagini indelebili nella memoria.
Gli autori del volume sono Giampaolo Cassitta e Lorenzo Spanu. Giampaolo Cassitta, albergatore di adozione, è stato educatore nel carcere dell'Asinara dal 1985 al 1998. Attualmente è direttore coordinatore di area pedagogica presso la Casa di Reclusione di Alghero. Laureato in Pedagogia presso l'Università di Sassari, ha collaborato in percorsi di formazione presso la facoltà di giurisprudenza e scienze dell'educazione della stessa università. Svolge dal 1983 il suo lavoro presso il Ministero di Grazia e Giustizia, dove ha collaborato presso l'istituto Superiore Studi Penitenziari e la scuola di Formazione di Roma.
Lorenzo Spanu, di Pozzomaggiore è arrivato all'Asinara nel maggio del 1965 come agente di custodia. È stato lui a consegnare metaforicamente le chiavi nel 1998, quando da comandante degli agenti di polizia penitenziaria abbandonava definitivamente l'isola che diventava parco nazionale. In quell'isola ha vissuto per anni con la moglie e con la figlia. Oggi è comandante di reparto del carcere di Alghero ma l'Asinara è rimasta il suo grande cassetto di ricordi che ha raccontato (sempre in minima parte) in questo libro.

Giampaolo Cassitta, Lorenzo Spanu
"Supercarcere Asinara. Viaggio nell'isola dei dimenticati"
Fratelli Frilli Editore - Euro 14,50


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Da La Nuova Sardegna del 2 gennaio 2003

L'Asinara e le storie
del supercarcere
 

Un gioco della memoria nei racconti del «vecchio» ispettore
Spanu. Parole e aneddoti per descrivere la colonia proibita

 

di Gianni Bazzoni

PORTO TORRES. Le storie dell'Asinara. Alcune magiche, poetiche, altre ancora dure, anzi durissime. Raccontano l'isola dal 1965 al 1998, anno della chiusura del carcere. Sono trascorsi cinque anni e un libro racconta quelle storie. Uniche, impossibili in qualsiasi altro carcere d'Italia.
E' un gioco della memoria, attraverso gli occhi di un ispettore di polizia penitenziaria, Lorenzo Spanu, che nell'isola ha trascorso 35 anni. Per la prima volta l'Asinara viene raccontata con gli occhi di chi vi ha veramente vissuto. Con i testi scritti da Giampaolo Cassitta, che all'Asinara ha lavorato come educatore dal 1985 al 1998, le storie dell'ispettore Spanu prendono corpo e rimangono immagini indelebili nella memoria dell'isola. Il libro «Supercarcere Asinara, Viaggio nell'isola dei dimenticati», propone storie, anche minime, che nessuno aveva voglia di raccontare e che, invece, valeva la pena di raccontare. Alcune sono vicende inedite. Come quella di Marta, la bambina di 5 anni, figlia di un agente. La bambina era un pò la figlia di tutti, simbolo di allegria. Insieme alla sorellina Francesca giocava nell'isola, non riconosceva i detenuti dalle guardie. Una sera Marta si sentì male, una lotta disperata contro la malattia. Morì nonostante i tentativi di salvarle la vita. Ancora oggi «gioca nei colori dell'Asinara, dorme nel cimitero di Cala d'Oliva».
Ci sono anche le gioie, come quella di segnare un gol alla Torres di Gianfranco Zola che, nel 1986, era stata appena promossa in C1. «In carcere un gol è un sussulto che regala libertà». Tammaro, il detenuto dai piedi buoni che aveva vinto la classifica dei marcatori dell'ultimo campionato dell'Asinara per la diramazione di Campu Perdu. Sognava di fare un gol ai rossoblù, di essere per un secondo come Gianfranco Zola. Tammaro segnò quella rete, cancellò lo zero dal tabellone. Una gioia immensa, la stretta di mano e i complimenti di Zola.
La rivolta di Fornelli, nel 1979: «...Il boato che lacera il silenzio», le caffettiere usate come bombe dai terroristi, le forchette di plastica sciolte dentro le toppe dei cancelli e le chiavi che non entrano. E i tanti tentativi di evasione, fino a quella anomala, ma riuscita, di Boe e Duras. Se ne andarono da Cala di Sgombro di fuori, una zona impossibile. E quando scattò l'allarme, le vedette bloccarono un gommone (a Cala di Sgombro di dentro) con tre persone a bordo, senza documenti. Ma erano tre...innocenti vigili del fuoco impegnati in una esercitazione. L'alro gommone, quello della fuga, venne ritrovato una settimana dopo a Stintino.
Infine «Io, tu e i gabbiani». Una storia bellissima del rapporto-sfida tra due poeti, il detenuto e il direttore (all'epoca dei fatti Cardullo) nome in codice «Condor». Scrisse: «...Anche un pazzo che si crede un dio, costruisce i sepolcri: e li sparge dentro un'isola che per noi è notte; dove forze dello Stato con fatica la tengono in moto: noi viviamo dentro le tombe e le estreme sembianze di cadaveri che dentro questa terra abbiamo ma, ci resta l'onore amor mio e quello non si vede». Il direttore gli urlò «Sei un blasfemo». Il detenuto fu trasferito prima della rivolta, il direttore strappò quella poesia che, in fondo, conteneva una seria verità.


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Da La Nuova Sardegna del 27 dicembre 2002

Viaggio nei ricordi dell'Asinara
isola dei dimenticati
 

Un agente di custodia che ha vissuto 35 anni nel
penitenziario ne racconta in un libro storie e aneddoti

 

di Andrea Massidda

C'era una volta un'isola bella e maledetta, dove il tempo scorreva per conto suo e durante la notte il suono delle onde e dei grilli si mescolava ai lamenti di chi la abitava. Un'isola - dicono quelli che l'hanno conosciuta bene - dove tutti sbarcavano piangendo e andavano via con le lacrime agli occhi, dove ci si divertiva con poco e dove guardie e ladri condividevano lo stesso destino di detenuti, regalandosi a loro modo quotidiani scampoli di umanità.
Ora quell'isola, l'Asinara, non è più la cayenna italiana, soggiorno obbligato per prigionieri eccellenti e sconosciuti. Anzi, è diventata un parco nazionale, un paradiso ritrovato. Eppure è ancora lì, a resistere impassibile alle levantate che la separano dalla vicinissima Sardegna. È ancora lì, con i suoi asinelli bianchi, i suoi casermoni e le sue storie al limite del credibile. Storie che prima o poi qualcuno doveva raccontare.
Lo ha fatto Lorenzo Spanu, ospite di quel luogo stregato per 35 anni: da quando, nel 1965, ci era arrivato come agente di custodia, a quando, liberato l'ultimo detenuto, nel febbraio del 1998 ha metaforicamente riconsegnato le chiavi col grado di vicecomandante. A trasformare i suoi mille frammenti di memoria in un libro ci ha poi pensato Giampaolo Cassitta, attualmente direttore dell'area pedagogica al penitenziario di Alghero. E' nato così «Supercarcere Asinara, viaggio nell'isola dei dimenticati» (ed. Frilli, 211 pagg., euro 14,50), un commovente amarcord da leggere - parola degli autori - ascoltando in sottofondo «Via del campo» di Fabrizio De Andrè, specie per quei versi che concludono: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori».
Va detto subito che seppure all'Asinara abbiano soggiornato nomi per diversi motivi celeberrimi (si va da Gaetano Badalamenti a Raffaele Cutolo, da Totò Riina a Giuseppe Brusca, da Renato Curcio ad Alberto Franceschini), Cassitta e Spanu scelgono di riportare alla luce le vicende dei detenuti ignoti, i dimenticati del sottotitolo, appunto. Il perché lo spiega lo stesso Cassitta: «Mi è sempre rimasta in mente una frase ritrovata in un lager nazista e poi ripescata dallo scrittore Luis Sepulveda. Era quella che diceva: "Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia"».
Bastano poche pagine del libro per capire che la decisione di narrare aneddoti minimi è stata azzeccata. Piccole storie come quella del detenuto Sirgenti, che manco fosse in un film di Totò e Peppino De Filippo passava il tempo a illustrare l'arte del borseggio a un brigadiere della polizia, o come quella di un poveretto graziato dopo vent'anni, che non voleva saperne di lasciare l'isola senza il suo asinello Bobò: dal punto di vista letterario non hanno nulla da invidiare ai racconti sulle stravaganze dei boss mafiosi o a quelli sull'indomabilità dei brigatisti sottoposti al famigerato "41 bis". Così come l'evasione (fallita) dello sconosciuto legionario Pavlov lascia con il fiato sospeso quanto quella del celebre Matteo Boe, l'unico ad averla fatta franca fuggendo da questa Alcatraz del Mediterraneo.
I racconti di Cassitta, che pur non essendo uno scrittore di professione dimostra notevoli doti narrative, sono proprio come l'Asinara: strappano malinconia e sorrisi. Si pensi all'emozione quando - era il 1986 - la Torres appena promossa in C1 giocò sull'isola un'amichevole con una selezione di detenuti (per la cronaca finì 1-4 ma quel gol, quell'unico gol dei "padroni di casa" fu festeggiato come quello di Rivera in Italia-Germania 4-3). O all'amara fine della piccola Marta, figlia di un'agente di custodia e nipotina acquisita di tutti i detenuti, protagonista di una favola che avrebbe potuto trovar spazio nel «Cuore» di De Amicis. E ancora allo straordinario rito del Palio degli asinelli, corsa che una volta all'anno prevedeva la sentitissima sfida di sette detenuti-fantini in rappresentanza di altrettanti penitenziari dell'isola. «Finì tutto nel'77 - ricorda Spanu - quando l'Asinara divenne improvvisamente un luogo importante». L'anno dopo, infatti, arrivarono i terroristi.
Ai detenuti eccellenti è dedicato l'ultimo capitolo del libro. Pur trattando l'argomento in maniera piuttosto sbrigativa (a Cutolo, che all'Asinara si è persino sposato, sono riservate giusto poche righe) gli autori mettono in evidenza come fossero molto diversi, ad esempio, gli atteggiamenti dei mafiosi e dei brigatisti: gli uomini di Cosa Nostra, potenti e sereni; gli altri, sognatori ideoligicizzati e intransigenti: «Riina era sempre molto gentile, molto accondiscendente ai regolamenti, se ne stava tranquillo a leggere le vite dei santi e a scrivere brevi lettere alla moglie - spiegano Spanu e Cassitta -. Ottenere rispetto dai terroristi, invece, era quasi impossibile: ci vedevano non come servitori ma come "servi dello Stato", ci disprezzavano, ci minacciavano di morte: ogni volta che avevamo a che fare con loro la tensione era altissima». Tanto che la mattina del 2 ottobre del 1979 si arrivò a quella che è poi rimasta famosa come «la rivolta di Fornelli», dal nome della diramazione più dura dell'Asinara. Una sommossa accuratamente raccontata dalle cronache dell'epoca e dagli stessi rivoltosi, ma che non era mai stata descritta da chi fu costretto a sedarla.
Il romanzo storico di Spanu e Cassitta si conclude con l'incontro/scontro tra un direttore del carcere con la passione per la poesia e Liselli, «il dottor Liselli», un terrorista di grande cultura umanistica. Lo strano rapporto tra i due assume metaforicamente l'aspetto di una querelle tra antichi e moderni, tra reazionari e rivoluzionari. Il direttore (identificabile in Luigi Cardullo, che più avanti finirà in carcere per peculato e truffa ai danni dello Stato), in preda a deliri di onnipotenza pretende di redimere il brigatista costringendolo a comporre versi sulle bellezze naturali dell'Asinara. Ma Liselli, dopo venti interminabili giorni di isolamento, trova il modo di resistere salvando la dignità.


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Da La Nuova Sardegna del 27 dicembre 2002

«Così Boe tradì la nostra fiducia» 

L'autore del libro racconta i tanti tentativi d'evasione
e l'unico riuscito: la fuga della primula rossa di Lula

 

di Andrea Massidda

Una volta ci provò un certo Serafini, giusto perché voleva dimostrare e a se stesso e ai suoi compagni di cella che era in grado di compiere qualcosa di eclatante. Rimase nascosto per qualche ora, poi si riconsegnò spontaneamente agli agenti. Ci provò anche tale Pierdesi, e nel modo più classico: segando le sbarre. Ma, proprio come nei film, fu paralizzato dal fascio di luce di una torcia. C'è stato persino chi ha riempito di vettovaglie le lenzuola per modellare un corpo dentro il letto e ingannare le guardie, e chi invece ha attraversato il mare con due borse d'acqua calda legate intorno al corpo. Zero, nisba, finì male anche in quelle occasioni. Fuggire dall'Asinara era un progetto destinato a rimanere nei sogni di ogni detenuto: ci avevano provato in molti, ma nessuno ci era riuscito. Almeno sino al fatidico primo settembre 1986, «quando l'evasione dall'isola diventò materialmente possibile», racconta Giampaolo Cassitta, che all'epoca era lì in veste di educatore. L'artefice della memorabile impresa? Un ventottenne di Lula il cui nome ancora diceva poco e niente: Matteo Boe. Lo stesso bandito che qualche anno più tardi conquistò le prime pagine di tutti i giornali per aver mozzato un orecchio al piccolo Farouk Kassam.
«Quell'evasione fu un trauma per tutti, in un attimo ci rendemmo conto che dall'isola si poteva realmente scappare: il re era nudo - racconta ancora Cassitta, spiegando quanto avvenne -. Ho in testa il sudore degli agenti di custodia che perlustravano la campagna, un sudore che si mischiava al profumo dell'erba».
Boe in realtà non era solo. Con lui si era avventurato anche Salvatore Duras, in carcere per furto. Duras fu presto riacciuffato, Boe invece riuscì a squagliarsela in Corsica e a rimanere latitante per ben sei anni.
Il piano di fuga era perfetto, studiato a tavolino: dopo aver tramortito una guardia, i due raggiunsero la costa in una cala dove una donna li aspettava nascosta a bordo di un gommone. La donna, Laura Manfredi, emiliana, era la compagna di Boe. Gli autori non lo dicono, ma è concreta l'ipotesi che Boe sia stato prelevato da uno «scafista» esperto. «Fu un piano ben studiato, ma a dire il vero anche la fortuna giocò un ruolo determinante - continua Cassitta -. E poi, con la Legge Gozzini data per imminente (fu approvata il mese successivo), nessuno si poteva immaginare un'evasione, tutti pensavano che sarebbe stato più facile ottenere un permesso».
Ma se è vero che, come dice Cassitta, «ogni detenuto ha un diritto recondito a cercare la fuga», è vero anche che persino un'evasione ha delle regole d'onore. E queste regole, a sentire gli autori di «Supercarcere Asinara», Boe non le rispettò. «Proprio così, non fu leale - ricorda il vicecomandante Spanu, allora brigadiere della polizia penitenziaria -: approfittò di non essere un sorvegliato speciale e in più sapeva bene che malmenando un agente, come ha fatto, stava infrangendo un patto ferreo tra detenuti e guardie carcerarie».
Boe, fisico da atleta, con quella fuga rocambolesca entrò nella leggenda. I media parlarono di "Papillon" e qualche rivista lo descrisse persino biondo e con gli occhi azzurri. «Invece - conclude Spanu - ha sempre la faccia dura e acerba, sfrontata, ma sa, lo sa dentro, che la sua evasione, seppure ritenuta eclatante, è un'evasione piccola di uno che non ha saputo giocare».


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Da La Nuova Sardegna del 17 dicembre 2002

L'Asinara e il carcere
un libro sui detenuti
 

ALGHERO. «Raccontare piccole cose di uomini forse dimenticati, derisi, inascoltati che non hanno le stigmate di eroi». Questo è l'impegno di Giampaolo Cassitta, per anni educatore nel carcere dell'Asinara, e di Lorenzo Spanu, vice-comandante delle guardie penitenziarie dell'isola-carcere, che è confluito in una serie di racconti, tutti reali ma spesso con nomi di personaggi fittizi, raccolti nel romanzo Supercarcere Asinara. Il libro, edito dalla Frilli Editori, è stato presentato venerdì al Poco Loco, nell'ambito della rassegna, curata dalla libreria "Il Labirinto", dedicata agli incontri con autori. I racconti di Cassitta e Spanu sono stati veicolati dalle domande di G.B. Puggioni di Videolina. La serata ha offerto, attraverso le risposte degli autori, uno spaccato della vita sull'isola dal 1965 fino alla chiusura del penitenziario, avvenuta nel 1998, per permettere la creazione del Parco nazionale dell'Asinara.
Le storie si sono concentrate prevalentemente su persone comuni, trascurando quasi del tutto detenuti famosi, per dare voce a quelli dei quali nessuno, altrimenti, avrebbe parlato.


 

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