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Lamento in morte di Carlo Giuliani
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La Repubblica - Bari
Il sangue e le follie di Genova. I versi da
'brivido' di Vendola di Ignazio Minerva
La Repubblica - Bari
Nella Diaz mattanza di calzini crocifissi e
termosifoni piangenti di Ignazio Minerva
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Dall'edizione barese di Repubblica
del 20 settembre 2001
Il sangue e le follie di Genova
I versi da 'brivido' di Vendola
Il poeta e parlamentare di Rifondazione comunista ha pubblicato
la sua terza opera, 'Lamento in morte di Carlo Giuliani'
Di Ignazio Minerva
«La speranza se non è uno spot elettorale, se non è semplicemente un'attitudine
retorica può nascere soltanto come distillato del dolore». Nel "Lamento in morte di
Carlo Giuliani", Nichi Vendola, parlamentare e poeta, ha affidato la sofferenza e la speranza a
otto liriche e due filastrocche, per raccontare le "quattro giornate" di Genova. Questa è
la terza opera in versi, dopo "Prima della battaglia" (Milano,1983), un libro sulla malattia,
sul rapporto di una donna col cancro, e il volume dedicato a Dario Bellezza, uscito poco dopo la sua morte,
nel 1996, e dal titolo "La debolezza".
«I miei riferimenti, le suggestioni forti -- spiega Vendola -- sono la poesia alessandrina e il
Novecento italiano da Montale a Sandro Penna, passando per Pasolini. Un filone di ricerca su cui ho passato
molti anni è stato quello della poesia di lingua spagnola: Miguel Hernàndez, Federico Garcia
Lorca, Rafael Alberti e Pablo Neruda. Ho un rapporto maniacale con la scrittura e in particolare con la
comunicazione lirica, ma sono sempre stato attento a non coniugare in forma propagandistica o didascalica
la passione poetica e quella politica».
Questo libro può rappresentare la violazione di una zona rossa, come quella dei sentimenti ?
«Ci sono delle zone rosse che non bisognerebbe violare, e non sono quelle dei potenti, ma le zone
rosse della nostra sfera più intima, delle cose più deboli che abbiamo: temevo come fatto
puramente privato di aver oltrepassato il confine della sensibilità dei familiari di Carlo Giuliani.
Invece l'incontro con i genitori, le parole che mi ha detto la madre, l'abbraccio "infinito" che
c'è stato tra noi, mi hanno molto confortato. La madre di Carlo, per la prima volta, dopo la lettura
delle poesie ha chiesto di parlare. E poi c'è una zona rossa personale, creata da un intreccio di
ansie. Quando si fa un libro è come avere un figlio. E un libro di poesie è un figlio
particolare, disabile, perché non ha le abilità comunicative che hanno le altre forme di
scrittura. È programmaticamente una comunicazione oscura, cifrata. Diventi ancora più
protettivo, non soltanto perché lo ami di più in quanto questo figlio rischia di più,
ma perché sai che come sempre l'handicap è in primo luogo un prodotto della mente degli altri,
e i normodotati non sospettano quante straordinarie abilità, risorse comunicative possano essere
liberate».
Quanto gli ultimi avvenimenti americani hanno spostato in là il confine del "niente sarà come
prima" ? Non c'è il rischio che gli episodi di Genova, in un'emergenza planetaria diventino
immateriali ?
«I fatti di Genova hanno causato la repentina maturazione di un movimento che stava vivendo la sua
infanzia. E che a muso duro è stato costretto a diventare adulto. La memoria orale, delle foto, dei
film, delle scritture hanno strutturato un punto fermo nel presente e nel futuro di questo movimento. In
qualche maniera New York e Washington sono state una seconda, potentissima prova, perché pur
assumendo simboli polemici analoghi a quelli del movimento, i fatti americani sono la negazione di qualunque
critica positiva e progressiva dell'impero americano. Siamo costretti a cambiare molte cose: la
sovrapposizione dell'impero americano al suo popolo oggi non funziona più, perché il popolo
americano ha fatto un'esperienza estrema e brutale della condizione di vittima. E il potere sopraffattorio,
totalitario e repellente lì è quello del terrorismo: avere esitazioni a schierarsi dalla parte
delle vittime sarebbe il disvelamento di un'ipocrisia insopportabile».
C'è chi allude a maggiori affinità tra noglobal e terrorismo.
«Il fondamentalismo è una brutta bestia e recluta tra i cosiddetti laici molti più
adepti di quanto non si immagini. Questo discorso è il cedimento alla semplificazione manichea,
è davvero il trionfo di Bin Laden e del suo schema: allora ha vinto lui. Siccome penso che abbia
torto, non voglio rinunciare a essere un critico radicale della globalizzazione capitalistica e dell'american
way of life, sentendomi oggi, senza infingimenti, senza "ma" e senza "se", dalla parte
del popolo americano, con la condivisione di quell'immensa tragedia».
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Dall'edizione barese di Repubblica
del 20 settembre 2001
Nella 'Diaz' mattanza di calzini
crocifissi e termosifoni piangenti
Le anticipazioni
Di Ignazio Minerva
«Otto liriche e due filastrocche: nelle prime sono l'io narrante, mi immedesimo in Carlo, provo a
pensare in una frazione di secondo che "mai più io sarò saggio !", mi identifico nel ragazzo che
guarda la sua sentinella, che magari lo ha picchiato in carcere. Lo guarda e gli dice: "ti giudico. Non
canto". Poi ci sono due momenti di memoria corale, Bolzaneto e Diaz, (la caserma della polizia
nell'entroterra presunto teatro di maltrattamenti e la scuola sede del Genoa Social Forum, dove si
verificò il blitz delle forze dell'ordine, ndr) raccontati attraverso uno sguardo esterno in una
dimensione di ballata, con le filastrocche, appunto. Quello che mi aveva colpito della Diaz nelle cronache
dei giornali erano tutti i calzini sparpagliati (la "mattanza dei calzini"), i crocifissi spaccati,
le pagelle insanguinate: tutto quello che rientra in quella nottata come compartecipazione della tragedia.
Sembra che i termosifoni piangessero e i rubinetti urlassero».
Nichi Vendola racconta il "Lamento in morte di Carlo Giuliani" (Fratelli Frilli Editori, prefazione
di Fausto Bertinotti). Ne "Il cancello" si parla dello sbocco, «con la consapevolezza che
bisognerà metabolizzare quest'esperienza, non cedere alle sirene degli schemi consueti che ti
impongono o di arrenderti al moderatismo o di prepararti ai servizi d'ordine: risposte sbagliate che
introiettano la violenza come dato permanente. Invece il punto è come espellerla per sempre
dall'orizzonte della progettualità. A nome di una speranza dico: lasciateci soli in salita, che da
soli cerchiamo l'uscita».
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