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Della vita privata dei
genovesi
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Tuttolibri
Tanta vita privata ma poca
privacy
di John Irving
La Padania
Una missione: riscoprire
Genova
di Elena Percivaldi
Il Secolo XIX
Vizi privati e poche virtù
dei genovesi nel medioevo
di Lucia Compagnino
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Da
Tuttolibri
del 17 gennaio 2004
Tanta vita privata
ma poca privacy
di John Irving
Questa ristampa di una monografia dello storico genovese
Luigi Tommaso Belgrano (uscita per la prima volta nel 1875) fa parte della
collana "Liguria storica", curata da Gabriella Airaldi, docente di
Storia medievale all'Università di Genova. Di quali genovesi si occupa Belgrano?
Un po' di tutti: "Le mie ricerche si drizzano specialmente all'età di mezzo;
tuttavia mi è occorso di varcare frequenti volte il confine...".
Il libro è diviso in quattro sezioni. Nella prima, sulle case, l'autore tratta
ogni elemento possibile e immaginabile - da porticati e le logge a finestre e
letti - senza trascurare alcun particolare. È capace anche di dedicare un intero
capitolo alle "Storie ritratte in alcune tappezzerie". Vita privata a scapito
della privacy, si potrebbe dire. Anche la terza e la quarta sezione - "Il
vestire" e "Il costume" - sono affrontate con dovizia di riferimenti
bibliografici. Pur corredata anch'essa di mille note e non priva di interesse,
la seconda parte, sul cibo, pare, invece, più approssimativa delle altre: "Due
pasti facevano essi, il pranzo e la cena. Carne di bue, cinghiali, caprioli,
montoni, agnelli, e castrati di Corsica e di Piemonte, pollame, pesca, e
cacciagione...". Non proprio il massimo, quanto a rigore storiografico. Insomma,
Belgrano sembra più interessato alla forma ("Accoglienze fatte ad alcuni
personaggi", "Vasellami preziosi", "Servizio e disposizione delle mense") che
alla sostanza. Un libro per pochi intimi? Forse, ma va comunque lodato il
progetto della piccola casa editrice Fratelli Frilli di ricostruire la
microstoria della propria regione.
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Da
La Padania
del 16 dicembre 2003
Una missione: riscoprire Genova
di Elena Percivaldi
Se la Liguria avesse i suoi "Ambrogini d'oro", uno dovrebbe
darlo senza dubbio ai Fratelli Frilli, piccoli editori genovesi
specializzati in temi di attualità con risvolti sociali, ma con un occhio di
riguardo alle tradizioni della sua terra. Da qualche mese, infatti, la Fratelli
Frilli Editori ha inaugurato una splendida collana dedicata - di nome e di fatto
- alla "Liguria storica". Imperativo categorico: scandagliare i banchi
degli antiquari e i settori "storici" delle biblioteche alla ricerca, paziente e
minuziosa, di "classici" del passato locale che raccontino aspetti curiosi e
interessanti della Liguria del tempo che fu. Il frutto, succoso, sono finora tra
volumi, uno più bello dell'altro. Il primo, uscito quest'estate e recensito su
queste stesse pagine, è "Le famiglie nobili genovesi" di Angelo M. G.
Scorza, vecchio testo del 1924 che rappresenta una delle prime, serie
indagini sull'araldica genovese.
A questo testo, ora, fanno compagnia altri due volumi di recentissima
pubblicazione: "La cuciniera genovese. Ossia la vera maniera di cucinare alla
genovese" di Gio Batta e Giovanni Ratto, e "Della vita privata dei
genovesi" di Luigi Tommaso Belgrano. Il primo, una vera e propria
chicca per amatori e curiosi, risale al 1863 e costituisce il primo saggio
completo della cucina del territorio genovese. Attraverso ben 481 ricette, il
testo mostra come la cucina della Superba abbia, nel corso dei secoli, risentito
dell'influenza dell'Oriente e del Mediterraneo (dovuta storicamente alla
partecipazione alle Crociate), con contaminazioni e sintesi di elementi
diversissimi tra loro, che mischiano il dolce e il salato, erbe e spezie. Il
volume, che presenta la prefazione del giornalista Paolo Lingua, esperto di
gastronomia, e dà la ristampa della 18ª edizione, si segnala anche per alcune
interessanti curiosità: i "Requisiti che deve avere una buona cuoca" - tra i
quali si apprende che «non dovrà prendere tabacco» e «studiare con assiduità i
gusti del suo padrone per imparare a seguirli e perfezionarsi nel suo lavoro» -,
"Alcuni consigli sulle provvigioni" - il formaggio deve essere «giallo, serrato
(senzûeuggi) stagionato e che faccia lacrima» - e soprattutto l'"Elenco di tutti
i pesci del mercato di Genova, la loro stagione e qualità e il modo di
cucinarli" (di ogni pesce si fornisce anche il nome dialettale). Completa il
volume un minidizionario genovese-italiano di voci ed espressioni che si usano
in cucina.
L'ultimo volume uscito, "Della vita privata dei genovesi", fu pubblicato per la
prima volta negli Atti della Società Ligure di Storia nel 1866. La Frilli
ripropone l'edizione a cura di L.T. Belgrano del 1875 che in quattro sezioni
("Le abitazioni", "Il mangiare", "Il vestire" e "Il costume") spiega com'era la
vita privata dei genovesi fra il XII e il XVI secolo con tante interessanti
curiosità. La collana Liguria Storica, ottimamente curata da Gabriella Airaldi,
professore di Storia medievale dell'Università di Genova, si affianca ad
un'altra serie davvero benemerita ideata dalla stessa casa editrice (e curata
sempre dalla docente): "Memorie Genovesi", di cui hanno già visto la luce
"Gli Annali di Caffaro" (1099-1163) e "Caffaro. Storia della presa di
Almeria e Tortosa".
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Da
Il Secolo XIX
del 9 dicembre 2003
Vizi privati e poche virtù
dei genovesi nel medioevo
di Lucia Compagnino
I genovesi del Medioevo? Ricchi e avari, prepotenti e
immorali. Vivevano
in palazzi splendidi ma sporchi, mangiavano in due nello stesso piatto e
bevevano allo stesso bicchiere anche nei banchetti più formali. Pigri
rampolli della nobiltà, sfacciate le donne e corrottissimo il clero.
Per "sbugiardare il troppo vieto e sempre citato adagio che il mondo
peggiorando invecchia", oltre che per colmare un colpevole vuoto
editoriale, lo storico genovese Luigi Tommaso Belgrano decise ne
1865 di scrivere il suo saggio più importante Della vita privata dei
genovesi, che oggi torna in libreria, nella seconda versione ampliata
dieci anni più tardi, nella collana Liguria Storica dei Fratelli Frilli (pag.
296, euro 19,50), curata da Gabriella Airaldi, docente di Storia
Medioevale all'Università di Genova.
Esistevano infatti molte monografie dedicate alle imprese storiche e
guerresche dei genovesi, altre sulle primizie in campo economico, ma
nulla sugli usi e costumi più casalinghi degli abitanti della Superba, tanto
che l'autore (1838-1895), segretario della Società Ligure di Storia Patria
e infaticabile promotore di studi locali e colombiani, decise di compulsare
«i documenti ufficiali e i protocolli dei notari» e di accogliere i consigli
degli amici storici Federigo Alizeri, Achille Neri e Marcello Staglieno, per
stendere questo testo di storia minima. Che volle dividere in quattro
grandi sezioni - le abitazioni, il mangiare, il vestire e il costume - e in tanti
capitoletti che facilitano la consultazione.
Concentrandosi sull'età di mezzo, fra il XII e il XVI secolo, ma
concedendosi alcune digressioni verso altre epoche, Belgrano ci guida
nell'intimità delle abitazioni dei nostri antenati e con uno sguardo un po'
da buco della serratura non trascura nessun argomento, dalle
tappezzerie alle immagini sacre, dalle acconciature ai cibi preferiti, dai
prezzi degli abiti alle consuetudini fra innamorati.
Scopriamo così ad esempio che i cicisbei, che a Genova si chiamavano
"braccieri", erano così diffusi che una legge del 1663 stabiliva che
venissero contati fra la servitù degli ambasciatori all'estero, mantenuti col
denaro pubblico. E che le ragazze usavano gettare dalla finestra «a
passanti frutta e fiori e detti ora dolcemente mordaci, ora carezzevoli».
Che gli uomini indossavano lunghe tuniche e scarpe a punta e si
profumavano i capelli. Che nel mar Ligure si raccoglieva il corallo e che
Giovanni Andrea Doria aveva una domestica il cui unico incarico era
confezionare le sue torte preferite. Che a tavola di solito si consumava
carne e cacciagione insieme a salse molto speziate, tanto che il
consumo del pepe nel medioevo viene paragonato dall'autore a quello
che i suoi contemporanei facevano dello zucchero o del caffè.
E infine, che anche Genova era città di torri, dato che ogni famiglia
nobile aveva la sua, ma il continuo abbattere e ricostruire a seguito delle
lotte fra fazioni fece rispolverare l'antica legge augustea che non le
voleva alte più di ottanta piedi, con la sola eccezione della Torre degli
Embriaci che ancora oggi svetta nello skyline, in memoria dell'illustre
vincitore della prima crociata, Guglielmo Embriaco.
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