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Salto di
specie
un noir di Andrea e Giovanni Cara
Le prime pagine del libro
I
Madrid, gennaio 2085
Quella mattina Francisco Menéndez Renales
si svegliò senza presagire che la storia del mondo conosciuto stava per cambiare
da un momento all’altro.
– Paco – si disse allo specchio – tu ti stai stracciando, con la vita che fai.
Uscì seminudo dal bagno ed entrò in cucina per farsi un caffè. La casa di Paco
era una tipica casa madrilena. Un quarto piano senza ascensore in un vecchio
palazzo di Malasaña, al numero 31 di Calle San Andrés. Soggiorno, camera da
letto, studio, cucina e piccolo bagno annesso alla cucina. Tutto qui. Non aveva
troppa cura del suo microcosmo domestico e, nonostante guadagnasse bene con la
ricerca scientifica e il discreto successo come romanziere di fantascienza di
quart’ordine, non si curava molto neppure di sé.
– Quarantadue anni buttati via, Paco. Ne dimostri di più. E non ci vedi niente
senza occhiali.
Rientrò in bagno per cercare gli occhiali e rivide per terra “el País”,
acquistato alle ore antelucane e aperto sull’articolo che non aveva finito di
leggere la notte prima, seduto sul bordo della vasca. Non ricordava quasi nulla
di quella lettura notturna. Ma dato che l’articolo parlava di lui, il suo
narcisismo lo invitò a ridare un’occhiata a quell’attestato di esistenza in
vita. Saltò il preambolo giornalistico:
...l’équipe scientifica che si sta occupando della scoperta, diretta dal
Professor Francisco Menéndez Renales, ha già ipotizzato che si tratti di una
scoperta epocale. La mummia ritrovata nella sperduta spelonca dei Pirenei, nei
pressi del Monte Perdido, a poco più di cento chilometri da Boltaña, sarebbe
infatti nientemeno che un neanderthaliano in condizioni miracolosamente buone.
Menéndez Renales si mostra molto cauto, com’è ovvio, e smorza gli entusiasmi del
suo stesso entourage, in attesa che ogni ipotesi affascinante venga confermata
dalle analisi di laboratorio. Evidentemente, il pignolo ricercatore scientifico
e il fantasioso romanziere nella realtà degli eventi non si incontrano.
Certamente, qualora venisse confermata l’ipotesi del Professor Carbonell,
collega di Menéndez, ossia se veramente si trattasse di una mummia di uomo di
Neanderthal, grandi prospettive si dischiuderebbero all’orizzonte del mondo
scientifico. Non si era infatti mai dato il caso, né lo si riteneva possibile,
di ritrovare le spoglie mummificate di una stirpe scomparsa circa 30.000 anni fa
in circostanze tuttora inspiegate.
– Sintassi e terminologia discutibili. Almeno il giornalista evita di dare
giudizi sui miei romanzi.
Fu distratto dal richiamo della caffettiera. Prese una tazza e si versò tutto il
caffè. Andò in soggiorno tenendo la tazza con la mano destra e il giornale con
la sinistra. Poggiò tutto sul tavolo, aprì le imposte ed accese una sigaretta.
Il telefono lo distolse dal rito del mattino, mentre l’aria fresca entrava dalla
finestra e la solita donna anziana osservava con certa insistenza lui e i suoi
boxer coi leoncini.
– (Chissà se li vede da quella distanza...) Pronto?
– Sono io. Ti ho svegliato?
– No, Maria. Ero già sveglio. Ci vediamo fra poco in laboratorio.
La telefonata mattutina di Maria era un rito. Serviva per essere sicuro di
giungere in laboratorio a un’ora decente, dato che la sua insonnia lo
costringeva il più delle volte ad addormentarsi alle prime luci, spesso dopo
avere vagato a lungo per le strade del centro. Così come era un rito la ricerca
degli occhiali, la sigaretta e persino la signora affacciata dal palazzo di
fronte. Abbandonò dunque il giornale sul tavolo, portò il caffè in bagno e si
mise sotto la doccia.
Quella con Maria era una relazione che durava oramai da sette anni. Si erano
conosciuti sul lavoro ed avevano poco a poco creato un rapporto di dipendente
indipendenza, secondo Paco, o di indipendente dipendenza, secondo Maria, anche
se nessuno comprendeva bene quale sottilissima sfumatura vi fosse tra le due
espressioni. A entrambi piaceva la vuota ridondanza della definizione, che in
fondo non era altro che una piacevolezza terminologica allo specchio, utile per
non essere costretti a vivere insieme, con l’alibi del maschilismo di Paco per
Maria e del desiderio frustrato di maternità di Maria per Paco. Una relazione
degna del peggiore romanzo. Entrambi si nascondevano dietro al solito dito:
quello che conta è che la relazione funziona, mentre molti legami cosiddetti di
convivenza traballano alla prima intemperie. Anche questo un luogo comune,
indubitabilmente. Come quello del settimo anno. E il settimo anno era appunto
quello che loro compivano.
Dopo aver bevuto il caffè freddo ed essersi vestito, Paco si atteneva
scrupolosamente al suo statuto di personaggio abitudinario. Usciva sul portone
in San Andrés, si fermava appoggiato allo stipite, accendeva una sigaretta,
parlava per qualche minuto col portinaio delle cose più idiote (il governo, il
lavoro, l’amore, la vita), gettava sul selciato la sigaretta rigorosamente
fumata fino al filtro, salutava e attraversava per ordinare, nel negozio di
fronte, il solito: una baguette, un litro di latte fresco, una bottiglia di
birra.
– Mettete da parte la busta. Passo a ritirarla alle due, quando torno.
– Come sempre, professore.
Poi si dirigeva alla fermata della metro, nella Glorieta de Bilbao, comperava
“el País” (se già non l’aveva acquistato durante i suoi vagabondaggi notturni),
attraversava il sottopassaggio ed entrava nel palazzo ad angolo della Glorieta,
dove si trovava il suo laboratorio.
La sua vita, quando era a Madrid, raramente si discostava da Malasaña.
E quella mattina, appunto, Paco recitò scrupolosamente la sua parte, tranne che
per il giornale. La pioggia fitta e continua lo costrinse ad accelerare il
percorso da una tappa all’altra. Giunse in laboratorio completamente bagnato e
dovette levarsi, appena giunto nel suo laboratorio, le scarpe e i pantaloni.
Mentre si sbottonava la camicia entrò Maria nella stanza e gli osservò, con un
certo sorriso che Paco detestava, le gambe lunghe e magre.
– Non cominciare con la storia dell’ombrello, per favore. Lo dimentico sempre e
non ho voglia di risalire a prenderlo.
– Non ho detto nulla, oggi.
Contemporaneamente Paco aprì l’armadietto di alluminio e prese una tuta da
ginnastica verde bottiglia, il camice e un paio di scarpe da tennis nere.
– Tanto per lavorare mi cambio sempre. Quindi fa lo stesso che mi bagni o meno.
Appoggiata sullo stipite della porta, Maria continuava a mantenere sul viso quel
sorriso spezzato, quell’espressione a metà faccia, che lasciava gli occhi
inespressivi e irritanti. Era un aspetto di Maria che Paco non tollerava,
questo. Essere capace di comunicare la disapprovazione, la gioia o la
preoccupazione solo con la bocca e con le rughe intorno alle labbra. Ed essere
capace di usare gli occhi solo in rarissime occasioni. Certamente la sua Maria
era una bella donna. Indiscutibilmente. Non dimostrava meno dei suoi quarantatré
anni e tuttavia li portava a spasso con grande grazia. Era piccola, minuta,
magra, quasi invisibile. Ma il suo modo di passarsi la mano fra i capelli color
rame, la sua pelle bianca, la sicumera con cui asseriva anche le più grandi
sciocchezze la rendevano una delle donne più affascinanti che Paco avesse mai
conosciuto. E in quel laboratorio squallido e disumano, Maria dava la sensazione
di essere una creatura del tutto incongrua, venuta giù da una di quelle vecchie
pellicole cinematografiche del secolo precedente, una attrice antica e perfetta
che avesse scavalcato lo schermo con grande attenzione per non sfilarsi i
collant, rovinarsi il tailleur nero o graffiare le scarpe di coccodrillo.
Nell’aria asfittica del laboratorio, fra gli anditi lunghi e stretti, le stanze
silenziose ed enormi, echeggiava il tac tac dei suoi tacchi, dei suoi passi
veloci e frenetici da un luogo all’altro. E pareva un tamburellare, anche
questo, incongruo, impossibile.
Entrarono insieme nel laboratorio, che si trovava nella stanza a fianco dello
studio di Paco.
Erano passati diciotto anni da quando Paco era riuscito a pubblicare il primo
romanzo di fantascienza, con una piccola casa editrice catalana: Il destino di
noi tutti, un romanzo pessimo cui era molto affezionato. Erano passati diciotto
anni, ma non era riuscito a rinunciare alla ricerca. Ci pensava ogni volta che
annusava quel fetore profumato di formalina, alcol, coloranti, acetone e xilene;
quella mistura pungente e pervasiva dentro cui fluttuava ora Maria, precedendolo
alla scrivania dove stava seduto Javier.
– Tira aria brutta, oggi – sospirò Maria a Javier, indicando con lo sguardo
Paco. Javier fece una smorfia di disappunto.
– Va bene. Fate pure gli idioti. Javier, il punto della situazione era previsto
per oggi...
– Hai letto i quotidiani di oggi, Paco?
– Li ho comprati, signor Guzmán Posada so-tutto-e-informo-i-cronisti. Lascia
perdere, affrettiamo i tempi, prima che finisca la quiete che precede la
tempesta. Non vedo giornalisti, per ora.
– Che ti avevo detto, Javier? – sibilò Maria.
– Va bene, va bene capo. Lasciamo cadere... Sedetevi. Tanto gli altri hanno già
veduto il materiale ieri notte. Comando luce off.
La stanza si oscurò al comando vocale di Javier. Un olocubo s’accese nello
spazio centrale del laboratorio e in pochi secondi Paco, Maria e Javier erano di
fronte ad una perfetta riproduzione olografica dell’interno della grotta dove
era stata ritrovata la mummia. Maria si sedette accanto a Javier. Paco rimase in
piedi, appoggiato alla cornice della porta e si accese una sigaretta. Javier
iniziò.
– Quella che state osservando è una ricostruzione perfettamente aderente al
reale della grotta in cui abbiamo ritrovato Epimeteo. Ho inserito nel programma
i dati per avere una illuminazione diurna, col sole a mezzogiorno, in modo che
potesse filtrare dall’esterno virtuale della grotta la luce necessaria per
vedere il nostro amico. Eccolo. Sta venendo dalla gola dell’antro. Come potete
osservare siamo di fronte a un esemplare maschio di Neanderthal. Qui vedete in
una plausibile riproduzione olografica quello che noi abbiamo ritrovato in
ottimo stato di conservazione. Non era mai capitato nella storia della scienza
di ritrovare un essere vivente preservato per 30.000 anni in queste condizioni.
30.340±570 anni è, ad ora, la datazione più attendibile.
– Hai già i risultati della risonanza dello spin elettronico sulla dentatura e
del radiocarbonio?
– Appunto. Per ora teniamoci questo punto fermo e proseguiamo. Ho inserito nel
programma alcuni oggetti d’arredo assurdi, per renderci conto delle dimensioni
del nostro amico. Vedete un tavolino di legno e due sedie come quelle che
abbiamo in laboratorio. Epimeteo si siede e impugna una penna. Carino, vero?
– Javier, non iniziare...
– Va bene, capo. Si tratta di un esemplare dell’altezza di circa 170 centimetri,
notevole per un uomo di Neanderthal. I piedi sono larghi e poco arcuati, lunghi
circa 26 centimetri. Sono tipici della specie, così come sono tipici la tibia
corta e spessa, il femore massiccio e il bacino alto e stretto. La muscolatura è
robusta. Gli arti superiori terminano in mani grandi e muscolose (Epimeteo ve le
sta facendo vedere e vi sorride, anche), il radio è arcuato e le spalle massicce
e strette. Le costole sono disposte nel tronco in maniera quasi perpendicolare
alla colonna, il torace è stretto e profondo e il collo corto è quasi incassato
sul tronco tozzo e muscoloso. Possiede una bocca ampia e una dentatura evidente
e protrusa. Il buon Epimeteo aveva molti dei suoi grossi denti cariati. Se non
altro non aveva spese dentistiche. La scatola cranica risulta allungata in senso
antero-posteriore, ha la fronte sfuggente, le arcate sopraorbitali sono molto
pronunciate. La capacità cranica di 1520 centimetri cubici fa pensare che Epi
non fosse poi così insulso. Ora esce dalla grotta e si lancia in una corsa giù
per il pendio. Intorno a lui ho ricreato l’habitat plausibile. Come vedete si
tratta di un esemplare robusto, probabilmente capace di percorrere distanze
rilevanti con ottima resistenza fisica. D’altro canto la struttura non fa
pensare ad un velocista. Un cacciatore, senz’altro.
– Va bene – interruppe Maria – Ferma Epimeteo. Non vorrei che si stancasse
correndo. Parlaci delle cause presumibili di morte.
– Qui iniziano le congetture. È improbabile che si sia trattato di morte per
invecchiamento. Epimeteo sembra che possa avere fra i venti e i trent’anni.
D’altro canto non abbiamo riscontrato ferite di rilievo sul suo corpo o comunque
aperte al momento della sua morte, a parte una frattura al perone destro e due
rispettivamente alla nona e decima costola sinistra. Tutte chiaramente saldate
diverso tempo prima della sua morte, però. Allora possiamo fare diverse ipotesi
indiziarie. Vedete ora che l’ologramma riproduce la situazione della grotta nel
presente. Non più Epimeteo, ma una mummia perfettamente conservata. Accanto ai
resti del corpo vi sono i resti di una coperta in pelle d’orso che utilizzava
per coprirsi, una pelle di renna su cui sedeva prima di morire e pochi oggetti
in condizioni relativamente buone: una sacca in pelle che conservava ciottoli
malamente lavorati, ma pur sempre lavorati, chi sa se amuleti o armi; un
coltello di selce e una ascia in pietra lavorata. Persino i resti organici di
cibo. Ora, io direi che l’assideramento è un’ipotesi plausibile per la morte di
Epi. La posizione rattrappita del suo corpo, che vedete riprodotta
nell’ologramma, lo attesterebbe. Considerate che lo abbiamo trovato ad una
altitudine di 3.000 metri circa e che sarebbe vissuto in piena fase glaciale
Würm. Possiamo ipotizzare, come stiamo vedendo nell’ologramma, che il buon
Epimeteo sia stato sorpreso in inverno da una tempesta di neve e che abbia
cercato riparo nella grotta, dove avrebbe in breve tempo trovato la morte per
assideramento; e che poi, per circostanze fortunose e fortunate abbia aspettato
che noi lo trovassimo e lo scaldassimo qui in laboratorio. Epimeteo, saluta il
capo.
L’uomo di Neanderthal si sollevò all’interno dell’antro olografico, fece un
sorriso, un cenno di saluto con la mano destra e si voltò per dirigersi
all’interno della grotta. Sulla schiena, un foglio bianco con su scritto “The
end”.
– Tutto qui, buffone? Comando luce on.
Al comando vocale di Paco si riaccesero le luci del laboratorio e scomparve l’olocubo.
Paco estrasse dalla tasca il pacchetto di sigarette, ne mise una in bocca e
l’accese con gesti lenti.
– Che ne pensi, Maria?
Maria stava seduta con lo sguardo assente. Paco conosceva bene quello sguardo.
Nelle lunghe serate domenicali, davanti al camino della casa che avevano in
campagna, quello sguardo incantato e apparentemente vuoto solitamente precedeva
ore di discussioni sterili. “Un figlio sì, un figlio no, io non me la sento, io
lo vorrei, posso averne ancora per molto poco”, giù giù fin quasi al senso
ultimo delle cose, alla luce crepitante del fuoco che man mano si spegne. E quei
gesti distratti per rianimarlo, il fuoco del camino, seduti sul tappeto rosso.
– Sto pensando. Javier, riattiva un momento l’ologramma. Ho bisogno di
concentrarmi.
– Comando luce off.
Ricomparve l’ologramma della grotta, mentre Javier si sedeva davanti al computer
per introdurre dati sui quali Maria, che conoscevano bene tutti in laboratorio,
avrebbe voluto congetturare.
– Dunque, dunque... Javier, fai entrare Epimeteo di 30.000 anni fa.
– Oh, Zeus – invocò Paco reclinando la testa indietro e poggiando la nuca sulla
parete – questa si mette a fare visita al morto, adesso.
Epi entrò trionfale dal fondo della grotta tenendo in mano un mestolo di legno
sporco di salsa rossa, con un grembiulino rosa da cucina su cui era disegnato
Pippo.
– Scusate – fece Javier – stava cucinando.
Paco dava evidenti segni di cedimento.
– Seriamente, Javier. Rimettilo in condizioni plausibili. Perfetto. Ingrandisci
due volte la figura ed isolala dal contesto. Così... Ora crea un subspazio
olografico in basso a destra, per cortesia, e mettici l’Epimeteo mummificato di
oggigiorno. Perfetto. Ora isola e ingrandisci pure questo, mettili uno a fianco
all’altro e lascia sullo sfondo i due contesti-grotta, senza ingrandirli. Mi hai
chiesto che penso, Javier? Allora, congettura per congettura, io osservo questo
essere e mi pongo alcune domande. Perché pensare che la sua morte sia stata per
assideramento, Javier? Cosa ci impedisce di pensare a infiniti altri motivi?
– Per esempio?
– Per esempio una malattia, o un avvelenamento da cibo.
– Javier ha fatto solo una ipotesi plausibile, Maria. Allo stato attuale, dato
che ancora non possediamo in mano che le prime analisi, possiamo esclusivamente
gingillarci con supposizioni. È inutile dire altro. Lasciamo le cose come stanno
e aspettiamo di avere altri elementi. Poi il tuo amico neanderthaliano sarà meno
misterioso.
– Sì, sì, certo. Tuttavia sono affascinata dalla morte solitaria di Epimeteo.
Escludiamo per un momento l’assideramento e consideriamo anche che, se Epimeteo
si fosse trovato con altri elementi di un gruppo sociale, presumibilmente
anch’essi sarebbero stati conservati: a parità di condizioni si sarebbero dovute
verificare analoghe circostanze...
– Troppe variabili, Maria. Hai mai sentito, da secoli, di un ritrovamento
collettivo? Ti aspettavi di rinvenire un gruppo di scapolacci neanderthaliani
improvvisamente congelati mentre giocavano a tressette? A cosa vuoi arrivare
prima di avere altri elementi certi d’analisi?
– Lasciami dire. Osservalo, Paco. Sappiamo perfettamente tutti e due che abbiamo
conoscenze frammentarie e controverse sull’uomo di Neanderthal. E sappiamo
entrambi che molti gruppi etnici dislocati nel tempo e nello spazio usavano fino
anche a pochi secoli fa allontanarsi dal gruppo nel momento della morte.
– Tu attribuisci agli uomini di Neanderthal pulsioni e caratteristiche psichiche
che non siamo in grado di verificare. Bada, Maria, ti ho sempre detto che
Solecki non mi ha mai convinto. E con lui tutti quelli che si sono spinti troppo
in là nelle congetture.
– Io sto solo dicendo che il nostro mestiere si è spesso basato su ipotesi o
illazioni più o meno verificabili. Non le scriverei mai, è chiaro. Ma in questa
stanza posso ipotizzare quanto mi pare.
La voce di Maria non tradiva alcuna irritazione neanche quando menava fendenti.
– Allora prosegui, in nome di Dio...
– Immagino esclusivamente che nel caso in cui si possano presupporre le
caratteristiche antropologiche di un sistema sociale complesso per l’uomo di
Neanderthal, allora niente vieta di pensare che nel gruppo vigessero delle
regole di convivenza.
– Qual è il limite fra gruppo sociale e branco, Maria?... E che c’entra tutto
questo con le cause della morte di questo essere?
– È quello che sto cercando di immaginare, Paco.
Maria osservava l’ologramma immobile dell’uomo di Neanderthal così come sarebbe
stato 30.000 anni prima e poi volgeva lo sguardo a quella mummia fotografata
oramai su ogni giornale della terra e riprodotta lì olograficamente a beneficio
di quel gruppuscolo di scienziati che avevano interrotto la sua siesta di 30.000
anni.
– La stragrande maggioranza degli antropologi, e tu fra loro, sono d’accordo sul
fatto che i neanderthaliani praticavano la sepoltura.
– Che c’entrano seppellimento e rito ora con noi, Maria?
– Ammetterai che rimane l’incertezza e con questa rimane il beneficio del
dubbio. Io non dico che a Shanidar sia avvenuto quello che racconta Solecki. Né
in questo momento intendo ricordarti che nel corso degli ultimi due secoli, una
trentina degli oltre duecento ritrovamenti di neanderthaliani sono stati
ritenuti evidenti esempi di pratiche funerarie. Però ammetto che se sono
attendibili le ipotesi di chi pensa che rischiamo di proiettare nel passato le
nostre parti psichiche, risultano spesso attendibili anche le
controdimostrazioni.
– E allora? Abbiamo fatto migliaia di volte questo discorso. Mi rifiuto di
seguirti ancora. Maria, questo tizio non è stato seppellito. Questo tizio era
sbattuto lì nella grotta e la sua posizione fa pensare che sia crepato per il
freddo. Punto. Per ora non possiamo dire altro. Le analisi successive ci diranno
il resto. Può anche darsi che troveremo vicino a lui una foto della fidanzata.
Ma aspettiamo, accidenti a te e a questo poveraccio di Epimeteo.
Paco non ne poteva più. Maria non raccolse la provocazione. Assunse un’aria
compita, incrociò le braccia sul seno, imbastì il sorrisino di rappresentanza e
troncò la discussione:
– Va bene, signor tristezza. Non parlavo di sepoltura, di rito o di fidanzate.
Dicevo solamente che, come esistono tutte le possibilità per parlare di morte
per assideramento, così esistono anche altre possibilità. Tanto più che le une
non escludono le altre. Non è la prima volta nella storia della scienza che si
verificano casi di concomitanza di circostanze che qualche cervello
raziocinante, come il tuo, ritiene contrastanti. La malattia non esclude
l’assideramento; l’assideramento non esclude il rito di allontanamento dal
gruppo. Se preferisci, dico branco e non ne parliamo più.
– Sta bene, Maria. Mettiamo un punto a questa discussione.
Javier assisteva divertito all’ennesimo litigio sul lavoro fra Paco e Maria,
condito in salsa privata e servito freddo a beneficio suo e di Epimeteo, il
quale, dopo pochi tocchi sapienti di Javier sulla tastiera del computer, allargò
le braccia e strinse le spalle olografiche.
– Comando luce on –, fece Maria. Epimeteo scomparve.
– Scusate se interrompo. Posso riflettere a voce alta, capo?
– Ecco, bravo, Javier. Forse è meglio. Ma lascia perdere le tue buffonate, per
cortesia.
– Faccio alcune constatazioni: sappiamo per certo che Epimeteo è una mummia di
neanderthaliano perfettamente conservata grazie alle condizioni climatiche e
geografiche. Dai ritrovamenti effettuati negli ultimi due secoli sappiamo che i
neanderthaliani erano stanziali nella zona. Sappiamo anche che l’esemplare che
noi abbiamo rinvenuto non è certamente l’ultimo rappresentante della sua specie,
dato che ci sono resti di esemplari risalenti a circa 28.000 anni fa. Perciò
tutto sommato, dato che intercorrono circa 2.000 anni fra Epi e amici suoi meno
vecchi, direi che ora come ora possiamo trascurare la questione della sua morte,
qualunque ne sia stata la causa. D’altro canto...
In quel momento squillò il telefono nello studio di Paco. Paco si diresse verso
l’apparecchio del laboratorio e diede il comando vocale per poter parlare da lì.
Si trattava di José Carbonell, il collega dell’Istituto di Anatomia Patologica
che aveva ultimato gli esami microscopici sulla mummia.
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