Le quattro giornate di Genova
Testimonianze

In questa sezione intendiamo ospitare le testimonianze più significative offerteci dai lettori dei nostri libri e da quelli che hanno vissuto in prima persona gli avvenimenti del luglio 2001. Riteniamo che sia utile farlo adesso, a distanza di mesi, a mente fredda: per tentare non solo di rivivere quello che è accaduto, ma anche e soprattutto per riflettere sui motivi per i quali tutto questo è successo, per capire cosa è cambiato dentro in coloro che hanno vissuto gli avvenimenti da testimoni e protagonisti ma anche in quelli che lo hanno vissuto seguendolo sui giornali e in televisione, per capire se e come tutto questo ha condizionato il loro modo di pensare e di concepire la realtà sociale e le tematiche che il movimento sta sviluppando.

Tutte le testimonianze riportate sono state preventivamente autorizzate da parte degli autori, che sono anche i responsabili delle loro affermazioni. Chiunque intenda portare il proprio contributo alla riflessione è il benvenuto ed è invitato a scriverci: info@frillieditori.com
 

Torna alla pagina dei libri


 

Violata nella zona rossa (la perdita dell'innocenza)
Testimonianza di Valeria Repetto

 

Martedì 17 luglio 2001
Eccomi qui, alla vigilia dell'evento, con un'ansia insopportabile che mi provoca un classico mal di testa da collo, come se avessi un ferro da calza che mi entra nella nuca e mi esce dall'occhio. 
La vista della città così blindata è davvero impressionante. 
Ieri sono tornata a casa dopo il lavoro, e il vicolo che collega la mia piazzetta a Via San Luca era chiuso da una grata immensa e nera, come quelle che vedi nei film su Belfast, un muro di metallo munito di porta e spioncino, forse per parlare con i parenti che ti portano le arance, sempre che i secondini te lo permettano. 
La sensazione che si prova in questi giorni ha un che di sudamericano, posti di blocco ovunque, tutti gli apparati militari (oggi ho visto una camionetta targata corpo forestale!!) schierati con divise anti sommossa, caschi, manganelli, giubbotti antiproiettile, mitra (!!!), occhi che ti scrutano, divise che invadono i tuoi spazi di sempre, il posto dove di solito prendi l'aperitivo, l'edicola dove compri il giornale, la strada che fai alla mattina. 
Domenica sera sono uscita, e pensavo alle protagoniste di libri, che so, di Gioconda Belli o di Isabel Allende, e mi tranquillizzavo al pensiero che, insomma, beh, questi non sono proprio così cattivi, sì, sono qui per la sicurezza, non fanno così paura, ma a chi la racconto, tante divise messe insieme mi innervosiscono, è più forte di me, non mi piace l'idea che la gente pensi che sono qui per noi, perché in realtà tutti sappiamo benissimo che i missili all'aeroporto non c'entrano nulla con i movimenti anti globalizzazione. Purtroppo l'effetto che volevano avere l'hanno avuto, la città si è svuotata, le vetrine sono state murate e la gente mugugna che le grate sono state messe lì perché i manifestanti sono tanto cattivi e mettono le bombe in mano ai carabinieri (ci risiamo, ancora con queste storie!)... 
Nessuno si aspettava queste gabbie. Sì, avevamo visto in giro i blocchi di cemento, e ci facevano arrabbiare, ma le gabbie ci fanno deprimere, la sensazione immediata che si prova è il desiderio di mettersi a letto con la testa sotto il cuscino per i prossimi cinque giorni, senza fare il bucato perché tanto non si può stendere, schiavi del senso estetico di uno che ha costruito Milano Due, senza portare giù la spazzatura perché tanto non c'è più nemmeno un cassonetto... 
I vicoli sono sempre più silenziosi, tutte le macchine e le moto sono sparite dalla zona rossa, i negozi sono sigillati, si sentono solo sirene su sirene, pale di elicotteri e, di tanto in tanto, sordi rombi di aereo. In porto, di fianco a scintillanti navi-albergo-con-campo-da-tennis, spicca una grigia nave da guerra, visione che pietrifica me e quelli della mia generazione, ma anche mia madre e mio padre, nati nel '40, perché un conto è vedere una nave da guerra che passa di qui e si ferma un giorno in porto, un conto è vederne una venuta qui con spirito bellico, pronta a difendere i grandi e i loro amici da chissà quale catastrofica evenienza. 
Piazza Dante è un muro di grate, deturpanti lingue nere alte cinque metri, i vicoli intorno a sottoripa e Via Gramsci sono chiusi a monte fino a Piazza Banchi, i percorsi obbligati per uscire dalla zona in questione infastidiscono solo al pensiero che "potrei fare molto prima passando di qui ma mi tocca fare il giro fin laggiù perché solo là c'è il varco", come per passare da una zona protestante a una cattolica, come in un ghetto dal quale è volutamente complicato uscire. 
E tutta questa magica perfezione è funestata (siamo o no in Italia?) da prevedibili intoppi. Un caso fra tutti: mi hanno sbagliato il pass. Hanno messo il numero della mia carta d'identità vecchia, perché hanno preso il mio nominativo a maggio e nel frattempo la carta mi è scaduta, e vuoi che mi presenti ai controlli con il documento scaduto? No, io, ligia ai miei doveri di cittadina, ho rinnovato il documento. Risultato: domattina prima che chiudano i varchi (ore sette) devo uscire e andare in Corso Europa sperando che mi abbiano cambiato il pass, considerato che senza quello non posso tornare a casa. 
Domani comincia il carnevale, andrò in ufficio e mi guarderò un po' lo spettacolo dall'alto (si vede Piazza Banchi, c'è un varco), spero di riuscire a fare due foto, sempre che non ci sia un cecchino piazzato proprio sul tetto lì davanti. 
Mi auguro che il mal di testa passi almeno per domani sera, quando il menestrello ispano-francese ripeterà il suo show a Piazzale Kennedy. Accorreremo numerosi, e lo stesso faranno i vari reparti di sicurezza.
Beh, si godranno il concerto anche loro.

Mercoledì 18 luglio 2001
La mia prima giornata di gi-otto comincia molto presto, alle sei del mattino. Devo spostare la vespa prima delle sette, ora in cui chiudono i varchi della zona rossa. Per una volta che potrei dormire un po' di più...
Scendo in strada. L'ambientazione è davvero surreale, in giro non si vede quasi nessuno, se non qualche affannato abitante che come me, all'ultimo minuto, corre a spostare i propri mezzi di trasporto fuori dalle porte di Brandeburgo.
Al varco c'è ovviamente un po' di coda. Hanno fatto il passaggio troppo piccolo, e tutte le auto e le camionette della polizia che entrano intasano il traffico a noi che, con la faccia stropicciata dal sonno, cerchiamo di mettere in salvo moto e macchine. Qui nella zona rossa se lasci il tuo mezzo di trasporto in giro rischi come minimo il sequestro, e se ti va male sfidi l'intervento degli artificieri ormai in preda ad un vero e proprio panico da bomba.
Un signore azzarda un "...ma io devo andare a lavorare!" e viene subito arrogantemente redarguito da un poliziotto vecchio stile che ruggisce "e allora noi che siamo venuti qui a Genova per lavorare e per difendere le vostre case?". Mi viene una prima stretta allo stomaco.
Devo andare in Corso Europa, dall'altra parte della città, per prendere il pass che spero mi abbiano corretto.
Dopo aver ritirato il pass nuovo e aver messo la Vespa in salvo al di fuori della zona gialla, arrivo finalmente in ufficio. Sono le dieci.
Dall'alto controllo il passaggio della gente incredula. C'è chi tenta di passare senza permesso, "un minuto, devo solo andare fin là!", ma i militari al check point sono inflessibili, senza pass non si va da nessuna parte.
Compaiono due tute bianche, stanno aprendo un tombino proprio sotto gli occhi di due poliziotti. Si infilano dentro, in realtà sono solo due operai delle fognature, ma sarebbe stato bello fare una fotografia...
Alle cinque torno a casa, passo il mio controllo e mi inoltro in Sottoripa, luogo storico di negozi e mercanti. È drammaticamente tutto chiuso. Del resto non c'è proprio nessuno in giro, tenere aperto sarebbe assolutamente inutile! Gli unici aperti sono un bar e un ristorante: già, i poliziotti devono anche mangiare...
Bum, un botto. I battiti del cuore mi fanno gonfiare la lingua.
"Avranno fatto saltare qualcosa!". Infatti, un motorino. Sarà contento il proprietario...
Mi convinco di aver fatto bene a portare la vespa lontano da qui!
Alle sette esco di nuovo per andare a Piazzale Kennedy, stasera c'è il concerto di 99 Posse e Manu Chao, non me lo perderei per nulla al mondo. Il problema è arrivarci.
Subito sotto casa arrivano dieci poliziotti con scudo, manganello e caschi. "Documenti, prego."
Un armamentario da guerriglia mette un discreto nervosismo.
"C'è qualche problema?" "No signorina, normali controlli".
Normali? Con gli scudi?
Tutto a posto, faccio cento metri, ecco i carabinieri. "Documenti, prego".
Sono allibita.
Ecco il varco, posso uscire.
Sull'autobus mi cade lo sguardo sulla zona fiera.
Un tappeto di pantere, camionette, gazzelle, autoblindo. Mai vista una cosa simile.
In Corso Aurelio Saffi stanno montando un muro di container perché impedisca ai manifestanti di domani e dei prossimi giorni di tirare roba sulla "cittadella" degli sbirri. Un altro muro, anche questo di tre metri e più. Non si vede più il mare.
Ma finalmente eccomi al concerto, una parentesi di festa in questa deprimente blindatura della città.
I 99 Posse sono scatenati, rabbiosi e grintosi più che mai. Sfoderano il loro energetico repertorio, e rispolverano addirittura pezzi marcatamente militanti, che non suonavano più da diversi anni. In un momento come questo la folla si infiamma, e quando cantano "Ho un rigurgito antifascista, se vedo un punto nero..." la folla esplode "gli sparo a vista!"
Sale Agnoletto, siamo in trentamila, la vista della folla toglie il fiato.
Agnoletto arringa il pubblico con parole di militanza autentica, senza slogan, senza dogmi, solo con considerazioni vere, obiettive. E oggi la verità è un urlo di rivolta.
Ecco, arriva Manu Chao.
E non si ferma per due ore e mezza. Tutti ballano, tutti cantano, peligro, clandestino, desaparecido, mala vida. La sua energia è quasi commovente, e la risposta della folla è formidabile.
L'invito è per domani, alla manifestazione degli immigrati, perquisiti, scacciati dal centro storico, scappati per paura, ancora una volta, dalle loro case.
Un mio amico libanese mi dice che ha vissuto fino all'82 a Beirut e non ha mai visto tanti militari messi insieme. A Beirut.
Un'amica mi fa notare che a Belfast c'è lo stesso scenario, le gabbie, i posti di blocco e via dicendo. L'unica differenza è che qui a Genova non ci sono i carri armati che girano per le strade. Per ora, aggiungo io, non mi stupirei più di niente.
Intanto al concerto passa e ripassa un elicottero, tanto per mettere in tranquillità la folla, tanto per raffreddare gli animi.
Punta il faro verso terra. L'addetto luci del concerto non resiste, e lo inquadra con l'occhio di bue. La folla, che già non risparmiava gestacci punk al cielo, esulta. L'elicottero, accecato, si ritira.
Il concerto finisce, Manu Chao ci applaude, ringrazia e se ne va fra mille applausi.
L'euforia continua ancora per qualche minuto, ma sappiamo che ci aspetta il ritorno.
Mi incammino verso casa. A piedi.
Passano mille camionette, mille macchine di polizia, carabinieri, finanza, perfino polizia penitenziaria e guardia forestale.
Finalmente arrivo al varco. Stanno perquisendo gli zaini a quelli davanti a noi.
Vuoi dire che non sanno che stiamo tornando dal concerto?
Il mio pass, rilasciato all'ultimo momento, non compare nelle liste degli agenti al varco. Ogni volta devono controllare telefonando al quartier generale. Perdita di tempo. Il mio tempo.
Tutto bene, si può passare.
Dopo i soliti cento metri un altro controllo. Mi sto davvero innervosendo.
Il mio compagno ha la carta di identità con l'indirizzo vecchio, il carabiniere si impunta. "Come mai ha l'indirizzo diverso da quello del pass?" Da quando in qua si deve rifare la carta d'identità quando si cambia residenza? Se non è scaduta non te la rinnovano mica!
Sembra un disco rotto. "Come mai ha l'indirizzo diverso da quello del pass?". Viene fuori che ci vuole un altro foglio. Nessuno ce l'ha mai detto, secondo me se l'è inventato, è già il sesto controllo nel giro di una serata e nessuno ha mai contestato nulla. "Come mai ha l'indirizzo diverso da quello del pass?" Che avvilimento.
Meno male, la patente va bene, speriamo che la prossima volta non ci chiedano il passaporto!
Ecco, siamo di nuovo in Sottoripa.
Stiamo per svoltare nel vicolo di casa.
"Documenti, prego!"
Ma non è possibile!
Io non saluto nemmeno più, mi dispiace, loro non ne potranno niente, saranno anche ragazzi non molto diversi da noi, ma oggi sono un simbolo, che in questo momento mi sta privando della libertà.
Bene, comunque ce l'hanno fatta, domani andrò a dormire nella casa dei miei genitori, ho paura che il nervosismo provocato da un controllo ogni metro mi farà rispondere male a qualche militare, e non mi sembra il momento.
E con tutte queste bombe vere e false il nervosismo è davvero palpabile, tornando a casa dal concerto ho visto un tassista che ha rivoltato il taxi come un calzino per verificare che il suo cliente non avesse lasciato niente...
Finalmente a casa, speriamo che l'elicottero ci faccia dormire, passa così vicino che si muovono le foglie delle piante di casa!
Che insonnia...

Giovedì 19 luglio 2001
La mattina vengo svegliata dal campanello. Sono tramortita, ho ancora nelle orecchie e nelle occhiaie il concerto di ieri sera, chi può essere a quest'ora?
"Polizia!"
Polizia? Oddìo, come sarebbe "polizia". Panico totale.
Faccio un rapido controllo per verificare automaticamente se ho in giro qualcosa di compromettente. Sono tranquilla, ma bene o male una visita della polizia in casa ha un che di inquietante... Prima del gi-otto l'avevo visto solo nei film!
"Un attimo, mi vesto!"
Ormai il terrore ha preso il sopravvento. Ho paura che siano venuti a causa di qualche segnalazione, non sai mai...
Insistono a bussare. Apro, quel che deve essere sarà.
Sono tre personaggi. Rimangono sulla soglia e vorrebbero fare un controllo.
Uno di loro mi chiede i documenti, mi chiede il pass (in casa mia?), dov'è la persona con cui vivo, mi chiede cosa faccio nella vita e si mette a compilare dei moduli, non dopo aver domandato se può entrare. Ci sarà qualcuno che gli dice di no?
Il poliziotto si guarda intorno, fruga con gli occhi tutte le mie cose, i miei mobili, i miei muri. Mi sento violata. Non avrei mai immaginato nella vita di subire un controllo della polizia a domicilio. Qualche idiota dirà che tutto questo è necessario, inevitabile, ma fino a che non lo provi sulla pelle, non puoi capire la sensazione di profanazione di casa tua, l'unico luogo in cui ti è consentito fare ciò che vuoi.
La percezione di invadenza mi rimarrà, credo, per molto tempo.
Dopo una mattinata passata a sussultare per qualsiasi rumore, ci prepariamo per uscire. Prendo tamburello e fischietto e ci dirigiamo verso Piazza Sarzano.
Bisogna fare un giro assurdo, calcolando bene i varchi che ci sono più utili.
Il centro storico è drammaticamente deserto e pulito, senza nemmeno una cicca in terra. Potrebbe essere una scenografia di Cinecittà.
In Piazza Sarzano c'è una moltitudine di persone variegate.
C'è un'orchestra di fiati e tamburi che sta già suonando a pieno ritmo.
La gente riempie il ponte di Carignano e il piazzale della basilica. Mi ritrovo a pensare che l'ultima volta che ho visto qui tutta quella folla era ai funerali di De André. Chissà cosa avrebbe pensato della sua Genova.
Incontro un sacco di amici, nessuno è preoccupato. In realtà io ho un po' di ansia, ma me la faccio passare in fretta.
Vedo Manu Chao. Ha un gorilla al fianco con la maglietta del Gsf, lo capisco, se tutta la gente che è qui gli stringesse la mano, Manu arriverebbe a sera dolorante...
Divertita, guardo un tipo che è sceso in corteo con una grossa foto di Pertini in cornice. Povero Pertini, le grate non gli sarebbero certo piaciute.
Un altro tipo si presenta con la foto di Papa Luciani.
Quando dico variegato...
Si parte.
Il serpentone colorato sfila davanti a uno schieramento di poliziotti bardati, ma non c'è tensione. Una ragazza ripete a cantilena "noi non siamo vestiti uguali, noi non siamo vestiti uguali..."
I pink, gruppo folkloristico con costumi e capelli, per l'appunto, rosa, improvvisa danze e canti alla "priscilla". Il corteo si ferma a guardarli, sono stupendi.
Scendiamo verso Corso Aurelio Saffi. Ci sono i container che abbiamo visto montare ieri sera. Un muro così "insormontabile" che ragazzi e fotografi sono lì sopra a guardare il corteo.
Ci piazziamo dietro un gruppetto di francesi organizzati con tanto di camion musicale, si procede ballando.
Davanti alla questura, altro schieramento. Sono nervosa, ma beh, è normale, sono così tanti...
Camminiamo camminiamo. Balliamo balliamo. Cantiamo cantiamo.
"…Genova libera, Genova libera…"
Una meraviglia.
In Via Barabino c'è un urlo della folla. Qualcuno, da un poggiolo, ci fa vedere una gigantografia del Che Guevara con tanto di cornice in legno. Si alzano molti pugni. Tanti applausi.
Nella galleria di Piazza Palermo il rumore è assordante. Capita spesso, nelle gallerie, di solito si urla per sentirsi più numerosi. Oggi non ce n'è bisogno, si parla di cinquantamila persone...
Siamo esausti, siamo già ad Albaro, e decidiamo di mollare il camion francese.
Ci sediamo sul ciglio della strada, incontriamo degli amici e proseguiamo, ma siamo subito sedotti dal patecaro davanti alle piscine di Albaro. Il bicchiere di palline di anguria e melone è un toccasana per mezzo corteo. Tutti sono in terra a mangiare fette di anguria, punks, militanti, giovani, vecchi...
Mi reinserisco nel corteo, sempre con il mio tamburello salentino.
Mi giro.
Non credo ai miei occhi, ho di fianco Manu Chao, che mischiato fra la folla suona la grancassa con l'orchestra di ottoni che avevamo visto in Piazza Sarzano. Guardo meglio, c'è tutta la sua band. Che belle persone. La loro umiltà è commovente.
Ora sto davvero bene, il corteo musicale va avanti, senza regole armoniche, ma con una gran voglia di suonare, fino a Piazzale Kennedy. Sta cominciando a piovere, ma per ora le poche gocce fanno solo un gran piacere.
Arriviamo in Piazzale Kennedy e, senza dirci nulla, formiamo un cerchio di musicisti. Mi ritrovo di nuovo accanto a Manu Chao. Ci divertiamo come dei pazzi, in mezzo al cerchio c'è un sacco di gente che balla.
Ora piove sul serio. Scappo sotto la pioggia verso Brignole. Stanotte andiamo a dormire a casa dei miei, che sono in vacanza. Loro abitano in Circonvallazione a Monte, domani il presidio parte da Manin, è più comodo dormire in zona. E poi non siamo mica così sicuri che domani uscire dalla zona rossa sia facile, considerato che è stato programmato un assedio...
L'ultima immagine prima di salire sull'autobus è quella di un corteo di poliziotti a cavallo in Via Brigate Partigiane. Sulla strada, di fianco, c'è una suora, con il vestito fradicio e un cartello in mano: "Con il vaticano: g9".
Decisamente la manifestazione è stata un successo.

Venerdì 20 luglio 2001
Mi sveglio abbastanza stravolta e spossata a causa della lunga marcia di ieri. Mi sembra di aver vissuto un bellissimo film, una meravigliosa festa che ancora mi risuona nelle orecchie.
Mangio qualcosa ed esco, portando la vespa in una strada di fianco a Villa Gruber e recandomi in Piazza Manin a piedi.
Arrivo in piazza e vedo tanti colori, mille bandiere e vessilli, Arci Ragazzi, Legambiente, Lilliput, mutande stese a fili improvvisati, palloncini, mani bianche.
Più di una persona mi chiede se può scattarmi una foto, anzi, se può fotografare il cartello che ho al collo. Sono abbastanza fiera, ci ho messo un'ora a farlo. Sul cartello c'è scritto "Genova, 18-22 luglio 2001 ...qui chi non terrorizza si ammala di terrore... (Fabrizio De André)" citazione che in questo momento è per me la frase-simbolo degli abitanti della zona rossa, tutti fuggiti, tutti evacuati.
Durante la pacifica manifestazione me lo guarderanno anche Franca Rame e Don Gallo, approvandomi con un buffetto sulla spalla.
Dopo un po' un amico, militante di Lilliput, dice a me e al mio compagno se vogliamo andare con loro ad occupare il varco di Portello. Lui ha partecipato per cinque mesi ai gruppi di affinità, simulando cariche, imparando a gestire il panico, impratichendosi nei movimenti utili per una difesa personale non violenta.
Decidiamo di non andare. Non abbiamo mai partecipato ai gruppi, non siamo pronti alle cariche, scegliamo di andare con i bambini e i palloncini.
Cominciamo a scendere per Via Assarotti.
I cori sono tanti, colpisce l'esortazione a tirare fuori le mutande dalle case, e i genovesi le tirano fuori. Urli di gioia. Uno di meno per Berlusconi.
La manifestazione scorre più che pacifica, qualcuno sostiene anche che è un po' noiosa. Ma ecco che arrivano le prime notizie. Stanno caricando il corteo dei Cobas, sembra che li abbiano attaccati senza motivo, in Piazza Paolo da Novi c'è guerriglia.
Il nostro corteo arriva alle gabbie di Piazza Corvetto. Una riga di poliziotti in abbigliamento antisommossa è fuori dalle grate. Perché non se ne stanno dietro? Qui non ci sono nemmeno varchi...
Don Gallo parla con loro e ottiene che un po' alla volta ci si avvicini alle recinzioni. C'è chi appende striscioni, c'è chi stende mutande...
Ci andiamo anche noi, ma lo stare tra una riga di poliziotti bardati e le graticole ci mette una discreta claustrofobia, decidiamo di spostarci in Piazza Marsala, dove si stanno dirigendo i pink.
L'atmosfera non è delle migliori, i poliziotti sono abbastanza nervosi, ci sono un paio di macchine e un paio di camionette, oltre a un camion di pompieri, all'imboccatura di Via Palestro. Ci bloccano ogni possibile via di fuga.
Qualcuno dice loro di lasciarci un varco. Si rendono conto e lo fanno subito.
Intanto, dalle grate, alcuni scalatori cercano di scavalcare, e a dire la verità arrivano abbastanza in alto, ma forse le reti sono davvero ben concepite, gli arrampicatori rovinano a terra. Qualcuno tira bottigliette di plastica oltre le gabbie, ma in realtà tutta la piazza è imbevuta di folklore, tipico della filosofia dei pink.
E poi, all'improvviso, gli idranti.
Decidiamo di muoverci velocemente su per Via Palestro. I poliziotti corrono alle macchine. Non hanno le maschere antigas, e giù dalle reti sono iniziati i lacrimogeni. Anche loro, come noi, hanno gli occhi gonfi.
A metà di Via Palestro ci fermiamo, loro si fermano e ricominciano i lacrimogeni.
Mi chiama mia madre. Le avevo detto di stare tranquilla, che non mi sarei trovata nel casino, che sarei andata con la manifestazione delle associazioni superpacifiche. Mi avverte della carica nel momento stesso in cui è partito il primo lacrimogeno. Potere dei mass-media.
Qualcuno distribuisce limone e acqua. Si ricomincia a salire. E loro ricominciano a seguirci.
Per un attimo ripenso alla signora sulla sedia a rotelle che avevo notato a inizio corteo, e mi viene in mente anche la famigliola rasta con tanto di bimbo in passeggino. Spero vivamente che non siano lì in mezzo.
Gli occhi bruciano parecchio, il gusto in bocca è orribile e ti costringe a sputare in continuazione.
Incontro il mio professore di filosofia del liceo, che mi racconta l'assurdità di quei lacrimogeni. Mi fa tenerezza vederlo con gli occhi arrossati. Di lì a poco se ne andrà a casa.
Con questo continuo tira e molla i poliziotti ci spingono in Circonvallazione, per un attimo pensiamo a dove scappare se vengono su anche loro, ma non è quello che gli interessa, e infatti tornano giù a difendere la deserta zona rossa.
Decidiamo di tornare a Manin. Per strada troviamo un bar aperto. Ammiriamo tutti il coraggio del gestore e ricambiamo comprando svariate bibite.
Incontriamo vari amici che vengono via da Manin. Sembra che da Brignole stiano arrivando gli squatters, ma per ora sono solamente voci.
Ci affrettiamo. A Manin c'è il resto della manifestazione scappata da Via Assarotti. Purtroppo hanno caricato anche laggiù, chissà dov'è quella famigliola...
La prima cosa che vedo arrivando a Manin è un razzo che parte in direzione dell'elicottero.
Un razzo? Affrettiamo il passo, ora stiamo davvero correndo.
E poi li vedo, sono arrivati.
Sono tutti vestiti di nero, hanno mazze e passamontagna, faccio solo in tempo a vedere tutta la gente seduta, con le mani bene in vista, proprio al centro della piazza. C'è la polizia che converge proprio lì.
E poi di nuovo il finimondo.
Prendiamo una scalinata e corriamo verso il Castello McKenzie. Vengono su anche i neri, ma ridiscendono subito. E noi su su su, siamo quasi al Righi.
Giù in piazza hanno lanciato tanti di quei lacrimogeni che il vento li porta fin quassù. Non sto bene, respiro un po' male e ho un po' di nausea. Ma continuo a correre.
Da qui si vede il quartiere di Marassi. Colonne di fumo, qualcuno dice che hanno assaltato il carcere. Ho voglia di piangere.
Dopo un po' di tempo, diradati i gas urticanti dei lacrimogeni, decidiamo di scendere.
Davanti all'entrata di Castello McKenzie vedo cinque o sei squatters. Sono stravaccati in terra e un uomo dall'apparente età di cinquant'anni, vestito con un giubbottino kaki, sta mostrando a un paio di loro un'enorme cartina di Genova. Lì per lì penso solo: "Ma cosa fa un uomo di quell'età con quelle bestie?".
Tornati a Manin mi si ghiaccia il sangue nelle vene.
C'è una signora seduta su uno scalino con la testa rotta e due medici che la stanno ricucendo. Avrà l'età di mia madre. Potrebbe essere mia madre. Manganellata dai poliziotti.
Ha la maglietta tutta sporca di sangue, ma mi dice "Sto bene, non è niente".
Non è niente.
I black blocks sono andati a destra. Avvertiamo gli amici a Portello del pericolo che corrono se i selvaggi scendono da Via Caffaro. Le telefonate sono surreali: ogni volta che li chiamiamo si sentono chitarre e canzoni, we shall overcome o blowing in the wind. E qui a Manin c'è il sangue in terra.
La polizia ha caricato i giovani con i palloncini, ha manganellato l'Arci Ragazzi, ha malmenato le mani bianche.
Le tute nere sono scappate verso Castelletto. Osservo inorridita la polizia che semplicemente torna in Via Assarotti a difendere la zona rossa, senza inseguire gli unni.
Basta, torniamo a casa dei miei. Si mormora che in centro ci sia guerriglia, ma qui in Circonvallazione lo spettacolo non è meno terrificante.
Le macchine sono bruciate, i cassonetti, i bidoni per la raccolta differenziata, tutto in terra, l'odore di bruciato è peggio dei lacrimogeni.
Il bar di prima ha chiuso in tutta fretta, in cima a Via Palestro alcuni abitanti con cui cerchiamo di comunicare hanno capito che i nemici non eravamo noi e hanno visto la polizia attaccarci senza motivo. Cerchiamo di spiegare che noi ci differenziamo dai black blocks. Una signora mi dice: "Lo so gioia, lo vedo, tu sei tutta colorata e invece loro erano così neri!"
In Corso Magenta un tipo inglese non più giovanissimo mi chiede se può telefonare. Ha perso tutti e non sa che fare. Lo faccio chiamare, ma ci dobbiamo spostare perché una macchina in fiamme sta perdendo benzina. Un pompiere si ustiona.
John, questo il nome del tipo, ci racconta che non appena lui e il suo gruppo sono scesi dal treno sono stati attaccati dai lacrimogeni, e sono scappati su per non so quale scalinata. Gli regalo una tessera telefonica, ci sbattiamo per indicargli il modo di recarsi all'information point di Piazzale Kennedy e lo lasciamo con un gruppetto di altri inglesi.
Prendiamo la Vespa, ma a Ponte Caffaro eccoli di nuovo. Sono una trentina, hanno scorrazzato e stanno tuttora scorrazzando per Circonvallazione, ma anche a sforzarmi non vedo nemmeno un poliziotto. Come è possibile?
A casa dei miei guardiamo la 24 ore sul g8. L'adrenalina subisce presto un crollo. Purtroppo è morto un ragazzo, per ora non si sa come, ma è morto negli scontri di Piazza Alimonda.
Siamo sconvolti, decidiamo di tornare per strada. Una morte è una morte, non è giusto rintanarsi in casa.
A Manin c'è ancora tutto il sangue per terra. Scendiamo a Sant'Agata e ci ricongiungiamo con un gruppo di reduci disperati, come noi.
Vogliamo tutti andare a Piazzale Kennedy, bisogna parlare, discutere, capire.
Ma lì a Sant'Agata ci sono camionette ad ogni uscita, dal sottopassaggio di Brignole, verso Piazza Martinez. Righe di lampeggianti blu e un mare di divise e autoblindo.
Non sappiamo cosa fare, con la vespa seguiamo il corteo. La polizia ci lascia perdere.
In Corso Torino ricomincio a piangere.
Vedo una camionetta dei carabinieri che sta ancora bruciando dalla mattina. Corso Torino e le vie adiacenti, fino al mare, sono l'immagine della devastazione barbara e folle.
Non riesco a capire, non voglio credere che quella sia la mia Genova.
In Via Barabino ci sono i container. Maledetti, hanno ampliato la zona rossa a tradimento nella notte, all'insaputa degli stessi abitanti, in modo da impedire l'avvicinamento alla cittadella medievale dei grandi otto.
Vedo i container chiudere la strada davanti alla casa in cui ieri ci mostravano la foto del che dal poggiolo. Chissà che piacere...
In Piazza Rossetti sta ancora bruciando un palazzo, incurante degli spazzini che già cercano di mettere un po' di ordine in quelle strade sfigurate.
In Piazzale Kennedy c'è assemblea permanente, si decide per domani di fare ugualmente il corteo. Siamo tutti fiduciosi, domani sarà di certo diverso, saremo una moltitudine, non può succedere niente.
Voci di piazza assicurano che c'è una ragazza in coma, ma non si sa chi è.
Ricevo telefonate da amici di altre città. "Che succede? Tutto bene?". No, è un macello, un senso di vuoto che mi stritola lo stomaco. Il ragazzo che è morto aveva solo vent'anni. Gli hanno sparato in testa.
"Stai attenta" mi dicono gli amici.
Torniamo a casa, indecisi se affrontare la zona rossa oppure no.
Alla fine decidiamo che non li possiamo far vincere su tutto, quella è casa nostra, ci vogliamo tornare.
Speriamo bene, al varco sono un po' nervosi, ho le scarpe antinfortunistiche, il metal detector suona, ma non ci fanno troppe storie.
La solita telefonata incrociata per il mio pass rosa.
Mi fa male la gola, ho respirato lacrimogeni per tutto il giorno, le tonsille sono molto gonfie.
Mi addormento in un sonno di piombo. Sognando di scappare, scappare, scappare...

Sabato 21 luglio 2001
Dopo una notte di grande agitazione a causa delle violenze del giorno precedente, mi sveglio con la schiena e le gambe rotte. La tensione di ieri mi ha provocato accumuli tossici di acido lattico, e l'inattesa corsa su per il Righi ha fatto il resto.
L'apprensione per la giornata di oggi c'è, ma cerco di non pensare al peggio per non dover violentare ulteriormente il mio carattere tendenzialmente ottimista.
A riprova di ciò decido di mettere le lenti a contatto, cosa sconsigliatissima da tutti i compagni di Lilliput, a causa delle conseguenze alla cornea che i lacrimogeni provocano uniti alle lenti.
Non avrei mai pensato...
Con il mio compagno ci rechiamo in Vespa verso Corso Europa per passare da Via Orsini e raggiungere il concentramento allo Champagnat, ma incrociamo il corteo delle tute bianche provenienti dal Carlini. Non ci sembra opportuno cercare di passare, non per sfiducia nei loro confronti, ma per paura di rappresaglie di polizia o blocco nero.
Finalmente arriviamo in Via Pisa, parcheggiamo e ci uniamo allo spezzone di Rifondazione, che sta tagliando da una traversa per raggiungere Corso Italia.
Incontro qualche amico e decidiamo di fermarci lì. Hanno un servizio d'ordine ben organizzato, con cordoni laterali che impediranno, così speriamo, l'inserimento di qualsiasi intruso.
Con gli amici ci raccontiamo le esperienze di ieri. Nessuno si stupisce di niente, ma alla notizia di un filmato visto da qualcuno in cui si vedono black blocks uscire dalle camionette e parlare con i celerini, i sentimenti sono contrastanti. Da una parte non riesco a pensare ad un tale rovesciamento dei valori e credo che simili notizie possano essere ugualmente destabilizzanti, dall'altra ho un brutto presentimento, in fondo certe cose non è la prima volta che succedono...
In Corso Italia veniamo affiancati dal corteo della Fiom.
Ok, adesso possiamo andare, in fondo siamo fra gente storicamente organizzata contro cariche e infiltrazioni, possiamo almeno sforzarci di stare tranquilli.
Il corteo va avanti.
Passiamo davanti al forte dei carabinieri. "Assassini, assassini!"
Si intravedono i bagliori del sole riflesso sui loro scudi, ma sono dentro, per ora.
L'elicottero sembra una fastidiosa mosca testarda, continua a volare sulle nostre teste, incurante dei numerosi ed espliciti gesti che le nostre mani gli indirizzano.
Ecco, siamo nei pressi dei Bagni S. Nazaro.
Squilla il telefono. È mia madre. Sento nella voce un'ansia che mi fa rabbrividire.
Qui non ci siamo ancora accorti di niente, ma in Piazza Rossetti, proprio dietro la curva, stanno caricando. "Vai via da lì, davanti ci sono i neri!"
La notizia si sparge in un attimo.
"Compagni, fate cordone!", non bisogna lasciare entrare nessuno.
Alzo gli occhi verso il lato del corteo. Eccoli, stanno andando avanti, mi sembra di notare che non sono vestiti di nero, ma non voglio osservare con attenzione.
È un attimo. La paura di rimanere schiacciati fra corteo che avanza e corteo che indietreggia ci porta a decidere in un microsecondo di cambiare aria. Già in lontananza si vede del fumo. Mio padre mi avverte: molotov sulle camionette.
Prendiamo una stradina, in uno stato d'animo pietoso, tormentati dall'indecisione. Non sappiamo se andarcene o restare con il corteo. Oddio, qual è la decisione giusta?
Chiamo un amico. Mi esorta a tornare nel corteo, loro sono a Punta Vagno, secondo lui girare per le stradine è pericoloso, potremmo incontrare le bande.
Ma intanto ci stiamo allontanando, incontriamo una suora davanti al suo centro. Ci fermiamo a parlare con lei e con le due inservienti. Come ieri ci preme comunicare con la gente, far capire che non è di noi che devono avere paura.
Parliamo anche del g8. Evviva, finalmente si affrontano i contenuti.
Mentre siamo lì a parlare vediamo tanta gente che scappa in modo molto ordinato, senza panico. Gente per lo più delusa e stufa. Gente che ha deciso di tornare a casa.
Andiamo verso Albaro, stradina dopo stradina. Mia madre e mio padre mi aggiornano. I black blocks si stanno spostando. Velocissimi. Come ieri.
Ora sono in Corso Torino, stanno rovinando verso Brignole.
Ormai è proprio tutto chiaro, hanno deciso di distruggere la pacificità di tutto il corteo.
Restiamo ad Albaro, e avvertiamo tutti quelli come noi, esuli, di percorrere queste strade piuttosto che certe altre. Tanti vengono da fuori, non so cosa farei se non fossi nella mia città.
In ogni angolo si incontrano fuggiaschi che si scambiano opinioni.
"Non passate da Brignole, le tute nere stanno facendo guerriglia in Corso Torino e Corso Sardegna!".
Un compagno anziano mi guarda e dice: "Attenzione a parlare di tute nere, io li ho visti con i miei occhi parlare con i poliziotti!". Rimango colpita dal fatto che ci credo in modo incondizionato, anche perché gli anziani non raccontano frottole per farsi belli, e di sicuro non hanno voglia di destabilizzare.
Incontro il papà di un'amica. "Queste cose pensavo di averle viste solo nel sessanta! A Quarto c'era la guerriglia", e cerca di andare a casa, spaventato e deluso.
Continuano ad arrivare notizie. A Punta Vagno c'è il finimondo, la polizia carica chiunque, i miei amici raccontano di fughe per scalette e per stradine. E la polizia insegue.
Notizie da Via Casaregis, piogge di lacrimogeni, ad un amico ne scoppia uno a un centimetro. Gli devono far più volte inalare uno spray.
Mia madre è più tranquilla, gli scontri sono in Corso Sardegna, da Albaro non si vede nemmeno il fumo. Raccattiamo una ragazza per strada. È di Busto Arsizio, deve andare a Marassi, ma adesso non è proprio il caso.
Decidiamo di andare a Sturla a casa di un amico. La portiamo con noi.
E il telefonino squilla. Amici dispersi, racconti agghiaccianti, gente che ha assistito a cose mai viste in anni e anni di militanza.
Decido di guardare Primocanale e Telegenova. La diretta tv trasmette immagini aberranti, fuoco, fumo, macchine rovesciate, cameraman che scappano, sangue...
Amici in fuga mi chiamano per sapere quali strade possono percorrere. "Che tu sappia c'è guerriglia in Circonvallazione? Voglio provare a raggiungere casa dei miei!"
E poi mio padre, sento di nuovo l'ansia. "Dove sei? Albaro brucia!". Porca miseria, c'ero fino a cinque minuti fa.
Dal terrazzo vediamo il corteo che sfila per rientrare ai pullman e per riprendere i treni.
È un corteo triste e sconfitto, sono riusciti a spezzarlo in mille tronconi, gli striscioni sono arrotolati, gli slogan soffocano in gola.
Vediamo sfilare le Acli. E all'improvviso una nuova apocalisse. Dalla vicina caserma della polizia stanno sparando lacrimogeni. Su un corteo non più soltanto pacifico, quelli sparano su un corteo esausto.
Qualche manifestante butta i lacrimogeni nel fiume.
I bagnanti di Sturla sono esterrefatti.
Ma la giornata sta finendo, sono le sette, bisogna portare in qualche modo la ragazza di Busto Arsizio a Marassi.
Le notizie sono preoccupanti, ma passando dai monti ci si arriva.
Finalmente le nove. Tutti i miei amici sono in salvo, forse è finita, ora mi viene da piangere. Ma non riesco...
A mezzanotte è tutto discretamente calmo.
Decidiamo di tornare a casa. Nella zona rossa.
Facciamo prima un passo in Piazzale Kennedy. Vogliamo vedere le ferite di Genova, ma gli spazzini stanno già suturando.
E poi assistiamo al miracolo. Sotto il tendone di Piazzale Kennedy c'è una festa.
Centinaia e centinaia di ragazzi stanno ballando sui tavoli suonando e percuotendo qualsiasi cosa che faccia rumore, bottiglie con forchette, panche con le mani.
Tutto ciò è meraviglioso.
Per un attimo pensiamo di avere proprio vinto. Se dopo una giornata trascorsa a scappare dalle manganellate questi ragazzi hanno ancora voglia di ballare, ebbene, abbiamo davvero vinto.
Il ritmo è irresistibile, saliamo sui tavoli anche noi.
Ma qualcosa non quadra.
L'aria è ancora graffiata dalle pale dell'elicottero, usciamo dal tendone e alziamo gli occhi.
E il mondo crolla di nuovo.
Dalle parti di Via Nizza i lampeggianti illuminano a giorno.
Via, via, andiamo a casa.
Incontriamo una ragazza del Gsf. Black Blocks? "Macché, polizia alla Diaz!". La sua faccia stravolta è eloquente.
A Brignole le ambulanze squarciano la notte, una dietro l'altra, a raffica.
Non mi piace l'idea di oltrepassare il check point con i carabinieri. Non mi fido più di nessuno.
Al varco ci fermano per il solito quarto d'ora di controlli incrociati. Il consueto problema del pass rosa. "È la prima volta che transita da questo varco?" Ma quale prima volta. "Un istante, prego, fermatevi lì".
Ecco. Adesso ho paura. Non so di che cosa, e il non saperlo tramuta la paura in panico. Nella mia mente passano scene apocalittiche, sul genere "notte delle matite spezzate", l'adrenalina mi fa formicolare il cuore. Nel frattempo, tanto per metterci a nostro agio, ci fanno di nuovo svuotare le tasche e passare sotto il metal.
Ho di nuovo le scarpe antinfortunistiche. Li avverto in anticipo. Mi guardano e mi sembra di leggere i loro pensieri: "Lo sappiamo che vieni dalla manifestazione, magari con quelle scarpe spaccavi le vetrine!". Il metal suona. Il carabiniere non è convinto. Per evitare menate gli propongo di ripassare sotto il metal senza scarpe, ma intuisco che ha voglia di perquisirmi. "Nun te posso manco toccà!" mi dice. Ma è come se lo avesse fatto. Sarebbe bastato che quel briciolo di democrazia rimasta sparisse e io avrei avuto le mani di quello lì addosso.
A casa la tv trasmette delle immagini cilene. Testimonianze in diretta di angherie e pestaggi, ambulanze che continuano a partire ululando, teste rotte, sangue sui visi terrorizzati, ragazzi arrestati.
Un giovane fa vedere le manette alla telecamera, la gente è inginocchiata, le mani sul muro.
Sono agghiacciata, questo è troppo!
Con quelle immagini in tv e l'elicottero che ci vola sulla testa la mente va in tilt. Panico.
Siamo fregati, vogliono fregare tutti. Pensavo che la zona rossa fosse la più sicura. Ora ho la certezza di essere nella tana dell'orso. Dei passi nella piazzetta. Una ronda. Non ci affacciamo, ma sarà un'altra notte lunga e insonne...

Domenica 22 luglio 2001
Alle otto di mattina vengo svegliata da un elicottero che mi vola sulla casa, così vicino che, nel dormiveglia perseguitato dalle immagini argentine di ieri sera, ho la sensazione che si poserà sul tetto e calerà una scaletta a pioli.
Decido di non dargliela vinta e mi giro dall'altra parte, la testa sotto il cuscino, ma il caldo torrido di questa pessima estate mi costringe a svegliarmi.
Nervosa e leggermente intimidita decido di mettere in ordine i pensieri sparsi che mi vagano per la testa da cinque giorni a questa parte.
Comincio a scrivere, e mi perdo nei labirinti dei ricordi, con un'oppressione al petto che quasi mi toglie il respiro.
La televisione ricomincia con il suo puntiglioso resoconto dei fatti di ieri sera. Sembra un film ambientato a migliaia di chilometri di distanza, ma le ambulanze le ho viste, la polizia c'era, gli elicotteri volavano.
E volano ancora, sempre così vicini, lì, sopra il mio tetto. Non riesco quasi a udire la tivù, devo gridare per farmi sentire al telefono. Mi affaccio alla finestra e riesco a distinguere gli agenti sull'elicottero. Probabilmente gli otto e la loro corte di mandarini stanno prendendo il largo, c'è da vigilare da vicino, chi se ne importa se gli abitanti della zona rossa non riescono a vivere da cinque giorni, tanto tra un po' è finito, si rimetteranno in sesto con qualche maxidose di psicofarmaci.
"Basta, basta, abbattetelo". Mi viene da gridare.
Non ce la faccio, con l'elicottero che vola al piano di sopra e il vento in casa non riesco a lavorare.
Vado al mare.
Il pomeriggio trascorre in una finta pace, la testa viaggia da sola e non si cura della bella giornata. Negli occhi ho le immagini, nei muscoli la tensione, e l'odore del mare non riesce a scacciare quello pungente dei lacrimogeni. Nelle orecchie il panico e gli strepiti mi distolgono dal frangersi delle onde sugli scogli.
Cerco di distrarmi con un aperitivo, forte.
Al baretto ci sono un sacco di fighetti. Di solito mi sento a disagio, ma sento che tra i tavoli non si parla d'altro. Manifestazione, cariche...
Per un giorno mi sento parte di una stessa famiglia. E la cosa mi commuove.
Passa il solito elicottero. Qualche fighetto fa gestacci.
Decidiamo di non tornare nella zona rossa fino a che non avranno aperto i cancelli. Li aprono a mezzanotte, ma stasera non sopporterei un altro controllo al varco.
La farinata ci conduce verso il centro della serata, decidiamo di avvicinarci ai varchi.
Le dieci. I varchi sono deserti, nessun militare in vista.
Non pensavo che Vagare in vespa per Piazza De Ferrari e Piazza Fontane Marose potesse darmi questa gioia. Genova libera, Genova libera...
Decidiamo di riappropriarci del centro storico, e non siamo gli unici: gente con grosse borse che torna a casa, extracomunitari circospetti che ripopolano vicolo dopo vicolo. Ecco, gli odori e i colori del mio centro storico stanno tornando.
Mi commuovo, sono ancora così stravolta che non riesco a capire se così è naturale o se era normale il centro storico di cartapesta che ho vissuto nei giorni scorsi.
Ci spingiamo al Porto Antico, prima c'erano le cancellate, sempre chiuse.
Saliamo nel bar davanti al Bigo, abbiamo la gola secca, sarà l'emozione.
Nel bar c'è un sacco di gente, giornalisti, ragazzi, poliziotti...
Già, quanti poliziotti, tutti rilassati, tutti fuori servizio, sembrano proprio come noi.
Ma non posso dimenticare...
"Mi fa accendere?" "Ma certo" magari era quello che ha manganellato la signora che ho visto a Manin. Mi riprendo l'accendino e cerco un po' di pace a casa. Finalmente possiamo invitare degli amici, stiamo alzati fino a tardi. Domani mi devo svegliare presto, ma non importa, la mia presa della città me la voglio vivere fino in fondo.
E poi tanto, con questa insonnia...

Epilogo
Sono passati dieci giorni.
Mi sembrano anni, ma sono solo dieci giorni.
Ho trascorso questo tempo seguendo minuto per minuto le vicende governative e giudiziarie relative alle cinque giornate di Genova.
Ho pianto davanti alle immagini dei pestaggi, ascoltando le testimonianze alla radio, leggendo le opinioni sui giornali.
Ma in realtà non sono ancora riuscita a piangere per me, e me ne accorgo soprattutto dai sogni che mi perseguitano ogni notte. Cortei, posti di blocco, corse, fughe, manganellate, sangue... E scalcio e mi rigiro mille volte, svegliandomi alla mattina già stanca.
Ho paura. Paura della folla, dei grandi spazi, delle stradine laterali. Continuo a vedere grate dove non ce ne sono più, camionette dove ora ci sono solo parcheggi.
Ogni fuoco di campagna mi lascia con lo sguardo nel vuoto a ripensare alle devastazioni, ogni rumore improvviso mi fa sussultare, persino i tuoni mi sembrano esplosioni, per non parlare degli elicotteri, che mi fanno abbassare il viso anche se sono dei pompieri.
Questa vicenda mi ha cambiata, sarà difficile, d'ora in poi, essere tranquilli nell'esprimere le proprie opinioni, sarà difficile fidarsi della polizia, scendere in manifestazione.
Se volevano farci paura ci sono pienamente riusciti, ma non gliela daremo vinta, violenteremo insieme il nostro terrore, in nome del terrore dipinto sui volti dei manifestanti e dei ragazzi della Diaz, andremo avanti senza dimenticare, con la coscienza che i nostri parametri di giudizio sull'importanza delle cose avranno per sempre una tara.
Per adesso vorrei indietro solo un po' della solarità e dell'ottimismo che mi caratterizzavano, se non altro per ricominciare a dormire, anche per recuperare le forze.
La strada è ancora lunga, e in salita.

Canzone del maggio
(F. De André, G. Bentivoglio - F. De André, N. Piovani - 1973)
Liberamente ispirata ad un canto del maggio francese 1968

Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio
Se la paura di cambiare vi ha fatto chinare il mento
Se il fuoco ha risparmiato le vostre millecento
Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti.
E se vi siete detti non sta succedendo niente
Le fabbriche riapriranno arresteranno qualche studente
Convinti che fosse un gioco a cui avremmo giocato poco
Provate pure a credervi assolti siete lo stesso coinvolti.
Anche se avete chiuso le vostre porte sul nostro muso
La sera che le "pantere" ci mordevano il sedere
Lasciandoci in buonafede massacrare sui marciapiedi
Anche se ora ve ne fregate voi quella notte, voi c'eravate.
E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri
Senza le barricate senza i nemici senza granate
Se avete preso per buone le "verità" della televisione
Anche se allora vi siete assolti siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora la sicurezza la disciplina
Convinti di allontanare la paura di cambiare
Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte
Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti
Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti

 


 

Torna alla pagina dei libri