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I traditi di Corfù
Quel tragico settembre 1943
un libro di Paolo Paoletti
Introduzione
Nel prossimo anniversario che celebrerà i
60 anni dalla strage della “Acqui” a Cefalonia, l’oratore non mancherà di
dedicare due parole ai circa 600 tra ufficiali e soldati della stessa divisione
caduti a Corfù tra il 13 e il 27 settembre 1943. Ma Cefalonia purtroppo vanta
cifre molto più alte e inevitabilmente metterà in secondo piano le povere
vittime di Corfù. Siccome la pietà e il ricordo devono andare indistintamente a
tutti quelli che combatterono e morirono lontano dal suolo patrio per la stessa
causa e con gli stessi ideali, ci siamo sentiti in dovere di fare la stessa
ricerca e la stessa rilettura delle vicende del 18° reggimento della divisione
“Acqui” a Corfù.
Rispetto ai loro colleghi di Cefalonia, il destino per i soldati dislocati a
Corfù fu meno sanguinoso, nel senso che qui non ci furono eccidi di massa
indiscriminati, ma la loro sorte fu ugualmente tragica, perché altre centinaia
di soldati morirono in combattimento, prima sotto le bombe tedesche e poi sotto
quelle alleate, sotto quello che oggi si definisce “fuoco amico”. Per i
sopravvissuti ci fu quella prigionia, che alcuni di loro aborrivano più della
morte, violenta ma istantanea, sul campo di battaglia.
Un’altra differenza fra i difensori di Corfù e tutti gli altri soldati italiani
che vennero colti dall’armistizio all’estero è che i primi si vennero a trovare
relativamente vicini alla madrepatria. Ciononostante la storiografia italiana ha
sempre avuto un atteggiamento assolutorio verso la mancata difesa delle isole,
in particolare di Cefalonia e Corfù, come se fosse stato un destino ineluttabile
quello di soccombere sotto gli attacchi tedeschi. Se invece si rileggono le
carte si vede che la distanza di Corfù dalle coste pugliesi di circa 120 km
minore rispetto a quella di Cefalonia, poteva essere sostanziale ai fini del
mantenimento dell’isola in mani italiane. In effetti i 370 km di distanza dalle
piste pugliesi facevano di Cefalonia un obiettivo irraggiungibile ai nostri
caccia-bombardieri, mentre Corfù rientrava nel raggio d’azione dei nostri aerei
e a maggior ragione delle nostre navi. L’isola, più vicina della stessa Sardegna
alla terraferma italiana liberata, aveva un grosso neo: era divisa dalle coste
greche solo da uno stretto braccio di mare. Nella parte nord l’isola distava
dalla terraferma non più di un paio di chilometri, per cui Corfù era una
portaerei immobilizzata alla mercè delle artiglierie pesanti tedesche. Ma questo
grave handicap poteva essere compensato, se ci fosse stato un fermo impegno nel
sostenere la resistenza del presidio di Corfù.
Corfù era un’isola strategica per tutti i contendenti ma per gli italiani lo era
in modo particolare: era importante dal punto di vista militare, come punto di
appoggio per il rimpatrio dei militari italiani dai Balcani, e politico, in
quanto in quei giorni lo Stato e il Governo italiano si volevano accreditare
agli occhi alleati come cobelligeranti a tutti gli effetti.
Invece le carte scoperte negli archivi giustificano il rammarico espresso allora
dal comandante del presidio, il col. Luigi Lusignani, il quale ebbe a dire prima
della sua fucilazione: “Se ci avessero aiutato, avremmo potuto resistere”.
Come per il libro sulla strage di Cefalonia, non ci siamo soffermati sulle fasi
militari delle due battaglie, già trattate da storici italiani (Torsiello,
Montanari ecc.) e tedeschi (Schreiber, Fricke). Non ci siamo neppure occupati
delle relazioni italo-corfiote, già oggetto degli studi del metropolita di Corfù
e Paxos, Methodius¹
e di Kostas Dafnis².
Abbiamo, invece, cercato di riflettere sul comportamento dei due comandanti, il
gen. Gandin a Cefalonia e il col. Lusignani a Corfù, e sugli aspetti storici
delle due vicende.
Uno dei motivi che ci hanno spinto a scrivere un libro sul settembre 1943 a
Corfù è stato anche il fatto che i documenti ci hanno svelato che la resistenza
italiana a Corfù divenne effettivamente disperata per il mancato rispetto degli
accordi da parte degli Alleati e per gli errori strategici e tattici del Comando
Supremo e dell’Aviazione italiana. Le novità di questa ricerca provengono per lo
più da documenti inediti: gli allegati del Diario Storico del Comando Supremo
(da qui in avanti DSCS), le testimonianze dei reduci conservate all’Ufficio
Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito e a quello della Marina, gli atti del
processo di Norimberga contro il gen. Lanz e il rapporto ufficiale della
missione militare inglese “Acheron”, che arrivò a Corfù il 21 settembre 1943.
Le novità che emergono da questa documentazione riguardano vari temi. Una di
queste è stata proprio la scoperta delle tardive ma reali intenzioni alleate di
fare di Corfù la Lero dell’Adriatico, un’isola dove gli italiani avevano il
totale controllo del territorio, godevano delle simpatie della popolazione,
potevano mettere a disposizione degli Alleati porti e un aeroporto per lo sbarco
dei rinforzi. L’intelligence del col. Lusignani, verosimilmente grazie alle
notizie fornite dai partigiani greci, aveva preventivamente indicato gli
obiettivi da colpire, aveva persino previsto i tempi e il luogo del secondo
sbarco tedesco. L’isola poteva dunque essere mantenuta in nostro possesso ma
purtroppo mancò completamente il supporto aereo e, nonostante l’impegno profuso
dalla Marina, anche quello navale italiano. Il contrattacco tedesco a Salerno
aveva avuto il suo culmine il 13 settembre 1943, giorno del primo fallito
tentativo di sbarco a Corfù. Se il 20 settembre Eisenhower, allora Comandante in
capo Alleato nel Mediterraneo, ordinò alla missione militare britannica
“Acheron” di paracadutarsi su Corfù, è perché credeva di aver ancora tempo per
salvare l’isola. Quando gli Alleati si resero conto che la resistenza dell’isola
offriva quei requisiti minimali per tentare un loro appoggio concreto e che il
rapporto rischio-benefici era diventato accettabile, decisero di intervenire,
anche se Corfù non rientrava nei piani delle isole, ove inviare un contingente
alleato a supporto di quello italiano. Ma quando Eisenhower decise di imporre
agli inglesi di dare il supporto alleato per tenere l’isola, era diventato
troppo tardi e noi pagammo per la loro incertezza iniziale. Ma Corfù anche se
avesse resistito al secondo tentativo di sbarco tedesco, non avrebbe potuto
rimanere in mani italiane senza un costante aiuto alleato.
Risulta invece confermato che Corfù fu un fulgido esempio di dedizione alla
patria, compiuta in piena sintonia tra ufficiali, soldati italiani e partigiani
e popolazione greca. La ‘riconoscenza’ dell’Italia si manifestò sin dal 1948 con
due sole medaglie d’oro alla memoria e una alla bandiera del reggimento.
Le irriverenti parole di Attilio Tamaro, che scriveva³:
“La resistenza fu impresa disperata ed inutile e in un certo senso anche
profondamente ingiusta, perché fatta solo per sentimento di onore, senza forze,
senza possibilità di aiuti, alla ventura di Dio e portò alla completa rovina
della città e dell’isola, con infinito danno di quei poveri greci, ai quali
avevamo, dopo tante sventure loro inferte, il dovere di donare la pace e la
sicurezza. Invece i nostri vollero far partecipare all’impresa anche i
partigiani di Papas Spiro, perseguitato da noi fino alla vigilia”. Attilio
Tamaro avrebbe dunque preferito per Corfù la resa italiana e l’occupazione
nazista, senza capire che i partigiani greci avevano scelto, anche se come male
minore, la nostra presenza a quella germanica. Che la guerra sia sempre la
peggiore delle soluzioni è noto, così pure che in guerra spesso si combatte ad
armi impari; altre volte certe imprese sono disperate fin dall’inizio ma a volte
lo diventano per ragioni estranee a chi le compie. Tamaro non considerava
inoltre che occorreva difendere Corfù anche per salvare le decine di migliaia di
militari sbandati che si accalcavano nei porti albanesi. Solo la mancanza di
strategia del Comando Supremo e dell’aviazione italiana furono i principali
responsabili del fatto che l’isola cadde proprio quando gli Alleati si erano
convinti a difenderla.
Note
1 Methodius, Archivio dell’occupazione.
2 Kostas Dafnis, Anni di guerra e d’occupazione.
3 Attilio Tamaro, Due anni di storia, 1943-1945, Ed.
Tosi, Roma, 1948, pp.321-322.
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