I traditi di Corfù
Quel tragico settembre 1943
 

un libro di Paolo Paoletti


Prefazione

 

di Eduardo Fiorillo

All’udire Cefalonia, per effetto della mole di lavoro storiografico e delle imprese celebrative, ma ancor più della finzione letteraria e cinematografica che attualizza, romanzandole, le vicissitudini storiche e le rende familiari a un più vasto pubblico, la mente va subito alla divisione Acqui, alla resistenza e all’eccidio dei soldati italiani. La maggiore delle isole ionie è assurta a luogo della memoria. Persino il vacanziere più distratto ben difficilmente mancherà di sostare dinnanzi il monumento ai caduti, presso la Casetta Rossa e la vicina fossa comune. Se appena più volenteroso visiterà di certo la mostra permanente, frutto dell’ impegno di un modesto quanto generoso gruppo di residenti italiani. Corfù al contrario ci parla solo di vacanze in Grecia. Nulla colà, neanche una lapide, rammenta all’ignaro turista le vicende ugualmente drammatiche che coinvolsero i soldati italiani pressoché negli stessi giorni del ’43, susseguenti l’armistizio. Eppure a Corfù si consumò d’un fiato la tragedia, e con essa la beffa, di un gran numero di italiani che pochi giorni prima avevano sperato e creduto che l’incubo della guerra stesse per finire e che sarebbero tornati a casa. Il primo tradimento è dunque quello della memoria.
Questo libro è la storia di una battaglia, non delle più decisive per l’esito della seconda guerra mondiale, durata appena 14 giorni, dal 13 al 26 settembre del ’43. La storia e non la semplice cronistoria, poiché l’autore, al quale va senz’altro il merito di avere riaperto un “fascicolo” che era stato chiuso troppo in fretta, stimolando nel contempo altri a fornire in futuro il loro contributo, non si limita a confrontare le fonti onde ricostruire nel modo più veridico le vicende belliche di quei giorni, ma si pone, con chiarezza quasi didascalica, delle domande, ricerca a quei fatti delle cause, scandaglia con imparzialità i comportamenti dei protagonisti. E la prima domanda, dato che di una battaglia si parla, non può che riguardare le forze in campo, ossia chi ebbe a combatterla. E qui subito appare una prima peculiarità: in una guerra che si stava già perpetrando da tempo tra le forze Alleate e quelle dell’Asse, la battaglia di Corfù è combattuta dalle forze tedesche dei tre corpi contro le sole forze italiane di terra di stanza sull’isola, alleate fino a pochi giorni prima e ora divenute nemiche. Per quale ragione, o piuttosto per quali scopi e in seguito a quali errori di valutazione, i circa 5000 soldati del presidio di Corfù furono dal Comando Supremo italiano e da quello alleato, dapprima impegnati militarmente, anziché rimpatriati, e poi sostanzialmente abbandonati al loro destino? Lungi dal fornire una risposta preconfezionata a questa fondamentale domanda, l’autore, avvalendosi quasi unicamente di fonti di prima mano laboriosamente raccolte (fonogrammi, rapporti e testimonianze provenienti dagli archivi militari italiani, tedeschi ed inglesi), le rende fruibili al lettore trasformandole mirabilmente in un puzzle che quest’ultimo avrà il privilegio di comporre.
E in verità la sensazione che deriva dalla lettura di questo libro, così come del suo analogo dedicato alle più note vicende di Cefalonia (P. Paoletti, I traditi di Cefalonia, Genova 2003) è quella di un profondo coinvolgimento nell’agonia di tanti uomini che in sì breve lasso di tempo videro mutarsi la speranza di rivedere i propri cari nella consapevolezza di essere stati traditi e consegnati nelle mani di chi considerava piuttosto loro dei traditori e di pugno dal proprio Führer aveva ricevuto l’ordine di non fare prigionieri. Una sensazione prodotta non da artifizi retorici, giacché lo stile espositivo di P. Paoletti è improntato all’essenzialità e al rigore storiografico, ma dall’intrinseca vivida drammaticità dei documenti riportati.
In realtà molti dei soldati italiani di Corfù trovarono la morte successivamente alla resa, sotto le bombe alleate. Ultimi in ordine di tempo a pagare lo scotto di un tradimento ancora più grande, quello di chi tre anni prima, da un balcone di Palazzo Venezia, aveva dato il via all’avventura sempre tragica della guerra.
 


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