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Della vita
privata dei genovesi
un libro di Luigi Tommaso Belgrano
Questa monografia della vita privata dei genovesi uscì per la prima volta a
stampa negli Atti della Società Ligure di Storia Patria, in sullo scorcio del
1866. Né increbbe il vedere che un popolo il quale già innanzi era stato in
molti e dotti volumi considerato, discusso e meritamente lodato per le sue
grandi imprese e pe’ suoi trovati economici, venisse ora tolto a speciale
disamina sotto un altro punto di vista, più consentaneo forse allo spirito del
nostro tempo, animoso e sottile indagatore.
Ma perché l’argomento è assai vasto, e somministra attinenze numerose e
svariate, sì che difficilmente potrebbe mai dirsi esaurito; niuno meraviglierà
se, comparando la presente con l’antica edizione, troverà il lavoro meglio che
duplicato. Pel che opportunamente alle notizie da me adunate se ne aggiunsero
altre parecchie via via comunicatemi con isquisita gentilezza da colte e
studiose persone; ed in particolar guisa da’ miei egregi amici Federigo Alizeri,
Cornelio Desimoni, Achille Neri, Francesco Podestà, Marcello Staglieno.
Pur mantenendo la primitiva distribuzione dell’opera in quattro parti, ne ho
modificato in più luoghi l’ordinamento; ed oltre a ciò stimai non disutile
distribuirla tutta in capitoli.
Genova, aprile 1875
Luigi Tommaso Belgrano
Introduzione
Taluni fra gli storici dei secoli XIII e XIV, i quali ci
hanno lasciata una dipintura a larghi tratti de’ tempi cui seguitarono a breve
distanza, descrivono i costumi degli italiani tutti spiranti semplicità, e quasi
diremmo ancora selvatichezza. Ai giorni dell’imperadore Federigo II, così diceva
Ricobaldo Ferrarese, rozzi erano in Italia riti e costumi. Gli uomini portavano
mitre di ferree squame; a cena marito e moglie mangiavano a un solo piatto, né
usavan legni da tagliare; uno o due bicchieri bastavano ad una famiglia. Di
notte illuminavan le mense con lucerne o faci, cui sosteneva un donzello; ma non
vedeansi candele. Gli uomini vestivano rozze lane o pellicce; le donne stavansi
paghe a tuniche di pignolato, anco allora che andavano a marito; poco o nessun
uso faceasi d’oro o d’argento; e si era parchissimi nel mangiare. I plebei tre
dì per settimana pascevano carni fresche. Allora desinavano erbaggi cotti colle
carni; e fornivasi la cena co’ resti delle medesime fredde e riposte; né tutti
beveano vino all’estate. Di poca somma stimavansi ricchi. Picciole eran le
canove, non ampli i granai. Lieve dote bastava a collocar le fanciulle; né
zitelle, né spose costumavano fregi preziosi intorno il capo; e le donne legavan
le tempia e le guancie di larghe bende, cui annodavano sotto il mento. Gli
uomini faceano loro gloria di cavalli e d’armi; i nobili poneanla nel noverare
di molte torri fra i loro sterminati possessi (1).
Se non che, il raccontato da siffatti lodatori dei tempi trascorsi trovasi
contraddetto da parecchi altri scrittori, non meno de’ primi gravi ed
attendibili; e però, anziché pigliare alla lettera l’esposizione loro, conviene
ammettere con Cesare Cantù, che Ricobaldo Ferrarese ed i suoi compagni voleano,
esagerando il confronto, far rimprovero al fasto dei loro tempi «come noi
sentiamo tuttodì esaltare dai vecchi i costumi sobrii e schietti che correvano
in loro gioventù, e che pure formavano soggetto di beffe e rimproveri ai poeti,
ai comici, ai predicatori di allora. Se mai l’esiglio nostro sarà prolungato,
anche noi ne’ tardi anni rimpiangeremo la beata semplicità e l’ingenua fede che
correva ne’ tempi di nostra giovinezza» (2).
D’altra parte, è necessario strettamente il distinguere da’ Comuni e dalle
Signorie di dentro terra le città marittime, come quelle che sorsero prima delle
altre a libertà, e colle conquiste e i commerci, di che ebbero anzi l’indirizzo
che il maneggio, di buon ora entrarono nella via delle ricchezze e dello
incivilimento.
Per procedere con ordine nello svolgimento del lavoro propostomi intorno la vita
privata de’ genovesi, occorrerà ch’io tocchi anzitutto di ciò che si attiene
alle loro abitazioni; dica poscia del mangiare; quindi ragioni del vestire; ed
infine mi soffermi a ritrarne il costume.
Le mie ricerche si drizzano specialmente all’età di mezzo; tuttavia mi è occorso
di varcare frequenti volte il confine, allo scopo di meglio completare le
notizie fornite; non senza fiducia che l’importanza e novità delle stesse valga
a scusare le digressioni.
(1) Ricobaldi Ferrariensis Compilato Chronologica, apud
Muratori Script. Rer. Ital. IX, 247.
(2) Cantù, Storia Universale, vol. XI.
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