I N T R O D U Z I O N E

1. Da un punto di vista storico ci accostiamo alla documentazione etnografica per ricostruire gli aspetti tradizionali delle culture native, e per ricostruire come queste si modificarono nell'impatto con l'Occidente. Tuttavia facciamo ciò avvalendoci di documenti scritti da osservatori occidentali per lo più quando quelle culture avevano già subito enormi trasformazioni: uno dei rischi più comuni che deriva da tale stato di cose è quello di attribuire ad un lontano passato fenomeni recenti o, al contrario, di ritenere recenti fenomeni di antichissima tradizione. Quali accorgimenti potranno farci aggirare tale difficoltà, garantendoci da questo rischio?

Studiando gli Ojibwa, popolazione di lingua algonchina, mi sono trovata appunto a dover affrontare e risolvere questo genere di problemi. La visione puberale e il Midewiwin (detto anche "Loggia di Medicina" con un termine "Loggia" che evidenzia immediatamente la mistificazione interpretativa operante), gli istituti che qualificano e identificano quella cultura sono ritenuti correntemente istituti tradizionali, originari, sulla scia della tradizione etnografica ottocentesca. Peraltro è un fatto che gli etnografi dell'Ottocento riscontrassero la compresenza di questi fenomeni culturali nei villaggi in cui si recavano; ed è un fatto che gli stessi Indiani ritenessero queste istituzioni ambedue di antichissima origine.

Uno studioso, Harold Hickerson, negli anni '60, basandosi su un attento vaglio delle fonti missionarie, ritenne di cogliere i prodromi del Midewiwin, in certi rituali di fine '600: la sua ricostruzione indicava quell'istituto come posteriore al contatto con i Bianchi. Lo sforzo di Hickerson di ripercorrere di cronaca in cronaca e di lettura in lettura il lento trasformarsi di rituali di "giocolieri" settecenteschi in un complesso e organizzato rituale iniziatico non convinse tutti gli studiosi sicché la divulgazione (e non solo la divulgazione) propone ancora oggi l'idea di un Midewiwin quale fenomeno antichissimo. Io, da parte mia, ho ritenuto possibile percorrere un'altra strada indirizzando il mio studio sugli Ojibwa in una direzione che suffragava i risultati di Hickerson, ma lavorando nella sincronia. Avvaloravo la sua ipotesi del Midewiwin come istituto sorto dopo l'urto culturale con l'Occidente senza ricorrere a ricostruzioni cronachistiche, ma fissando ostinatamente l'attenzione sulle funzioni attribuite al Midewiwin da una parte, e alla visione puberale dall'altra. Ho ritenuto insomma possibile cogliere la storia, il mutamento, lavorando sulla sincronia. Alcune rapide riflessioni daranno qui conto della mia posizione metodologica.

Se si considera un determinato contesto culturale come testimoniato dalla documentazione di un determinato periodo, non si potrà non essere d'accordo su due fatti essenziali: a) Un contesto culturale dato, in quanto "momento" dell'esistere, nel fluire della storia, di una certa cultura, esprime comunque una realtà storica in trasformazione. b) Per ciò stesso ogni contesto culturale non può non presentare alcuni fenomeni in espansione, altri, in regressione. Ora, la documentazione relativa alle culture amerindiane, essendo comunque posteriore all'urto culturale con l'Occidente, non può non testimoniare, consapevolmente o inconsapevolmente, contesti culturali in più o meno accelerata trasformazione in senso occidentale. Ci troveremo per forza di cose di fronte a fenomeni ascrivibili a orientamenti culturali divergenti e successivi. Di questi fenomeni o istituti culturali, siano riti, o miti o altro, sarà a noi possibile riconoscere la rispettiva matrice culturale, l'orientamento di cui sono prodotti (e produttori) e dunque la maggiore o minore antichità, se sapremo ricostruire la loro rispettiva logica nonché le loro rispettive esigenze e finalità. Di fatto il confronto sincronico dell'istituto della visione puberale con il Midewiwin non solo rivela due diverse concezioni del mondo, ma apre alla diacronia evidenziando come il secondo istituto derivi dal primo riuscendo a piegare la precedente idea della realtà alle nuove esigenze sorte dall'impatto con l'Occidente.

2. Altro problema: come avvicinarci oggi alle culture tradizionali evitando di proiettare su di esse tematiche, conflitti, esigenze, aspirazioni della nostra temperie culturale? Come recuperare senza mistificazioni la loro realtà per quel tanto che i documenti antichi e recenti ci consentono di ricostruire?

Di fatto però per chi oggi si occupi scientificamente, da un punto di vista storico, di culture tradizionali, sono aperte essenzialmente due vie d'approccio, ambedue necessarie e certamente complementari. Attraverso l'una si mira a individuare gli stereotipi comuni nella decifrazione della diversità culturale e le ragioni storiche della loro origine e della loro affermazione; attraverso l'altra si mira a ricostruire, al di là degli stereotipi, se e fin dove possibile la specificità culturale altrui, l'altrui sistemazione del mondo.

Le culture degli Indiani dell'America settentrionale esercitano sempre grande attrattiva sul pubblico. Per più motivi: perché sono immediatamente riconnesse alla filmografia "western" è stato possibile, divertendosi, dividere comodamente il mondo in "buoni" e "cattivi" assegnando diversamente le parti in relazione al variare delle esigenze etico-ideologiche; e poi perché si ritiene generalmente che queste culture fossero portatrici di una sorta di primitiva religiosità mistica incentrata sull'estasi e volta a esaltare, a potenziare le qualità dell'individuo ponendole al tempo stesso al servizio della collettività.

Ora se gli stereotipi che dipingono gli Indiani delle Americhe come "cattivi" o come "buoni" (stereotipi nei quali coagularono, fin dai tempi immediatamente successivi alla scoperta dell' America, tematiche molteplici) sono schematicamente riconducibili, gli uni, alla necessità di giustificare l'espropriazione delle terre e il genocidio, gli altri, alla necessità di sollevare le coscienze attraverso una sorta di autocondanna dell'Occidente e sono stati ampiamente analizzati tanto a livello storico che a livello antropologico, invece gli stereotipi comunemente accreditati concernenti la "religiosità" di quei popoli sembrano più duri da scalfire, richiedendo una competenza ed una metodologia specificamente storico-religiose. Così per quanto concerne le tradizionali culture native nord-americane non se ne comprenderà la diffusa esperienza estatica ricorrendo a categorie interpretative cristallizzate quali "misticismo" e "individualismo", ma piuttosto sottoponendo a critica storica l'uso di tali categorie attraverso il riconoscimento della loro non pertinenza all'ambito storico-culturale considerato. La tradizionale, generalizzata esperienza estatica nord-americana non potrà essere ritenuta esperienza di tipo mistico laddove le si riconosca la specifica finalità mondana. Infatti si ricercava il contatto con l'alterità super-umana non per vivere un'esperienza sacra fine a se stessa, che trovasse nella propria stessa realizzazione il proprio senso, bensì si ricercava quel contatto per utilizzare, per confermare e per mettere a punto in relazione a ben precise esigenze e finalità, il codice di lettura del mondo che la propria cultura tramandava nel tempo e che consentiva di entrare a far parte di un universo di significati attraverso cui si dava senso, orientamento e possibilità operative al singolo e al gruppo. Non si parlerà dunque di tendenza mistica né a proposito delle culture nord-americane tra le quali i personaggi guida erano grandi visionari, né a proposito di quelle culture tra le quali era addirittura necessaria, per ciascun uomo che volesse essere considerato tale, la ricerca di una visione (estatica o onirica) in età puberale. Gli Algonchini, che qui ci interessano, appartengono a questo secondo sistema culturale. Essi non ricercavano l'estasi o il grande sogno ritenuto all'estasi equivalente per fuggire dal mondo realizzando nella circoscritta temporalità del rito una dimensione sacra, assoluta, in sé appagante e significativa. Al contrario ricercavano l'estasi per poter esistere nel mondo e per poter operare su di esso. Il manitù che si rivelava a ciascun uomo nella propria visione infatti ne esprimeva la identità culturale e, indissolubilmente, le possibilità operative, riconnettendolo a un ambito di realtà di cui il manitù stesso era simbolo. Era come se il manitù avesse la doppia funzione di significare l'aspetto o gli aspetti del mondo naturale con cui esso stesso era messo in relazione, e insieme di significare l'uomo cui si rivelava nella visione. Il manitù costituiva insomma il tramite attraverso il quale l'uomo e il mondo venivano collegati. Diremmo che in questo sistema culturale Natura e Umanità venivano lette contemporaneamente attraverso il codice dei manitù: mentre si dava significato all'uomo, ad ogni singolo uomo che accedeva alla visione, si dava al tempo stesso significato al mondo. Il mondo veniva decifrato e ordinato nel rapportarlo ai singoli uomini e per rapportarlo ai singoli uomini, e i singoli uomini potevano esistere ed agire grazie a questo rapporto. Allora è lecito parlare di grande valutazione dell'individuo da parte di queste culture? No, se con quel termine si vuole intendere una nozione di individuo come realtà data, cui quelle culture assegnerebbero grande importanza. Sì, se con quella espressione si volesse invece intendere che la costruzione culturale dell'individuo costituiva il problema centrale della cultura algonchina e di quelle affini. Se è certamente vero che la specie umana è formata da singoli individui, è altrettanto vero che non bisogna confondere la realtà del singolo uomo quale modalità naturale dell'esistere con l'idea dell'individuo quale specifica entità culturale separata dal resto dei suoi simili e dal mondo per attributi culturali e culturali potenzialità operative. Bisogna avere sempre presente che la nozione di individuo come quella di persona o quella stessa di uomo sono culturalmente condizionate. In questo senso la costruzione dell'individuo o della persona è compito culturale e tutte queste categorie, pregne come sono di contenuti occidentali, debbono essere utilizzate soltanto a fini orientativi. La visione, perno della cultura algonchina, creava insieme gli individui come entità culturali e il mondo come ambiente dell'uomo attraverso la decifrazione dei diversi manitù personali e delle loro singolari caratteristiche e competenze. Ogni singolo uomo trovava senso e possibilità di esplicazione culturale grazie al suo rapporto con quell'aspetto del mondo che il proprio manitù simboleggiava (per quanto quel certo aspetto possa apparire ai nostri occhi irrilevante). Di conseguenza la distinzione tra un uomo, il suo manitù, e la porzione del reale che questi esprimeva, era una distinzione sempre in bilico, mai netta, decisa, stabile. E se erano frequenti le metamorfosi dei visionari che assumevano l'aspetto dei loro manitù, concordemente la tradizionale idea algonchina di individuo appare a noi quella di una entità labile in un mondo incerto.

L'arrivo dei bianchi sconvolse questo sistema. Decimati i clan, sospese quasi del tutto le tradizionali occasioni cerimoniali di raduno, impediti gli stessi tradizionali percorsi territoriali, ben poco restava a collegare i gruppi sparsi. Gli uomini avevano difficoltà ad avere visioni. Una crisi di enormi proporzioni investiva la collettività e le sue tradizionali manifestazioni, gli individui e la stessa possibilità di esistere al mondo privati del tradizionale referente, del personale manitù. La Loggia di medicina o Midewiwin, fu la risposta a tale crisi. Questo istituto costituì l'invenzione straordinaria attraverso la quale gli Algonchini seppero rifondare la propria idea del mondo adattandola alla nuova epoca storica in cui dovevano vivere. L'adattamento non significò cedimento di fronte alla preponderante cultura dei bianchi, ma significò invece riplasmazione del proprio mondo in relazione alle nuove esigenze. Dicevamo sopra come la creazione dell'individuo attraverso la visione dei manitù costituisse il perno della tradizionale cultura algonchina. Dicevamo pure che quel sistema conferiva all'uomo una realtà culturale dai confini incerti che lo vedeva spesso identificarsi - in modi non controllati ritualmente - con il suo stesso manitù o con la realtà naturale da esso simboleggiata. Il Midewiwin si fondò sull'impersonazione rituale dei manitù. Tuttavia esso non rinnegò la visione, ne rinnegò gli antichi manitù: semplicemente affermò un diverso modo di "vedere" quelle entità. Al mancato verificarsi delle visioni (estatiche e oniriche) dei singoli individui, di fronte al baratro in cui rischiava di essere sommersa, la cultura algonchina reagì con uno scatto di creatività. Se i manitù non potevano essere presenti mediante le visioni era però possibile evocarli con l'impersonazione. Questo strumento rituale, per l'innanzi conosciuto ma utilizzato solo occasionalmente, fu dal Midewiwin potenziato ed arricchito via via, venendo a costituire il centro vitale del rapporto dell'uomo con il mondo. A tutti l'iniziazione al Midewiwin garantiva, come prima aveva fatto l'istituto della visione puberale, una vita decorosa al riparo dall'indigenza e dalle sofferenze, sicché tutti correvano ad iniziarsi. Di fatto ormai l'uomo algonchino diventava tale sottoponendosi all'iniziazione al Midewiwin. La nuova identità degli Algonchini garantita dal Midewiwin si fondava ancora sul rapporto con i manitù, ma la diversa modalità del "vedere" che il nuovo istituto realizzava attraverso l'impersonazione rituale proponeva un rapporto, tra gli individui e quelle entità, molto diverso da quello tradizionale, un rapporto nuovo che implicava una serie di trasformazioni risolutive. Il rapporto tra gli uomini e la realtà manitù era adesso codificato, stabile, eguale per tutti gli individui introdotti nello stesso grado iniziatico. Infatti tutti costoro vedevano, attraverso l'impersonazione effettuata dagli iniziati, gli stessi manitù, secondo la norma codificata da quell'istituto. Allo stesso modo, i momenti di identificazione tra l'uomo e la realtà dei manitù erano circoscritti ai riti, allorché l'iniziato impersonava i manti del proprio grado iniziatico. Ne derivava una delimitazione netta tra la realtà manti e la realtà dell'uomo, una separazione ben definita dei reciproci limiti. Di conseguenza anche il mondo, nei diversi aspetti che i diversi manti stavano a significare, rimaneva tendenzialmente stabile nei suoi confini. Diremmo che con il Midewiwin gli Algonchini marcarono i confini tra l'Umanità e la Natura ponendosi di fronte al mondo in modo nuovo. I manitù fissati dal Midewiwin nelle proprie caratteristiche e nei propri campi d'azione esprimevano ora un ordinamento del mondo tendenzialmente stabile e organicamente strutturato. Non più espressioni, da catturare ogni volta attraverso la singola individuale visione, del significarsi dell'uomo attraverso la natura, i manitù erano diventati simboli stabili di sezioni della realtà con cui gli uomini potevano stabilmente rapportarsi attraverso i riti del Midewiwin. Paradossalmente si assiste, grazie a questo istituto, alla composizione di canoni dottrinari che venivano fatti risalire alla tradizione. In realtà questi canoni esprimevano la nuova concezione del mondo e, con essa, la nuova consapevolezza di un'antichissima matrice culturale ed etnica comune ai diversi gruppi di lingua algonchina. L'impatto con l'Occidente aveva innescato una serie di trasformazioni a catena: attraverso di esse, nello sforzo di sopravvivere per un tempo il più lungo possibile, la cultura algonchina si era venuta riconoscendo e definendo. Nell'erigere un baluardo attorno alle proprie tradizioni, il Midewiwin le aveva fissate di fatto per la prima volta in limiti precisi (i canoni midé), così come in ambiti ben definiti aveva intrapreso a fissare i contorni del mondo e dell'umanità.