Quetzalcoatl. Saggi sulla
religione azteca
I N T R O D U Z I O N E
La cultura mesoamericana ci è documentata
attraverso siti, monumenti e reperti archeologici, attraverso un certo
numero di codici pittografici, e attraverso fonti letterarie, tutte posteriori,
queste ultime, al 1519, data dell'arrivo di Cortés in Messico. Per
quanto riguarda i codici pittografici, va tenuto presente che, per tutta
l'area mesoamericana soltanto una quindicina di codici viene fatta risalire,
con ragionevole certezza, all'epoca pre-cortesiana. Ne deriva che la ricostruzione
della storia e della cultura di quei popoli si basa essenzialmente sul
materiale archeologico (precedente alla conquista) e sulle fonti letterarie
(posteriori alla conquista). Questo stato di cose pone un ordine di problemi
che potremmo riassumere con le seguenti domande di carattere generale:
1. fino a che punto l'archeologia consente di ricostruire la vita culturale
e la storia di un popolo? 2. in mancanza di fonti letterarie coeve è
lecito attribuire ai popoli testimoniati da un certo materiale archeologico
quanto a quei popoli attribuiscono fonti letterarie di epoche successive?
3. Le produzioni letterarie di epoche successive testimoniano la realtà
oggettiva (storica e culturale) dei popoli più antichi o non piuttosto
l'idea che esse ne ebbero (o che volevano affermare)? La particolare cesura
esistente, nel caso mesoamericano, tra fonti archeologiche da una parte,
e fonti letterarie dall'altra, rende questo tipo di problemi straordinariamente
evidenti, e obbliga a prendere posizione rispetto ad essi. Le fonti archeologiche
appartengono ad un ambiente che conobbe rivolgimenti e influssi culturali
molteplici (certamente anche attraverso il Pacifico), che appaiono in esse
sedimentati e acquisiti (secondo processi che potremmo definire lenti);
le seconde appartengono invece ad un ambiente divenuto totalmente "altro"
all'improvviso sopraggiungere di navi spagnole, nel giro di una fulminea
campagna d'armi... Nella regione messicana si trovarono di fronte due culture
diversissime: la cultura spagnola fece leva sui pochi punti di contatto
per sradicare quella azteca. Nel volgere di alcuni decenni su ogni antico
tempio sorgeva una chiesa, e tutti erano battezzati. A questa situazione
storica, a questi primi decenni successivi alla conquista, risalgono le
fonti letterarie che dovrebbero maggiormente illuminarci sul passato azteco,
quelle fonti con le quali è d'uso tentare di accordare il passato
testimoniato dall'archeologia... Quest'ambiente produsse opere letterarie
in spagnolo scritte dapprima dagli stessi conquistadores e dai missionari;
opere scritte nella lingua stessa degli Aztechi, il nahuatl, vergato in
caratteri alfabetici da nativi resi avvezzi alla nostra scrittura nel giro
di pochi lustri; produsse infine opere in spagnolo, redatte da nativi ormai
europeizzati. Tutte queste opere presentano ricostruzioni del mondo tradizionale
azteco, del modo di vivere di quel popolo e della sua storia. E' necessario
chiedersi: cosa testimoniano queste ricostruzioni? Un'oggettiva realtà
azteca? o piuttosto la realtà azteca che i diversi autori (fossero
essi europei o fossero nativi più o meno europeizzati) volevano
o potevano documentare e diffondere?
I codici pittografici, quei pochissimi codici
mesoamericani che gli esperti ritengono con un buon margine di sicurezza
come precedenti alla conquista spagnola, ci aiutano a comprendere la portata
della frattura esistente tra il mondo precedente lo sbarco di Cortés
e quello che ne seguì, tra il modo di pensare il reale precedentemente
alla conquista e il modo di pensare il reale dopo quell'evento. Poniamo
l'attenzione su un fatto semplice, ma di grande importanza. L'edizione
italiana del Codice Cospi curata da Laura Laurencich Minelli presenta,
a pag.12, una scheda relativa ai quindici codici mesoamericani che la maggior
parte degli studiosi ritiene di epoca pre-colombiana. Bene, l'argomento
di questi codici è definito, nella stragrande maggioranza (ben dieci
codici), come "calendarico-rituale". Degli altri: due sono definiti storico-genealogici
(Bodley e Nuttall), due, storici tout court (Becker I e Colombino), ed
infine uno è definito rituale-calendarico-storico (Vienna). Se adesso
volgiamo l'attenzione all'argomento delle fonti letterarie, troveremo una
situazione rovesciata. La maggioranza di queste opere si pongono come "storie",
siano esse di mano spagnola che di mano nativa: talvolta sono intitolate
"Relaciones" o "Memoriales", ma hanno comunque intento storiografico.
Per comprendere il senso dell'opposizione rilevata
è necessario chiarire cosa si intenda per argomento "calendarico-rituale".
Gli Aztechi utilizzavano tre computi per ordinare il tempo: il computo
relativo al ciclo solare, quello relativo al ciclo venusiano, ed un calendario
"artificiale", cioé non derivato da alcun periodo naturale, il c.d.
calendario divinatorio o Tonalpohualli (letteralmente: conto dei segni-giorni).
I tre computi, come si vedrà distesamente, concorrevano a determinare
la qualità simbolica degli anni e dei giorni. Cioé la ricognizione
del ciclo solare (e di quello venusiano) non servivano soltanto a registrare
gli anni in modo che si potesse eventualmente fissare la collocazione nel
tempo di un determinato fatto, quanto soprattutto servivano a registrare
i movimenti degli astri al fine di individuare, nel rapporto con il Tonalpohualli,
le caratteristiche dei diversi segmenti temporali (giorni, tredicine, "mesi",
anni, cicli di 52 anni e cicli di 104 anni). A tali caratteristiche si
doveva conformare l'azione dell'uomo. Ed infatti si osserva come i codici
definiti "calendarico-rituali" fissassero pittograficamente i cicli temporali
attraverso simboli di realtà rituali e mitiche che era compito dei
sacerdoti decodificare. Si potrebbe dire che il tempo dell'uomo scorreva
in una griglia simbolica che individuava ogni segmento temporale come una
realtà "piena", densa di significati "religiosi" ai quali ciascun
uomo e la comunità tutta dovevano rapportarsi. Da qui l'enorme importanza
della consultazione divinatoria: si consultavano i calendari per sapere
come comportarsi per adeguarsi alla qualità del giorno e inserirsi
senza danno nella trama individuata. Lo stesso calendario solare va visto,
in questa prospettiva, come lo strumento attraverso il quale venivano fornite
risposte codificate relativamente ai rituali, alle feste (fisse), che dovevano
accompagnare i momenti ritenuti critici dei successivi periodi dell'anno
solare. Dunque la scrittura pittografica era tradizionalmente impiegata
per ordinare il tempo, soprattutto al fine di indicarne, momento per momento,
la qualità simbolica; e i calendari erano redatti con lo scopo precipuo
di fornire gli elementi grazie ai quali individuare le operazioni (rituali),
collettive o individuali, che bisognava compiere affinché la collettività
o il singolo potessero armonizzarsi con le particolari caratteristiche
del momento.
Dopo Cortés invece gli Spagnoli e i Nativi
europeizzati impiegarono la scrittura alfabetica per redigere soprattutto
opere storiche. E' dunque rilevabile, relativamente alla scrittura, un'opposizione
peculiare tra il mondo precedente alla conquista e quello ad essa successivo:
mentre il mondo successivo alla conquista considerava come argomento privilegiato
di scrittura una realtà documentata secondo l'idea di "vero storico",
il mondo mesoamericano tradizionale considerava quale argomento privilegiato
di scrittura quanto fosse inquadrabile in uno schema divinatorio e mitico-rituale
del tempo. La esistenza, come si è visto, di alcuni codici pittografici
precedenti la conquista definiti "storici" o "genealogici" non inficia
il nostro discorso. Infatti, se questi codici attestano l'uso del computo
calendariale anche per collocare nel tempo dinastie regali, è pur
vero che: 1) la individuazione di sequenze genealogiche potrebbe anche
non avere il fine di registrare il "veramente accaduto" e avere invece
un valore puramente mitico, indicando antenati mitici quali fondatori della
dinastia; 2) un tale uso del computo calendariale appare comunque secondario,
da un punto di vista logico, all'uso divinatorio che solo giustifica il
particolare sistema calendariale mesoamericano (sistema che non poteva
prescindere, fin nel nome dato agli anni, solari e venusiani, e fin nel
computo necessario per attribuirlo, dal calendario divinatorio). E' dunque
lecito affermare che, mentre l'ambiente europeo o europeizzato che si esprimeva
nei testi posteriori alla conquista usava il calendario (occidentale) per
ordinare gli eventi storici in quanto eventi realmente accaduti, da parte
sua la cultura azteca tradizionale riteneva essenziale al proprio orientamento
quanto, essendo divinabile, costituisse perciò stesso oggetto di
possibile "controllo" rituale, e usava il computo calendariale (ed i simboli
mitico-rituali connessi) per fornire gli elementi atti ad esercitare questo
controllo. Con il passaggio dalla scrittura pittografica alla scrittura
alfabetica si compì insomma il passaggio da un interesse eminentemente
divinatorio, volto a individuare il senso attribuibile, sul piano mitico-rituale,
ai diversi segmenti temporali, ad un interesse eminentemente storiografico,
volto a testimoniare le realtà mesoamericane (gli eventi storici
di cui quei popoli sarebbero stati protagonisti, ed i costumi) quali fatti
accertati.
Sappiamo come le autorità spagnole e i
missionari subito proibirono l'uso dell'antico sistema calendariale: fu
vietata la compilazione dei calendari tradizionali, e i nativi, costretti
a consegnare o a distruggere gli antichi codici, furono obbligati a utilizzare
il nostro computo del tempo. Non si trattava semplicemente di assecondare
l'acculturazione di quei popoli, come se i due computi del tempo si equivalessero:
si trattava di estirpare, con l'antica concezione del tempo, un'idea della
realtà come divinabile, "destinata", e dunque assolutamente non
conciliabile con la concezione cattolica del libero arbitrio. Il rifiuto
del sistema calendariale mesoamericano da parte missionaria e spagnola
in genere, è paragonabile al rifiuto dei sacrifici umani: in un
caso e nell'altro si trattava di reagire con assoluta fermezza nei riguardi
di aspetti fondamentali di quelle culture che suscitavano enorme scandalo.
Se è vero che i sacrifici umani, procurando raccapriccio, manifestavano
in immediato la loro inconciliabilità con la cultura occidentale,
è pur vero che le autorità spagnole proibirono con altrettanta
determinazione l'uso del sistema calendariale tradizionale, avvertendone
la portata non meno sovversiva nei confronti del sistema di valori cattolico.
Se, come sopra dicevamo, il sistema calendariale esprimeva l'idea di un
mondo destinato, va aggiunto, per chiarirne meglio la straordinaria importanza,
che quello stesso sistema calendariale dava forma pittografica alle entità
super-umane contribuendo a plasmarne la realtà. Infatti quelle entità,
concorrendo ad organizzare i successivi segmenti temporali e ad esprimerne
la qualità simbolica, esplicavano una funzione calendariale che
le individuava non meno della loro stessa funzione mitico-rituale .
Possiamo a questo punto ridurre a questa domanda
il problema documentario sin qui evidenziato: cosa pensare allorché
le fonti letterarie restituiscano il contenuto di codici pittografici perduti,
o i racconti di anziani informatori, come fosse materia storica (per quanto
avvolta dal velo della leggenda) ? Considerando quanto sopra rilevato,
dobbiamo almeno avanzare il dubbio che quei resoconti possano costituire
la traduzione, in termini spagnoli, occidentali, di una materia narrativa
arbitrariamente recepita (e giudicata) secondo il nostro concetto di vero
storico, una materia dunque che non sarà sbagliato oggi, almeno
in via sperimentale, leggere e interpretare con gli strumenti peculiari
dell'analisi mitologica. E dunque, quale è la nostra posizione?
E' da ritenere, in definitiva, pressoché impossibile l'utilizzazione
delle fonti letterarie per una ricostruzione non congetturale degli eventi
storici occorsi in Mesoamerica in epoca pre-cortesiana? A questo proposito
non possiamo non rilevare come il panorama degli studi più fecondi
realizzati oggi in campo storico e antropologico fornisca una risposta
implicita proprio nella scelta della materia fatta oggetto di analisi.
Si pensi per esempio ai lavori di Todorov o di Gruzinski: l'interesse è
tutto rivolto ai grandi mutamenti verificatisi dopo la conquista, allo
scontro e al dialogo tra la cultura nativa e quella spagnola, alle nuove
realtà culturali scaturite. In quanto a me, ho affrontato questi
problemi nella prima e nella seconda parte del presente lavoro. Ho scelto
come argomento mediante il quale verificare l'utilità della mia
impostazione metodologica e dei miei strumenti di ricerca, la c.d. storia
dei Toltechi, i progenitori degli Aztechi. Ho letto programmaticamente
i diversi racconti che ci sono arrivati su Tollan, la loro città,
e sui suoi eroi, come altrettante versioni di un mito di fondazione di
aspetti essenziali della realtà. Ho rilevato come gli aspetti ritenuti
essenziali per l'orientamento della realtà mutino nelle diverse
versioni proprio come muta il racconto. Ho mostrato come questi mutamenti
siano in diretto rapporto con le diverse esigenze dei diversi autori, con
la loro appartenenza al mondo ecclesiastico o al mondo nativo, insomma
con la loro differente visione della realtà. Ricostruzione storica
c'è dunque stata, ma quella relativa al complesso, variegato e multiforme
mondo successivo alla conquista e non quella di un passato tolteco al quale
non risalgono altro che testimonianze archeologiche. Questo passato è
e deve essere di competenza degli archeologi, e ad essi va lasciato, a
patto che non rinneghino la peculiarità e l'efficacia dei propri
strumenti di lavoro proponendo storie congetturali nello sforzo di accordare
l'archeologia con fonti letterarie non coeve ed appartenenti a tutt'altra
dimensione culturale.
E' stato da più parti messo in luce, negli
ultimi anni, come la lettura spagnola delle realtà native, del concreto
mondo azteco che ancora pulsava sotto gli occhi dei conquistatori e dei
missionari nei primi anni successivi alla conquista, non potesse prescindere
dall'uso delle categorie di pensiero occidentali che necessariamente alteravano
la percezione della diversità. Ci chiediamo: se le testimonianze
che ci parlano del mondo azteco come ancora si manifestava immediatamente
dopo la conquista, sono testimonianze di Spagnoli, o di nativi acculturati
(come l'uso stesso della scrittura alfabetica impone di ritenere), fino
a che punto ciò ci preclude una corretta individuazione delle specifiche
realtà azteche? E' possibile ricostruire solo la realtà "sincretica"
che ciascuna fonte, per forza di cose, attesta, o si può aspirare,
e fino a che punto, a ricostruire qualcosa del mondo azteco quale doveva
essere all'arrivo di Cortés, ed eventualmente che cosa? Sopra abbiamo
osservato come una fonte non testimoni il passato di cui parla, ma piuttosto
il presente in cui si situa, e la propria temperie culturale; adesso sottolineiamo
come le fonti letterarie, che pure testimoniano gli ultimi bagliori della
cultura azteca ad esse contemporanei, non possano restituirceli che attraverso
le loro proprie categorie interpretative: tutto ciò significa che
un mondo oggettivamente azteco non è ricostruibile, né quello
più antico, né quello contemporaneo alla conquista? che Bernardino
di Sahagun e Las Casas e Duran e tutti gli altri missionari e conquistatori
e nativi più o meno acculturati sono utilizzabili per comprendere
la loro visione delle cose azteche, passate e contemporanee, e non
per comprendere come queste realmente fossero?
Si vedrà come tutto questo libro costituisca
la mia risposta a questa domanda. Una risposta che accettando, sostenendo
e articolando questo punto di vista "limitativo" riguardo alle possibilità
che abbiamo di conoscere la cultura azteca tradizionale, propone paradossalmente
di partire proprio da una tale posizione per conquistare a grado a grado,
ostinatamente, una qualche conoscenza non congetturale di quel mondo. Poche
considerazioni daranno un'idea del mio metodo di lavoro.
Mi sembra si possa contare, nell' analisi del
materiale fornito dalle diverse fonti letterarie, su un presupposto certo:
se siamo estranei alle realtà azteche, se queste sono per noi diverse
e incomprensibili, condividiamo al contrario le categorie e spesso i condizionamenti
che sostenevano la descrizione missionaria o comunque europea o europeizzata
dei fatti nativi. Insomma se è vero che ci distanziano da quegli
antichi autori alcuni secoli, è pur vero che partecipiamo tuttora
della loro realtà culturale essendo la loro visione del mondo definibile
come occidentale al pari della nostra, per antiche matrici comuni nonché
per orientamenti che la loro stessa epoca contribuì a tramandare
o a definire (si pensi per esempio proprio alle concettualizzazioni relative
alle diversità culturali che da loro giungono fino a noi). Allo
stesso modo siamo ben a conoscenza dei propositi dei loro scritti, che
spesso quegli antichi autori esprimevano apertamente. Così, ad esempio,
i missionari manifestavano il più delle volte la volontà
di descrivere il mondo nativo per meglio farlo conoscere a chi doveva condurlo
alla fede cristiana. Ciò li portava necessariamente a ricercare
nei costumi "idolatri" analogie con le religioni pagane, o addirittura
con il Cristianesimo (che il demonio avrebbe condotto i nativi a simulare).
Queste analogie, costituivano per dir così la base su cui impostare
l'evangelizzazione e, di conseguenza, il più delle volte erano costruite
ad arte (più o meno consapevolmente). Insomma, se da una parte lo
stesso condizionamento culturale portava a leggere la diversità
azteca secondo le nostre categorie, dall'altra tale procedimento era reso
necessario dal bisogno vitale di individuare un comune denominatore che
consentisse un dialogo ai fini dell'evangelizzazione. La reinterpretazione
delle realtà native aveva lo scopo di avvicinare quei popoli agli
Spagnoli: quelli dovevano abituarsi a dare nuovi significati ai propri
simboli, ed i missionari, da parte loro, dovevano far leva su questi nuovi
significati per introdurre la concettualizzazione cristiana della realtà.
E' indubbio che, quanto più eserciteremo ed approfondiremo la nostra
consapevolezza riguardo tal genere di problemi, tanto più saremo
in grado di andare oltre la "nuova veste" sovrapposta dalle fonti letterarie
alle realtà azteche.
In questo libro ho appunto "esercitato" e "approfondito"
questa consapevolezza relativamente a un tema fondamentale della cultura
azteca: Quetzalcoatl. Si parla di Quetzalcoatl come di una divinità,
come di un eroe culturale, come di un uomo realmente vissuto. Se in questi
due ultimi ruoli viene chiamato Topiltzin Quetzalcoatl e Ce Acatl Quetzalcoatl,
si parla pure di "aspetti" del dio Quetzalcoatl: Ehecatl Quetzalcoatl,
Quetzalcoatl Tlahuizcalpantecutli; e si parla di "doppi" di Quetzalcoatl:
Nanahuatl o Nanahuatzin e Xolotl. In quanto a me, la mia ricerca non è
stata orientata da qualche idea presupposta di Quetzalcoatl, magari ricorrendo
all'aiuto di studi accreditati sull'argomento. Questi studi ho naturalmente
tenuto presenti, ma come punti di vista, spesso illuminanti, con cui confrontarmi,
non mai come punti di partenza. Non ho cercato la divinità, né
i suoi diversi aspetti, non ho cercato l'eroe culturale, non ho cercato
l'uomo storico, non ho cercato i "doppi". Ho parlato di tutto ciò
solo se, e quando, la fonte analizzata mi obbligava a farlo. Infatti ho
programmaticamente letto ciascuna fonte per capire quanto essa dicesse
su Quetzalcoatl e quali funzioni essa gli assegnasse all'interno della
concezione nativa della realtà che intendeva testimoniare. Alle
volte ho riscontrato uno scarto, una divergenza tra un ruolo apertamente
attribuito a quell'entità (il ruolo che l'Autore voleva attribuirgli)
e un ruolo che emerge dall'analisi del testo, quasi contro la consapevolezza
dell'Autore e nonostante la sua propria sistemazione delle cose azteche.
Mi sembra che con questa impostazione metodologica si possa: 1. evitare
di costringere in schemi predeterminati una materia composita nata dall'incontro
dell'Autore (europeo o europeizzato) con la cultura azteca. 2. Evidenziare,
in quella materia composita, una materia realmente azteca (rintracciabile
come quella sicuramente estranea alla nostra mentalità). 3. Individuare,
nell'intreccio della logica nativa con quella occidentale, la nascita di
nuovi moduli logici, di nuovi simboli, di nuovi orientamenti. 4. Rinvenire,
tra queste "novità", schemi interpretativi delle realtà nahua
che, originatisi in quegli anni, essendo stati raccolti e formalizzati
da quei lontani scrittori, sono stati tramandati inalterati nel tempo,
come tradizionali, oggettive, realtà azteche, e sono giunti fino
a noi cristallizzati, come veri e propri luoghi comuni che dovremmo tentare
di superare.