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Capitan de' Capitani!

La mattina sbadigliava carica di rosa conquistando il posto della notte che, sfumando il blu, moriva all’orizzonte opposto. Da lì a poco sarebbero comparsi gli ultimi, avventurosi gabbiani, bianche guardie di confine di quel territorio immenso fondato sul dominio dell’aria tersa e dell’acqua spumosa.

L’assoluto di questa immagine era violato dalla chimera di alcuni avventurosi che spingevano a concretizzare il proprio pensiero ambizioso e folle nell’assurdo progetto di varcare quel muro. Il muro dell’ignoranza, il muro della paura, il muro dei sogni deliranti, delle fiabe e delle fandonie da osteria, il muro invalicabile di Dio. Il muro della via più breve verso le Indie.

L’acqua è un indispensabile alleato e un rigido maestro. Un subdolo giocatore che bluffa e ti massacra. O una dolce sposa che ti culla. L’acqua è l’odio, è l’amore. E' la vita. E la morte.

Per noi era tutto questo. Ma soprattutto era la via.

 

Il legno apriva questo sconfinato liquido a prora, formando leggeri solchi con bianchi crinali, e lo richiudeva a poppa con il costante sciacquio. Un aritmico scricchiolio insisteva disordinato in ogni angolo della nave, dominato dall’unica cadenza data dalla voce della maestra: ad ogni oscillazione il corpo della nave esalava questo respiro crepitante, come se l’anima del legno si incontrasse con l’anima del mare in un professionale accoppiamento. Non come due amanti. Ma come due ingranaggi.

Rispetto a questo anomalo rapporto, da noi stessi generato, tutte le nostre pur tumultuose e incessanti attività di bordo non potevano ridurre l’inquietante immagine di noi come muti spettatori, sperduti adolescenti preda dei giganti.

 

- Capitan de’ Capitani! Abbiam lasciato Palos da tre giorni e, sebbene il morale sia alto, mi coglie sol ora qualche rispettoso dubbio.

- Non state lì sulla porta, Pino. I ragguagli che vi porgerò ben erano in attesa della vostra fedele visita.

- Ciò mi rende felice Capitan de’ Capitani! Ho sentito sol ora il richiamo della verifica. Dopo attenta e minuziosa serie di controlli, per non incappare in eventual palese contraddizione.

- Che il vostro spirito non abbia riguardi. Mio fedele, so che il far del vostro meglio è far anche il mio meglio.

- Orben, giungo alle esplicazioni.

Il fedele Pino si siede sullo scarno sgabello stretto nella bruna cabina. Dai due finestrini di poppa si staglia chiarissima l’oscillazione dell’orizzonte.

- Capitan de’ Capitani! L’analisi delle risorse, intese come ciurma e infrastrutture, l’analisi dell’imbarcazione e l’analisi dei viveri, fanno pensare ad un viaggio non privo di difficoltà, se la lunghezza dello stesso dovesse superare i trenta giorni. Ciò significa che i vostri conti dovrebbero quindi prevedere un viaggio effettivo di dieci-dodici giorni, in quanto, calcolando il punto del non ritorno, addizionato a inevitabili imprevisti, ci porta giusto alla prudente somma dei trenta giorni. E Dio ci aiuti se dovessero sopraggiungere le tempeste tanto augurate dai vostri avversari. Orbene, mi chiedo come il rapporto fra i miei calcoli e le vostre previsioni sull’effettiva durata, possano produrre tale incongruenza. Se non ricordo male voi parlaste di quaranta giorni di navigazione.

- In un’ottica pessimistica.

- Certo, Capitan de’ Capitani! Certo. In un’ottica pessimistica. Ma, permettetemi di comprendere meglio, poco hanno a che fare dieci prudenti contro quaranta pessimistici. Intendo dire che...

- FEDELE PINO!

- CAPITAN DE’ CAPITANI!

- Fedele Pino, vedete, non possiamo permetterci di più. Stiamo realizzando un progetto la cui ambizione è solo pari alla sua fama di follia che tanto chiasso ha suscitato alle nostre spalle. Non abbiamo ottenuto che l’ottenibile. E ancora grazie. Fatevi una ragione che il legno sul quale trepidanti percorriamo la via dell’ignoto, non è una nave. E' un salto nel buio. Ricordate quali sensazioni hanno mosso il nostro dire, il nostro fare, la nostra stessa anima? Noi non ci siamo imbarcati su una nave. Noi stiamo cavalcando l’utopia. Stiamo percorrendo le strade dell’ignoto, il buio degli uomini. Stiamo violando il credo di tutta la storia, stiamo dando vita a qualcosa che quasi tutti hanno sognato ma che, forse, nessuno ha mai tentato. Noi stiamo inventandoci un solido ponte percorribile dalle genti future con soltanto le nostre immateriali convinzioni. Noi siamo qui per realizzare un progetto folle per il normal buon senso, ma ottimo per il nostro folle ingegno. Noi siamo qui per violare tutte le regole. NOI! Noi che piccoli siamo agli occhi del buon Dio, saremo enormi persino agli occhi della venerabile Regina! Noi non saremo forse i primi. Ma sicuramente dovremo essere gli unici. Noi siamo la conquista. Noi siamo la svolta. Noi siamo il futuro. E voi? Voi non sentite questo vento che ci spinge? Non sentite anche voi questa delicata mano che, immensa e potente, permette a questa fragile barca di realizzare tutto questo? Non sentite che i vostri calcoli su dieci giorni, o sulla ciurma o sulle condizioni della nave, sono bricioline rispetto alla conquista, la svolta, il futuro? Non sentite che il punto di non ritorno NON esiste? Questo viaggio è figlio della pazzia, della fede, della volontà, dell’impegno altissimo, dell’ostinazione assoluta. E con una paternità di questa portata voi parlate ancor di conti? Parlate di miseri, semplici e gretti calcoli? Noi che siamo ciò che abbiamo voluto, potremmo mai passare ad esser ciò che abbiamo sempre rifiutato? Ma vi siete imbarcato con noi? o siete su uno sciabecco di fiume a pescar trote, anziché far preda di quei pezzi dell’Eterno che persino i vescovi d’Europa scomunicavano nel pensier blasfemo? Siete con me, Pino? Viaggiate CON ME, Pino? Dove altro potreste cercar di fuggire con la mente se, inchiodato a questo legno, non avete la cognizione del progetto? Quale spinta maggiore del vento stesso ci porta così lontano come solo noi abbiamo immaginato? NOI! Noi? Ma voi, siete ancora TRA NOI?

- ...

Sul volto del fedele: smarrimento, attonita riflessione, riverente panico e trasporto totale. (in una parola: espressione scemin-adorante).

- Fedele Pino... fedele Pino. Non abbiate timore di uccidere i vostri dubbi perché il regno dell’incertezza ce lo siamo lasciato alle spalle ancor prima di partire. Mi volete succube del dubbio che la vostra indole non sia esattamente ciò che si dimostrò a me nei momenti in cui saliva infuocato il desiderio di avervi al fianco in questo viaggio? Non vorrei dover temere di essere circondato da molli e sciatti sicari del pensiero opposto. Posso capirlo negli elementi reclutati che ci fan da attrezzo. Ma voi. VOI!

Il fedele Pino si sente male. E non certo per l’oscillazione che mai gli ha procurato alcun disturbo. La sua anima stessa si sta mettendo in discussione. Ed è lui stesso a farlo. L’interrogativo lo occupa a tempo pieno.

 

Sesto giorno

 

Affacciati, sotto la nitida e mobile ombra della vela, a guardare l’orizzonte.

- Capitan de’ Capitani! Mi sto rendendo conto che il viaggio non è il mezzo per raggiungere lo scopo. -con aria sognante - Il viaggio è lo scopo...

- Pino, mi avete fatto il piacere di affiancarvi a me nelle difficoltà materiali del comando. Ora mi avete fatto l’onore di affiancarvi a me nel comando. Nel disegno del comando.

L’eterno sciacquìo viene via via sempre più sovrastato dal conversar delle vele col vento. Il sordo dialogo si va intensificando, mentre la nave intera tenta di sfuggire, a suon di preghiere, un ostile orizzonte di ardesia.

- Pino, mi par l’ora di affrontare il primo cavalier di questa giostra. Alfin possiamo dimostrar che l’ardua impresa è soltanto bratta, sotto i calzari degli invincibili. Approntate l’adeguato ricevimento a sua maestà Il Temporale.

 

 

Settimo giorno

 

- Capitan de’ Capitani! Parte della ciurma è ridotta male. Ho già provveduto alla riparazione dei danni e al ricovero dei feriti. Ma abbiamo perso un uomo. Oggi il cielo è amico. E il mare pure.

- Mio fedele Pino. Lo scotto che stiamo pagando non è casuale. Il disegno ben previde che il traguardo non sia privo di vittime. L’importante, ora, è chiamare a raccolta la gente ed infonder loro qualche sollievo, con parole di conforto, per non perder le ragioni con le quali, anche loro, sono spinti con vigore.

- Certo, Capitan de’ Capitani! Provvedo subito a chiamare l’assemblea.

 

 

Sedicesimo giorno

 

Durante il cammino altri due volenterosi sono passati a miglior vita. Il bompresso e relativa vela hanno preso la via dei flutti ma sono stati prestamente rimpiazzati. Difficoltà a fare il pieno di acqua potabile.

 

 

Ventunesimo giorno

 

- Capitan de’ Capitani! Qualche ombra, come previsto, prepara un invasione della mente dei più deboli. Forse è l’ora di iniziare a temere la parte oscura degli umori della ciurma.

- Mio fedele Pino, come da progetto si prosegue senza indugi. Forti. Feriti ma forti. Convocate l’assemblea che’ debbo assolvere ai doveri del comando.

 

La ciurma è la solita ciurma. Sporca quanto basta ma volenterosa. Abilissima alla manovra ma anche lesta a riposare. Parsimoniosa nei consumi e relativamente decorosa nelle canzoni. Comunque decisamente partecipe. Tolda oscillante sferzata dal vento di una giornata grigia.

 

- Gente della nave!

- Capitan de’ Capitani! (coro)

- Vi ho convocati per il dover che mi obbliga al rinnovo del traguardo.

Con uno scatto improvviso il Capitan de’ Capitani! alza il braccio verso prora. L’indice teso a segnare l’orizzonte.

- E' laggiù. Là. Oltre ciò che già da tempo abbiamo oltrepassato, oltre l’alito della paura, oltre il limite ove nessuno si è mai spinto, siamo noi. Noi siamo già là. Là dove anche le più folli ambizioni han trovato ostacolo nel timore dell’ignoto. Là dove si erge già ben salda la nostra bandiera. E' laggiù che trovano soluzione le nostre fatiche e dove inizia la nostra nuova vita. L’orizzonte che indico è d’acqua, ne son conscio. E ancora tanti orizzonti d’acqua accompagneranno la nostra rotta. Ma io so, voi sapete, che è in arrivo il dì che l’uomo a riva griderà la fine. Ed è da quella piccola, breve e insignificante esaltazione, che nascerà la nostra eterna grazia. La grazia che tutti dobbiamo NON desiderare, ma essere certi di ottenere. Stiamo lavorando. Sodo. Il progetto è partito e si sviluppa. La nave sta percorrendo la giusta via, e presto approderà. E dentro questa nave, lo sappiamo, ci siamo noi. Tutti. Questo è il nostro destino. E dobbiamo essere grati a Dio di questa superba opportunità. Pochissimi hanno tentato conquiste colossali e, di questi, ancor meno han raggiunto l’obiettivo. Noi siamo fra questi. Fra i prediletti.

Pausa del Capitan de’ Capitani! Abbassa il braccio e si fa teatralmente pensoso.

- Ora, nessuno di noi disconosce l’impegno fin qui assunto, l’enorme sforzo e il prezzo che a tutt’oggi paghiamo. Ma questo pedaggio, seppur pesante, avrà un termine con le inimmaginabili conseguenze. Il mondo intero ricorderà i nostri nomi, e noi saremo ricordati in eterno. Il tragitto però, crudelmente, sarà l’inesorabile esattore dei nostri ultimi risparmi di energia, di volontà, di perseveranza. Ma abbiamo dalla nostra un potentissimo alleato. La fede. La fede nel progetto e nel risultato. Abbiamo una partita dall’audacia impensabile persino per chi ci ha sovvenzionato. Una partita ove i giocatori siamo noi e questa via che percorriamo. Ma è una partita già decisa. Noi vinceremo.

La gente rumoreggia soddisfatta. Qualcuno, dentro di sé, tenta un serio rapporto con "i piedi per terra" ma poi si lascia andare. E la ciurma esulta.

 

 

Ventiquattresimo giorno

 

- Capitan de’ Capitani! I viveri cominciano a scarseggiare. Mi preoccupa soprattutto la riserva di acqua.

- Fedele Pino, cerchiamo di mettere in atto, con gradualità il piano di razionamento da me studiato.

 

 

 

Venticinquesimo giorno

 

Qualche uomo nota (ovviamente) la riduzione delle razioni.

 

 

Ventiseiesimo giorno

 

Tempesta. Nessuna vittima, salvo il cagnetto. Qualcuno dice: una bocca in meno. Qualcun’altro piange. Si fa il pieno di acqua potabile. Un aumento della fame è cosa inversamente proporzionale alla diminuzione delle razioni. La stanchezza ne è il completamento fisiologico.

 

 

Ventisettesimo giorno: domenica

 

Brutta giornata ma non pessima. Il razionamento è ora ben evidente. La progressiva riduzione non è più un segreto. Comincia a crearsi un embrione di piccole fazioni. Chi sta con il Capitan de’ Capitani!, chi sta con il crescente timore. Il cappellano professa la Messa alla quale il Capitan de’ Capitani! partecipa in silenzio e poi si defila. Affamati e soli, sbandano i marinai.

 

 

Ventottesimo giorno

 

Calma di vento. La gente comincia a prendere in seria considerazione la possibilità di abbandonarsi al panico. E' in questi momenti della vita di una piccola società isolata che si formano i primi microleader. Si nota pesantemente l’assenza morale (ingiustificabile) del Capitan de’ Capitani!, soprattutto in un momentaccio come questo (e la fame aumenta).

 

 

Ventinovesimo giorno

 

Primi attacchi di micropanico.

- Capitan de’ Capitani! Credo che sia ora di dare una spinta all’equipaggio.

- Non ora Pino. Non sono dell’umore adatto a rincorrer fandonie per alleviare il panico di alcuni miscredenti. Ho il problema di recuperar la rotta come si conviene. Gli ultimi venti e le correnti ci hanno costretti a boline controproducenti.

- Ma allora siamo nelle peste!

- Che dite Pino! Vi ci mettete anche voi? Inizialmente vi chiesi se eravate dalla mia parte, dalla NOSTRA parte. Ve lo devo ancora richiedere? Suvvìa.

- Ma porca miseria! - Pino si sbilancia. Il Capitan de’ Capitani! E' attonito. - Siamo quasi senza cibo. Abbiamo perso tre persone, una vela e il cane. E voi che fate? Scribacchiate su quelle fantomatiche carte e scrivete su quel diario che sa solo Dio se qualcuno lo leggerà. Ma avete intenzione di...

- PINO!

Un attimo di silenzio (tranne tutti i soliti rumori della nave).

- Ma siete impazzito, avete dato fondo alle riserve di grappa o siete cieco? Qui ci sono due cose certe: la riuscita del viaggio e l’impossibilità ASSOLUTA di tornare indietro. Ora, per quanto riguarda la perdita degli uomini, non ho i mezzi per chiedere al nostro Signore Gesù Cristo di resuscitarmeli. Per quanto riguarda la vela l’abbiamo rimpiazzata con il ricambio. Per quanto riguarda il cane mi spiace. Ma il punto è ciò che riguarda l’equipaggio. Dobbiamo fare in modo che le cose filino lisce sino all’arrivo. E qui, ora, ho bisogno che ve ne occupiate voi. Forse domani potrò parlare con la ciurma. Forse domani.

 

 

Trentesimo giorno

 

Altra tempesta. Piccola ma cattiva. La nave imbarca acqua e, nel violento farsi sbattere dalle onde, produce tre feriti. Uno dei quali morirà da lì a due giorni. La fame, la stanchezza e il senso di mancanza di guida, altera notevolmente l’animo della ciurma.

 

 

Trentunesimo giorno

 

Giornata favolosa. Vento teso, correnti favorevoli, ottima tenuta della nave, equipaggio non rinfrancato dell’aiuto delle forze della natura: i viveri cominciano a scarseggiare seriamente. Pino tenta di convincere il Capitan de’ Capitani! con scarso successo. Il malumore va a braccetto della preoccupazione di massa. Il panico ha già fatto tre o quattro vittime che, confortate dai colleghi, si rintanano in un atteggiamento di chiusura. Solita stanchezza.

 

 

Trentaduesimo giorno

 

Finalmente si è formata una delegazione. Il portavoce chiede a Pino di poter parlare con il Capitan de’ Capitani! Il fedele Pino avvia la pratica. Passa comunque il giorno nella fame, lavorando, nella stanchezza, facendo le guardie, e nel malumore.

Trentatreesimo giorno

 

La mattina è ormai la naturale conseguenza della notte, senza più poesia. E' solo il susseguirsi delle guardie e dei lavori. La giornata è bellissima ma, sebbene la nave continui a macinare miglia su miglia, l’obiettivo sembra ormai una chimera, un raggiro, una bufala. Di buona lena (e leggermente affamato) Pino va a svegliare il Capitan de’ Capitani!

Lo trova invece in ginocchio, nella semioscurità dell’angusta cabina. Sarà la fame, sarà lo sconforto, sarà un misto fra rispetto e timore, sta di fatto che Pino glissa e la giornata passa. Un’altra spinta al malumore generale la dà la scarna partecipazione del Capitan de’ Capitani! al funerale di un marinaio. Le sue parole:

- Dio che vegli sul mare e sugli uomini di mare, ascolta, ti prego, la nostra supplica di accogliere nelle tue braccia questo nostro compagno, morto nell’altissimo impegno di servire una causa giusta. Sia per noi conforto il saperlo libero, sull’onda eterna.

 

 

Trentaquattresimo giorno: domenica

 

Il cappellano inizia la messa. La giornata è coperta di nuvole non minacciose, a differenza delle nuvole nelle idee della gente. Finita la funzione il Capitan de’ Capitani! tenta nuovamente di defilarsi. E' troppo.

Il rappresentante alza la mano per farsi riconoscere.

- Capitan de’ Capitani!

Il Capitan de’ Capitani! si volta verso la gente con sguardo torvo.

- Chi vuole conferire con me deve chiedere prima a Pino!

Il rappresentante abbassa la mano e alza la voce.

- Non più Capitan de’ Capitani!

Pino si morde un labbro fulminando con gli occhi l’impertinente rappresentante.

- Che significa non più?

- Significa che non vediamo la fine di questa storia, e per quanto voi ci abbiate prospettato cose incredibili, dobbiamo fare anche i conti con la fame e la stanchezza. Vogliamo chiarimenti perdìo.

Rumore della ciurma. Si alza qualche grido. Sforzandosi si può udire qualche imprecazione. Pino viene colto da una ripresa certamente dovuta alla mansione di comando (e non certo dall’indole docile).

- Questa insubordinazione è intollerabile! Il destino che avete scelto è nelle mani del capitano. Il Capitan de’ Capitani! Nessuno vi ha obbligati a credere in un’impresa di questa portata. Sapevate tutti che sarebbe stato il viaggio più intrepido della vostra vita.

Fine dell’exploit. Potrebbe sembrare poca cosa ma, per un momento, il silenzio regna. Ma dura poco. Si alza una voce.

- Dovremo morire? Comunque sarebbe bene sapere se dovremo lasciarci la pelle e finire queste ultime ore in un modo o in un altro!

Non si capisce bene la richiesta ma l’animo che la spinge è chiaro: la gente ha paura. La paura della fede distrutta dall’ignoranza. E dalla fame, e dalla stanchezza.

- Ciurma!

Silenzio totale. Ogni sguardo, ogni occhio, ogni cervello, orecchio, volontà sono rivolti verso la figura più importante della nave.

- Ciurma. Ciurma mia... Vi sono grato immensamente di tutti gli sforzi in cui vi state producendo. Non crediate che io sia assente solo perché non vi ho più aggiornato. Non sono assente. Anzi. Sono più presente che mai. Perché siamo sulla via giusta. Lo so. Perché le difficoltà che stiamo affrontando sono, come previsto, il famoso pedaggio del quale vi ho già parlato. Io sono qui. Con voi. Dove potrei andare? E, semmai, che potrei fare? Non avete pensato che i vostri sforzi sono anche i miei? Fidatevi. Fra breve esulteremo.

Fine della conversazione. Comunque il Capitan de’ Capitani! volta le spalle e torna alle sue mansioni.

 

 

Trentasettesimo giorno

 

L’assenza del capitano, la fame, la stanchezza e il mare, sono ormai le uniche dominanti di ogni pensiero di ogni uomo.

 

 

Trentottesimo giorno

 

Si dà fondo alle riserve alimentari. Continua la pesca ma con modesti risultati. In una parola: la fine è vicina.

 

 

Trentanovesimo giorno

 

Insurrezione. Non c’è altro da aggiungere. Una piccola delegazione di tre persone immobilizza nella branda il fedele Pino e irrompe nella cabina del Capitan de’ Capitani!

- IN PIEDI! ORA VEDREMO COSA VUOI FARE!

- Ma siete pazzi? Che fate!

Concitazione, piccolo tafferuglio a cui segue la legatura delle mani del Capitan de’ Capitani! ponendo termine a qualsiasi ribattuta del medesimo. All’uscita dalla cabina, tutta la ciurma è sulla coperta.

- Buttatelo a mare!

- E' l’ora della giustizia!

E via così.

- Siete pazzi. Dove andrete senza una guida? Avete bisogno di me.

- Zitto! Ci hai portato alla rovina e adesso te la facciamo vedere!

Si continua per un po’ come se lo sfogo attenuasse i problemi. Intanto il cappellano si avvicina al rappresentante e parla fittamente con lui. Poi, l’intervento del rappresentante. Colui che tiene fermo il Capitan de’ Capitani!

- Gente! Ascoltate. Ora abbiamo il capitano. Facciamogli passare la notte legato. Poi decideremo. Continuiamo comunque a tenere la rotta.

Pare che la proposta abbia l’effetto desiderato. La gente si quieta (la fame no). E passa il giorno.

 

 

Quarantesimo giorno

Gran burrascone. Difficoltà media. Capitano sempre legato. La gente governa bene la nave. Inutile ribadire l’intensità della fame, della stanchezza e della morpia.

 

 

Quarantunesimo giorno

 

Cielo nuvoloso. Cielo diverso.

Già, come mai il cielo da un po’ è diverso?

Le nuvole sono diverse e qualcuno solo ora si accorge che, inconsciamente, l’aveva già notato.

Comunque non c’è posto per le futilità. Ormai non c’è quasi più cibo. Le razioni sono ridicole e la stanchezza ha subito un ulteriore aumento dall’ultima fatica.

Il capitano emerge dalla scaletta, spinto dal rappresentante. Viene fatto salire sulla poggiolata prospicente la tolda. La giornata è scura.

Dopo qualche secondo di schiamazzi assortiti il Capitan de’ Capitani! si rivolge al rappresentante.

- Slegami.

- Non se ne parla.

- Slegami. Questo è un ordine. Semmai che fosse anche l’ultimo che ti do.

Lo slega.

Il Capitan de’ Capitani! fa una fatica immensa a riportare le braccia indolenzite sul parapetto della poggiolata. Appoggia leggermente le mani. Si rizza, assumendo la sua solita posizione di comando, e inizia a parlare.

- Dieci anni fa - con voce ferma ma volume moderato - navigavo su una piccola imbarcazione e non avrei mai considerato l’ipotesi di imbarcarmi in un’impresa di questo tipo. Dieci anni fa, dicevo, - la gente intanto è completamente ammutolita - anch’io credevo che la terra fosse piatta. E ci misi comunque un bel po’ prima di convincermi che fosse rotonda. Alcuni di voi, e solo ora forse lo capisco lucidamente, hanno sempre creduto che la terra non potesse essere altro che piatta, e si sono imbarcati con me credendo in qualche modo che questo sarebbe stato un imbarco normale. O, quantomeno, avranno pensato che dopo qualche decina di miglia, mi sarei tirato indietro e avrei fatto ritorno a casa. Non li biasimo. Ognuno pensa e crede quello che vuole. Ma non è così. Non su questa nave. Non sulla mia nave. Perché voi potreste fami a pezzi, potreste uccidermi, buttarmi in mare ma questa rimarrebbe comunque la MIA nave. Perché questa nave fa parte del MIO progetto. Chi di voi si trova oggi qui, insieme con me, a delirare per la fatica, forse ha dimenticato quella silente promessa che ci siamo fatti al momento dell’imbarco. Partiamo tutti insieme. Si. Ma partiamo sul mio progetto. Ora, voi che avreste in mente di proporre in cambio di ciò che già vi ho promesso? Uccidermi. O, quantomeno, ridurmi in uno stato di minoranza tale da non consentirmi di concludere la mia missione. La nostra missione. Anche se prendeste voi le redini, dove andreste? Dove siamo? In che posto, in che punto del mondo siamo capitati? Quanto è ancora vasto, immensamente vasto il mare? Che sia infinito?... No, vi dico. Non è infinito. Avete notato le nuvole come sono diverse da quelle che avete sempre visto? Non avete avvertito in un angolino della vostra estenuata anima che qualcosa sta realmente cambiando? Non riuscite davvero a fidarvi di me? Perché?

Si alza una voce.

- Che succederà allora?

Prende la parola un altro marinaio.

- Capitan de’ Capitani! noi abbiamo notato questi segnali di cambiamento ma siamo ben lungi dal vedere un obiettivo certo.

- Miei buoni e impetuosi amici. Io conosco lo sforzo che avete fatto. Ma siamo arrivati. Ci manca pochissimo.

- Va bene capitano. Facciamo finta che manchi pochissimo. Facciamo finta che la fame non esista e che la stanchezza sia una storia. Facciamo come dite voi. Ma... quando arriveremo, che cosa ci potrà ricompensare di tutti gli sforzi che abbiamo sostenuto, oltre alla fama e la gloria? Che cosa ci direte quando voi sarete coperto d’oro e di potere? Ci direte passate alla cassa, ragazzi. Passate e mettetevi d’accordo col cassiere per il giusto compenso. Pago io. Ci direte ragazzi, guardate che da ora in poi non siete più semplici marinai, siete grandi marinai! E vi vorranno su tutte le più belle navi, e vi vorranno nelle mansioni più importanti, e vi vorranno tutti perché siete i migliori. Ci direte ragazzi, lasciate che vi guardi perché avete reso possibile il passaggio ad ovest, lasciate che vi ammiri per tutto quello che avete fatto per quest’idea che ha rivoluzionato il mondo. Quando saremo tornati a casa, ci direte di passare a prendere i soldi? Il giusto compenso? Da pattuire con i cassieri della Regina?

- No.

Il cielo intanto si rischiara e il sole colpisce gradualmente il marrone lucido d’acqua della fiera nave. La vela, illuminandosi rischiara il volto del Capitan de’ Capitani! mentre il vento continua il suo lavoro. La nave rolla e beccheggia blandamente.

- No. State con me. Ecco cosa vi dico. State con me. Perché io diventerò sì, ricco e potente ma: vedete laggiù quel territorio in fondo all’orizzonte? Lo vedete anche voi? Non fate finta di niente. Lo avete visto prima di partire, forse non tutti. Ma se guardate bene in fondo al vostro cuore lo vedete. Ebbene. Quando saremo là, là ci sarà la nostra parte. Per tutti, senza cassieri e senza compensi. Il vostro compenso è già con voi. Da questo punto di vista, il viaggio non è altro che una pura formalità utile solo per riunirsi al proprio pezzo di terra. Ognuno di voi avrà un pezzo di quella terra. Quella terra promessa da tutti noi che ci siamo reciprocamente ripromessi di conquistare la via. Non vi dirò mai passate alla cassa quando torneremo a casa. Perché non c’è prezzo per quello che stiamo facendo. Non siamo su una nave da carico, normale. O su una nave da guerra ove, talvolta, i soldi compensano le vite. E non siamo neanche la solita nave che apre una nuova via. Noi siamo la ricerca, siamo il concetto del nuovo, siamo movimento puro. Siamo gli inventori del futuro. E questo non ha prezzo. Stiamo comunque percorrendo la via verso quei territori tanto anelati dai potenti. Questo sì. Ma è proprio per questo motivo che la prospettiva che vi do io è di dividere il raccolto. In parti adeguate, naturalmente. Ma non di passare alla cassa.Vi do la prospettiva di...

Craa... Craa... ma questo è il rumore di un gabbiano che vola!...

- Qualcuno vada a riva!

Un uomo si precipita fin sulla coffa.

-Terra! Terra!

E... PUMMM! Da un lontano, ma preciso cannone, viene sparato un unico, perfetto, colpo. Una bordata micidiale che manderà in pezzi l’intera imbarcazione.

 

Tutti morti.

 

Era meglio fare boiler.

 

 

Morale...

tanto va la chiatta al largo che ci lascia lo zio Pino

oppure

te l’avevo detto che ci voleva una sberla...

 

© Emilio 1997

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Creata il: 12 giugno 1997
Data ultima revisione: 12 giugno 1997
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