Starfighter Story
|
||||
di Fabio Consoli | ||||
(Monografia del FIAT Lockheed F/RF/TF 104G tratta da una collana curata da Claudio TATANGELO) F-104G, RF-104G, TF-104G "SUPER STARFIGHTER" Il 3 marzo 1962, sull’aeroporto di Palmdale in California, si esibì in una dimostrazione di volo un caccia bisonico che portava le coccarde tricolori dell’Aeronautica Militare Italiana: ai comandi c’era un pilota italiano, il capitano Bonazzi. Pochi minuti prima, l’aereo era stato ufficialmente consegnato all’Italia, ove subito dopo venne inviato – smontato – per servire da modello alla produzione su licenza. Iniziava così la realizzazione di un programma che era stato deciso agli inizi del 1961, con una scelta di enorme importanza tanto sul piano tecnico-operativo che su quello industriale. Non era stato facile arrivare a definire il tipo di velivolo su cui basare praticamente tutta la linea operativa della Forza Armata per un numero prevedibilmente elevato di anni, soppesando tutti i fattori implicati nell’operazione: livello di prestazioni, esigenze operative, organizzazione logistica, complessità di impianti e di manutenzione, possibilità di produzione locale (e quindi valutazione delle capacità dell’industria nazionale e dei vantaggi che questa ne avrebbe ricavato in qualificazione tecnologica), addestramento di piloti e specialisti su una macchina che doveva rappresentare un salto di qualità estremamente impegnativo. Non ultime, le implicazioni internazionali di una scelta tra quanto offriva di meglio l’industria europea ("Mirage" III francese, "Lightning" britannico, "Draken" svedese) e quella statunitense (F-4 "Phantom", F-8 "Crusader", F-11F "Tiger", F-101 "Voodoo", F-104 "Starfighter", F-105 "Thunderchief" e F-106 "Delta Dart"). Molte di queste macchine, in realtà, erano già praticamente eliminate in partenza, per i costi troppo elevati o per l’eccessiva specializzazione: l’Italia voleva una soluzione in cui la questione costo fosse, quanto meno giustificata da un massimo di polivalenza, così da bilanciare l’inevitabile dispendiosità del materiale necessariamente sofisticato con i vantaggi dalle standardizzazione di tutti o quasi i reparti da combattimento. Questa ricerca di standardizzazione non poteva che indicare come soluzione ottimale il velivolo – l’F-104G – su cui già diversi Paesi della NATO si erano orientati, arrivando ad avviare un consorzio internazionale per la sua produzione integrata. Inserire l’Italia in questa organizzazione avrebbe esteso il concetto di standardizzazione ad un piano di "interoperabilità" di ovvia importanza con le Forze Aeree alleate, abbassato notevolmente i costi dell’operazione, e portato l’industria nazionale a partecipare al più qualificante passo tecnologico intrapreso in Europa. Da tutto questo risulta evidente come il peso della scelta già operata da Germania, Olanda e Belgio (oltre che dal Canada, inserito nel programma integrato USA - Europa, e dal Giappone, per citare solo i Paesi interessati alla produzione) non poteva che essere determinante nella decisione italiana, pur senza sottovalutare il peso delle pressioni americane cui non c’erano, in realtà, concreti elementi da contrapporre dato il clima relativamente teso, allora, dei nostri rapporti con la Francia che faceva escludere il "Mirage", unico candidato effettivamente in grado di corrispondere ai requisiti dell’A.M., o almeno di avvicinarsi meglio degli altri al livello di polivalenza e di prestazioni desiderato. Si arrivò così alla decisione, non senza contrasti e polemiche che sarebbero durate sino ai giorni nostri, di adottare il bisonico Lockheed e di aderire al consorzio europeo che frattanto era stato organizzato, e che quando si costituì comprendeva l’Italia come quarto dei suoi gruppi di produzione: Gruppo Sud (ditte della Germania meridionale, per la costruzione di 210 esemplari), Gruppo Nord (Olanda e ditte della Germania settentrionale, per 350 velivoli) Gruppo Ovest (Belgio, per 188). L’Italia, parzialmente associata al Belgio e con la FIAT come capocommessa, avrebbe prodotto 199 esemplari. Il totale dei velivoli programmati era infatti di 947, che con successive commesse arrivò a 1.300 F-104G costruiti in Europa. La collaborazione tra industrie di diversi Paesi si stabilì su una basi di continui contatti, cui partecipavano anche le Forze Aeree interessate, con positivi riflessi sull’integrazione effettiva di esperienze e di procedure; il complesso meccanismo di interscambi comprendeva la fornitura reciproca di componenti e, in molti casi, anche quella di aerei completi: per esempio, dei primi 199 F-104G prodotti in Italia 50 erano per l’aviazione tedesca e 25 per quella olandese, mentre componenti costruiti in Italia servirono a produrre aerei completi montati in Belgio. Analogamente avvenne per i motori, per la cui produzione vennero costituite delle società binazionali tra la General Electric, casa d’origine del turbogetto J79, e le principali aziende di ciascun Paese del consorzio europeo: BMW (poi MTU) in Germania, FN in Belgio, FIAT in Italia. All’interno di ciascun Paese, il lavoro si organizzò pure su basi integrate che coinvolgevano praticamente tutte le aziende aeronautiche, motoristiche, elettroniche e di equipaggiamenti, sempre con una capocommessa responsabile del programma per tutta l’attività nazionale. In Italia la FIAT si riservò l’assemblaggio finale, la produzione delle fusoliere e, in collaborazione con l’Alfa Romeo, del motore, oltre all’integrazione del lavoro ed ai collaudi. All’Aerfer fu affidata la costruzione di tutte le semiali e degli impennaggi, mentre all’Aermacchi, Piaggio, Officine Aeronavali, SACA, SIAI-Marchetti, e numerose altre aziende spettò la produzione di componenti minori, mentre altre ditte fornivano elementi, sottosistemi o sistemi completi per gli impianti. Sul piano internazionale, la partecipazione della Lockheed era intesa a garantire alla industrie associate il "know how" necessario per affrontare l’importante salto tecnologico derivante dall’operazione F-104, oltre che a fornire esemplari sia da montare come modello sia interamente montati come il biposto TF-104G (prodotti oltre 200). La Canadair era invece interessata a produrre 200 aerei per la propria Forza Aerea (i CF-104, differenti dal modello standard in molti dettagli) e su commissione degli USA in conto MAP (Military Assistance Program) 140 F-104G standard per quelle nazioni europee che erano rimaste fuori dal consorzio oltre che per altri Paesi amici. A parte da questo contesto va ricordata la produzione in Giappone di 207 F-104J "Eiko" (Gloria), diversi dal "Super Starfighter" standard in quanto destinati esclusivamente all’intercettazione. Il coordinamento della complessa attività riguardante l’integrazione del consorzio europeo e degli apporti della produzione statunitense e canadese richiese la costituzione di un apposito organismo, il NASMO (NATO Starfighter Management Office), con sede in Germania, a Coblenza. Prefigurava, per compiti e struttura, le organizzazioni internazionali NATO che verranno create nei decenni successivi (NAMMA e NEFMA) per i programmi Tornado MRCA e EFA: il processo di integrazione di industrie europee in programmi aeronautici avanzati è nato infatti con l’avvicinamento tra diverse nazioni che si verificò per lo "Starfighter". LE ORIGINI La specifica per un velivolo bisonico polivalente nacque nel 1958 dalle esigenze operative della Luftwaffe, cui la Lockheed fu pronta ad offrire uno sviluppo estesamente rielaborato del suo F-104 "Starfighter" cui diede il suffisso G (Germany; è vero peraltro che questa versione è immediatamente successiva all’F-104F e pertanto la G corrisponde anche all’ordine naturale) e che univa alle elevatissime prestazioni richieste la idoneità a venire riprodotto anche da industrie, come appunto quelle tedesche, rimaste tagliate fuori dagli ultimi progressi della tecnica aeronautica: la sua progettazione infatti aveva tenuto conto delle esigenze di relativamente facile producibilità dei maggiori componenti e sistemazione delle attrezzature interne durante la costruzione. La vera difficoltà, sul piano tecnico, consisteva nel riuscire a trasformare un velivolo nato come intercettore relativamente leggero, iperspecializzato nella sola funzione del combattimento aereo (diurno ad alta quota e con bel tempo, a breve distanza dalle basi), in un aereo che unisse a brillanti capacità d’intercettazione la possibilità di effettuare incursioni a notevoli distanze con un rilevante carico bellico, in ogni condizione atmosferica e per gran parte della missione volando (a forte velocità) nella turbolenta atmosfera delle basse quote. Era chiedere tutto ed il suo contrario; eppure il gruppo di progettisti guidato da Clarence "Kelly" Johnson – il padre di aerei prestigiosi che vanno dal P-38 "Lightning" allo SR-71 "Blackbird" – riuscì a risolvere il problema, essenzialmente irrobustendo la struttura compensando il risultante incremento di peso con una maggiorazione della superficie alare (senza variarne la ridottissima apertura) e della spinta del motore. Rispetto ai predecessori, F-104A intercettore puro e F-104C che per essere un caccia polivalente aveva già avviato il processo d’irrobustimento strutturale e di aggiornamento impiantistico, il G ebbe pure il carrello rinforzato, un gancio di arresto, e dotazione elettronica decisamente ampliata e rinnovata. Dall’F-104C si ereditava l’innovazione del sistema di soffiamento dello strato limite, e l’applicazione di piloni alari per carichi di caduta; dal biposto F-104D era ripreso il piano verticale ingrandito del 25%. Totalmente nuova era invece l’avionica, comprendente piattaforma inerziale per la navigazione ed il volo a bassa quota, e il sistema radar di ricerca e direzione tiro NASARR nella versione F-15A, bivalente (aria-aria e aria-terra). Aggiunte ad un’infinità di modifiche di dettaglio (tra cui parecchie significative, come il comando idraulico irreversibile per il timone), queste innovazioni trasformavano e miglioravano talmente il velivolo da indurre la casa costruttrice a chiamare l’F-104G "Super Starfighter": è infatti questo il nome ufficioso, ma per ovvi motivi di brevità gli viene sempre preferito il nome che spetterebbe solo ai modelli precedenti. LA DESCRIZIONE TECNICA L’F-104G è un monoreattore monoposto polivalente (intercettore e "strike") con capacità di operazioni ogni-tempo, realizzato anche nelle varianti biposto (TF-104G) e da ricognizione tattica (RF-104G), di architettura ad ala media ed impennaggio a T. La velatura è composta di due semiali a profilo sottile (3,26%) laminare biconvesso, a forte diedro negativo (10°) e di pianta trapezoidale a basso allungamento, senza freccia ma con forte rastremazione (26° sul bordo d’attacco), con superfici mobili su tutto il bordo d’attacco (slats) e su quello d’uscita (flap di curvatura, con attivazione dello strato limite per soffiamento, e alettoni).Le semiali sono costruite ciascuna su due longheroni con rivestimento lavorante su due unici pannelli fresati (dorsale e ventrale) irrigidito da 3 centine e da correntini, e sono unite alla fusoliera mediante attacchi frontali alle ordinate di forza di questa. Il complesso di ipersostentazione aumenta circa del 20% la portanza critica alle basse velocità. Per l’estrema sottigliezza del profilo alare (da meno di 11 cm alla radice a circa 5 cm all’estremità, con raggio di curvatura di 0,4 mm per il bordo d’attacco) la velatura non contiene carburante, ed i servocomandi per la manovra degli alettoni sono ripartiti in 10 martinetti in parallelo per semiala allo scopo di ridurre le dimensioni dei singoli attuatori, mentre quelli che azionano i flaps sono contenuti in fusoliera. La fusoliera è realizzata in 3 tronchi di struttura monoguscio. Quello centrale è diviso longitudinalmente in due semigusci affiancati, che vengono completati delle attrezzature interne durante l’assemblaggio prima di essere riuniti tra loro; esso è basato su un trave di chiglia e 5 ordinate di forza, a due delle quali vengono collegate le semiali, e contiene 5 serbatoi flessibili di carburante, le prese d’aria e gli elementi principali del carrello; nello RF-104G alloggia anche le fotocamere ventrali. Il tronco anteriore ospita l’apparato radar, l’elemento anteriore del carrello, l’abitacolo, il compartimento avionico (in cui è alloggiata anche la piattaforma inerziale) ed il cannone (sostituibile con un serbatoio supplementare). Il tronco posteriore che è costruito in titanio e acciaio inossidabile, a differenza degli altri elementi delle strutture prevalentemente in lega leggera, alloggia il complesso turboreattore – postbruciatore. Sempre sul tronco posteriore sono montati gli impennaggi, la pinna ventrale, il gancio d’arresto, il freno aerodinamico (diviso in due elementi sui fianchi) e il paracadute – freno (diametro 3,5 metri). Gli impennaggi sono composti da un ampio piano verticale cui è articolato il timone di direzione, servocomandato da due martinetti idraulici contenuti nello spessore della deriva così come gli attuatori del piano orizzontale monoblocco, interamente mobile e posto alla sua sommità. Questo piano ha struttura monolongherone su profili estremamente sottili. Il carrello, del tipo H.M. Loud, è triciclo anteriore, con ammortizzatori idraulici, servofreni e sistema anti-skid. L’elemento anteriore, monoruota, si retrae ruotando verso l’avanti (verso l’indietro nella versione TF-104G), e quelle principali – pure a ruote singole – sono ad articolazione composita per disporsi obliquamente nei vani di fusoliera, sempre ruotando verso l’avanti. Il motore è un Generale Electric J79GE-11A, turbogetto a flusso assiale con compressore a 17 stadi, turbina tristadio, camera di combustione a 10 tubi di fiamma, postbruciatore e ugello a sezione variabile, alimentato da due prese d’aria semicircolari laterali munite di coni d’urto e staccate dalla fusoliera per evitare l’ingestione dello strato limite. L’alimentazione di combustibile fa capo ai serbatoi di fusoliera (per un totale di 3.392 litri ridotti a 2.650 nel TF-104G,, più eventualmente il serbatoio supplementare da 460 litri installato al posto del cannone e del relativo munizionamento) ed ai raccordi per i serbatoi esterni: due da 740 litri ciascuno appesi ai piloni alari e/o due da 645 litri applicati alle estremità alari. L’armamento comprende un cannone M-61 "Vulcan" a 6 canne rotanti da 20 mm, con una dotazione massima di 725 colpi, installato – eccetto che su RF e TF-104G – come sistema a sé stante (e pertanto rimovibile, sostituendolo con un serbatoio supplementare) in un vano sul fianco sinistro della prua, oltre a 5 punti di attacco per carichi esterni. Quello centrale può sopportare carichi di 907 kg, ai due subalari si possono applicare piloni per carichi di 453 kg ciascuno, e quelli delle estremità alari possono portare due missili aria-aria AIM-9B "Sidewinder" 1A. Tra i vari armamenti possono essere utilizzate bombe Mk 82 da 500 lb (227 kg), Mk 83 da 1.000 lb (453 kg), Mk 84 da 2.000 lb (907 kg), M-117 da 750 lb (340 kg) contenitori NAPALM, contenitore lancia-bombe da esercitazione SUU-21A, lanciarazzi LAU-3A da 24 razzi da 52 mm, LAU-10 da 4 razzi "Zuni" da 127 mm e contenitori MLU-10B da 750 lb (340 kg) per bombe-mina. La dotazione elettronica comprende l’impianto di ricerca e telemetria bersagli NASARR (North American Search and Ranging Radar) F-15A, sistema di navigazione (inerziale con piattaforma Litton LN-3, d’emergenza C-2G), apparati TACAN (ARN-52) e IFF (APX-46), radio in UHF (ARC-522, d’emergenza ARC-504), autopilota MH-97, sistema Lockheed di puntamento all’infrarosso per i "Sidewinder" e apparati General Electric per il tiro con le armi di bordo. Gli RF-104G dispongono di tre fotocamere disposte in tandem (complesso "Trimetrogon") per riprese verticali ed oblique. Il seggiolino eiettabile, inizialmente Lockheed del tipo C-2 utilizzabile a bassa quota, è stato successivamente sostituito col Martin Baker tipo IQ-7A impiegabile anche a quota e velocità zero. L’IMPIEGO La Germania stipulò il contratto di sviluppo per l’F-104G il 18 marzo 1959; solo 15 mesi dopo, il 7 giugno 1970, il primo esemplare usciva dalle officine Lockheed ed effettuava il primo volo. Nel corso dei collaudi le qualità di volo risultarono sostanzialmente non dissimili da quelle dei precedenti modelli di F-104, in pregi e difetti: prestazioni brillantissime, comportamento impeccabile in condizioni ideali, propensione ad aggravare irrimediabilmente le situazioni anomale derivanti da cause tecniche o di pilotaggio. La formula aerodinamica che caratterizza l’F-104 – che è infatti l’unico velivolo della sua classe ad adottarla – comporta inevitabilmente l’accentuazione delle difficoltà complessive per una condotta sicura in tutte le condizioni di volo, che tutte le macchine di alte prestazioni ed elevata sofisticazione presentano, esigendo il rispetto più meticoloso e continuo delle procedure stabilite tanto per il pilotaggio quanto per la manutenzione e tutto il complesso di supporto tecnico-logistico. Basterà ricordare che il "104" esige 40 ore di manutenzione per ogni ora di volo, da parte di una squadra composta da 12 specialisti per ogni aereo: specialisti la cui formazione ha richiesto particolari cure per la complessità degli impianti. Una macchina che dà molto e che molto chiede, e che non perdona errori. Infatti, pur non potendosi affermare che lo "Starfighter" sia una macchina intrinsecamente pericolosa, e pur tenendo conto di quello che riesce a fare (dalle missioni a bassa quota anche in terreni orograficamente difficili, alle impressionanti dimostrazioni di manovrabilità offerte da una pattuglia acrobatica belga), è indubbio che le polemiche riguardanti questo velivolo hanno trovato nelle statistiche degli incidenti un solido terreno. In Italia, merita di essere segnalato per contro che un reparto dell’A.M., il 102° Gruppo del 5° Stormo ricevette nel ’65 il "Trofeo Lockheed" per la sicurezza del volo, mentre un altro, il 21° Gruppo lo ricevette per ben due volte. Quanto precede può dare un’idea dell’importanza dell’operazione che portò l’Aeronautica Militare dai caccia transonici o supersonici in picchiata al bisonico: una tappa forse meno significativa, ma indubbiamente più impegnativa, dell’operazione "Vampire" affrontata negli anni ’50 per il passaggio dall’elica al getto. Nel personale l’entusiasmo fu grande: pivelli e vecchi manici chiedevano di essere ammessi ai corsi di qualificazione istituiti per il nuovo aereo, compresi ufficiali anziani che avrebbero potuto facilmente evitare il gravoso impegno rappresentato dall’impostazione "scientifica" che si era data al pilotaggio moderno ed i rischi e la fatica impliciti in un velivolo dalle altissime prestazioni. I primi piloti italiani destinati allo "Starfighter", cominciando da uomini del Reparto Sperimentale di Volo dell’A.M. e ai collaudatori della FIAT, seguirono corsi negli Stati Uniti; alcuni vennero assegnati al primo reparto da riequipaggiare sul nuovo materiale, altri divennero istruttori, così come avvenne poco dopo per un numero maggiore di piloti che però si qualificarono presso la scuola di Norwenich della Luftwaffe, per quanto possibile con istruttori italiani che istruivano i colleghi in 6 missioni a doppio comando sui primi "Starfighter" biposto dell’aviazione tedesca, gli F-104F.Frattanto sulla Base Aerea di Pratica di Mare venivano tenuti i primi corsi per specialisti, ed i primi "Starfighter" prodotti in Italia cominciavano ad essere consegnati: il primo esemplare montato a Torino volò nel giugno del 1962, seguito il 5 ottobre dal primo aereo interamente di costruzione nazionale. I piloti addestrati in Germania affluirono al 9° Gruppo della 4a Aerobrigata, a Grosseto, per iniziare l’attività con 10 missioni su monoposto, in coppia con velivoli pilotati da colleghi già qualificati. Non si era infatti ancora risolto interamente il problema della conversione e dell’addestramento operativo su basi autonome, come sarebbe avvenuto nel febbraio 1965 quando, sempre a Grosseto, si costituì il primo reparto italiano analogo agli OCU (Operational Conversion Unit) britannici: il 20° Gruppo Autonomo Addestramento Supersonico, coi primi 12 biposto TF-104G di produzione Lockheed. Per l’addestramento all’uso dell’apparato NASARR si era pensato ad apposite versioni dello MB-326 ( C )e del G-91, rimaste però sulla carta. Lo Stato Maggiore A.M. aveva pianificato il riequipaggiamento con il "104" di 8 Gruppi, quelli ancora dotati di materiale meno prestante: 4 da intercettazione equipaggiati coi Canadair CL.13 "Sabre" Mk4, e di 4 di cacciabombardieri rimasti sui Republic F-84G "Thunderjet". Come si è visto la precedenza andò al 9° Gruppo della 4a A/B Intercettori; il primo F-104G gli venne consegnato il 13 marzo 1963, e la qualifica di "Combat Readiness" venne conseguita nel 1964, anno in cui il primo reparto italiano su caccia bisonici divenne operativo ed in cui un secondo reparto, il 10° Gruppo sempre della 4a A/B, completò il passaggio sul nuovo aereo. Nel 1965 l’Aerobrigata del "Cavallino Rampante" era operativa sullo "Starfighter", col quale accumulò le prime 5.000 ore di volo partecipando anche a manovre NATO. Frattanto erano iniziate le consegne agli altri reparti. Il 21° Gruppo della 51a A/B passò sull’F-104G nel 1963, temporaneamente distaccato a Grosseto. Nel 1964 fu la volta della 6a Aerobrigata CB, anche questa operante su un solo Gruppo (il 154°, a Ghedi Montichiari): è il reparto che per primo ha raggiunto (dicembre 1977) il traguardo delle 50.000 ore di volo su questa macchina, appannaggio del Cap. Cacciatore. Nel ’64 (12 maggio) era la 5a A/B Cacciabombardieri a passare sul "104" coi suoi 2 Gruppi, 101° e 102°. Nel 1075, come si è detto nasceva (per la seconda volta) il 20° Gruppo, che dopo una serie di ristrutturazioni assunse la denominazione di Gruppo Autonomo Addestramento Operativo. Il 1966, anno della ristrutturazione dei reparti A.M.I. con lo scioglimento di quasi tutte le Aerobrigate che tornarono alla fisionomia di Stormi, iniziò una serie di variazioni che ampliarono l’assegnazione dello "Starfighter" a nuovi reparti. Il 101° Gruppo, passato al ricostituito 8° Stormo, lasciò l’F-104G, ma il 10° Gruppo, passando (27 gennaio 1967) a formare il reparto di volo del risorto 9° Stormo a Grazzanise – che fu dedicato a Francesco Baracca, mentre la 4a Aerobrigata ridiventata Stormo assumeva quello di Amedeo Duca d’Aosta – dava vita ad un nuovo reparto, così come fece il 21° Gruppo, diventando nel 1964 autonomo sulla base di Cameri, e quindi passando il 1° aprile 1967 al ricostituito 53° Stormo Caccia Intercettori: nel 1968 il 21° adotta come distintivo un tigre, che gli permette di partecipare ai pittoreschi "meeting" del "NATO Tiger Club". Dal 1970 anche il reparto da fotoricognizione, 3a Aerobrigata Ricognitori Tattici a Verona-Villafranca, iniziò a ricevere gli "Starfighter"; entro l’anno era completato il riequipaggiamento del suo 28° Gruppo, assegnato alla 5a ATAF (Allied Tactical Air Force) della NATO, cui vennero consegnati gli RF-104G: aerei dotati di un complesso di macchine fotografiche poste in un vano carenato nella parte ventrale della fusoliera. Nel 1972 anche il 132° Gruppo della 3a A/B passò su "Starfighter", e così il 18° Gruppo nel 1973: per questi due Gruppi si tratta però di normali F-104G in cui l’equipaggiamento da ricognizione è contenuto in un "pod" esterno (le consegne di questi complessi "Linescan-Orpheus", sono avvenute dopo una lunga valutazione). Va poi ricordato il Reparto Sperimentale Volo (311° Gruppo, a Pratica di Mare) che sin dall’inizio del programma ebbe in dotazione alcuni F-104G per una varietà di compiti inerenti alla propria particolare attività. Il 5 giugno 1994, a Grosseto, il tenente colonnello Fabio Landi, comandante di Gruppo, porta in volo l’ultimo F-104G; esso si fregia del "Leone Ruggente" del 20° Gruppo OCU (Operational Conversion Unit) del 4° Stormo. L’ultimo "G" ancora in attività è un esemplare di TF-104G in carico sempre al 20°. Così, dopo una storia quasi quarantennale, a Grosseto si chiude il cerchio della vita operativa dell’F104G: un velivolo che, nel bene e nel male, ha segnato indelebilmente la storia dell’Aeronautica Militare Italiana. Centinaia di piloti si sono formati ed hanno operato sullo "spillone", tanti sono stati i caduti, tanti sono stati quelli che lo hanno amato per le sue esaltanti e difficili caratteristiche di volo: pochi sono quelli che non provino un orgoglio smisurato per aver volato su un velivolo che costituisce l’essenza del volo (più alto e più veloce!) e l’esaltazione della figura del pilota da caccia. |
||||