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- L
a Parrocchia
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LA VITA
P r e l u d i o
di Grazia Deledda
Circondato
da boscaglie di querce, liete di fonti e ruscelli e di chiassose famiglie di
ghiandaie dalle ali spruzzate di azzurro, vigilato dal castello dei nobili Marchesi
padroni del bel feudo, era, ed è ancora in parte, il paese di Laconi, nel
Sarcidano di Sardegna. In una povera casupola di agricoltori, nacque a Laconi, il 18
dicembre 1701, Francesco Ignazio Vincenzo Peis, che fu poi il miracoloso
Fra Ignazio cappuccino venerato ancora adesso, e sempre più, in tutta
l’Isola, che conserva inattaccabile, nel cuore delle sue donne forti, ed
anche degli uomini semplici e retti, il profondo culto degli insegnamenti di
Cristo.
E
non solo uomini dallo spirito semplice, ma giovani e colti, studiosi e geniali
pensano oggi a Fra Ignazio, e ne seguono orma per orma ii corso della lunga
vita; e non per passione di critica, di ricerche e ricostruzioni storiche, ma
per amore al fatto in se stesso, alla figura straordinaria, all’esempio
luminoso del fraticello beato.
Uno
di questi è Remo Branca, sardo la cui cultura é grande come la sua modestia, e
l’arte pan alla sua fede.
Egli ha pubblicato in questi giorni (questo scritto
apparve nella terza
pagina del Corriere della Sera del
10 giugno 1933 per un libretto che preconizzò questo volume) un suo esile libro
che è lieve e grazioso come un volumetto di versi, e racchiude, invero, tutta
La poesia di un’epoca, ed è semplicemente La storia diremo cosi romanzata,
di Fra Ignazio da Laconi. Libro raro che ci ha sollevato sinceramente il cuore,
rinnovandolo nelle sue più segrete radici, come una pianta ristorata da un’acqua
benefica, l’antica fede tramandataci dai nostri avi di Sardegna.
Ecco
uno scorcio del quadro che Remo Branca fa della Sardegna di Fra Ignazio: ~ La
mancanza di comunicazioni con quel che segue, l’avversione al cormmercio
ed al mare, carestie,pestilenze e malaria, completavano il triste quadro
sociale della slegata vita sarda agli inizi del Settecento. Però in mezzo a
tanta miseria morale, non mancava il conforto delle dottrine cristiane e
l’esempio della pratica cattolica: fin dal secolo XIII l’Isola contava tre
Arcivescovi e quindici Vescovi; e pur riconoscendo come il clero divenne più
tardi opulento e non sempre conscio dei suoi doveri, dobbiamo riconoscere
numerosissimi esempi di sacerdoti e di laici morti in odore di santità,
lasciando larga e benefica, eredità di fede. Ancor oggi, in piena rinascita
spirituale cristiana, si vedono sopravvivere tracce di antiche e superstiziose
tradizioni, e di volgari pregiudizi che offendono La bellezza cristiana; ma si
tratta di una mentalità che, creatasi per l’ignoranza e l’ isolamento,
ormai va definitivamente scomparendo. Mai però l’Isola conobbe eresie. Nel
generale dissesto economico e sociale, alla stessa maniera, non tutto era
disastro e miseria: dimenticate in mezzo ai boschi non era difficile trovare
isolette di pace e di benessere materiale: la dove la terra era più generosa
e le sorgenti ricche di polle estive. Tale è ancor oggi il Sarcidano,
territorio di colli digradanti, in cui, sotto la sommità occidentale,
chiamata Marabentu, Si adagia il paese di Laconi, patria benedetta del
venerabile Fra Ignazio.
Rievocata
e resa ancor viva e palpitante dall’arte e dalla convinzione del Branca,
seguiamo anche noi la figura di Vincenzo Peis, dapprima bambino nell’umile
casa dei suoi genitori che un p0’ di sangue di santità ce l’avevano pur
loro, li buon Mattia agricoltore e la Madre Anna Maria Sanna, che era davvero,
senza iperboli, l’angelo del foco1are, che faceva il pane in casa, tesseva
i vestiti per la sua famiglia, allevava i figli nell’amor di Dio.
Un altro di questi figli, Maria Giuseppa Agnese, fu anch’essa suora
nell’Ordine di Santa Chiara, e mon in odore di santità. A qualcuno di
questi figli fu certamente data una istruzione poiché Giacinto Peis pare
esercitasse l’arte del flebotomo nel paese di Samugheo: chi non frequento
scuole fu Vincenzo poiché egli non sapeva scrivere, e non conosceva altro
che il dialetto sardo. Fra Ignazio, afferma il suo biografo, non ha scritto un
rigo, perché era analfabeta, non ha lasciato una dottrina perché non era
un filosofo, non ha fondato nessun ordine perché non era un uomo di geniali e
coraggiose iniziative. Un povero frate questuante era Fra Ignazio, il servo
di tutti, l’ultimo degli uomini: eppure egli fu l’uomo più ricordato e
venerato del Settecento sardo. Gia da bambino nella sua dolce Laconi, i
compagni gli si stringevano attorno per imparare da lui l’Avemaria, lo seguivano
in chiesa, erano per suo esempio e suggestione, buoni e obbedienti in casa. Ma
erano pur bambini, e amavano i giuochi della strada e le scorribande negli
orti intorno al paesetto; Vincenzo no, Vincenzo non perde tempo per salvare la
sua anima e segue la sua strada che é quella della chiesa di Laconi. E' qui,
per la gioia del lettori, è bene riprodurre la chiara e poetica prosa del
biografo. "Fuori c’era
la luna, e appena allora suonava nel gran silenzio la Messa dell’alba. I
camini fumavano, e dalle porte socchiuse pioveva sull’acciottolato ma striscia
di chiarore; e veniva fuori l’odore di pane fresco e caldo. Cominciava
appena la mattiniera faccenda del villaggio, che già il piccolo Vincenzo con
l’anima quieta e tutta aperta, saliva alla parrocchia. Qualche passo chiodato
o qualche scivolar di cavallo sul ciottoli risonava in quel labirinto,
imbiancato qua e la dalla luna. La chiesa era ancora chiusa; il sagrestano
incontrava il ragazzo inginocchiato sui gradini, mentre in faccia al portone,
a l’orizzonte, un barlume rosa profilava i monti".
Non meno pittoresche ed evidenti, via via per il delizioso volumetto,
sono le molte pagine col quadro del paesaggi, degli interni del convento dove
Fra Ignazio passò il noviziato; e gli scorci di Cagliari, la cittâ rifulgente,
per il fraticello, come un paradiso terrestre, o meglio come una nuova
Gerusalemme, e che per molti e molti anni ricambiô con passione l’amore
infinito che egli portava a uomini e cose della cui caritá e bellezza si nutriva.
I suoi miracoli cominciarono presto.
Ecco
che Mattia, il padre lavoratore, che insegna a Vincenzo, prima di ogni altra
scienza, a lavorare La terra, deve andare con altri suoi aiutanti, per La
semina del fagiuoli. Anna Maria Sanna è però preoccupata: La provvista del
pane sta per finire; e quello che avanza non basterà per tante buone bocche
affamate dal lavoro. " Non importa, — dice il piccolo Vincenzo —;
vedrete che basterà" : e riempie La bisaccia del pane e del
formaggio che può trovare in casa. E all’ora del pasto il pane non
finisce mai di uscire dalla bisaccia, tanto che gli uomini, lieti
dell’appetito e dell’aria primaverile dei freschi poggi di Laconi, non
solo se ne saziano, ma non riescono a mangiarlo tutto.
Eppure, non ostante la fama che già lo precedeva, pallido e scarno
Vincenzo, ridotto così dalle sue privazioni
corporali, si presenta, nel convento Magggiore di Sant’Antonio a
Cagliari al severo padre Francesco Maria provinciale dei frati cappuccini, e
domanda di essere accolto fra i novizi, come aspirante a frate laico, si
vede respinto inesorabilmente. Ma una raccomandazione del Marchese di
Laconi, che passava una buona parte dell'anno nell'elegante città
e qualche mese estivo nella frescura del suo feudo, amico del
cappuccini di Cagliari cambia le cose: Vincenzo é accolto e la sua
vita portentosa comincia.
Ha passato appena venti anni e vive con la stessa purità di cuore
della fanciullezza. Non è un santo é un povero frate laico; fa il
dispensiere, il cuciniere, il tessitore; è sopra tutto mandato alla
"cerca". Fu anche mortificato e maltrattato, da chi ancora
non lo conosceva, ed egli se ne rallegrava: e ancora nei giorni della sua
maggior gloria, quando anche le grandi dame e i potenti signori chiedevano il
suo aiuto, un giorno, nella fastosa e spagnolesca Cagliari, un viandante lo
investì con ingiurie e
insinuazioni. Fu per Fra Ignazio un giorno di beatitudine: poiché egli si
riteneva l’ultimo degli uomini e non capiva la potenza sovrumana che lo
spingeva al bene, che nelle ore di preghiera, lo sollevava macia terra,
che gli faceva operare miracoli. Ciechi, infermimi infelici, si sollevavano e
rivedevano, al suo passaggio la luce del cielo: i sassi si mutavano in pane,
ardevano lampade senza olio, i superbi ritrovavano la gioia dell’umiltà: tutta
forza della sua volontà di beneficare il
prossimo
Eppure
non fu santificato: anzi la sua semplice beatificazione fu contrastata; e
pare che i dacumenti comprovanti i suoi miracoli venissero distrutti, per
gelosia, da un Superiore dei Cappuccini, di quel tempo, il quale ambiva la
gloria di ordire egli il processo per la santificazione del Frate Ignazio,
mentre di questo processo erano stati incaricati dal Vicario generale del
Capitolo di Cagliari, don Pietro Sisterne de Oblites, due religiosi Carmelitani.
La
venerazione e il culto per il nostro fraticello non sono per questo meno
profondi e duraturi, nelle popolazioni di Sardegna. Vecchi patriarchi, donne
il cui spirito di sacrificio è una vera passione, signori e, come si vede
da queste righe, studiosi e artisti lo eleggono per "loro" santo
poiché si sentono vicini a lui, suoi discendenti e discepoli. Una
caratteristica effige di Fra Ignazio ce lo presenta già vecchio, già forse
cieco; col Rosario, il bastone, la barba ispida, il viso bruno camuso: non ha
nulla del serafico: è perô l’antico pastore sardo, nella cui bisaccia si
nasconde un tesoro di sapienza e di bontà.
Sul
colle della Vergine di Bonaria, ad oriente di Cagliari, dice il biografo,
molte tombe illustri sono dimenticate, e davanti alla lapide di Domenico
Alberto Azuni non c’è un fiore. Sulla modestissima tomba di Fra Ignazio
da Laconi, nella chiesetta cappuccina, si stende un tappeto di fiori, che la
fede del popolo rinnova ogni giorno. Bello, fra tutti, è il fiore di questo
libretto La cui lettura ci ricorda il viaggio di Fra Ignazio al suo paesello
per il fidanzamento di una sua sorellina: lungo era il viaggio, fra dolci
colline, ma anche Ira interminabili sentieri; e pure fra Luigi, dato per
compagno a Fra Ignazio, non si accorse del tragitto; poiché immerso in un
sogno che gli permetteva, non di camminare fra i sassi ma di volare.
-
Brevi note biografiche
Il
Santerello
S.
Ignazio nacque in Làconi dai coniugi Mattia Peis Cadello e Anna Maria Sanna
Casu il 7 dicembre 1701, e fu battezzato il 18 coi nomi di Francesco, Ignazio,
Vincenzo. Era il secondo di 9 figli.
I
genitori cercarono di educarlo nel Santo timor di Dio, e fin dalla più tenera
età vi scorsero i segni di una benevolenza speciale del Signore. Il padre
non si saziava di contemplarlo, e, spesso, quando
Crebbe
fin dalla più tenera età così dedito al bene e alla virtù che lo
chiamavano il Santarello. Le
Le
grandi decisioni incontrarono sempre difficoltà. Vincenzo (così si chiamava
al secolo fra Ignazio) nella sua famiglia è felice. E povero, ma di una
povertà cui nulla manca: ha una casetta e un campicello e il necessario alla
vita, ma più di tutti ha la pace della sua coscienza e l’amore dei suoi can
che lo ritengono un angelo del cielo in mezzo a loro.
Tuttavia
questo fiore cosI vago ed olezzante di virtù non è sbocciato per stare in
mezzo al mondo: Dio lo vuole per sé nel giardino ubertoso della religione: e
dà a! pio giovanetto il gran dono della vocazione religiosa. Una santa
ispirazione agita continuamente il suo cuore: rendersi Frate Cappuccino.
Palesa ai suoi cari questa divina chiamata, ed essi, mentre non lo
contraddicono, cercano di trattenerlo con mule pretesti. Dio perô vuol
riportare vittoria, ed una infermità riduce in fin di vita il povero
Vincenzo. In questo stato promette a Dio che, se gli ridarà Ia salute, si farà
religioso; e il giovane
Dopo
questo nuovo prodigio rompe ogni indugio e Vincenzo si decide ad entrare in
religione, ad assecondare la chiamata di Dio. Anche i parenti non lo
trattengono più: ormai anch’essi sono persuasi che Dio lo vuole e il 3
novembre del 1721, fra gli amplessi dei suoi e le lacrime della mamma,
Vincenzo, assieme at babbo, intraprende il lungo cammino per Cagliari, la
quale dista da Làconi circa 68 chilometri.
Giunti
a Cagliari, si presentano al convento di Buoncammino, ma non tutto andò
a seconda: il Provinciale, Padre Francesco Maria da Cagliari, vedendolo
piuttosto debole, rifiutô di riceverlo.
Ottenuta
l’obbedienza, si portô difilato in S. Benedetto, convento del noviziato, e
licenziatosi dal padre, il giorno 10 novembre del 1721 vestì le sacre lane
col nome di Fra Ignazio. Il suo noviziato non fu privo di contrasti; il de
demonio fece gli ultimi sforzi per allontanare quest’anima prediletta dalla
santa vocazione. I mi sei mesi passarono bene, e la sua anima godeva una calma
e una pace paradisiaca. Il P. Luigi da Nureci, maestro dei novizi, religioso
Santo ed illuminato nelle vie di Dio, l’aveva pienamente compreso; ma non fu
cosI del P. Giuseppe da Iglesias, eletto maestro nel capitolo del 15 maggio
1722.
Le
prove furono cosi aspre e rigorose, che un giorno, pieno d’ambascia, non
riuscendo, per debolezza, a salire le scale con una pesante brocca d’acqua,
si rivolse, per aiuto, alla Madonna, la quale misteriosamente
parlandogli da una statuetta posta in una nicchia in cima alle scale, benigna
mente lo conforto.
Finito
il santo noviziato, il 10 novembre del 1722 fu ammesso alla solenne
professione religiosa. Fra Ignazio è provetto nelle virtù, ma ancora non è
compreso: ben altre prove ci vogliono per persuadere i religiosi che egli è
un’anima tutta di Dio. Incomincia l’aspro cammino. Da S. Benedetto fu
destinato di famiglia nel convento di Iglesias con l’ufficio di dispensiere
e di cercatore della campagna La sua virtù cominciô ad irradiare con pro
prodigi. Una sera ripescO miracolosamente le chiavi delta dispensa, cadutegli
nel pozzo.
Dopo
qualche anno da Iglesias fu trasferito a Cagliari con l’ufficio di lanino.
In questo ufficio fu una vera fiaccola sotto il tavolo. Sempre da un canto,
umile, silenzioso, tutto dedito al lavoro. In questo tempo la sua perfezione
interiore fu prodigiosa: egli pose i fondamenti della vera virtù.
Bastava
guardarlo quel fraticello, mingherlino, alquanto curvo, con la barbetta rada e
il viso palli do, vestito ruvidamente e coi piedi scalzi: bastava guardarlo
con l’andatura modesta, gli occhi bassi e ha corona del rosario sempre in
mano, per sentirsi compreso di venerazione e di amore. Era un Angelo che
passava per consolare e confortare tutti: e tutti correvano a lui per chiedere
consiglio ed aiuto. Questo apostolato non venne mai meno e, per 40 anni, su e
giù per le erte vie della città e per le ripide scale dei palazzi e
delle case di Cagliari, non fece altro che edificare tutti, confortare tutti e
tutti ricondurre sulla via del bene.
Dio
faceva trionfare la sua virtù per mezzo di strepitosi miracoli. Prima quello
di Suor M. Grazia Corte, monaca Cappuccina.
Né
meno strepitoso fu quello dell’olio nella bisaccia. Era giunta da Bosa una
nave carica di olio. Fra Ignazio vi andò a chiedere l’elemosina, ma non
aveva la fiasca; e quando il padrone chiese il recipiente, Fra Ignazio presentò
la bisaccia aprendone la bocca. Il padrone fra l’ironico e lo stizzito, vi
gettò l’olio, sicuro che sarebbe andato tutto perduto; invece, con sua
sorpresa, neppure una goccia ne trapelava, e il Santo tra l’ammirazione del
popolo allegramente lo portò tutto in convento.
Una
donna s’era data alla vita di peccato, e per la sua cattiva condotta, non
erano pochi coloro che abbandonavano la via della virtù. Il Santo la esortava
a lasciare il peccato, ma essa faceva la sorda. Un giorno gli disse che si era
data a! vizio, perché non aveva da mangiare. Ebbene, soggiunse, tutto pieno
di zelo il Santo, lasciate il peccato, ed io penserò, con l’aiuto di Dio,
al vostro necessario. Gli empi net vederlo entrare in quella casa, ne
mormoravano, ma Dio giustificô l’innocenza di lui, dando prodigiosamente ha
loquela ad un neonato che dal ha chiesa di S. Anna si riconduceva a casa, dopo
il Battesimo.
Sant’Ignazio
possedeva in grado eroico tutte le virtù. La sua fede era incrollabile.
Sarebbe stato pronto a qualunque martirio, a spargere fino all’ultima goccia
tutto il suo sangue per confessare ha fede di Cristo.
Come
ha fede, era salda la speranza. Tutto egli aspettava da Dio, né mai esitô di
fronte alle prove più dure della vita. Tipico il fatto che, in un anno di
carestia, in un giorno che mancava il pane necessario alla famiglia religiosa,
egli, piuttosto che disperare, ebbe tanta fiducia in Dio, da ottenere di
convertire le pietre in pane. E la speranza non fallì:
Ma
ha virtù regina, quella che animava tutto ii suo essere, tutta la sua vita,
era la carità. L’amore verso Dio e a tutto ciò che si riferiva a Dio: ecco
il sospiro ardente del suo cuore, la molla possente, la leva che lo innalzava
e sosteneva in tutte le sue virtuose operazioni.
Dio
era sempre nel suo pensiero, sempre nel suo cuore, sempre nelle sue parole,
sempre in tutto il suo operare. Quando si svegliava il suo primo so-spiro era
Dio, a Dio pensava quando camminava, a Dio quando operava, a Dio quando
mangiava:
Ma
Gesù, il Dio fatto uomo per noi, era oggetto speciale del suo amore e della
sua imitazione. Patire per Gesù: ecco il suo programma; amare Gesù: ecco Ia
sua vita. Quante lacrime ha versato sopra la dura passione di Gesù! Quante
volte, yinto dal fervore, ha straziato il suo corpo con duri flagelli,
squarciando le carni e imbrattando i flagelli e le pareti di sangue!
Ma Gesù non é lontano da noi: egli per noi si è nascosto sotto le specie sacramentali. E Fra Ignazio sentiva questa reale presenza di Gesù. Ed eccolo il avanti a! sacro altare a sospirane, a trovare le sue delizie e il suo paradiso, a subirne le dolci estasi d’amore, a pregare per tutti, ma specialmente per le anime purganti e per La conversione dei peccatori.
Delizia
inenarrabile del suo cuore era assistere a! santo sacrificio della Messa, e
gioia suprema era ricevere Gesü. Quanti sospiri, quanti aneliti, quante
lacrime!... Non era più di questo mondo, l’ani ma era rapita come in una
dolce estasi di paradiso. Cercava di comunicarsi ogni giorno ed era tutto in
tento a conservare col suo diletto la più santa unione.
Dopo
Gesù, il suo tenero affetto era rivolto a Maria. Quanto amore per la gran
Madre di Dio!
Egli
se l’era eletta per madre, ed a !ei ricorreva con fiducia e confidenza
filiale. Avanti at suo altare pregava ogni giorno. Prima di uscire di casa e
quando rientrava le domandava, in ginocchio, la santa Benedizione, recitava
continuamente il santo Rosanio e altre devote preghiere; si preparava con
straordinarie mortificazioni alle sue solennità; in tutti inculcava la
devozione alla Madre Celeste, e a quanti ricorrevano a lui per aiuto, li
esortava a rivolgersi a Maria.
Con
Dio, amava tutti i Santi, ma in modo particolare il P. S. Francesco, fondatone
dell’Ordine e S. Felice, primo
santo della Riforma Cappuccina. L’amore di Dio gli ispirava un grande orrore
al peccato, capitale nemico di Dio. Mai Si legge che commettesse
volontariamente alcuna colpa, ben ché leggera. Del peccato, in sé e negli
altri ne aveva un vero spavento, e sarebbe stato pronto a soffrire qualunque
pena, a morire, a mille volte morire, piuttosto di offendere volontariamente
Dio.
L’amore
verso Dio era net suo cuore una fiaccola ardente che bruciava, consumava,
distruggeva tutto ciò che non era di Dio; e tutte le creature, piuttosto che
formare inciampo, gli erano scala per sollevarsi al creatore.
Fiamma
benefica
Quella
stessa carità che lo faceva ardere d’amo re verso Dio, lo consumava di
amore verso il prossimo. Tutti gli uomini riguardava come fratelli, e per
tutti in mule modi si prodigava per aiutarli in tutti i loro bisogni
spirituali e corporali. Innumere- voli sono le anime confortate, i peccatori
convertiti, gli afflitti sollevati.
Da
vicino e da lontano, tutti correvano a lui: il convento era mèta di
pellegrinaggi ed egli, non solo con mezzi naturali, ma spesso con prodigi e
mira coli, tutti confortava. Il suo amore era cosI ardente e disinteressato
che, qualche volta, prendeva sopra di sé i dolori altrui.
Tutte
le sventure trovavano compassionevole eco net cuore del Santo, ed egli, per
tutti si commuoveva a pietà, ma il dolore che più scuoteva il
Il
4 giugno del 1775, la Marchesa Donna Francesca Zapata sperimentò questa
eroica carità del Santo. Il Marchese, spaventato della difficoltà del
parto, ho mandô a chiamane verso le ore 3 del mattino. Giunto in casa
ii Santo pregò di far celebrare la Messa nel!a Cappella di famiglia. Finita
ha quale, la Marchesa dava felicemente alta luce il suo figliuolo Raffaele.
Dopo di ciò se ne ritornò in convento, lodando il Signore di aver confortato
una povera madre.
Uno dei suoi più can amori erano i bambini. Li accoglieva sempre con
affettuosa bontà, e prodigava ad essi le piü affettuose attenzioni. Quando
non aveva altro, regalava loro frutta secche e pezzetti di pane fresco che
cavava dalla sua manica prodigiosa. Li istruiva nelle verità della fede e li
ammoniva ad essere obbedienti e buoni. I piccini gli erano
A
molti di essi ridiede la salute, alcuni risuscitò da morte. CosI fece con la
piccola che abitava in via Martini. Capitò in
Dalla
breve "BIOGRAFIA di
Sant'Ignazio" del P.
Giorgio da Riano - Cappuccino.