Dossier sui Gamma-Ray Bursts

La controparte ottica ad un Gamma Ray Burst

I Gamma-Ray Bursts cosmici sono oggi considerati il più grande mistero della moderna astronomia: si tratta di potentissime emissioni di raggi gamma e raggi X, emissioni che provengono da ogni parte del cielo ma finora mai due volte dalla stessa direzione. Simili eventi non sono neppure rari: i satelliti spaziali indicano che la Terra è illuminata da mediamente 2 o 3 gamma-ray bursts (GRB) ogni giorno.


Uno dei satelliti VELA.

Che cosa sono in realtà? Nessuno ancora lo sa. Rilevati per caso nel 1967 dai satelliti "Vela", il cui compito era quello di verificare il mantenimento di un trattato antinucleare monitorando le esplosioni atomiche nel mondo attraverso le emissioni gamma, fino al periodo più recente ne è rimasta ignota anche la provenienza: non si sapeva neppure se venivano dalle prossimità del nostro sistema solare (o perfino dal suo interno) o al contrario dai più remoti confini dell'universo. La prima grande prova in questo senso giunse nel 1997, quando gli astronomi trovarono un fenomeno ottico connesso al GRB: nel febbraio di quell'anno, infatti, il satellite italo-olandese Beppo-SAX per l'astronomia a raggi X captò un GRB, riuscendo ad individuarne la posizione con un grado di accuratezza di pochi arcominuti (circa 6 - ovvero il 20% del diametro della Luna). Questo permise agli astronomi di fotografare l'emissione, e ciò che videro li sorprese: avevano individuato una stella in rapida variazione, la cui luminosità si andava molto velocemente affievolendo, probabilmente il resto di una gigantesca esplosione vicino ad una massa di forma amorfa che si pensa essere una galassia estremamente lontana. Da allora sono state scoperte molte altre controparti ottiche ai GRB: ma da dove vengono allora i GRB? Dalla data della scoperta casuale, alla fine degli anni '60, e fino al lancio del BATSE (Burst and Transient Source Experiment), nel 1991, la maggioranza degli astronomi era convinta che le emissione fossero originate all'interno della nostra stessa galassia, in prossimità di stelle di neutroni: la Via Lattea contiene molte stelle di neutroni, oggetti massivi come il Sole (circa 300.000 volte la massa della Terra) ma non più grandi di 10 o 20 Km di diametro. I loro tremendi campi gravitazionali e magnetici li rendevano infatti una fonte ideale per i GRB.

Il BATSE
Il BATSE (Burst and Transient Source Experiment),
a bordo dell'osservatorio Compton per Gamma Ray Bursts, lanciato nel 1991.

L'esperimento BATSE era costruito con ogni intenzione di confermare questa teoria. Si pensava infatti che con l'aumentata sensibilità del BATSE saremmo stati in grado di vedere la debole mappa dei GRB provenienti dall'esterno della nostra galassia, così come quando lasciamo le città appaiono le stelle e possiamo vedere gli oggetti più deboli. Questo concetto è dimostrato nella figura "La distribuzione dei grb prevista": all'estremità superiore possiamo vedere uno schema del disco della nostra galassia, con la Terra ed il BATSE localizzati su di una stella; se la nostra capacità visiva si ferma nello spazio più vicino, simboleggiato dal primo cerchio, abbiamo la situazione omogenea indicata nella seconda riga: come conseguenza, vediamo GRB in ogni direzione nella stessa misura. Analogamente, non vediamo alcun confine e la distribuzione della luminosità segue una curva che indica omogeneità; questo, naturalmente, perché il cerchio più piccolo è riempito uniformemente di GRB. Al contrario, se possiamo vedere al di fuori del disco della nostra galassia, come nel caso del secondo cerchio, le emissioni non sembrano più essere uniformi nel cielo, e la distribuzione mostra una mancanza di deboli GRB poiché non ce ne sono molti in prossimità della linea-confine indicata dal secondo cerchio.

La distribuzione dei Gamma Ray Busts nel cielo

Contrariamente a tutte le previsioni, però, nel 1992 BATSE riportò dei dati indicanti che i GRB erano distribuiti uniformemente anche al di fuori della Via Lattea, senza concentrazioni né sul piano della galassia né vicino al suo centro. In sostanza, BATSE ci diceva che la distribuzione di GRB pare essere quasi perfettamente casuale.

Rimanevano così agli astronomi due possibilità: I GRB si originano in una corona sferica molto grande, intorno alla galassia. I GRB ci giungono dalle più remote profondità dell'universo, a miliardi di anni luce da noi. Nel primo caso, la corona sferica dovrebbe essere molto grande, con un diametro di circa un milione di anni luce, molto più grande del diametro della Via Lattea (che è di 100.000 anni luce circa); questa dimensione tanto grande è necessaria per evitare una asimmetria nella distribuzione di GRB, causata dal fatto che la Terra è sfasata rispetto al centro della galassia di circa 25.000 anni luce. Nel secondo caso, invece, la scala delle distanze diviene quella definita dagli astronomi "cosmologica", ovvero superiore a quella per cui la distribuzione di materia appare organizzata, eccedendo quindi la scala degli ammassi e perfino dei superammassi di galassie, e naturalmente degli abissi vuoti fra di loro. Insomma, agli ultimi confini dell'Universo.

Questo, naturalmente, implica che le distanze sono misurate in miliardi di anni luce. A così grandi distanze, però, diventano importanti gli effetti dell'espansione dell'Universo, come il redshift della luce (e dei raggi gamma) e l'apparente rallentamento del tempo, entrambe possibili cause dei cambiamenti nella distribuzione della luminosità osservati da BATSE. Gli scienziati hanno osservato i GRB per questi effetti cosmologici, ed alcuni hanno riportato effetti di dilatazione temporale (i GRB deboli, che sono presumibilmente i più lontani, sono mediamente più duraturi dei forti, più vicini). In generale BATSE sembrava puntare ad un'origine cosmologica, ma non poteva essere provato più direttamente. Per avere una prova di questo genere, infatti, era necessario individuare una controparte ad un burst in una regione dello spettro al di fuori dei raggi gamma; questa controparte doveva avere una grande accuratezza posizionale per collegare il GRB ad un oggetto del cielo, come per esempio una debole galassia, oppure doveva permettere la misurazione del redshift dello spettro ottico. Viceversa, questo non doveva essere visto nel caso il GRB provenisse da una grande corona galattica.

La svolta avvenne solo dopo alcuni anni: come già si era accennato, nel dicembre 1997 il satellite italo-olandese Beppo-SAX captò un GRB con un grado di accuratezza posizionale di pochi arcominuti; questo permise l'individuazione di una controparte ottica (essendo passato poco tempo dall'individuazione del GRB, il fenomeno ottico di pur rapida variazione era ancora visibile). Shri Kulkarni ed i suoi colleghi del laboratorio Caltech, partendo dai dati su di questa controparte ottica, trovarono un valore di redshift di 3.4, indicando che l'emissione si era originata oltre 12 miliardi di anni luce lontano da noi; Kulkarni calcolò inoltre che "l'energia rilasciata da questa emissione nei suoi primi secondi trascende la nostra l'immaginazione". Semplicemente, era stata una delle più grandi esplosioni dal Big Bang a noi.

Ora che sappiamo da dove vengono i GRB - da molto, molto lontano - il prossimo gravoso passo è la comprensione di che cosa li causa. In assenza di dati certi i teorici hanno proposto una moltitudine di possibili scenari, dalle supernovae a sistemi di stelle di neutroni che si distruggono vicendevolmente; molti pensano che i raggi x, le emissioni radio e quelle ottiche possano fornire alcune prove.

Lo spettro luminoso dei pochi GRB conosciuti di cui si abbiano sia le emissioni a raggi x che la controparte ottica sembra quello di palla di fuoco in espansione che brilla a causa di uno "shock sincrotronico"; l'idea di base è che una tremenda esplosione emette un'onda d'urto di materiale che accelera le particelle cariche, come elettroni e protoni, a velocità prossime a quella della luce. Il dottor Robert Preece, un astrofisico di GRB dell'università dell'Alabama ad Huntsville, paragona l'onda d'urto ad un'onda marina in prossimità della spiaggia: "un urto si forma quando la cresta dell'onda comincia a ricadere, lanciando in avanti la schiuma dell'estremità".

Un'onda marina

Uno shock sincrotronico si può immaginare come un'onda del mare, con la differenza che nello spazio la schiuma di estremità della cresta è costituita dalle particelle cariche che danno origine alla radiazione sincrotronica. Nel caso di onde d'urto cosmiche, la "schiuma" è in realtà formata da elettroni e protoni; questi accelerano avanti all'onda, seguendo a spirale le linee del campo magnetico producendo una forma di radiazione chiamata "emissione sincrotronica". Questa stessa emissione è sperimentata anche sulla Terra come un bagliore azzurro negli acceleratori di particelle (dove infatti particelle cariche raggiungono velocità prossime a quella della luce lungo orbite circolari), e i radio astronomi la individuano proveniente dalla Via Lattea. Fortunatamente, il Modello a Shock Sincrotronico fornisce una predizione verificabile, rappresentata nella figura "Grafico delle energie": lo spettro di un tipico GRB dovrebbe apparire così: alle basse energie (nella fattispecie, nell'ordine massimo di poche centinaia di KeV (kilo-electron volts)), lo spettro è pressoché piatto: una linea quasi orizzontale riempie tutto lo spettro; alle energie più alte lo spettro è più ripido. Il Modello a Shock Sincrotronico predice che la pendenza della linea alle energie più basse non può essere maggiore di -2/3.

L'energia dei GRB

In una edizione recentemente pubblicata del "Astrophysical Journal Letters" Robert Preece ed i suoi collaboratori dell'università dell'Alabama hanno esaminato oltre 100 emissioni luminose, ottenute grazie allo strumento BATSE (Burst and Transient Source Experiment) sull'osservatorio Compton Gamma Ray Observatory, misurando la pendenza dello spettro alle basse energie.

Il grafico di Preece

L'immagine "Grafico di Preece" mostra i loro risultati: hanno inserito nell'asse verticale la pendenza dello spettro alle basse energie e nell'asse orizzontale il picco d'energia dell'emissione. La linea rossa è la "linea di morte", corrispondente alle pendenza dello spettro superiore a -2/3; se il punto risultante cade sopra la linea il GRB non può essere stato causato un uno shock sincrotronico, e quindi il Modello a Shock Sincrotronico è "morto" per quella emissione. Preece ha trovato che il 44% dei GRB è al di sopra della linea di morte. Ovviamente, se assumiamo che tutti i GRB sono causati del medesimo fenomeno, ne risulta che nessuno può essere dovuto ad uno shock sincrotronico. Grazie al loro lavoro ora sappiamo un'altra cosa che non causa i GRB; essi non possono essere dovuti ad uno shock sincrotronico; è interessante, però, che secondo forti prove la controparte ottica (l'immagine luminosa collegata ad ogni GRB), che brilla come una palla di fuoco (che sembra essere il resto di un GRB in una lontana galassia), è causata da onde d'urto sincrotroniche; qualunque cosa fa brillare la palla di fuoco è apparentemente diversa dal meccanismo che genera il GRB.

Nel frattempo sono stati osservati vari tipi di GRB; oltre a quelli di origine improvvisa e poco duratura (che hanno preso il nome di Cosmological Gamma-Ray Burst) ne sono stati individuati altri, chiamati Soft Gamma-Ray Repeater (SGR) poiché, a differenza di quelli "cosmologici", sembrano ripetersi sporadicamente dalla stessa fonte; gli SGR emettono enormi quantità di raggi X per pochi secondi, poi si "spengono" per mesi o anni prima di ridiventare attivi; nel complesso i SGR emettono comunque in un secondo tanto quanto emette il Sole in un anno. Il termine "soft" infatti non sta per "debole": la luminosità o la brillantezza, l'energia irradiata ogni secondo sono relativi al numero di fotoni che vengono emessi, ed il numero di fotoni emessi da un SGR è ugualmente enorme e paragonabile a quello di un GRB. "Soft" dunque si riferisce soltanto all'effettiva energia di ogni singolo fotone, che nel caso dei SGR è minore. Inoltre, i SGR sono "soft" solo se confrontati con i GRB, chiaramente: rispetto a tutti gli altri fenomeni rimangono comunque smisuratamente più forti. In media, ripeto, possiamo dire che emettono in un secondo quanto il Sole in un anno, tranne alcune eccezioni di sconvolgente portata (come il 5 marzo 1979 od il 27 agosto 1998, quando l'intensità ha superato di 1.000 volte quella solare). Nel maggior parte dei casi inoltre i SGR durano poche decine di secondi, e soprattutto a differenza dei GRB le origini appartengono tutte o alla nostra galassia o ad un ristretto gruppo di stelle subito al di fuori della Via Lattea. Le prime misurazione sembrano indicare che si tratti di giovani resti di supernove, ma i principi di funzionamento rimangono incomprensibili. Le stime calcolate mostrano che sebbene siano stati rilevati solo pochi SGR, quasi certamente ne esistono molti milioni nella nostra galassia e così nelle altre; in realtà noi ne vediamo pochi solo perché cessano di emettere radiazioni dopo "appena" 10.000 anni, una breve frazione del tempo cosmico, così noi ne osserviamo solo le più recenti.

Un altro tipo di GRB è stato scoperto al termine del 1998, quando è giunta la notizia che ancora il BATSE aveva rilevato e fotografato alcune misteriose emissioni di raggi gamma dal nostro stesso pianeta: queste emissioni hanno preso il nome di Terrestrial Gamma Flashes (TGF) e per qualche momento hanno fatto credere che fosse stato risolto il problema dei gamma-ray burst. In verità ulteriori studi hanno dimostrato che i due fenomeni hanno origine diversa, e mentre l'origine dei GRB rimane elusiva è già stato scoperto che i TGF sono generati negli alti strati dell'atmosfera e sono principalmente dovuti alle grandi tempeste di fulmini nell'atmosfera e alla presenza di satelliti in zona.

Nel frattempo è stato messo a punto uno strumento eccezionale dal punto di vista della ricerca: fino a poco tempo fa il ritardo con cui veniva segnalato un GRB e l'inaccuratezza nella individuazione della direzione precisa aveva portato alla effettiva osservazione delle controparti ottiche con un ritardo tale che queste si erano già quasi completamente spente, e di conseguenza solo i telescopi più potenti del mondo erano in grado di osservarle. Di recente è stato invece messo a punto un nuovo sistema, il GRB Coordinates Network, che permette di individuare con precisione e soprattutto celerità il punto esatto in cui è avvenuta l'esplosione, e di conseguenza è oggi possibile per un gran numero di telescopi osservare le controparti ottiche quando ancora sono in una stadio avanzato di estensione e luminosità. Ironicamente, la nascita di questo potente strumento è dovuta ad un guasto sul satellite Compton Gamma-Ray Observatory (dov'è alloggiato anche il BATSE). Il CGRO era infatti stato progettato con due registratori a bordo, per registrare tutti i dati osservativi e spedirli in seguito a terra; eppure, entrambi i registratori si guastarono ancora agli inizi della sua missione, privando il satellite della capacità di immagazzinamento dei dati; per risolvere questo problema da allora si sfrutta il Tracking and Data Relay Satellite System, che permette di trasmettere in tempo reale oltre l'80% dei dati a terra. A questo punto il Coordinates Network intercetta i dati del BATSE e calcola una posizione approssimativa del GRB nella volta celeste, mettendola rapidamente a disposizione di tutti su Internet, evitando così l'attesa che i dati registrati sul satellite vengano ritrasmessi. Una delle prime applicazioni è giunta di recente: il 23 gennaio 1999, infatti, la Terra è stata investita dalla radiazione gamma proveniente da uno dei più grandi GRB mai registrati: perfino la controparte ottica ha raggiunto un picco di luminosità così intensa da poter essere osservata attraverso un comune binocolo, decadendo poi rapidamente di ben 4 milioni di volte.


Il ROTSE (Robotic Optical Transient Source Experiment).

Per le osservazioni è stato anche sfruttato un nuovo strumento, denominato ROTSE (Robotic Optical Transient Source Experiment), una specie di computer autonomo collegato al GRB Coordinates Network in grado di puntare e fotografare da solo i GRB appena individuati. Il ROTSE, localizzato a Los Alamos e costituito di quattro sistemi di lenti fotografiche e 4 CCD montati su di un sistema di puntamento automatico, è in grado di fotografare una regione del cielo ampia 16.5 gradi ogni 8 secondi. In particolare, il ROTSE ha ricevuto la localizzazione del GRB dal Coordinates Network 4 secondi dopo la rilevazione del BATSE, ed è così riuscito a riprendere l'esplosione dopo appena 22 secondi dal suo inizio, durante il suo picco di luminosità apparente di magnitudine 8.9, circa 15 volte più debole della stella meno luminosa visibile ad occhio nudo. È peraltro interessante notare come il picco di luminosità non sia coinciso con il picco di radiazione gamma.

"Se l'esplosione fosse avvenuta da qualche parte nelle nostre vicinanze galattiche, avrebbe trasformato la notte in giorno", hanno commentato al Marshall Space Center. Essendo durata la controparte ottica solo 110 secondi, gli astronomi dei telescopi terrestri più grandi hanno potuto utilizzare i loro strumenti solo dopo circa un giorno: alle Hawaii hanno usato il telescopio Keck II (a Mauna Kea) con un diametro di 10 metri per studiare lo spettro della luce ultravioletta e luminosa; in questo modo è stato calcolato un redshift di 1.6, che implica una distanza dalla Terra di circa 10 miliardi di anni ed una velocità di allontanamento di 297.600 km/s; inoltre le osservazioni hanno portato alla scoperta di un altro getto di materia interstellare che parrebbe collegare il GRB con ciò che sembra una lontanissima galassia. Secondo i maggiori astronomi che studiano i GRB anche queste galassia sono così lontane e deboli che ne conosciamo quasi solamente la distanza (attraverso, chiaramente, lo studio del loro spostamento verso il rosso): sappiamo che sono lontanissime, ma ci è ignoto anche il tipo di galassia (ellittiche? A spirale?). Dagli ulteriori studi condotti sullo spaventoso GRB è stato calcolato che nel complesso ha consumato l'energia contenuta in circa 10 milioni di miliardi di soli (1016), anche se questa stima potrebbe essere eccessiva nel caso che la galassia osservata abbia agito da lente gravitazionale, oppure se l'esplosione non fosse stata uguale in tutte le direzioni, emettendo più nella nostra direzione.

Ad ogni modo, la posizione del GRB fornita dal Coordinates Network è soltanto approssimativa: per questo, per individuare il punto preciso nelle dettagliatissime fotografie effettuate con il ROTSE (ciascuna di 17 milioni di pixel circa) gli scienziati della NASA hanno atteso i risultato provenienti dal Beppo-Sax e dall'Istituto di Astrofisica Spaziale di Roma: solo da questi dati, pubblicati 5 ore dopo, è infatti emersa una posizione del GRB con un grado di precisione di 10 arcominuti; dopo altre 3 ore il grado di accuratezza è arrivato a 3 arcominuti (il diametro del Sole è di 30 arcominuti circa).

La precisione fornita dalle prime misurazioni. Quella che qui compare come un'unica linea curva (nel primo quadrante, in alto a destra) è composta dalle due linee visibili nell'immagine a destra.

La precisione raggiunta, invece, con il Beppo-SAX:

 

Nonostante ogni rilevazione sollevi più dubbi di quanti ne risolva e non si abbia alcuna idea dei collegamenti che possono esserci tra i GRB e queste remote galassie, gli astronomi hanno almeno risposto ad una domanda fondamentale: dove si trovano? Nel frattempo, il 5 aprile 1999 gli scienziati che curano la missione del Compton Gamma-Ray Observatory hanno festeggiato l'ottavo compleanno del satellite, che senz'altro ha contribuito enormemente alla ricerca nel campo dei GRB.

Una nuova idea sull'origine dei Soft Gamma-Ray Repeaters è stata proposta nel 1992 da Robert Duncan e Christopher Thompson: il nucleo di questa ipotesi è racchiuso in un nuovo tipo di corpo celeste, che ha preso il nome di Magnetar.


Sexione di una comune stella di neutroni.


Sezione, invece, di un Magnetar.

Si tratta in sostanza di una stella di neutroni, prodotto dall'esplosione di una supernova, caratterizzata da un campo magnetico davvero enorme: circa 1015 gauss, ovvero un milione di miliardi di volte più intenso del campo magnetico solare. Per anni le reazioni furono ovviamente scettiche, ma il 27 agosto 1998 un nuovo potente GRB portò un gruppo di ricercatori del Marshall Space Center ad acquisire le prove dell'esistenza dei magnetar: dopo l'avvistamento, gli scienziati hanno osservato per parecchi mesi SGR 1900+14, un Soft Gamma-Ray Repeater localizzato nella costellazione dell'Aquila, vicino al Sagittario.


Andamento luminoso del SGR 1900+14.

I risultati di tali osservazioni fanno credere che a causare l'esplosione sia stato un campo magnetico incontrollato, che si modifica in modo simile a quanto avviene in un brillamento solare. Infatti su di un magnetar il campo magnetico è talmente forte da riuscire a spaccare la compattissima superficie della stella, creatasi come conseguenza dell'esplosione di una stella massiva in un evento che prende il nome di supernova. Il nucleo rimanente della supernova, che ha appena più massa del nostro Sole ma non è in grado di mantenere le reazioni termonucleari che "accendono" le stelle, si comprime sotto il proprio peso ad un raggio di appena 20 Km circa. A questo punto entra spesso in rapida rotazione, passando parecchi millenni ruotando e generando una enorme emissione di radiazione gamma; poi, quando rallentano, divengono AXP (Anomalous X-ray Pulsar), ovvero stelle di neutroni anomale il cui periodo diminuisce ed il cui spettro indica essere corpi già antichi. Alla fine, le stelle scompaiono, diventando quasi invisibili. La scoperta di una AXP all'interno di SGR 1900+14 ha confermato la teoria avanzata sei anni prima da Duncan e Thompson: secondi i loro calcoli i magnetar, questi corpi celesti dal campo magnetico intensissimo, sono stelle di neutroni che alla formazione ruotano molto rapidamente; quelle che ruotano più lente divengono invece normali radio pulsar, tipo di stelle che gli astronomi già conoscono da anni. Proprio queste caratteristiche uniche spiegano naturalmente la forte emissione di raggi X e gamma: i raggi X infatti vengono emessi per via delle enormi temperature che si sviluppano nella stella, come conseguenza dei moti del materiale al suo interno, cosicché la superficie è così incandescente che emana in continuazione radiazione X. L'emissione di raggi gamma è spiegata invece dalla dinamica del campo magnetico: secondo la teoria e lo schema previsto di un magnetar, i flash di raggi gamma che vediamo e chiamiamo SGR sono causati infatti da "stellemoti", ovvero terremoti sulla superficie delle stelle. Nel momento in cui il campo magnetico si forma distorce la crosta del pianeta con mostruose forze magnetiche, che portano spesso alla rottura della crosta stessa (il campo magnetico di una pulsar normale non è certamente in grado di arrivare a simili intensità e quindi non è in grado di causare questi sconvolgimenti). Nel momento in cui la crosta si spacca, vibra per via di onde sismiche come in terremoto ed emette un lampo di raggi gamma. Una simile serie di lampi è stata vista l'estate del 98 da parecchi satelliti, come il Rossi X-Ray Timing Explorer (RXTE), il Beppo-SAX, il giapponese Advanced Satellite for Cosmology and Astrophysics (ASCA) e quattro satelliti americani della difesa e climatici, nell'orbita terrestre; dal Wind, ad oltre 600.000 Km dalla Terra; dalla sonda solare Ulysses, ora vicina all'orbita di Giove, a dal Near-Earth Asteroid Rendezvous (NEAR) vicino all'orbita di Marte.


Disegno rappresentativo di come potrebbe apparire un magnetar.

Per immagine l'intensità del campo magnetico di una simile stella è conveniente immaginare qualche esempio: sulla superficie di una semplice pulsar tutti gli atomi e le molecole di un corpo umano sarebbero disaggregati e ridistribuiti istantaneamente; un campo più intenso di un miliardo di gauss (quindi ben più di un miliardo di volte quello terrestre, che è di 0,6 gauss) ucciderebbe istantaneamente chiunque. Ecco una tabella di valori, espressi in gauss, di alcuni importanti campi magnetici:

Il campo magnetico terrestre, che curva l'ago della bussola, misurato al polo nord magnetico: 0,6 gauss

Un comune magnete ferroso, come quelli che si attaccano al frigorifero:
100= 102 gauss

Il più forte campo magnetico raggiunto in laboratorio: (durata solo di pochi millisecondi) 107 gauss
Il più forte campo magnetico raggiunto e mantenuto in laboratorio: 4 x 105 gauss

Il campo magnetico più intenso osservato su di una stella ordinaria: 106 gauss

Il campo magnetico ordinario di una pulsar: 1012 gauss
Il campo magnetico di un magnetar: 1014/1015 gauss

(Il campo magnetico più intenso che si sia creato e mantenuto in laboratorio, dell'ordine di 4x105 gauss, è limitato dal massimo sforzo di tensione degli elementi terrestri: se si creasse un campo più forte le forze magnetiche manderebbero in frantumi lo stesso elettromagnete.)

Ad ogni modo, usando super esplosivi chimici per causare implosioni, è possibile comprimere un campo magnetico per ottenere una intensità maggiore, anche se solo per una frazione di secondo; questa è la tecnica impiegata ai laboratori di Los Alamos negli USA e nei laboratori nucleari russi, ottenendo campi che hanno raggiunto i 107 gauss prima che le strumentazioni venissero distrutte. Benché i campi dei magnetar siano enormemente intensi, comunque, appaiono deboli se confrontati con i più intensi campi che potrebbero teoricamente esistere in natura, che potrebbero raggiungere i 1053 gauss; oltre questo limite il campo romperebbe letteralmente lo spazio e decadrebbe, attraverso il processo quantistico di creazione dei monopoli magnetici; in ogni caso, non si conoscono (e non si riescono neppure ad immaginare) cause che potrebbero generare campi così spaventosi. Per fare ancora qualche esempio, alla distanza di 200.000 Km (2/3 della distanza dalla Luna) il campo di un magnetar avrebbe ancora l'intensità di un comune magnete, cancellando così le carte di credito e sfilando le penne dal taschino. Ovviamente questi danni sarebbero davvero il minimo: gli intensi raggi X - per non parlare dei lampi di raggi gamma e dei brillamenti - insieme ad un mortale vento stellare di particelle elettricamente cariche, spinte dalle vibrazioni del campo magnetico fuori da tante piccole ma profonde fratture della crosta della stella, ci ucciderebbero in pochi istanti. Se un giorno dovessimo avere astronavi in grado di portarci sulle stelle, alzare gli scudi in prossimità di una simile stella sarebbe davvero un lavoro titanico. Ma non ci si deve preoccupare molto di questo, perché i segnali non mancherebbero: la gravità di una stella di neutroni è così intensa in superficie che la più alta montagna terrestre verrebbe schiacciata circa fino all'altezza di una piccola formica.

Per fare ancora qualche esempio, alla distanza di 200.000 Km (2/3 della distanza dalla Luna) il campo di un magnetar avrebbe ancora l'intensità di un comune magnete, cancellando così le carte di credito e sfilando le penne dal taschino. Ovviamente questi danni sarebbero davvero il minimo: gli intensi raggi X - per non parlare dei lampi di raggi gamma e dei brillamenti - insieme ad un mortale vento stellare di particelle elettricamente cariche, spinte dalle vibrazioni del campo magnetico fuori da tante piccole ma profonde fratture della crosta della stella, ci ucciderebbero in pochi istanti. Se un giorno dovessimo avere astronavi in grado di portarci sulle stelle, alzare gli scudi in prossimità di una simile stella sarebbe davvero un lavoro titanico. Ma non ci si deve preoccupare molto di questo, perché i segnali non mancherebbero: la gravità di una stella di neutroni è così intensa in superficie che la più alta montagna terrestre verrebbe schiacciata circa fino all'altezza di una piccola formica.

Durante gli ultimi anni particolarmente attiva nella ricerca dell'origine dei SGR è stata la scienziata della NASA Kouveliotou, che si è avvalsa principalmente del BATSE, del RXTE e di alcuni altri satelliti; proprio la Kouveliotou scoprì la prima stella candidata magnetar, la SGR 1806-20, nel maggio 1998. Insieme al suo gruppo di ricerca ha osservato per ben 41.700 secondi (11,6 ore) il SGR 1900+14 ed ha così scoperto che ha un periodo di 5.1159142 secondi; comparando poi i dati con quelli precedenti ottenuti dal satellite ASCA, ha calcolato il rallentamento del periodo, stimandolo in circa 0.00000000057 secondi ogni rotazione; in pratica, ogni 290 anni il pianeta impiega un secondo in più per completare una rotazione. Non sembra molto, ma se si considera che, come ogni stella di neutroni, pesa almeno una volta-una volta e mezzo il nostro Sole, dobbiamo credere che qualcosa di spaventosamente potente la sta frenando. "Significa che il campo magnetico è quasi 1015 gauss (ovvero un milione di miliardi di gauss)", ha detto la Kouveliotou; ma mentre diceva questo, la stella che osservava stava per stupire tutti con un'altra incredibile sorpresa. Il 27 agosto 1998 il satellite RXTE non era puntato al SGR 1900+14; tuttavia, l'esplosione è stata così intensa che gli strumenti del RXTE l'hanno rilevata ugualmente, attraverso la schermatura del satellite espressamente costruita per fermare la radiazione stellare, impedendone il passaggio. Inoltre, tutte le strumentazioni del satellite sono saltate a causa di un sovraccarico. Per fortuna gli scienziati sono riusciti a costruire la provenienza della radiazione, sfruttando il fatto che i satelliti Ulysses e NEAR erano nello spazio profondo, permettendo così di calcolare l'origine attraverso l'interferometria. Nel frattempo, alla Stanford University gli scienziati hanno visto la ionizzazione dell'atmosfera terrestre sul lato in ombra aumentata fino a quasi i livelli del lato illuminato, specie nella direzione puntata verso il SGR 1900+14. "In California, dove lavoro, siamo sempre in attesa del "grande evento", della "grande cosa" (the big one); quando ho visto questo flash, ho capito che l'attesa era finita", ha detto Kevin Hurley delll'Università della California.

Ad ogni modo, simili radiazioni non sono pericolose per l'umanità: sono comunque molto meno intense dei raggi X del dentista e in aggiunta l'atmosfera esterna assorbe tutta l'energia. Mentre il satellite RXTE saltava per il sovraccarico, i dati raccolti dall'Ulysses mostrano chiaramente il livello della radiazione volare a razzo dal quasi zero del vuoto cosmico fino a parecchie migliaia per secondo - l'energia è così almeno doppia di quella di qualunque altro burst mai registrato - per poi scomparire come la luce di un faro; continua a ruotare, ma la lampada si attenua rapidamente. Secondo la teoria dei magnetar i comuni lampi che sono appunto il segnale più chiaro dei SGR sono dovuti agli stellemoti: il campo magnetico esercita una forza tanto elevata sulla superficie che la deforma, nonostante la mostruosa compattezza di questa, fino a romperla: a questo punto come in un terremoto si liberano onde sismiche ed onde magnetiche che eccitano la particelle cariche al di fuori della stella, facendo così emettere dei raggi gamma. Ma perché questo succeda, il campo deve essere di almeno 1014/1015 gauss, ovvero almeno 100 volte più grande di quello di una normale pulsar.

Comunque, i normali lampi dei SGR sono nulla in confronto a quello del 27 agosto 1998: la teoria dei magnetar sostiene che durante un brillamento il campo magnetico si risistema in una condizione di energia minore. Quando lo fa probabilmente arriva a spaccare la crosta in profondità, in modo simile a quanto avviene sul Sole, che pur non ha superficie solida, dove - a livelli di energia enormemente inferiori - spesso si generano brillamenti che liberano raggi X). Nei primi momenti di un brillamento magnetico il rilascio di energia magnetica pura porta ad una tremenda esplosione di particelle ad elevatissima temperatura e di raggi gamma. Questa è probabilmente la causa delle energie liberata durante il primo secondo del lampo del 27 agosto. L'esplosione lascia inoltre particelle a temperatura leggermente più bassa, che sono legate alla stella dal campo magnetico essendo elettricamente cariche. Queste "nuvole" catturate dal magnetismo della stella si raffreddano, emettendo raggi gamma più deboli e raggi X, e questa fase è quella osservata durante il decadimento della radiazione, negli istanti successivi al primo secondo. Ruotando la stella, tali nuvole vengono osservata da angoli diversi, causando così l'aumento e la diminuzione regolare (con un periodo di 5,16 rotazioni al secondo) dell'intensità.

Secondo la teoria corrente, quindi, un magnetar spenderebbe i primi 10.000 anni della sua vita come un SGR, con la crosta che si spacca (anche se le fratture sono dell'ordine dei millimetri!) così come la crosta terrestre è mossa dalla convezione del mantello. Poi, il SGR si indebolisce e diventa un AXP per altre migliaia di anni, dopo le quali infine scompare, divenendo oscuro nel fondo dello spazio. È importante comunque il fatto che i magnetar potrebbero essere la regola invece che l'eccezione, e la galassia potrebbe essere popolata da alcuni milioni di corpi stellari simili.

E' senza dubbio un altro mistero nella fantastica saga dei gamma ray bursts.

La controparte ottica di un GRB
Ecco come appare la controparte ottica di un GRB: una palla di fuoco eccezionalmente intensa,
la cui immagine proviene - pare - da lontanissime galassie.