DOVE IL SILENZIO
TROVA LA SUA VOCE
(di Luìs Sepùlveda)
A volte credo che il Cile sia solo un
ricordo, un bel ricordo che mi parla
dell'infanzia, della famiglia e di molte
situazioni ingrate o felici che sono parte di
me. Ma so che il Cile esiste ed è reale. Lo
amo, ma da una prudente distanza. Un paese è la
sua gente e, oltre a canaglie, il Cile ha anche
gente stupenda. Ai cileni piace soprattutto
parlare. In Cile il vino non si beve. Nessuno
dice "andiamo a bere una bottiglia di
vino"; si dice, "andiamo a conversare
con una bottiglia di vino". Il cileno è
nostalgico e allegro, fatalista e ottimista, uno
strano miscuglio di molte nazionalità.
Per viaggiare in Cile è bene conoscere la
storia di un paese singolare, quasi alla fine
del mondo. Quando percorro il nord, il deserto
dell'Atacama, non smetto di pensare ai popoli
che lo abitarono più di cinquecento anni fa. I
Diaguita e gli Atacameno che vivevano
terrorizzati dalle invasioni degli Inca e si
unirono volontariamente ai conquistadores poiché
li salvarono da una tirannia atroce. Nel deserto
penso allo spagnolo Valdivia, che era un
contadino, e più che oro e argento cercava
terre dove far crescere grano e produrre vino. E
visitando i villaggi fantasma che sembrano
abbandonati solo da ieri, penso ai minatori del
nitrato, che erano cileni e stranieri giunti da
ogni parte: polacchi e italiani, tedeschi e
croati, ebrei e cinesi, spagnoli e arabi, che
diedero vita al proletariato più vigoroso e
creativo del continente latinoamericano.
Nel deserto non c'è niente, non cresce
niente, però il deserto parla ogni sera a chi
gli rende visita. Le pietre, che durante il
giorno sopportano temperature fino a 50 gradi,
ricevono nella notte l'abbraccio del freddo,
fino a zero gradi, e si spaccano con un mormorio
minerale che racconta la saga del deserto a chi
vuole e sa ascoltare.
Più a sud, nella Valle centrale, Valdivia
fondò la città di Santiago, che fu due volte
bruciata dagli indios Mapuche, guerrieri alteri
e curiosamente pacifici, perché combattevano
solo per delimitare una frontiera tra gli
invasori e le proprie terre. Da Temuco comincia
il sud profondo. Il sud piovoso, abitato da
gente di origine europea, giunta con migrazioni
successive, e dai Mapuche che sono sopravvissuti
e continuano a lottare per il riconoscimento dei
loro diritti. Più in là di Puerto Montt inizia
la Patagonia. In mezzo al mare, gli arcipelaghi.
Nel continente, le foreste e i fiordi. È il
regno della solitudine e della natura ad uno
stadio quasi verginale. Qui vive la gente più
loquace e comunicativa del mondo, poiché i
patagoni sanno dire cose persino con il
silenzio. Piccole città come Coyhaique sono un
invito a rimanere, ma la Patagonia ordina di
riprendere il cammino e le si ubbidisce sempre.
E si cammina, sino ad arrivare allo Stretto di
Magellano, alla Terra del Fuoco, al Capo più al
sud, da dove, in estate, si vede brillare lo
scintillio polare dell'Antartide.
(Tratto da 'I Viaggi di Repubblica' del 18
giugno 1998 - n.33)
ANTONIO POLITANO
DAI TROPICI A CAPO HORN
Fiordi ghiacciati e deserto di sale,
steppe ventose e vulcani innevati, mari
tempestosi e isole sperdute. L'incantevole
'follia geografica' che fu cara a Pablo Neruda e
SalvaDor Allende
(di Antonio Politano )
La parola Cile, nella lingua degli indios
Aymara, antico popolo andino, significa "là
dove finisce la terra". Sembra uno slogan
involontario per dépliant turistici di fine
secolo, ideale per attrarre amanti delle
destinazioni limite. Eppure forse mai come in
questo caso vale la categoria, spesso abusata,
del mondo ai confini del mondo. Quanto meno in
termini geografici. Il Cile è infatti una
striscia di terra sottile, stretta tra il
Pacifico e le Ande, larga in media 180
chilometri e lunga ben 4.300. Una "follia
geografica" con la testa ai Tropici e i
piedi al Polo Sud e, di conseguenza, un
campionario unico di ambienti e suggestioni
naturali: deserti di sale e fiordi ghiacciati,
steppe ventose e vulcani innevati, mari
tempestosi e isole sperdute.
Spazi remoti, dove lo stereotipo del limite
si fa realtà e lo spaesamento tanto caro ai
viaggiatori di frontiera diventa possibile. In
luoghi avvolti nel mito, il cui solo nome basta
per evocare l'altrove, come Patagonia, Terra del
Fuoco, Isola di Pasqua, Atacama, Ande, Pacifico.
La parola Cile, nel linguaggio della politica
internazionale invece, evocava fino a qualche
tempo fa gli spettri della dittatura militare.
Il golpe contro Allende, i diciassette anni di
repressione spietata, gli oppositori
desaparecidos. La democrazia è tornata nel
1990, ma il generale Pinochet è sempre lì:
senatore a vita e ancora punto di riferimento
per i settori più conservatori della società
cilena. A intervalli quasi regolari si ode il
rumore degli stivali dei carabineros, si levano
le grida di chi attende giustizia per i crimini
subiti; e viene da chiedersi se il Cile non sia
tuttora una democrazia parzialmente sotto
tutela. Eppure il Cile di oggi è considerato il
Paese più ricco e stabile dell'America Latina,
tanto da essere scelto da molte multinazionali
come sede per i propri uffici continentali, con
tassi di crescita record (7,2 per cento annuo) e
una pace sociale invidiabile.
Santiago è lo specchio del momento felice
che vive il Cile, con interi quartieri nuovi che
avanzano nella vallata. La capitale non è
bella, ma è il cuore, un po' nordamericano, un
po' andino, del Paese. E per questo motivo
dovete fare visita a Santiago. Per avere un'idea
di come vive un terzo dei quindici milioni di
cileni - meticci, bianchi e indios - che la
popolano, sotto la cordigliera che incombe sui
grattacieli di Las Condes e le vecchie case bohèmiennes
di Bellavista. E passeggiate tra Pasco Ahumada e
Plaza de Armas, accanto alla classe media in
cravatta e in tailleur che si rovescia nelle vie
del centro per la pausa del pranzo. Vagate tra i
caffè vegetariani, i bar con cameriere in guepière
e i ristoranti con asado e show incluso.
Curiosate tra il Mercado Central di pesce e
frutta e i mercatini artigianali ai piedi del
Cerro Santa Lucia e del monastero di Los
Dominicos.
Accostatevi alle civiltà dell'America
centromeridionale attraverso le collezioni del
Museo Precolombino. E perdetevi tra le stanze
della Chascona, la casa di Pablo Neruda alle
pendici del Cerro San Cristobal. Una delle tre
case dove visse il poeta in Cile, trasformate in
musei aperti al pubblico, piene di reperti e
ricordi della sua esistenza di giramondo
sensibile. Le altre due vi condurranno sulla
costa, di fronte all'oceano. La Sebastiana, a
Valparaiso, la città delle quarantuno colline e
delle funicolari che la collegano al vecchio
porto. E, un centinaio di chilometri più a sud,
la casa-labirinto a forma d'imbarcazione di Isla
Negra. L'ultima e la più amata, zeppa di libri,
conchiglie e polene. Nel cui giardino Neruda è
sepolto, accanto alla compagna Matilde Urrutia,
"sopra il mare fiorito".
L'itinerario tra le case di Neruda è uno dei
tanti possibili nel Cile degli scrittori. Terra
di premi Nobel: non solo Neruda insignito nel
1971, ma anche la poetessa Gabriela Mistral,
premiata nel 1945. E di romanzieri contemporanei
di enorme successo, come Isabel Allende, per
esempio, grande narratrice di saghe familiari
tra realismo e magia. E Luis Sepúlveda,
l'ultimo fenomeno, cantore appassionato della
natura e dell'umanità del "mondo alla fine
del mondo". Il suo nome è legato
soprattutto alla Patagonia, ma nei suoi libri ha
raccontato anche l'anima rarefatta e spaziosa
dell'altro Cile, altrettanto remoto ma meno
conosciuto: il Norte Grande degli altipiani, del
deserto e dei minatori.
Del nord, l'Atacama, il deserto più arido
del mondo (in certe zone non piove dai tempi
della colonizzazione spagnola, quattro secoli
fa), occupa la gran parte. Le sue dimensioni
gigantesche racchiudono ricchezze sotterranee
che costituiscono le fondamenta dell'economia
cilena (il rame incide per il 40 per cento sulle
esportazioni del Paese). Per farvi un'idea di
questo mondo minerale, entrate nella dantesca
Chuquicamata, la miniera di rame a cielo aperto
più grande del mondo, 1.000 ettari di
estensione e 700 metri di profondità, dove ci
si sposta su camion ciclopici con ruote dal
diametro di quattro metri. E attraversate i
villaggi fantasma dei minatori, abbandonati dopo
la fine dell'epoca d'oro dei giacimenti di
nitrato di sodio, il cosiddetto salnitro
(Humberstone è quello meglio conservato). Poi,
fermatevi nella piccola oasi del villaggio di
San Pedro de Atacama. E visitate il museo
antropologico, la cui maggiore attrazione è
Miss Chile, una mummia di duemila anni dai
capelli ancora perfettamente intrecciati.
E nei dintorni, le rovine di antiche fortezze
indie, pukara, e la pianura di cristalli del
Salar de Atacama, il più visto deposito salino
del Cile. A mezz'ora di distanza c'è la Valle
della Luna: andateci al tramonto e aspettate che
la luna arrivi in cielo a illuminarne le dune e
i canyon. Partite di notte, invece, per
raggiungere dopo quattro ore di fuoristrada i
geyser a 4.300 metri di altitudine di El Tatio,
getti d'acqua calda a 85 gradi di dieci metri
d'altezza, visibili solo all'alba. A queste
quote attenzione al mal di montagna, il puna, da
prevenire camminando lentamente e bevendo una
tisana con foglie di coca, antico rimedio
locale.
Prima di lasciare la luce intensa del nord,
spostatevi oltre sull'Altiplano al confine con
la Bolivia per apprezzare il paesaggio di acqua
e fuoco del Lago Chungarà, uno dei più alti
del mondo, 4.570 metri, su cui si specchiano due
vulcani gemelli perennemente ammantati di neve.
E poi sulla costa, per scoprire le grandi
spiagge di sabbia bianca dove si può fare il
bagno tutto l'anno grazie al clima costantemente
dolce del Norte Grande.
Scendendo verso sud si attraversa la regione
semiarida del Norte Chico e poi la fertile Valle
Centrale, il cuore agricolo e industriale del
Cile, che a seconda della latitudine ospita
pascoli, boschi, campi di grano, frutteti e
vigneti. E si giunge alla Regione dei Laghi,
incorniciata da coni vulcanici innevati, molti
dei quali ancora attivi, e punteggiata da chalet
in stile bavarese che fanno pensare di essere in
Germania. E invece siamo nella terra dei
Mapuche, gli ultimi indios a cedere agli
spagnoli, soltanto cento anni fa, dopo una fiera
lotta secolare.Qui il paesaggio comincia a esser
disegnato più dall'acqua che dalla terra e si
frantuma in una cascata di isole, fiordi,
canali, promotori. Giù, giù, fino all'estrema
punta meridionale del Cile e dell'America, Capo
Horn, alla confluenza burrascosa dei due oceani
di fronte all'Antartide. Puerto Montt, capoluogo
della regione, è la base per raggiungere
diverse destinazioni.
Oltre ai laghi, le lagune e le isole. Come la
magica Chiloé. L'isola delle case di legno
colorate con i tetti di lamiera ondulata; delle
palafitte a schiera in riva al mare a cui
ancorare le barche durante l'alta marea; delle
capillas, 150 chiese lignee costruite dai
gesuiti durante il XVIII secolo (di cui una
decina dichiarate monumento nazionale); e delle
foreste che l'hanno battezzata l'Irlanda del
Cile. A Castro, il villaggio principale, girate
a piedi, e fermatevi ad ammirare San Francisco,
un'insolita cattedrale color salmone e viola, e
la vecchia locomotiva tedesca del treno che,
fino al maremoto del 1960, univa la città
all'altro centro dell'isola, Ancud.
Si racconta che la differenza fra i posti di
prima e terza classe consistesse nel fatto che,
in caso di difficoltà nel superare i lievi
pendii della linea, il capotreno potesse
chiedere ai viaggiatori di terza di scendere per
spingere i vagoni. Racconti, credenze, leggende.
Chiloé ne è piena; spesso con la rassicurante
funzione sociale di dare un senso a eventi
nefasti per la comunità. Come il Trauco,
creatura deforme che si aggira nella foresta e
seduce le giovani donne con la forza dello
sguardo, o la Caleuche, nave fantasma che attira
i pescatori nell'ignoto del mare.
Tornando sulla terraferma, il viaggio
prosegue verso l'estremo sud australe,
raggiungibile, oltre che in poche ore d'aereo,
anche in auto o bus con un lungo viaggio via
terra. Tra Santiago e Punta Arenas, la capitale
della regione di Magallanes, sulla riva
settentrionale dello stretto omonimo, vi sono
infatti più di tremila chilometri di strada,
compresa la deviazione in Argentina per aggirare
gli immensi campos de hielo patagonici (prova
evidente di chi, tra uomo e natura, detiene il
primato a queste latitudini).
Una volta arrivati, rilassatevi. La Patagonia
e la Terra del Fuoco appartengono alla categoria
dei paesaggi dell'anima, spazi che
"permettono di guardarsi dentro e capirsi
meglio" suggerisce Sepúlveda. Montagne
granitiche e ghiacciai secolari; un sistema
intricatissimo di isole, canali e coste; distese
pianeggianti e foreste millenarie intervallate
da fiumi cristallini e lagune colorate, regno di
gauchos, pecore e guanachi, parenti meno nobili
del lama.
Quattrocento chilometri di asfalto e terra
battuta separano Punta Arenas dal più
spettacolare tra i parchi cileni se non
dell'intera America Latina, il Torres del Paine,
nel cuore della provincia dell'Ultima Speranza.
Universo di vallate, laghi, picchi, cascate,
iceberg, puma e nandù, gli struzzi delle Ande.
Riserva della biosfera ed eldorado per
ecoturisti, da esplorare a piedi (da non perdere
la passeggiata fino al fronte del ghiacciaio
Grey), a cavallo, in mountain bike o
fuoristrada.
Sul cammino, vicino Puerto Natales, non
mancate di fare una piccola deviazione per la
grotta del Milodón, enorme bradipo terrestre
che si estinse alla fine del Pleistocene, con
riproduzione a grandezza naturale (in plastica)
dello spaventoso mammifero. E non dimenticate di
visitare una delle smisurate estancias, le
fattorie del luogo, che hanno a volte la
dimensione di piccoli stati, con le staccionate
bianche che si perdono all'orizzonte.
Infine, prima di lasciare il limite del
mondo, ricordatevi di guardare il cielo. Di
notte, magari con l'ausilio di una carta ad hoc
(se ne trovano nelle librerie di Punta Arenas).
Lo spettacolo delle stelle dell'emisfero
australe aumenterà la consapevolezza e il gusto
di stare dall'altra parte - alla fine - del
mondo.
(Tratto da 'I Viaggi di Repubblica' del 18
giugno 1998 - n.33)
Con Butch Cassidy nella terra dei fuorilegge
di Antonio Politano
Il fascino della Patagonia? Natura maestosa,
paesaggi potenti e remoti, certo; ma anche
l'epopea tragica e curiosa dei tanti che vennero
alla fine del mondo per dare inizio a una nuova
vita. Marinai, allevatori cercatori d'oro,
anarchici, missionari,conquistadores,
esploratori, avventurieri. Come l'avvocato
francese, Orelie-Antoine de Tounens, che volle
diventare re e per una serie di coincidenze
favorevoli riusci a farsi proclamare sovrano dei
Mapuche in appena tre giorni (a Parigi c'è
ancora un suo discendente, con relativa corte,
pretendente al Regno di Araucania). Come i
fuorilegge romantici Butch Cassidy e Billy the
Kid, in fuga sempre più a sud dagli sceriffi
del lontano West Come il giovane naturalista
Charles Darwin, in missione scientifica attorno
al mondo a bordo della Beagle. Come il nobile
vicentino Antonio Pigafetta, fortunato cronista
- al seguito di Ferdinando Magellano - della
scoperta del passaggio tra Atlantico e Pacifico
e della prima circumnavigazione del globo. A
ricordo di quella lontana impresa (1520) c'è un
monumento a Magellano nella piazza centrale di
Punta Arenas. Sotto la statua del navigatore
portoghese riposa, scolpito nel bronzo, un indio
Ona. La leggenda racconta che se si vuole far
ritorno in Patagonia gli si deve baciare o
accarezzare il piede. Che, per questo, è sempre
lucidissimo. È l'unico paragone rimasto. I
massacri, le deportazioni, le assimilazioni
brutali, hanno azzerato in poco più di quattro
secoli gli abitanti originari. Oggi trovare
qualche superstite di quelle popolazioni
somiglia a un concorso a premi, con in prima
fila storici e antropologi e poi, sparsi, i
turisti. L'ultima indigena, pura, sembra sia
scomparsa qualche mese fa. Se avete tempo, fate
un salto al cimitero locale. Sulle lapidi e
nelle cappelle c'è narrato un pezzo di storia
di questa landa; la cronaca indiretta degli
arrivi, delle vite e delle morti dei tanti
spagnoli, inglesi, tedeschi, croati, italiani,
progenitori della nuova, vincente, razza di
patagoni.
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