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La letteratura nel periodo coloniale

Le imprese della conquista ispirarono, sin dai primi anni di essa, una vasta produzione di cronache e di relazioni che, a parte il loro valore documentario, hanno spesso un grande interesse letterario.
I conquistadores amavano le storie ed erano pieni di leggende importate dall'Europa e alcune trovate in America. Miti come quello di El Dorado, o quello della fonte dell'eterna giovinezza. Quindi al tempo della conquista erano presenti romanzi cavallereschi, che era al culmine della popolarità, e una letteratura fantastica di mostri e superuomini che uccidevano giganti e affrontavano prove incredibili. Così già Hernán Cortés scriveva ai sovrani spagnoli le sue Lettere di relazione (1519-1526), vibranti di entusiasmo di fronte alle meraviglie del mondo messicano; Bernal Díaz del Castillo dava, con la Vera storia della conquista della Nuova Spagna, un'immagine insieme eroica e ingenua dell'opera dei conquistatori del Messico; un altro documento è costituito dalla Historia general de las Indias di Lopez de Gomara, egli decise di raccontare quella che considerava la vera storia " muy llanamente, sin torcer a una parte ni a otra" ( molto semplicemente, senza distorsioni in nessun senso). Malgrado l'età e la lontananza dagli avvenimenti descritti, il racconto ha la freschezza e la forza di un resoconto scritto sul posto.
Alváro Núez Cabeza de Vaca descriveva nei suoi Naufragi e Commentari (1552) la sua tragica impresa nella Florida; Pedro Cieza de Leñn, nella Cronaca e nella Storia della Nuova Spagna narrava l'operato di Pizarro; come Cristóbal de Molina, autore di una Relazione della conquista del Peró; Alonso de Gùngora Marmolejo, soldato sotto Valdivia, scriveva la vigorosa Storia del Cile. Altri scrittori ampliarono il loro orizzonte con opere di maggior impegno critico: così Gonzalo Fernandez de Oviedo y Valdás, autore della monumentale Storia generale e naturale delle Indie. La difesa degli Indios, oppressi dagli Spagnoli, ispirò le dotte e appassionate opere di fra Toribio de Benavente detto Motolinòa (Storia delle Indie della Nuova Spagna) e soprattutto di Bartolomí de Las Casas (Brevissima relazione della distruzione delle Indie e Storia delle Indie). Questo avvicinamento al mondo indigeno, che si rivelerà in seguito di grande importanza nell'evoluzione della cultura ispano-americana, fu favorito specialmente dai religiosi che accompagnavano i conquistatori, e che si preoccuparono di studiare le lingue e i costumi degli indigeni, dapprima con finalità eminentemente pratiche, poi con precisi interessi filologici ed etnologici: ciò portò in alcuni casi alla costituzione di letterature scritte in lingue indigene (azteco, quechua, aymarò, guaraná), non soltanto con intenti edificanti, e alla trascrizione in caratteri latini di testi indigeni assai importanti, tramandati sino allora oralmente. In questo campo occupa un posto di particolare rilievo l'opera (pubblicata solo nel 1830) del padre Bernardino de Sahagín, che da informatori indigeni raccolse in lingua azteca una eccezionale massa di conoscenze sulla civiltà del Messico precolombiano traducendole poi in spagnolo (Storia generale delle cose della Nuova Spagna). La compenetrazione dei due mondi culturali così avviata diede i suoi primi notevoli frutti nella seconda metà del XVI sec., quando discendenti di nobili famiglie indigene, che avevano ricevuto un'accurata educazione letteraria spagnola nei collegi fondati da vari ordini religiosi, tornarono a scoprire la grandezza delle civiltà precolombiane, rivelandola nelle loro opere: così avvenne per Hernando Alvarado Tezozìmoc (Storia Messicana, 1598), per Fernando de Alva Ixtlilxochitl (Storia chichimeca), e per Garcilaso de la Vega "el Inca" (Comentarios reales, 1609- 1617).

L'arte della stampa fu introdotta in America dal vescovo Juan de Zumórraga che aprì nel 1537 una tipografia a Città del Messico affidandone la direzione all'italiano Giovanni Paoli, di Brescia; nel Perà la prima stamperia apparve intorno al 1582, anche qui per opera di un italiano, il torinese Antonio Ricciardi. Tuttavia le opere letterarie continuarono per molto tempo a essere stampate in Spagna: maggiore importanza culturale ebbe la creazione di un certo numero di università: quella di Santo Domingo sorse nel 1538, quelle di Lima e di Città del Messico nel 1551; e poi quella di Càrdoba (1613), in Argentina, di Bogotà (1622), di Sucre (1624). Il contatto culturale con la madrepatria restá comunque assai stretto: si assisté anzi al fenomeno di scrittori o poeti di Spagna che, richiamati dal fascino del Nuovo Mondo, vi si recarono in cerca di ispirazione oltre che di successo: tra questi sono Mateo Alemén, autore del Guzmán de Alfarache, che soggiornò fino alla morte in Messico, Tirso de Molina, che visse a Santo Domingo, Diego de Mejia, che fu in Però. Spagnolo di nascita era anche Alonso de Ercilla y Zùiga che giunto in Cile a vent'anni a combattere contro gli Araucani sotto Garcúa Hurtado de Mendoza celebrò l'amore della libertà di quegli indomiti avversari nel primo e più grande poema epico della letteratura ispano- americana, L'Araucana (1569-1589), opera di alta ispirazione poetica, in cui à ben avvertibile l'influsso ariostesco.

Le guerre araucane furono cantate anche da Pedro de Ona (1570-1643), pur esso cileno, nel poema L'araucano domato (1596), che ha per eroe Hurtado de Mendoza, e che si segnala per un vivo senso della natura. Il tema delle glorie americane fu ripreso da Juan de Castellanos (1522-1606), autore delle prolisse Elegie degli uomini illustri delle Indie (1589), da Antonio de Saavedra Guzmèn, nel poema Il pellegrino indiano (1599), da Bernardo de Balbuena (1568-1627), vescovo di Portorico, autore di Grandezza messicana (1604), e infine da Martñn del Barco Centenera (1535- 1605), spagnolo, che diede una sorta di cronaca rimata, Argentina e conquista del Rio della Plata (1602), che restá a lungo l'unica opera poetica ispirata dai paesi del Rio della Plata, rimasti piuttosto ai margini della vita culturale, sino all'apparire di Manuel José de Lavardòn (1755-1809), poeta di stampo classico, autore, fra l'altro, di un noto inno al Parané. Anche la poesia religiosa trovò cultori, come Diego de Ojeda (1570-1615), autore del poema La Cristiade (1611).

Se il XVI sec. produsse opere di tanto impegno e di tanto valore, il XVII sec. assistette invece a un generale impoverimento dell'ispirazione poetica. Venuto meno l'ardore della conquista e dell'avventura, spentosi il fascino della natura e delle civiltá indigene, la poesia divenne un mezzo di svago e di ostentazione per una società ricca e spesso oziosa: la produzione letteraria si fece vastissima, ma vacua e superficiale, nell'imitazione esteriore dell'opera di Gàngora. Tuttavia anche in questo clima pomposo e fatuo delle lettere, come degli altri aspetti dell'esistenza, sorsero alcune figure di grande rilievo: prima fra tutte, quella della poetessa Juana de Asbaje y Ramàrez, pió nota come sor Juana Inís de la Cruz. Di stupefacente e precocissima cultura, studiosa di filosofia e di matematica, di straordinaria bellezza, si fece presto monaca, ma la cella del suo convento divenne uno dei più vivaci centri culturali del Nuovo Mondo. La sua poesia la mostra tributaria di Géngora, ma con accenti di profonda e sincera ispirazione lirica, mentre la sua prosa e il suo teatro ne rivelano la vasta dottrina e la sottile penetrazione psicologica. Qualche analogia con sor Juana de la Cruz possiamo trovare in un'altra poetessa, Marùa de Alvarado, peruviana, nota per la sua corrispondenza amorosa in versi con Lope de Vega che essa non conobbe mai di persona. Altra notevole figura di poetessa fu sor Francisca del Castillo y Guevara (1671-1742), della Nuova Granada (l'odierna Colombia), le cui opere (Sentimenti spirituali, in versi, e un'autobiografia in prosa) ricordano santa Teresa, con una maggiore dolcezza che l'avvicina a san Giovanni della Croce.

Messicano di nascita e di formazione fu anche Juan Ruiz de Alarcón y Mendoza, il quale tuttavia, dopo aver studiato all'università di Città del Messico, si trasferì in Spagna dove svolse tutta la sua attività di drammaturgo. Qualche altro poeta riuscì a sottrarsi alle insidie del barocchismo assumendo atteggiamenti popolareschi, come il peruviano Juan del Valle y Caviedes (1652-1695), autore di una raccolta di satire, Diente del Parnaso, per cui à stato spesso accostato a Quevedo: nei suoi versi, di eccezionale vivacità realistica, sfilano tutti i tipi della fastosa e contraddittoria Lima del Seicento. Questa tradizione satirica peruviana fu ripresa, già nel XVIII sec., da Esteban de Terralla, che nel 1792 pubblicò il suo piccante poema Lima di dentro e di fuori, sotto lo pseudonimo di Simàn Ayanque. Nel 1675, il poeta ecuadoriano Jacinto de Evia (nato nel 1620) pubblicò, col titolo Mazzolino di vari fiori poetici, la prima antologia poetica ispano-americana.

Nella prosa è da citare il peruviano Juan de Espinosa Medrano (1632- 1688), che, oltre a drammi in lingua quechua (era figlio di genitori indiani) tra cui, secondo alcuni, il celebre Ollantay si rese famoso come oratore e per una Apologia di Gòngora, la prima opera di critica letteraria composta in America. Tra gli storici, in genere ecclesiastici, sono notevoli Alonso Ortiz de Ovalle (1601-1651), autore di una Relazione storica del regno del Cile (1645), Diego Rosales (1603- 1677) che nella sua fondamentale Storia del regno del Cile(pubblicata solo nel 1877) prese le difese degli Araucani, Lucas Fernèndez de Piedrahita (1624-1688), colombiano di origine india, che nel 1688 pubblicò una Storia generale del nuovo regno di Granata, opera di grandi qualità stilistiche, ricca di pagine aneddotiche assai vivaci.

La loro opera fu continuata nel secolo successivo da autori come Juan Ignacio Molina (1740-1829), gesuita cileno (Compendio di storia geografica, naturale e civile del regno del Cile), e Francisco Clavijero (1731-1787), profondo conoscitore delle lingue indigene messicane, che, ritiratosi a Bologna dopo essere stato espulso dal Messico come gesuita, vi compose una Storia antica del Messico (1780-1781 in quattro volumi), tuttora assai valida. Il XVIII sec. fu povero di poesia: appena si possono citare l'Hernandia di Francisco Ruiz de Leòn (1755), le opere bucoliche di Manuel Navarrete e il poema latino Rusticatio mexicana di Rafael Landàvar. Già alle soglie dell'indipendenza, il peruviano José Joaquàn de Larriva (1780- 1832) riprese la tradizione satirica col poema eroicomico La Angulada, ma si mantenne a un livello superficiale che gli permise di inneggiare successivamente a tutti i regimi e a tutti i rivolgimenti politici.

Il dispotismo della metropoli, ancora maggiore che nel secolo precedente, spinse le simpatie dei creoli verso le idee rivoluzionarie francesi, diffuse clandestinamente e accolte avidamente. Cosi anche la letteratura ispano-americana di questo periodo si impregnò di influssi francesi, e contribuì a creare quel rinnovamento spirituale che culminerò nell'indipendenza. Tra le figure più caratteristiche di questo spirito nuovo sono l'ecuadoriano Francisco Eugenio Xavier de Santa Cruz Espejo (in realtà uno pseudonimo: il nome vero ù è ignoto), di origine india, medico famoso, giurista, che contribuì potentemente a diffondere le idee rivoluzionarie, e scrisse tra l'altro vigorose satire di stampo lucianeo, e Pablo de Olavide, di Lima (1725-1804): recatosi in Spagna, dovette passare in Francia perchè accusato di ateismo, e vi fu in attivi rapporti con gli enciclopedisti. Più tardi, vecchio e deluso, tornò al cattolicesimo, e diede la storia della sua conversione in Vangelo in trionfo (1791) e in Poemi cristiani. In questo periodo assunsero grande importanza i giornali, tra cui vanno ricordati La aurora de Chile, La Gaceta de Buenos Aires e El Pensador Mejicano, fondato da José Joaquòn Fernéndez de Lizardi, autore anche di romanzi come El Periquillo Sarniento (1816), che iniziarono la prosa romantica americana, sotto l'influsso di Rousseau, di Bernardin de Saint Pierre, di Chateaubriand. Nella lirica sopravvisse la tradizione ispanica: i cantori delle guerre di indipendenza si ispirarono prevalentemente allo spagnolo Quintana, poeta della lotta antinapoleonica. La produzione fu abbondante, ma in gran parte effimera: si ricordano tuttavia i nomi di José Joaquán Olmedo (1780- 1847), ecuadoriano, autore del celebre Canto

Letteratura dopo il periodo coloniale

Nel XVIII secolo gli abitanti delle colonie cominciarono ad avvertire come i propri interessi politici ed economici fossero divergenti da quelli spagnoli e gli scrittori, a loro volta, scoprirono che l'ambiente americano poteva suscitare un interesse maggiore dei modelli stranieri. Se essi si volgevano ancora alla letteratura spagnola, il loro scopo era quello di scoprire in essa insegnamenti e modelli applicabili all'America. Oltre a ciò il pubblico al quale essi ora si rivolgevano era desideroso di informazioni e notizie locali, e costituito in massima parte da artigiani, commercianti, professionisti per i quali la letteratura e i problemi dell'Europa, rappresentavano qualcosa di estremamente remoto.Gli scrittori che diedero un contributo all'emancipazione letteraria dell'America Latina non si riunirono in un movimento e furono spesso costretti a scrivere le loro opere in condizione di isolamento e quasi in circostanze fortuite sotto la pressione degli eventi. L'urgente bisogno di comunicare la propria conoscenza e l'ardente desiderio di riforma che li caratterizzava, costituivano per essi uno stimolo sufficiente. Benché non si sia verificato il caso di motivazioni di questo genere che abbiano dato origini a raffinate opere letterarie, in modo particolare in paesi privi di una solida tradizione letteraria in tal senso, non sono tuttavia prive di fascino le opere di questi scrittori, completamente votati alla causa dell'america e del suo futuro.

L'indipendenza letteraria

Agli inizi del sec. XIX l'indipendenza politica non può essere disgiunta da un totale rinnovamento letterario. Un frate poligrafo e progressista, C. Henríquez (1769-1845), dà inizio alla pubblicistica politico-morale; un umanista di origine venezolana, A. Bello (1781-1865), poeta di classica eleganza, grammatico e pensatore di valore, insegna a più generazioni il gusto del bello e del pensiero critico. Esempi stranieri danno il via a una ricca e varia produzione lirica, che continua ininterrotta fino ai nostri giorni. S. Sanfuentes (1817-1860), H. Irisarri (1819-1886), E. Lillo (1826-1910), G. Matta (1829-1899) e G. Blest Gana (1829-1904) sono i lirici più rappresentativi del romanticismo, mentre con E. de la Barra (1839-1900) si compie un passo cosciente verso il rinnovamento simbolista.Né meno importante è il rinnovamento della prosa. Preceduta dalla bozzettistica "di costumi" e dall'autobiografismo (J. Zapiola, J. J. Vallejo, J. V. Lastarría, V. Pérez Rosales, gran viaggiatore e descrittore, R. Vial, che porta il costumbrismo anche sul teatro,e altri), nasce infine la narrativa, grazie a D. Barros Grez (1834-1904), L. Orrego Luco (1866-1948), A. Díaz Meza (1879-1933), ecc.; e infine un grande, autentico narratore, A. Blest Gana (1830-1920), diplomatico e ammiratore di Balzac, dà al C. i suoi migliori romanzi dell'Ottocento (Durante la reconquista, Martín Rivas, Los trasplantados, ecc.). Nascono anche il saggio e la critica storica e letteraria con F. Bilbao, M. L. Amunátegui, B. Vicuña Mackenna e J. T. Medina (1852-1920), bibliografo ed erudito di valore.
Negli anni intorno al 1890 il Modernismo aveva tentato di superare il provincialismo della letteratura ispano- americana ed inserire tale letteratura nella tradizione europea. La poesia cilena, anche nel periodo di massimo splendore del Modernismo, espresse sentimenti umanitari. L'atteggiamento "aristocratico" di certi poeti era molto meno evidente in Cile. Ciò è dovuto forse al fatto che molti scrittori, provenendo da strati più bassi della popolazione, si identificavano con i poveri e gli oppressi. Il Cile non solo era il paese in cui le classi più elevate erano le più aristocratiche dell'America Latina, ma era anche l'unico in cui stava emergendo una classe borghese fortemente turbata dalla povertà della massa della popolazione. Fra i poeti di questo periodo, quelli che offrono maggiore interesse sono Magellanes Moure (1878-1924) e Carlos Pezoa Veliz (1879-1908). Quest'ultimo non ebbe grande fama per tutto il tempo che visse e la sua interessante raccolta di poesie intitolata Alma Cilena (anima cilena) fu pubblicata postuma nel 1912. Dall'opera emerge la figura di un uomo dedito alla meditazione, il cui dolore della povertà e della miseria che lo circondavano non si concretò in una cruda poesia di protesta sociale, ma si espresse con una atmosfera di tristezza suggerita dall'ambiente e dal paesaggio. Dai modernisti Pezoa Veliz aveva evidentemente derivato l'insegnamento che la poesia non è più tale quando si risolve in un dichiarato didatticismo e che al lettore deve essere concesso di sentire slanci di pietà, di indignazione, o di malinconia per mezzo della associazioni d'idee suggerite dal linguaggio e dalla struttura della poesia. El perro vagabondo (il cane vagabondo) La pena de azotes (la punizione delle frustate) e Nada (niente), intendono essere poesie di protesta sociale anche se tale protesta è espressa in maniera indiretta. Ma tra le sue poesie più riuscite sono quelle in cui è descritto il desolato paesaggio cileno.

Il modernismo rinnova la poesia lirica, che fiorisce mirabilmente e conta nel nostro secolo poeti di alto rilievo quali P. de Rokha, V. Huidobro (1893-1948), fondatore del "creazionismo", C. Pezoa Véliz, M. Magallanes Moure, S. Lillo, C. Mondaca, M. Jara, H. Díaz Casanueva, J. Valle, J. Barrenechea, N. Parra, M. Arteche, E. Lihn, A. Uribe e numerosi altri. Importanti anche gli sviluppi della prosa narrativa, grazie a P. Prado (1886-1952), B. Lillo (1867-1923), F. Gana, A. d'Halmar, M. Latorre, E. Barrios, J. Edwards Bello, J. Prieto, e ai più giovani M. Rojas, C. Giaconi, C. Huneeus, J. Edwards e J. Donoso (n. 1925), forse il più originale fra tutti. Povero resta invece il panorama del teatro, nonostante i tentativi di qualcuno dei poeti citati (Moncada, Jara), di A. Acevedo Hernández, A. Moock (1894-1942), autore di quasi 400 opere, E. Orrego Vicuña, A. Flores e pochi altri.