Giagiu' , e '

IL TRAMONTO ROSATO

Quell'anno tardava a venire, il tramonto rosato. E stava gia' per finire settembre. Era strano; come una cosa contro natura, si diceva Giagiu' passando il gomitolo dentro i buchi della rete sottile. Un po' pensava al tramonto un po' a quanto malandata fosse la rete. Forse era tempo di comprarne una nuova. La colpa era tutta degli scogli graffianti, e del sole, e dell'acqua; insomma dell'essere vecchia, la rete. Capita a tutto invecchiare, anche a Giagiu' capitava. Anzi, la gente di mare invecchia un po' prima: ha le rughe piu' fitte sulla pelle indurita. Sara' per tutti quei giorni passati con gli occhi socchiusi a guardare lontano, coi raggi del sole di fronte, continuando a piantare le pale dei remi nell'acqua fino alle secche piu' ricche di pesci. Ma, pensava Giagiu', era pure una gran bella cosa guardare lontano, e sapere tutto il cerchio dell'acqua e della terra giallastra. E poi raccontarlo, la domenica e i giorni che non si usciva per mare, oziando sulle pietre del porto o sulle sedie del bar, sotto le conchiglie e le stelle marine inchiodate sui muri; era come spandere intorno una rete di vita per chi l'ascoltava: bisognava pur dirlo ch'era carne di mare, coi calzoni rimboccati al polpaccio, la camicia annodata e gli zoccoli rosicchiati dal sale. Ma del tramonto rosato mai una parola a nessuno. Giagiu' lo teneva per se', piu' segreto e geloso dei posti dove riempiva di pesca la barca, che si capiva dal peso dei remi il guadagno che avrebbe cavato da quell'argento guizzante che portava alla riva. Pero', non veniva, quell'anno, il suo tramonto rosato.Era un'attesa piu' lunga per Giagiu' e la sua rete, cosi' gli durava di piu' ricordarsi quell'anno, o meglio, quel giorno di agosto. I francesi arrivavano a piccoli eserciti d'uomini e donne; tanti colori e tante parole straniere che per il paesetto di sabbia e di scogli era un nuovo da perderci gli occhi e la testa; anche il mare pareva esser nato da poco, aveva come un colore fanciullo, e la spiaggia era una striscia brillante da un capo all'altro del golfo, e gli ulivi sui poggi sembrava che il mare li avesse soffiati la' sopra, tanto le chiome somigliavano a un morbido d'alghe. E gli scogli, gli archi, i costoni; tutta roba di roccia disegnata dal mare, con la pazienza e la furia, come l'arte di un uomo un po' dolce e un po' folle. E il silenzio, che sembrava anche lui un figlio del mare, svaporare dall'acqua e diffondersi ovunque, rispettato finanche dai tuffi dei remi. I gabbiani soltanto mandavano a tratti sghignazzi, ma potevano farlo: erano i bianchi soldati del mare padrone. Anche Giagiu' si sentiva un soldato del mare; ma lui non volava, scivolava sull'acqua spingendo la barca con la tavole curve dipinte di azzurro: da lontano si poteva confondere bene col cavallo di un'onda. Partiva di notte, Giagiu', a pescare e guardare lontano. Il mare era tutto una pece da fare impressione, ma dopo cento colpi di remi gia' si accendeva un po' d'alba, e cadeva pian piano sull'acqua tingendola sempre piu' chiara. Della terra si vedeva soltanto il cappuccio del faro e una striscia di bruno. Capitava, alle volte, che Giagiu' doveva tornare anche in fretta; s'addensava lontano un gomitolo nero di nubi e un vento leggero sugli abiti e contro i capelli era come un consiglio d'amico: conveniva puntare coi remi dalla parte del faro. Alle volte, la tempasta restava la' fuori, altre volte si spingeva fin dentro la bocca del porto. Non valeva mai la pena rischiare: il mare e' un padrone bizzarro. Meglio sempre tornare e legare la barca all'anello e alla boa, come fece quel pomeriggio d'agosto. "Stasera me la sfascia...me la sfascia, stasera..." sibilava Giagiu' alzando lo sguardo la' in alto. Era come se la pece del mare di notte se ne fosse saltata nel cielo e se ne stava tutta gonfia di pioggia e di vento che sarebbe bastato un gabbiano a passarci vicino con le ali per sfogare la rabbia sull'acqua verdastra e sopra la terra assetata. Per questo, Giagiu' si dava da fare con le cime e col vento. Preoccupato com'era, non si accorse che una giovane donna lo stava a guardare dal molo; era giusto sopra di lui, col vento di mare che le segnava le forme del corpo battendole colpi sulla gonna e sulla maglietta sottile, e i capelli fuggivano tutti all'indietro, come in un volo. Cosi' la incontro' con lo sguardo Giagiu': nuda, come quelle sirene scolpite nel legno di prua, che solcano i mari senza avere paura. "Paura?" proprio questo gli chiese la donna. "Eh!" fece Giagiu' indicando la' sopra. Capi' presto che era una turista francese: francesina, cosi' le chiamavano tutte. "No, non paura!" disse lei alzando la voce per vincere il vento. "Non lo sai che questo e' il giorno del tramonto rosato?". Giagiu' non aveva capito, pero' le rispose di si' e diede uno strattone alla cima per vedere se teneva per bene. "Perche' allora stai legando la barca?" fece lei scuotendo la testa, "fra poco succede la fine del mondo!" le grido' il marinaio. "Ma no, ma no, " grido' pure lei. "Fra poco finira' solo questo tempo cattivo! dietro il nero c'e' il tramonto rosato!". Giagiu' non le rispose nemmeno. Sistemava i remi incastrandoli bene sotto le panche bagnate; cosi' era un po' piu' tranquillo. Non gli restava che saltare sul molo quando senti' abbassarsi la prua, si giro' e ci vide la donna seduta. Sorrideva con malcelata malizia. Era molto piu' giovane di quel che pareva qualche attimo prima; ma forse era il vento, che adesso le arruffava i capelli da un lato e giocava a nasconderle a tratti una parte del viso, e lei ci stava a quel gioco: teneva le mani conserte, aspattava. Giagiu' rimase stranito come quella volta che vide i delfini seguirgli la barca, e giravano i musi a guardarlo negli occhi. "Che aspetti?" fece lei raccogliendosi un poco la gonna. "A che cosa?" le chiese Giagiu' con la camicia tutta aperta sul petto. "Andiamo incontro al tramonto rosato, la' fuori..." gli rispose indicando laddove finiva il giro delle pietre del porto. "Non lo vedi che il nero comincia ad aprirsi?". Era vero. Giagiu' non non l'aveva mai visto un cielo cosi' stemperarsi senza un po' di tempesta,aprirsi come due lembi di panno. Che poteva saperne di mare, quella giovane donna, straniera per giunta. Ma lui sciolse le cime e sfilo' i remi da sotto le panche. "Piu' presto!" lei lo incalzava. "Dura poco il tramonto,dura poco il tramonto rosato." Fece presto Giagiu'; fece a gara col dileguarsi delle nuvole nere. Usci' dalla bocca del porto che gia' in fondo era tutto un colore di rose. Un colore cosi' non l'aveva mai visto, o forse non ci aveva mai fatto caso. Ma lei doveva conoscerli bene, i colori. Sembrava volerseli bere, con il volto tutto incontro alla luce che restava del giorno, ai colori che durano un nulla. Il vento s'era tutto domato a una brezza, e l'acqua s'arricciava soltanto intorno alle pale dei remi, il resto era un manto disteso fino alle soglie del cielo la' fuori, con un sole gia' mezzo finito che pitturava il tramonto, il tramonto rosato. E lei lo indicava a Giagiu' con il braccio puntato. "Lo vedi? E' quello, dura solo un momento...Viene ogni anno...in qualunque posto del mondo...Imparalo e aspettalo...ogni anno...ricorda..."

Gli sembrava come un sogno, a Giagiu', tutta quell'avventura. Gli sembrava irreale la donna, e il cielo sul mare, e la barca, e i remi, che si erano fatti leggeri: non c'era bisogno di spingerli in acqua. La barca camminava da sola. E lui lascio' i remi e pure ogni altro pensiero. Fu come se il mare padrone avesse ordinato a Giagiu' di amare la donna. E lei non aspettava altro che quello, quasi avesse un padrone anche lei. La notte era tutta di stelle che la luce del faro pareva una cosa da niente, appena un distratto sbadiglio della bocca del porto. Tornarono che l'alba non era lontana: sul molo qualcuno gia' slegava le corde per uscire a pescare. Giagiu', invece, ancorava la barca e tirava su i remi. Ci mise un minuto, ma basto' perche' lei scomparisse, per sempre. Lui rimase prima a cercare in giro con gli occhi, poi corse su e giu' per il porto guardando dietro i muri e gli scogli. Era giorno quando si accuccio' sulla barca e gli tornarono in mente le parole di lei. "Aspettalo...ogni anno...ricorda..." E Giagiu', ogni anno lo aveva aspettato, il tramonto rosato. Era vero: ogni anno veniva, e usciva da dietro un sipario di nuvole nere, sempre come quel giorno. Ma quell'anno tardava a venire. E stava gia' finendo settembre. Giagiu', a pensarci, un po' aveva paura e, rattoppando la rete, si diceva ch'era quasi un mistero che quell'anno tardasse cosi' tanto a venire, il tramonto rosato. Era un mistero, come quello del quadro che un mattino aveva trovato nella sua barca dipinta di azzurro. Era stato tre o quattr'anni dopo l'incontro con la giovane donna. Un bambino, con la faccia di mela,come sono i bambini dipinti sui quadri. Sullo sfondo, un tenue colore di rose. Giagiu' se l'era appesa di fianco al camino, e nelle sere che fuori pioveva e il vento fischiava come un mostro marino, ci perdeva delle ore a guardarlo lasciandosi andare a un pensiero: forse non era rimasto soltanto un ricordo di quella notte passata sul mare. Ma era invecchiato anche il quadro. Settembre finiva. Ma l'ultimo giorno del mese, il cielo prese a gonfiarsi e scurirsi. Giagiu' ne fu certo: la' dietro c'era finalmente il tramonto rosato. Sciolse le cime alla e usci' fuori dal porto, col vento e gli spruzzi dell'acqua salata. Non aveva paura; sapeva che ancora qualche colpo di remi e si sarebbe schiarito la' in fondo. Al pensiero, gli ritorno' tutto in vigore di allora, di quando alla prua c'era la sua francesina, col braccio diritto e puntato alle soglie del cielo. Poi, piu' dentro nel mare, Giagiu' alzo' gli occhi e scruto', con mille raggi di rughe sul volto, l'orizzonte da un capo all'altro del golfo: non c'era un filo di rosa, tutto il nero possibile incollava l'acqua con l'aria. Il vento si mise a soffiare piu' forte sulle onde e contro la barca; la fece girare due volte, poi uno schianto di tavole rotte e l'acqua sommerse Giagiu' con le mani che ancora stringevano i remi. Fosse stato piu' giovane, forse il mare l'avrebbe aiutato; ma a nulla serviva essere un vecchio soldato. Chiuse gli occhi senza manco sentire il salato dell'acqua. Il tramonto di un uomo non ha un gusto e nemmeno gli occhi per vedere i colori. Invece, nell'attimo stesso che il mare si portava Giagiu', una donna dai capelli gia' bianchi raccolti sul collo guardava i colori della sua tavolozza; col pennello ne raccolse una lacrima rosa e fini' la sua tela che parlava di cielo e di mare. Poi cadde e chiuse gli occhi anche lei. Nemmeno ebbe il tempo di guardare il tramonto la' fuori, dietro la torre di ferro.

Racconto tratto da "" La cuccìa " di Pasquale Carelli

" La cuccìa era una tipica pietanza di quando anche il Cilento era tipico. Si trattava di una specie di zuppa nella quale trovavano posto tutti i legumi e i cereali che genera la nosta terra. Tutta questa confusione veniva in qualche modo omogeneizzata da una misurata quantita' di olio d'oliva locale ed eccitata da un cornicello di peperoncino amaro che, consapevole delle sue origini, si atteggiava a nobile porporato, galleggiando superbo sull'informe plebaglia..."

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