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Arte e committenza ad Alghero nel XX secolo

 MARIA CRISTINA CANNAS - CLAUDIO GALLERI

RITRATTI D'AUTORE

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I quattro busti marmorei scolpiti a tutto tondo del rè di Sardegna  Carlo Felice di Savoia, della regina Maria Cristina di Borbone, del mar chese Stefano Manca di Villahermosa e di sua moglie Anna Maria Manca di Mores (tav. I-II)1, conservati a Villa d'Orri (Sarroch - CA), sono stati attribuiti indistintamente allo scultore sassarese Andrea Calassi  (1793-1845) e datati al 1826-272. In effetti, i busti dei reali sono analoghi ai ritratti del castello di Racconigi (TO) eseguiti da Calassi nel  1826; ugualmente firmate risultano le repliche esistenti nel Palazzo Reale di Genova, commissionate allo stesso scultore dal marchese Stefano per farne omaggio al rè Carlo Alberto3.  messo di rinvenire sul retro del busto della marchesa, nel taglio della spalla sinistra, l'iscrizione: "A. Moccia fece anno 1831"4. Inoltre, i soli busti dei Villahermosa vengono citati in un inventario dei beni di Stefano Manca datato 18395 - dove si specifica la loro collocazione su mezze colonne in gesso dipinte a finto marmo - mentre un inventario del 1915 relativo a don Vincenzo Manca (nipote di Stefano), comprende i busti in gesso della regina Maria Cristina e dei marchesi.

     La differente espressività e sensibilità formale, notata dal confronto fra le due coppie di ritratti, è quindi da ricondursi a un'altra mano d'artista, quella dell'algherese Antonio Moccia: ciò vale ovviamente per il busto di Anna Maria Manca, ma probabilmente anche per quello del suo consorte. Alla elegante naturalezza dei volti dei marchesi, costruiti in morbide superfici atte a diffondere uniformemente la luce, intesa in senso intimistico, fa riscontro nei volti dei Savoia un maggior accademismo retorico e una più elevata incisività chiaroscurale. Tra le diverse opere di Moccia, si può segnalare l'affinità stilistica con il busto marmoreo di Maria Teresa di Savoia conservato nel Castello di Agliè (TO), replicato più volte e firmato "A. Moccia fece dal vero nel 1833"". Il busto del marchese Stefano è invece prossimo a quello in marmo bianco del barone Giuseppe Manno (tav. IV), realizzato nel 1834 su commissione del cavalier Antonio Ballerò e custodito nella sala settecentesca della Biblioteca Universitaria di Cagliari7. Considerato fino ad oggi l'unica opera conosciuta di Antonio Moccia in Sardegna, condivide con il ritratto del marchese la naturalezza nell'espressione del volto atteggiato ad un "leggero sorriso".

    La paternità dei busti Villahermosa incrementa i dati documentar! in nostro possesso sulla carriera artistica di Antonio Moccia. Nato ad Alghero intorno al 1805, usufruì dal 1823 di una pensione regia per frequentare l'accademia romana di S. Luca proprio in virtù dell'appoggio del  marchese Stefano Manca, strettamente legato alla corte sabauda. Il suo nome ricorre insieme a quelli di Andrea Calassi e del pittore Giovanni Marghinotti nel carteggio tra l'abate Giacinto De Franceschini e il marchese inerente all'attività dei giovani artisti sardi; nel 1825 l'abate preannunciava l'invio di alcuni disegni del "giovane Algarese" e due anni più tardi lo scultore ricevette un attestato dal maestro danese Berthel Thordvalsen, seguito da premi e riconoscimenti ottenuti all'interno della stessa accademia8. Sotto la dirczione e l'influsso del linguaggio purista di Thordvalsen, Moccia eseguì una delle sue opere più impegnative, la statua della Beata Margherita di Savoia per la chiesa di Torino dedicata alla Gran Madre di Dio (1830 circa)9.

    Un'altra "pedina" fondamentale nelle fortune dello scultore algherese e nelle successive commissioni reali è stata giustamente identificata in Giuseppe Marmo, già segretario di Carlo Felice e membro di importanti istituzioni torinesi come la Giunta di Antichità e Belle Arti (1832). Pienamente partecipe della cultura neoclassica e profondo ammiratore di Canova10, non poteva che vedere di buon occhio la riuscita e l'allineamento nel gusto artistico corrente di un suo conterraneo. Il suddetto busto che raffigura Manno, firmato "Antonio Moccia d'Alghero fece 1834", riassume quindi un pezzo di questa vicenda e in più dimostra una certa immediatezza rispetto ai rigidi canoni accademici dei ritratti ufficiali. Ciò si nota forse ancora meglio nella versione in gesso, dipinta a imitazione bronzea, pervenuta di recente alla Fondazione Siotto di Cagliari (tav. Ili)11 dalla Casa Manno di Villanova Solare (CN); un secondo gesso, sempre di provenienza familiare poiché donato nel 1868 dal fratello Efisio Marmo (canonico della cattedrale), si conserva ad Alghero nel Liceo Ginnasio intitolato all'illustre storico12.

     La memoria dello scultore nella sua città natale era in precedenza affidata a un monumento funerario collocato tra le mura del cimitero, così segnalato nel 1858 da Pietro Maria Casu (chimico-farmacista di Alghero, autore di una ricognizione sullo stato dei cimiteri sardi): "un medaglione che ricorda due celebrità Algheresi, il Poeta cav. Giuseppe Alberto Delitala, e lo Scultore Antonio Moccia che lo scolpì, ambidue rapiti immaturamente alle speranze della patria"13. Scomparsoprobabilmente con il drastico rifacimento moderno del complesso cimiteriale, il monumento marmoreo fu eseguito nel 1836 su commissione di Giovanni Antonio Delitala, fratello del poeta, ed era in origine destinato alla chiesa della Misericordia. Nel Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna di Pasquale Tola è riportato il testo dell'iscrizione commemorativa in latino, composta dal "genio del valente Gagliuffi", e una tavola illustra il soggetto del medaglione, la testa del poeta di profilo rivolta a destra (tav. V)14. Il ritratto idealizzato a bassorilievo, accompagnato dalla lapide, rientra nella consueta tipologia della stele neoclassica e forse da un'ulteriore motivazione del soprannome "Canovino", attribuito allo scultore da Enrico Costa15. Antonio Moccia continuò a operare tra Roma e Torino ma non si conoscono dati certi sulla sua attività, fmo alla morte avvenuta tra la fine del 1841 e l'inizio dell'anno successivo all'età di circa 37 anni1^.

     Gli interessi artistici di Giuseppe Manno toccarono a più riprese anche l'ambito pittorico e un impeccabile "ritratto d'autore" conferma la sua particolare predilezione per il cagliaritano Giovanni Marghinotti (tav. VI)17. Il dipinto, datato 1851, ritrae Manno nelle vesti di alto magistrato, sottolineando una camera culminata con la nomina a presidente della Corte d'Appello di Torino (1848) e della Corte di Cassazione. Per quanto impostato secondo i dettami del ritratto di protocollo, è segnato da una forte carica realistica e dall'individuazione psicologica del personaggio. Marghinotti risiedeva come Manno a Torino in qualità di pittore di corte e ricoprì la carica di professore di disegno all'Accademia Albertina nell'arco di un decennio (1846-56)18.

    Lo stesso ritratto, integrato da alcune fotografie, servì di base alla realizzazione del monumento in onore di Manno promosso dalla sua città di origine19. Già all'indomani della morte, il 3 febbraio 1868, il Consiglio comunale di Alghero deliberava una sottoscrizione ma i tempi dell'erezione slittarono al 1894, quando fu inaugurata la statua dello scultore torinese Pietro Canonica, vincitore di un pubblico concorso20.  Il figlio di Giuseppe Manno, Antonio, seguì tutte le fasi e i contatti con l'artista e conservò per sé il busto in gesso, probabilmente uno studio per il monumento, ora acquisito dalla Biblioteca del Consiglio Regionale della Sardegna21.

                               Maria Cristina Cannas - Claudio Galleri

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