Contare i nuraghi di Franco Sardi
"MA QUANTI SONO i nuraghi della Sardegna?" È una domanda che ci poniamo in tanti, da quando ha cominciato a vacillare la granitica certezza fondata sulla magia del numero 7.000 che per anni ha campeggiato sui manuali di storia dell'arte e sulle guide di viaggio. "Serve poi a qualcosa saperlo?" Questo è un problema ancora più complesso. O più semplice; dipende dai punti di vista. Fuori dalla cerchia degli specialisti e degli appassionati, che hanno le loro certezze, il dibattito è aperto. L'isola si propone infatti come uno dei maggiori insiemi archeologici dell'Italia. E non solo. La "costante resistenziale" (che caratterizza la capacità conservativa delle isole e una loro certa impermeabilità ai rapidi mutamenti sociali, urbanistici o linguistici) ha contribuito a conservare testimonianze materiali, delle vicende storiche e artistiche, in quantità superiore, almeno in rapporto alle dimensioni demografiche, di altre parti del Paese. Ancor più, la dimensione di periferia dell'impero vissuta a partire dalla fine dell'età nuragica, con la sola breve parentesi dei Giudicati, ha prodotto forme di città, testimonianze architettoniche e artistiche, manifestazioni di cultura popolare, che la contraddistinguono e che aspettano ancora di essere conosciute appieno. Basti pensare all'arte sacra, dove la coesistenza di moduli autoctoni e di sedimenti coloniali ci ha lasciato una varietà di stili non sempre rintracciabile in altre regioni, connotate da una più forte unitarietà espressiva. Ai due quesiti di partenza dovrebbero aver dato da molto tempo risposte univoche le soprintendenze, visto che a loro compete la tute/a dei beni culturali, il cui censimento o catalogazione sono tra i passaggi obbligati per l'esercizio della funzione di tutela, come prevista dalle leggi vigenti. Nella realtà sarda non è sempre andata in questo modo. C'è stato l'impegno meritorio di alcuni soprintendenti, si è colto il frutto di progetti speciali, ma non abbiamo assistito a un intervento regolare nel tempo. Una soluzione al problema l'hanno cercata anche le università, affidando tesi di catalogo o investendo in progetti di ricerca, resi però discontinui da limiti nelle risorse finanziarie e nelle competenze istituzionali. Il quadro delle conoscenze che risulta da simili vicende catalografiche è, pertanto, ancora oggi, frammentario e disomogeneo. Diverso è il caso della Regione, che dovrebbe lavorare soprattutto sul fronte della va/orizzazione cercando di non dimenticare la salvaguardia. Per dare una risposta operativa alle due domande di partenza, la sola motivazione culturale, dell'importanza di un catalogo dei beni culturali, non è sufficiente a autorizzare una spesa, se mancano le leggi e le attribu zioni di competenze. Bisognava innanzitutto dimostrare che "contare i nuraghi" è un'attività ammissibile sul piano amministrativo, chiarendo, nel contempo, quale utilità pubblica potesse rappresentare. La riflessione è diventata un problema cruciale per le funzionario che si occupano di restauro. Il gruppo di lavoro avvertiva la necessità di basare su conoscenze sicure la programmazione di finanziamenti, in crescita fino alla misura di venti miliardi l'anno. Cifra non strana nelle Regioni ad autonomia speciale dove il Ministero per i beni culturali ha fortemente ridotto le azioni finanziarie dirette. Anche senza modificare le vecchie leggi (che risalgono agli anni inquanta) è stato così possibile giustificare un progetto di catalogazione, collocandola correttamente fra le precondizioni della spesa per la salvaguardia del patrimonio culturale. Dimostrando che proprio la mappatura del patrimonio a rischio può garantire maggiore trasparenza, tempestività e produttività dell'utilizzo di fondi pubblici investiti nella conservazione o nella valorizzazione dei beni culturali. Assodata la percorribilità amministrativa di un progetto di catalogaziene, bisognava capire come muoversi. Le esperienze maturate in Sardegna non erano le più felici. I "giacimenti culturali" avevano prodotto due cataloghi elettronici di difficile utilizzo. La frammentazione degli insegnamenti universi tari ostacolava l'individuazione di un partner in quell'ambito. Il mondo dell'imprenditoria culturale sarda, più vivace di altre realtà italiane, aveva maturato più esperienza sul piano della gestione dei servizi che della ricerca catalo- grafica. In questo contesto, gli strumenti tradizionali della pubblica amministrazione, le gare, non sembravano la modalità migliore per individuare il soggetto esecutore di un'indagine, chiara negli intendimenti progettuali, ma che,' per sua natura, si evolve nel corso dell'attuazione . Perciò abbiamo deciso di dare un'occhiata in giro per l'Italia. Innanzitutto abbiamo fissato gli obiettivi del progetto: ottenere un quadro del patrimonio culturale esistente in maniera rapida, per fornire strumenti scientifici a tutti coloro che vi devono intervenire, dai Comuni, per i Piani Urbanistici, alle imprese e agli studiosi; disporre dei dati indispensabili per pro grammare nel modo più corretto sia i finanziamenti per il restauro, la valorizzazione e la gestione dei beni, sia la costituzione di un sistema museale regionale; disporre delle informazioni di base per la promozione delle risorse culturali della Sardegna; individuare le tipologie di beni da censire e le porzioni di territorio da cui partire; attribuire una risorsa finanziaria da assicurare nel tempo; realizzare una struttura di lavoro agile e capace di acquisire col lavoro una competenza professionale ottimale. Guardarci intorno ha significato studiare i lavori in corso presso altre regioni. Abbiamo visitato le strutture operative del Friuli, della Toscana e dell'Emilia-Romagna, in sede di coordinamento interregionale, ci siamo confrontati con altri colleghi. Alla fine ci è sembrato che la soluzione adottata dalla Regione Emilia-Romagna fosse la meglio pra- ticabile, in considerazione del fatto che tramite l'Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali, aveva già attivato un accordo di programma col Ministero per i Beni culturali e ambientali, finalizzato alla realizzazione di procedure standardizzate per il censimento del patrimonio culturale, il cui utilizzo assicurava anche alla Sardegna. La proposta emiliana è stata infatti quella di studiare l'esportabilità in un altro territorio del proprio modello di intervento, dimostratesi in grado di affiancare al rigore scientifico una modalità di esecuzione imprenditoriale. Questo è stato il nocciolo della scelta. Non si è trattato di affidare l'esecuzione di un'opera, ma di attivare un processo di cooperazione fra due Regioni. In più il modello di rilevazione e la tecnologia adottate garantivano un alto livello di precisione dei dati, sperimentato dalle schede già memorizzate. Abbiamo studiato una convenzione che prevedesse le modalità di assistenza nell'esecuzione del progetto, nell'installazione ed uso delle procedure catalografiche ed informatiche, nella soluzione e addestramento dei rilevatori. Come già richiamato, l'Istituto per i Beni Culturali si è impegnato a costruire uno strumento organizzativo e operativo per il censimento e la catalogazione dei beni culturali della Sardegna, basandosi sull'esperienza già condotta in Emilia-Romagna e adeguando lo alle specifiche esigenze dell'isola. Tutto ciò, per noi, significa investire in Sar degna per far crescere un gruppo di professionisti sardi, che dovranno essere in grado di misurarsi anche con possibilità ulteriori all'attuale intervento regionale, che ha comunque una prospettiva novennale ed ha stanziato per i primi due anni (1995 e 1996) quattro miliardi. Per concludere, mi sembra importante accennare a un'ulteriore valenza di questa vicenda. Se l'eccellenza tecnica ha motivato la decisione a favore dell'IBACN, l'ipotesi di interagire con un'altra amministrazione regionale è stata da subito un'idea forte del progetto di catalogazione. In Sardegna l'autonomismo ha una lunga tra dizione e autonomia significa, da almeno cinquant'anni, affermare il ruolo chiave delle amministrazioni locali. In questa ottica è stato sempre privilegiato il rapporto con le Regioni, per costruire uno stato che si organizza dal basso, più vicino agli interessi reali. E ormai un'esperienza di carattere anche internazionale, come dimostra l'istituzione formale dell'area transfrontaliera IMEDOC (Isole del MEDiterraneo Occidentale - insie me alle Baleari e alla Corsica) quale coordinamento permanente di tutti gli interessi comuni, teso ad assumere un ruolo più incisi vo a livello europeo. Aver inserito anche il censimento del patrimonio culturale in questo stile di cooperazione diretta fra istituzioni locali, che, l'altro, ci lega all'Emilia-Romagna con un recente progetto degli Assessorati all'industria, in materia di imprenditoria cooperativa, e, per quanto riguarda la cultura, con la convenzione per il trasferimento del software del Servizio Bibliotecario Nazionale (stipulata nel 1989), contribuisce alla possibilità concreta di sperimentare, giorno per giorno, un possibile cambiamento dello stato italiano.