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Francesco Pinna

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Oltre al destino di avere un bei disegno firmato presso il Metropolitan Museum di New York, oltre alla fortunata circostanza che la sua pala di Villamar sia stata recentemente salvata dall'incuria, Francesco Pinna può ora anche vantarsi del pregevole studio monografico approntato da Claudio Galleri. Dotati del catalogo delle opere e del cospicuo regesto dei documenti, del nostro protagonista sappiamo ormai abbastanza, cosicché è consentito avviare a proposito riflessioni d'assieme, che non tarderanno ad arrivare.

      Il maestro non esercitò di certo part time la professione di pittore, attivo, vivendo da Alghero a Cagliari, in importanti città mercantili. Ma il traffico del commercio è attestato, e rivela quanto significativamente fosse disponibile a praticare con vantaggio diverse e differenti occupazioni. In ragione dei numerosi dipinti che risultano commissionati, non più conservati, non si può credere che fosse impellente la necessità di arrotondare il ricavato del proprio principale lavoro. Francesco Pinna è vissuto all'interno di un'economia e di una società dove la professione del pittore, preparata da un eclettico tirocinio, si completava senza eccezioni in stretto contatto di fisicità di bottega con altri artigiani, con i quali bisognava saper trattare. Il capobottega garantiva il prodotto finito, pronto per l'esposizione sugli altari, e spesso lo garantiva di fronte a maestri di qualificate ed esigenti confraternite, rappresentanti delle varie arti. Era punto di riferimento per ogni evenienza della collettività che avesse bisogno del disegno e dell'esperienza costruttiva, fosse anche l'insolito caso di predisporre il progetto di un campanile.

      Per altro verso, le molteplici frequentazioni di Pinna nei riguardi di intraprendenti immigrati spagnoli, francesi e napoletani, lo hanno inoltre messo in condizione di apprendere specifiche novità e di scontrarsi con le resistenze della tradizione. Più economica, ad esempio, sarebbe stata per tutti la pratica della pittura su tela, ma l'apprezzamento del retablo ligneo, coinvolgendo sistemi di interessi vitali, non cadde in disuso. Maggiormente riscontrabile è l'aggiornamento del repertorio iconografico, perché il controllo delle immagini da parte dell'autorità religiosa divenne - almeno nelle intenzioni sempre più condizionante (bisognerebbe comunque meglio verifìcarlo anche in Sardegna, in rapporto con le vicende della preponderante committenza che sembra estranea alle esigenze culturali del rango signorile).

     Le contraddizioni emergono quindi con evidenza. Da un lato l'evolversi della sperimentazione ha portato Francesco Pinna a rinnovare la storia del polittico rinascimentale realizzando tavole che mostrano schemi compositivi desunti dal tardo manierismo di derivazione raffaellesca, dall'altro il programmatico arcaismo dell'arte controriformata ha però fortemente inibito la ricerca di aggiornamenti figurativi. La distanza si riesce a misurare, volendo, confrontando la fortunata pala di Cristoforo Roncali! della chiesa romana dei Santi Nereo e Achilleo, a cui guardarono il Cavalier d'Arpino e lo stesso Rubens, con la sezione inferiore del Polittico dì Sant'Alberto della chiesa del Carmine di Cagliari, anch'essa con le figure di tré santi, affiancate e separate. La struttura rigidamente ripartita del polittico si allentò e talvolta cadde, com'è nell'eccezionale Assunzione della Vergine di Villamar. Qui il modello è derivato da stampe pervenute dal continente, portando come esigenza moderna anche la netta distinzione della sfera celeste.

     Il dialogo fra il nuovo e l'antico costituisce un'ultima ragione d'essere della carriera di Francesco Pinna. Dopo sarà impossibile continuare a difendere con ulteriori valide motivazioni il peso preponderante del locale passato.

 Daniele Pescarmona

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