Le ragioni di un progetto di Cristina Paderi e Roberta Sanna
Let it be Sardinia. Sardinia, which is
like nowhere ... Tbey say neither
Romans, nor Phoenicians, Creeks nor
Arabs ever subdued Sardinia ... Sure
enough it is Italian now... But there is
an uncaptured Sardinia stili.
"Che sia la Sardegna. La Sardegna, che è come nessun luogo ... Dicono che nei Romani ne i Fenici ne i Greci e nemmeno gli Arabi sottomisero mai la Sardegna... Certo è italiana adesso, ma c'è ancora una Sardegna che non è stata assoggettata.
Era il 1921 quando D. H. Lawrence compì il viaggio che descrisse nel suo 5ea and Sardinia. A settantacinque anni di distanza viene da chiedersi: nell'era del villaggio globale esiste ancora questa Sardegna non assoggettata? È ancora possibile individuare la sua diversità? Anche ad un turismo frettoloso non può sfuggire l'aspetto più eclatante e più peculiare della storia della Sardegna: così imponenti e così diffusi da essere diventati parte integrante del paesaggio, i nuraghi, che il mito vuole costruiti da Dedalo, con le loro torri, i corridoi, e le camere a tholos eretti con massi sovrapposti senza malta dalla metà del secondo millennio a.C., creano nel visitatore una sensazione forte. Ma altrettanta emozione suscitano altre testimonianze di una storia che è veramente "diversa". Cariche di fascino ad esempio sono le domus de janas (case delle fate) di Sant'Andrea Priu di Bonorva (SS), grotticelle funerarie imitanti le case dei vivi, scavate nella roccia in tempi neolitici, alcune delle quali conservano sulle pareti le immagini e le invocazioni lasciate dai primi cristiani che le riutilizzarono come chiese. E proprio nel cuore della Costa Smeralda, a pochi chilometri da Arzachena (SS), si innalzano, solitàrie, costruite con la pietra che disegna il paesaggio di quella regione, le "tombe dei giganti" di Li Lolghi o di Coddu Vecchiu, in cui le popolazioni nuragiche seppellivano i morti e compivano riti in loro onore. Altri riti, dedicati ad un elemento da sempre prezioso in Sardegna, l'acqua, si celebravano nel santuario di Santa Vittoria, sulla giara di Serri (NU) con l'edificio sacro e tutt'attorno le casette (;' muristenes) per i fedeli dove le popolazioni nuragiche celebravano feste che duravano per giorni, non dissimili da quelle che Grazia Deledda descrive nei suoi romanzi ai primi di questo secolo. Del resto ancora oggi molte sono le occasioni in cui grandi folle si radunano nei santuari come nel San Costantino di Sedilo (OR), in cui ogni anno una sfrenata corsa di cavalli, l'Arala, celebra le vittorie militari di un imperatore che è santo per il menologio greco, ma non per il calendario cattolico, o nel complesso di Sant'Efisio di Giorgino, alle porte del capoluogo sardo, dove, per ringraziare il santo che liberò la città da una pestilenza, da oltre 300 anni ai primi di maggio i cagliaritani sostano nel corso della processione che, nonostante sia diventata un evento turistico di livello internazionale, rimane fondamentalmente una testimonianza di fede. Espressione di questa fede sono le chiese sarde, esito di una vicenda architettonica che ha coniugato gli influssi esterni con una spiritualità tutta particolare. È il caso della chiesa palatina di Santa Maria del Regno di Ardara (SS), cupa nella sua struttura di trachite scura, dove nel 1238 l'infelice Enzo, "rè di Sardegna", sposò Adelasia sovrana del "giudicato" di Torres, uno dei quattro regni sardi che prima di scomparire ad opera degli Aragonesi ai primi del 1400, per oltre cinque secoli espressero altissimi momenti di civiltà come la Carta de logu un corpus di leggi per più versi molto avanzate emanato dalla "giudicessa" Eleonora d'Arborea. Ma basta camminare per i centri storici, con i loro scorci di architetture tradizionali in pietra o mattoni di fango, osservare un artigianale le cui forme si ritrovano nelle vetrine dei musei come nei negozi dei villaggi turistici o prestare orecchio ad una parlata che è la più conservativa delle lingue romanze per comprendere quanto il moderno sia compenetrato di antico e come per i sardi la conservazione del patrimonio culturale non sia esercizio intellettuale o business turistico, ma una esigenza sentita da tutti. Questo immenso patrimonio è in gran parte sconosciuto, non tutelato, vittima sacrificale di un becero concetto di progresso che tutto vuole modificare senza capire che l'uomo che non conosce il proprio passato non avrà futuro. A poco serve una tutele poliziesca e repressiva, capace solo di vietare; a questa deve sostituirsi una diffusa coscienza dell'im portanza che questi beni rivestono: sono i segni, la memoria, del nostro passato e quel che ora siamo. Ecco perché abbiamo sentito la necessità, pressante e improcrastinabile, di provvedere ad un elenco completo ed esaustivo, seppure in continuo divenire, dell'intero patrimonio culturale dell'isola. Quando nell'ottobre 1995, abbiamo presentato la nostra proposta di indagine conosciti va abbiamo tenuto conto di quanto emergeva dalla nostra esperienza quotidiana ed abbia mo ritenuto quindi che il ruolo dell'Assessorato non potesse esaurirsi nel far fronte alle istanze degli enti locali, che spesso non conoscendo la consistenza dei beni ricadenti nel proprio territorio hanno difficoltà ad individuare delle priorità d'intervento, ma dovesse assumere un ruolo programmatorio e propulsore di iniziative. Dando per scontato che il patrimonio da tutelare è costituito da tutte le tipologie di beni culturali, si è ritenuto di individuare la parte più rilevante e quella più a rischio nei beni immobili. L'immenso patrimonio archeologico, in primo luogo, le cui testimonianze rischiano ogni giorno di essere cancellate dall'azione degli scavatori abusivi, da opere di trasformazione del territorio non sempre rispettose dell'esistente. Gli edifici di interesse storico ed etnografico, spesso non sottoposti ad alcuna tutela legislativa, ed abbandonati ad un degrado sempre più invasivo ed irreversibile. Le chiese, soggette al degrado per cause naturali, mancanza di manutenzione, restauri impropri, spesso spogliate della loro suppellettile che, seppure sottoposta alla tutela della L. 1089/39, non sfugge ai furti, talvolta alle alienazioni, come peraltro i beni etnografici ai quali non viene dedicata la dovuta attenzione. Il progetto, articolato per trienni, prevede inizialmente il reperimento dei dati direttamente sul territorio e l'acquisizione dei dati esistenti, attualmente conservati anche da altri enti, relativamente alle seguenti tipologie di beni: - archeologici, - architettonici, - storico-artistici. La prima annualità raccoglierà i dati limitatamente alle seguenti tipologie di beni culturali: monumenti complessi e siti archeologici, reperti archeologici di proprietà non statale, edifici di culto di proprietà ecclesiastica, edifici pubblici di proprietà di enti pubblici non statali, beni storico-artistici in edifici pubblici di proprietà di enti pubblici non statali. Elementi cardine del progetto sono la scelta di metodologie valide a livello nazionale, l'utilizzo dei dati esistenti, l'impiego di personale sardo. Gli standard attuativi del catalogo regionale sono infatti quelli predisposti dall'lCDD, sia per quanto attiene la scheda cartacea che per l'informatizzazione dei dati che prevede l'utilizzo del programma di data entry DESC, integrato dal software Odysseus-RAS, per l'interrogazione dei dati e l'immagazzinamento delle immagini, che l'IBACN ha appositamente predisposto. Il materiale catalografico sarà "archiviato" sia in forma cartacea che in forma elettronica per la consultazione di tipo tradizionale e per il collegamento in rete. Una ulteriore integrazione è data da alcune voci, non previste dalla scheda ministeriale, ma ritenute indispensabili affinchè essa possa essere un valido supporto per la programmazione dei diversi interventi a livello regionale (quali lo stato di manutenzione generale, l'esistenza di vie d'accesso, l'eventuale inserimento in percorsi turistici, la gestione, ecc.). Altro punto saliente è il riutilizzo dei dati esistenti: si va dall'informatizzazione delle schede cartacee MA, CA, RA, A, OA redatte dalle Soprintendenze, al recupero e alla normalizzazione dei dati relativi alle schede realizzate con i progetti ex legge 41/86, art. 15 ed altri, facendo così confluire in un'unica banca dati, a disposizione dei diversi soggetti interessati, tutti quei dati attualmente inutilizzabili e disaggregati. Infine l'impiego di personale sardo, mirato non solo ad alleviare il problema della disoccupazione che grava sull'isola, ma a valorizzare tutte quelle professionalità formatesi negli istituti ed atenei sardi, il cui fondamentale ruolo formativo viene così evidenziato. Questo nucleo di catalogatori avrà un ruolo determinante nella riuscita del progetto e costituirà il cardine di quel Centro regionale del catalogo che sarà in grado di fornire i dati basilari per la programmazione degli interventi sia di carattere conservativo che propedeutici alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale.