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La pittura come via per rappresentare, attraverso la sapiente e quotidiana applicazione artigianale, l’intimo nucleo delle cose, la loro interna essenzialità’, e’ certo un mezzo espressivo che non patisce la consunzione del tempo, ne’ volentieri si sottomette all’imperio delle mode, dei mille cliché ossessivamente imposti dalla cultura dell’effimero. Fedele per vocazione all’assunto originario del dipingere, Cavalieri si pone sulla linea di un percorso iconografico che trova, nella cultura irlandese e nel mondo celtico in generale, il suo territorio di elezione, il luogo a lui più’ consono per raccontare l’impalpabilità’ e la vitalità’ dello spirito. Il paesaggio assurge ad ambito di manifestazione di energie ed atmosfere, avulse alla prosaicità’ del quotidiano, ma palpitanti nel segreto di una natura, che sempre si accinge a rivelare l’ignoto; analogamente, le escursioni vedutistiche negli angoli di una Dublino assorta e dimenticata, divengono occasione per narrare le storie e le traversie di un’umanità’, spesso travolta e frastornata dai fumiganti clangori della metropoli, o dal glaciale isolamento che questa riesce ad indurre nell’anima. Immagini pervase da un silenzio che tutto penetra e avvolge, chiedendo infine allo spettatore l’ultima parola, il completamento immaginativo senza il quale esse permarrebbero forse incompiute, appartate in una sorta di magica, suadente discrezionalità’. Il velo di tale meditato silenzio e’ allora lo stratagemma del pittore che cerca, sino all’ultimo, di salvaguardare l’opera da ogni chiassosa intromissione che ne possa smagare la quiete, la melodia rappresa nei colori ora fulgidi ora stemperati, nelle luminescenze ora albeggianti, ora crepuscolari.
Cavalieri, insomma, sa’ immergersi nella contemporaneità’ senza timore di smarrirsi: persuaso, anzi, di ritrovare, nella spessa opacità’ della materia, il diamante nascosto, la pietra traslucida che splende sotto le spoglie talora drammatiche dell’apparire sensibile. La modernità’, in tale percorso figurale, vive dunque come perenne riaffacciarsi di ciò che nell’uomo e’ insopprimibile, il diuturno anelito a conoscere il mondo per approdare, infine, al centro di ogni divenire, l’io profondo vibrante in ogni essere come Parola: mistero dicibile, forse, solo attraverso l’eloquenza intemporale dell’arte.

Deirdre Nolan


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"…L’operazione di Giorgio Cavalieri è fortemente idealistica: pone in atto la manifestazione del privilegio di un ordine mentale corretto e responsabile,nel suo intendersi di poeticità,che presiede alla formulazione di un concetto stilistico pronto a scattare dopo il primo sguardo:il paesaggio ,dunque,si decontestualizza e assurge,in tal modo,alle vette dell’idea."

Arnaldo Romani Brizzi


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"Tra sé e il paesaggio Giorgio Cavalieri ha posto una certa distanza,il suo sguardo ha guadagnato in estensione.Questa serie di paesaggi irlandesi sembra avergli dato la cognizione della profondità della terra:della forza spirituale di storie e leggende remote.Viandante orientato a credere a tutto,alle infinite divinità che abitano gli alberi,il cielo,il mare,sintetizza la sensazione di una profondità di rive sconosciute…Chiarori lattei,fosforescenze,controluci rabbrividiti,andirivieni di nuvole in una brillantezza paradossalmente opacizzata scandiscono il tempo imperturbabile di un’Europa che pareva dimenticata,sottoposta ora a una misteriosa redenzione"

Marco Di Capua


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"Cavalieri,rispettoso della più alta tradizione,vive però nel proprio tempo,filtrandone gli umori che dichiarano,pur nell’ordine evolutivo,la forza salvifica della persistenza.[…]un pittore che non gioca a rimpiattino con i fantasmi di un ozioso intellettualismo,ma contempla il paesaggio,in un silenzioso indugio che sa di elegia e di esistenziale turbamento,mediando tra la tenerezza ottica –una musica vellutata, quasi sospesa –e i palpiti indefiniti che la visione affolla nel cuore."

Renato Civello


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 "Cavalieri,infatti, non intende "imitare" la natura,non la vuole rappresentare come essa si offre all’artistica contemplazione degli organi sensoriali,ben delineata in contorni e linee definite,considerando egli la forma una mera astrazione,immettendosi coscientemente in un pulsante mondo di forze plasmatrici in evoluzione,evocanti il momento primigenio dell’atto creativo,mediante le antiche,eppur sempre attuali contrapposizioni fra luce e tenebra,vita e morte,bene e male.Non si tratta, pertanto,di pittura fantastica,visionaria,o fortemente intimistica,bensì di una sorta di espressività cosmica:un tentativo di spezzare la chiusa algebria della forma,così come della densità tellurica,per penetrare nello slancio vitale del dissolversi,finalmente,in forze viventi:ora lievi e impalpabili,ora possenti e misteriose."

Gabriella Belvisi


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"Cavalieri privilegia un registro di incantato onirismo, avvolge luoghi e fenomeni di velate atmosfere surreali,imbocca, recisamente la strada del dialogo interiore,l’ascolto del linguaggio più segreto della natura.La sua è esperienza sublimata che racconta la solitudine,echeggia una vita remota,aspira a dare una sensazione d’infinito,penetra lo spazio con l’occhio della mente,recuperando il senso del sacro,"

Maria Teresa Benedetti


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"Si noterà osservando queste opere che l’artista non è attirato tanto dalla fedeltà al vero,quanto dalla creazione di paesaggi interiori,evocazioni più che riproduzioni.L’opera pittorica diventa così una meditazione interiore,un’ immagine della relazione tra cielo e terra:alla linea dell’orizzonte corrisponde quella opposta della terra e dell’acqua."

Valentina Antonelli

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"Giorgio Cavalieri rientra in tale rinnovato versante attestandosi su una posizione che, se lontana da una matrice concettuale, di quella conserva la freddezza e la lucidità che lo hanno via via distanziato da ogni retaggio romantico verso una comunicazione più forte, dinamica e contemporanea.  La scelta dei suoi soggetti si concentra: Cavalieri, che vive e lavora a Roma, è molto legato all'Irlanda -
dove soggiorna spesso e dove sono parte dei suoi  impegni espositivi - e dunque rivolge il suo sguardo alla seduzione di quei paesaggi proverbialmente silenziosi, struggenti, poetici, ampi, ma spostando il punto di vista sul versante più urbano di quello scenario, dunque radicato nella propria cultura metropolitana con tutto il suo carico di riferimenti. Su questa concessione in continuo divenire costruisce figurazioni pittoriche tecnicamente minuziose, di solido impianto strutturale, con un segno che si è fatto asciutto e un cromatismo che ha essenzializzato
la morbidezza dei suoi primi lavori attravesrso la sottrazione del colore che ha privilegiato la movnocromia solo a tratti accesa da mprovvisi inusitati sprazzi di giallo solare, rosa caramella,
verde acido, scegliendo per quest'opera in mostra un più duro bianco-e-nero."

                   Barbara Martusciello

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