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Delusione per "Tre variazioni della vita" allestito dal Teatro stabile di Genova

UNA GRANDE MELATO NON BASTA A FAR FUNZIONARE UNO SPETTACOLO FATICOSO (6/2/01-18/2/01)

Un immenso cielo stellato splende indifferente sulla pochezza delle vicende umane. E’ il nucleo tematico di Tre variazioni della vita, di Yasmina Reza, allestito dallo Stabile di Genova, con Mariangela Melato come protagonista, per la regia di Pietro Maccarinelli. Si tratta della triplice iterazione dello stesso episodio, una cena improvvisata a casa di un giovane astrofisico, Henri, e di sua moglie, che ricevono Hubert Finidori, un "barone" della materia, e signora. La cena, in ogni sua versione, è improvvisata a cipster e biscotti, con il solo vino che scorre a fiotti, anche per festeggiare la pubblicazione di un articolo scientifico incentrato sul rapporto tra spessore ed estensione nelle galassie, frutto di tre anni di lavoro di Henri. L’invito è anche, per quest’ultimo, un’occasione per sollecitare un aiuto, da parte dell’influente collega, per promuovere la propria carriera. Al contrario ed inaspettatamente, questi anticipa vagamente ad Henri la notizia della recentissima divulgazione di un analogo studio di astronomia che –pare - abbia battuto sul tempo quello di lui. Nella prima presentazione della cena Sonia (Mariangela Melato), la moglie di Henri, fredda e sarcastica, rileva senza mezzi termini l'atteggiamento "strisciante" che il marito – probabilmente senza averne consapevolezza- assume con Hubert, "il tono finidoriano"; ed analizza lucidamente il piacere maligno che quest’ultimo prova nello sconvolgere Henri con la notizia dell’articolo rivale, senza peraltro averglielo procurato, in modo da dissipare ogni dubbio, in un senso o nell’altro. La protagonista è disincantata, schietta ai limiti della brutalità, ritrosa con gli ospiti: in vestaglia, non vorrebbe nemmeno vestirsi per riceverli, ha maturato un cinismo nutrito di disinganni: dopo aver esplorato il mondo dei rapporti umani nell’esercizio della carriera di avvocato – è forse per la disillusione che ha abbandonato questa strada, per dedicarsi ad una più prosaica attività in una società finanziaria?-, ella pensava che le si schiudessero nuovi orizzonti sposando un astronomo, cioè un uomo proiettato verso le grandiosità infinite del cielo. In realtà –ed è tema portante- il fervore che l’uomo impegna nello studio dei misteri del cielo si riduce a modelli matematici, simulazioni di laboratorio, nulla che influisca effettivamente sulla vita umana, come nota Ines, la moglie di Hubert; nulla che, ancor più ambiziosamente, sveli all’uomo il mistero del suo posto e del suo senso nell’universo. In questa prima rappresentazione dell’episodio Henri è connotato caratterialmente come un ansioso, un emotivo fino alla perdita dell’autocontrollo, al punto di concedere al figlio la soddisfazione di ogni capriccio pur di farlo tacere, alla completa paranoia in cui lo gettano le parole di Hubert: non a caso, svariate volte egli si ritrova su una poltrona "tipo psichiatra" che arreda un angolo del salotto.

Nella seconda "possibilità di vita" Sonia, moglie dolce ed affettuosa, sola con Hubert, si propone pronta a cedere alle voglie di lui in cambio di un avanzamento di grado del marito. In questa riproposizione della cena, Henri è brusco ed ostile, quasi non vorrebbe far accomodare gli ospiti intempestivi, cade in un nient’affatto dissimulato pessimismo vittimistico ed aggressivo. Viceversa, i discorsi supponenti, pieni di sottintesi e di presunzione, tenuti da Hubert nel precedente quadro (il viaggio a Turku, l’improbabile, ispirata confidenza che il trovarsi tra il consesso di illustri scienziati non ha lo emozionato quanto una solitaria passeggiata lungo il mare nella nebbia) si mutano in imbarazzati tentativi di accomodare un’atmosfera ormai irrimediabilmente compromessa dall’accenno all’articolo antagonista. La conclusione è analoga alla precedente: le avances a Sonia falliscono, perché si scopre da Ines che Hubert contava che "il sottoposto e sua moglie si piegassero in due" per ottenerne l’appoggio: immediata l’impennata d’orgoglio di Sonia di fronte all’umiliante scambio. Scendendo in un’analisi più sottilmente psicologica, affiora la vanità di una donna disposta sì a "sacrificarsi" per favorire il marito, ma a patto di essere oggetto di lusinghiero desiderio e di conquista, non merce scontata di uno squallido scambio; il motivo però è appena accennato, non sviluppato nei suoi possibili risvolti.

La terza versione, quella dai toni più moderati, non si apre con l’arrivo intempestivo degli ospiti – a causa dell’errore degli uni o degli altri-, ma sulla serata già tranquillamente avviata. Qui Hubert è tratteggiato come uno studioso modesto, infastidito dalla moglie che ne vanta la nomina ad accademico di Franci. Un Henri equilibrato già sa –e sembra non se ne impressioni troppo, salvo la precipitazione a rispondere al telefono per avere notizie più dettagliate da un collega- dell’articolo in competizione; il nodo tanto tormentato delle prime due versioni finalmente si scioglie: gli studiosi messicani sono arrivati a conclusioni diametralmente opposte alle sue, ci sarà fertile confronto di menti. Anche in questo caso, invariabilmente, le avances (un po’ posticce, per la verità) di Hubert a Sonia sono respinte, in questo caso con divertita accortezza. La scena si chiude sull’improvvisa, immotivata "tetraggine" calata su Henri: è la condanna dell’uomo, un successo conseguito già non è più tale, non soddisfa più, bisogna cercare altri obiettivi, che non siano la malinconica contemplazione del cielo stellato in cui si estranea Sonia.

La pièce si propone di rappresentare alcuni tra i possibili sviluppi che una stessa situazione di partenza può comportare: il risultato è sempre lo stesso. Sonia respinge tre volte le avances di Hubert, tre volte, anche se con stimoli emotivi diversi (disgusto, nel primo caso, orgoglio nel secondo ed, infine, sorpresa), la serata di Henri è comunque sempre compromessa, la coppia Ines-Hubert presenta sintomi di crisi o, almeno, di disarmonia. Per quanto riguarda il personaggio di Ines in particolare, non fa poi molta differenza che, a far scattare la ribellione contro il marito, sia raggiungere il limite di sopportazione dell’atteggiamento di superiorità di lui, con cui ella può competere solo tramite un’immagine impeccabile di sé (tanto che una calza smagliata diventa una tragedia), o se il motore sia invece un "privilegiato rapporto d’intimità tra marito e moglie" che ormai non esiste più e attira Ines verso il giovane Henri. L’esito è lo stesso, Ines se ne va via con il marito, costernata dalla schiettezza tagliente di Sonia, oppure, ubriaca, piangendo e prevedendo le ritorsioni di Hubert su di lei. Nell’infinità del cosmo, che cosa significano queste piccolezze umane? Che valore hanno le mille possibilità di esistenza, parallele tra loro come i corridoi di ingresso sulla scena? Sono farneticazioni di un’ubriaca le parole di Ines, lanciata nel suo grottesco tentativo di sedurre Henri, che l’uomo non è piccolo, è solo limitato dal breve tempo che gli è concesso. Tutto si consuma sempre, ripetitivamente in salotto, mangiucchiando su divani e poltrone: il centro della vita dell’uomo è cianciare a vuoto, impegnarsi in ricerche astratte dalla vita e quindi vane, far battute sulle disavventure di un collega depresso: alla resa dei conti, nessuna differenza sostanziale.

Da un episodio all’altro c’è il tentativo, comune all’autrice ed alla regia, di una diversa caratterizzazione dei personaggi: Ines è ritratta nel primo quadro come classica "moglie dell’accademico di Francia", da lui continuamente ripresa con sarcasmo, eppure soggetta a "l’orgoglio di trovarsi sotto una tal protezione" (alla meschinità che Sonia imputa a Hubert, Ines ribadisce il grado accademico del marito, con ricordo del dialogo "dell’assurdo" già sperimentato da Wilde in L’importanza di chiamarsi Ernesto: si pensi alla battuta di Lady Bracknell sul nipote Algernoon, tacciato di menzogna: "Ma ha studiato ad Oxford!" ). Nella seconda versione è una moglie trascurata ed infelice, semialcolizzata. In realtà, questo "salto" di personaggio riesce bene ad una Melato in gran forma e, in seconda battuta, a quel sottile interprete che si rivela, come sempre, Ugo Maria Morosi; talora più macchiettistiche (la Ines di Valentina Sperlì) ed eccessive (Henri, interpretato da Giancarlo Previati) le variazioni caratteriali degli altri due interpreti, probabilmente anche a causa della mancanza del tempo necessario per le prove, come fanno presupporre i microfoni di cui erano dotati almeno gli attori del cast, Melato a parte. Anche la traslazione di battute da un personaggio all’altro e la diversa valenza espressiva di una stessa frase nel discorso è tesa a significare l’irrilevanza dei dettagli su cui l’uomo si accanisce -una battuta malintesa, una parola storta- (nel primo episodio l’osservazione che la casa dei due coniugi, in periferia, è molto tranquilla, ha una venatura snob, seccamente ribadita da Sonia; nel secondo è una battura qualunque per tenere desta la conversazione, nervosamente ribattuta da Henri ed infine, nel terzo, una serena constatazione fine a se stessa); l’espediente genera però confusione: alla fine dei tre episodi, si fa fatica a ricordare chi ha detto che cosa, perché e quando. Forse era anche questo negli intenti dell’autrice: non se ne riporta comunque un’impressione favorevole, ma farraginosa e fastidiosa.

I tre momenti, distinti nel cartellone come 1)"Un astrofisico e sua moglie ricevono la visita di un collega e sua moglie, che loro credono di aver invitato per il giorno seguente"; 2)"Un astrofisico e sua moglie, invitati a cena da una collega e sua moglie, arrivano a casa loro con un giorno d’anticipo" e 3)"A causa di un malinteso, due astrofisici e le loro mogli trascorrono insieme una serata improvvisata" si confondono; la stessa variabile temporale e l’equivoco ad essa congiunto risultano poco discernibili, se non si è letta preventivamente la presentazione dello spettacolo, peraltro pure essa passibile di "qui pro quo", dato che sono state definite con le stesse parole prima la coppia Henri-Sonia (I° episodio), poi quella Hubert-Ines (II° episodio) : chi è che ha sbagliato giorno dell’invito? Nel terzo episodio c’è pure un’allusione di Hubert al fatto che "ha saltato un giorno sul calendario per l’ansia" di vedere Sonia: non era una cena improvvisata? Le carte si mischiano sempre di più. Inoltre il diverso input iniziale specificato dalla locandina, input che dovrebbe essere, teoricamente, propulsione delle differenze tra gli episodi, al contrario non ha alcuna influenza su questi, in quanto le varianti sono i caratteri dei protagonisti, le battute che passano da una all’altra. Quindi la pretesa variante tra i diversi allestimenti dell’episodio risulta un mero artificio, una sovrastruttura che appesantisce la costruzione drammatica senza aggiungerle nulla.

Lo spunto scelto dall’autrice come base per le "variazioni" è, inoltre, una sit-comedy che poco si adatta all’esperimento: la forza di questi brevi episodi sta proprio nel loro taglio svelto, la ripetitività è la loro morte. Ben altri esiti ha raggiunto, nella stagione ‘98-‘99, Rumori fuori scena di Michael Frayn, commedia brillantemente allestita da Marco Sciaccaluga ed altrettanto brillantemente interpretata da Zuzzurro e Gaspare: la situazione comica generata dall’assistere alle –disastrose- prove di una commedia, per passare poi alla contrastata prima dello spettacolo, a cui assistiamo dalla platea prima e dietro le quinte poi, ha una portata decisamente più cospicua di questo lavoro, sia per in termini comici che concettuali. Questo spettacolo è invece nebuloso come la via lattea accesa sul cielo stellato dalle luci di Sandro Sussi, quando Henri espone la sua teoria.

Tiene su uno spettacolo, per molti versi traballante, l’affascinante presenza scenica della Melato, una delle indiscusse regine del nostro teatro, e la scenografia studiata da Paolo Tommasi, l’incombente cielo stellato che contrappone la sua perfezione al salotto, bizzarro agglomerato disarmonico, tra divano rosa e poltrone verdi, con ulteriore poltrona da psicoterapia stile country. La rivisitazione del salotto borghese dei drammi di fine ‘800 è un vivace ribaltamento dello spazio deputato agli intrighi, per lo più amorosi, che animavano di bisbigli i salotti di quelle pièces; non si tratta nemmeno della distorsione, operata da Pirandello, del salotto in una claustrofobica "camera della tortura", ma dell’individuazione di una stanza-simbolo dell’attività umana, relegata alla vacuità di discorsi inconcludenti, blaterate anche da eminenti studiosi.

Lo spettacolo risulta deludente, date le aspettative che lo circondavano: non si può comunque delegare alla presenza di un’attrice, per quanto carismatica, il funzionamento di un’allestimento, che appare poco convincente già a partire dal copione e piuttosto mal orchestrato dalla regia, quali che siano i motivi della prematura messinscena.

Un risultato piuttosto dimesso: e fa pensare che se ne parli come di un successo strepitoso sui maggiori palcoscenici europei, da Parigi a Vienna, da Londra ad Atene. Siamo sicuri che il copione sia lo stesso?