UNA STRAORDINARIA MARIANGELA MELATO TRIONFA AL TEATRO DELLA CORTE (16/10 - 17/11)

Marco Sciaccaluga propone una riedizione del capolavoro di Brecht densa di emozioni e vitalità

 

Perdere il cavallo sembrerebbe una tragedia per chi debba viaggiare ininterrottamente con un carro zeppo di mercanzia, ma per Anna Fierling, che ha attraversato Riga sotto i bombardamenti per perdere non il profitto del suo carico di pagnotte, "Erano già un po' ammuffite, non c'era più tempo, insomma non avevo scelta", battuta già emblematica del personaggio, non è un inconveniente tale da affossare il suo commercio: mette i figli maschi alle stanghe e la figlia Kattrin a spingere dietro, mentre lei sta a cassetta, con un berretto da aviatore che sa di bottino da guerra. È l'entrata trrionfale di Madre Courage, protagonista dell'omonimo dramma di Bertolt Brecht, messo in scena dal Teatro di Genova sotto l'attenta regia di Marco Sciaccaluga e con una strepitosa Mariangela Melato. La vicenda è incentrata sulle vicende di Anna Fierling, soprannominata Madre Courage, vivandiera dell'esercito (non di uno in particolare, ma di quello in cui le capita di imbattersi) durante l'infuriare, nel '600, della guerra dei trent'anni. Courage compra ogni genere di merce, dalla vodka alle coperte, per poi rivenderla a soldati ed ufficiali come a civili: è la sua unica fonte di sostentamento per mantenere se stessa ed i figli Eilif e Schweizerkas e la figlia Kattrin, muta. Approfittatrice della miseria che si lascia dietro la guerra, Courage ne è insieme vittima in prima persona: nel corso del dramma perderà prima il figlio Schweizerkas, onesto e zelante, che viene fucilato per non aver rivelato dove ha nascosto la cassa del reggimento con le paghe dei soldati a lui affidata, poi toccherà al figlio maggiore Eilif, reclutato contro il volere della madre ed autore di feroci "prodezze" di guerra, finché non "ne compie una di troppo"; infine la muta Kattrin, freddata mentre cerca di avvertire gli abitanti di una vicina città dell'attacco notturno che sta per essere sferrato. Madre Courage resta completamente sola a trainare il suo carro, ormai ridotto a una carcassa, e si allontana faticosamente tra la neve , con in testa il berretto da aviatore che ormai non è altro che un drammatico segno della sua disfatta.

Il personaggio di Madre Courage era stato concepito da Brecht come ammonimento a chi si arricchisce con la guerra e ne raccoglie alla fine un'amara messe. Un personaggio quindi completamente negativo. Ma le disgrazie che costellano il suo incessante e faticoso pellegrinaggio, la fame che la spinge ad atti a volte cinici (rifiuta la merce ai disperati, se non possono pagare, come il soldato che ha bisogno di bere acquavite per scaldarsi ma non ha "fatto in tempo a partecipare al saccheggio della città", o come i contadini feriti, con la casa in fiamme, a cui lei rifiuta di dare le bende ricavabili dalle camicie per ufficiali che ha nel carro e che le vengono sottratte con la minaccia dalla figlia; non rimprovera il figlio Eilif di aver ucciso e scannato, ma di non essersi comportato con prudenza), non riescono ad alienarle la simpatia del pubblico. Questo grazie alla magistrale interpretazione di Mariangela Melato ed alla scelta registica consueta di non incatenare la recitazione della protagonista nello "straniamento brechtiano", consistente in un'interpretazione fredda e distaccata che non colpisca l'emotività e la sensibilità del pubblico ma solo la sua ragione, ma di lasciare invece che il personaggio viva intensamente sul palcoscenico, con tutte le sue contraddizioni. Il vero bersaglio del dramma si scopre presto essere la guerra: è la guerra a traviare gli uomini, spiega il cappellano, dopo l'aggressione subita da Kattrin. Eilif, da ragazzo spensierato, diventa un macellaio, soggetto alle assurde regole della guerra, per cui la stessa impresa che gli ha fruttato onorificenze e un posto alla tavola del generale, cioè massacrare contadini, in una breve tregua del conflitto diventa un atto criminale e gli costa la vita; Yvette, innamoratasi di un soldato nemico, ne viene sedotta e abbandonata, diventando una prostituta sifilitica, "arruolata" anch'essa nell'esercito, come racconta nella "canzone della fraternizzazione", uno dei momenti più lirici della pièce. Il cappellano, nonostante rimproveri Madre Courage, prima di sparire di scena per accompagnare Eilif al patibolo, di essere "una iena dei campi di battaglia" e di campare sulla guerra fino al punto di "sputare sulla pace", nella scena precedente l'aveva rassicurata che la guerra non sarebbe mai finita e così nemmeno i loro affari; inoltre egli fa la sua prima comparsa accanto ad un generale, ad ingozzarsi in un'osteria e a definire la guerra in corso "santa" in quanto combattuta sotto il pretesto di convertire i cattolici. Premesso questo, è chiaramente provocatoria l'apologia che della guerra si fa nella prima scena, messa in bocca ad un reclutatore e ad un sergente che si tiene nelle retrovie e manda avanti quella "carne da macello" che strappa anche a Madre Courage nei panni del primogenito Eilif: "La pace è solo casino, e solo la guerra fa ordine. In tempo di pace l'umanità cresce come la gramigna. Uomini e bestie figliano come porci, senza neppure badarci. Tutti si ingozzano con quel che più gli piace, un bel pezzo dio formaggio sul pane e poi una fetta di lardo sul formaggio! Quanti sono i giovani e i ronzini ancora in forze in questa città nessuno lo sa, perché nessuno li ha contati. Io ho girato certi posti dove non c'era stata la guerra da almeno settant'anni e la gente si era addirittura dimenticata il proprio nome. Non sapeva più chi era. Solo quando c'è la guerra ci sono liste e registri ordinati, le scarpe arrivano a pacchi, il pane nei sacchi e uomini e bestie vengono contati con precisione e poi messi ognuno al suo posto. Perché lo sanno tutti: senza ordine niente guerra!" e ancora "Come tutte le cose buone, anche la guerra all'inizio è difficile. Ma una volta impiantata mette radici solide. Allora alla gente viene fifa della pace." Il discorso del sergente costituisce, inconsapevolmente allo stesso Brecht (l'opera fu scritta tra il 1938 e il 1939), una macabra anticipazione delle "liste" e dell' "ordine" che regoleranno i campi di sterminio nazista di lì a pochi anni, mentre fa intravedere un'utopia di società umana così paga di sé che ogni uomo dimentica il proprio nome, prefigurazione dell'avvento del comunismo, della cancellazione dell'individualismo al punto che viene eliminato anche l'ultimo grumo di distinzione fra gli uomini, il nome. Ma la tirata del sergente prepara anche l'ingresso di Madre Courage e dei figli. In effetti per i protagonisti la guerra è fonte di reddito, quindi la pace, paradossalmente, rappresenta una minaccia: nella scena ottava il repentino "scoppio della pace" si profila come una catastrofe per gli affari di Courage; ma per fortuna ad un conflitto ne succede immediatamente un altro: "Cuoco, la pace è finita un'altra volta! [..] Dio sia ringraziato!" . Madre Courage è tratteggiata da Brecht come una commerciante senza scrupoli e, insieme, come una madre che ama i figli ed è disposta a tutto per difenderli, fino a spingersi ad uccidere, se necessario, come una leonessa per i suoi piccoli (arriva a puntare alla gola del sergente che, nella prima scena, riuscirà comunque a portarle via il figlio maggiore Eilif per reclutarlo nelle file dell'esercito); e la guerra, che le è redditizia, la colpisce però proprio in ciò che più le sta a cuore, i figli, dato che "Chi sulla guerra vuole campare/ Qualcosa in cambio deve pur dare": la morte di Schweizerkas prima, poi quella di Eilif, che per la madre, pietosamente tenuta all'oscuro, rimarrà un disperso, inframezzate dall'orribile aggressione che sfigura Kattrin, infrangendo ogni sogno di lei di sposarsi ed avere dei bambini, fino all'uccisione della ragazza. E del resto il continuo il continuo girovagare per vendere la propria mercanzia, esposti ai pericoli dei campi di battaglia, ricoperti di pidocchi, sofferenti dal freddo, la pioggia, non è certo la realizzazione di un ideale di vita, ma soccombere alla necessità della sopravvivenza: adeguarsi a circostanze inevitabili, insomma. Lo testimonia in silenzio il percorso tracciato sullo sfondo della scena, che zigzaga per mezza Europa, coprendo ben 11351 km. Altra prova del bisogno che ha spinto la donna a servirsi della guerra per vivere si ritrova in ciò che Courage risponde al reclutatore, quando lui la scopre originaria della città di Bamberg: "Non potevo certo starmene comodamente ad aspettare che la guerra arrivasse a Bamberg". Ne è infine aperta dichiarazione la "canzone della Grande Capitolazione" della scena quarta, in cui la protagonista guarda con disincanto alle proprie illusioni giovanili paragonate al presente di fatica e privazioni, con l'amara constatazione che sono i potenti a spuntarla sempre: "Tanti vogliono dar l'assalto al cielo/ E si illudono di cavalcar le stelle. Il più forte vince sempre, volere è potere, di tutto si viene a capo. Ma si accorsero, ammucchiando le montagne/ Quanto pesa anche un semplice cappello": il destino degli umili, insomma, è sempre piegare la testa, anche sotto il peso di "un semplice cappello". Una decisa -decisa, ma soprattutto spontanea: infatti Madre Courage, come nota il cappellano, riesce di solito a mantenersi padrona della situazione e tende a sdrammatizzare qualsiasi cosa le capiti- condanna della guerra per bocca di Madre Courage, in preda al dolore ed all'indignazione, si ha nella scena sesta, quando la figlia le ritorna percossa e sfregiata "Per me di storico c'è soltanto che hanno ferito ad un occhio mia figlia. È già mezza rovinata. Un uomo non lo troverà più e va pazza per i bambini! Ed è solo per colpa della guerra che è muta, perché quando era piccola un soldato le ha infilato un coso in bocca. Schweizerkas non lo rivedrò mai più e chissà dove sia Eilif. Maledetta guerra". Sempre in quest'occasione esce, inoltre, allo scoperto il suo senso di colpa per il fatto di allignare tra coloro che della guerra vivono, a discapito, anche se involontariamente, dei propri affetti: "Ti hanno assalita? Tornando! È stata assalita mentre tornava! E magari è stato quel cavalleggero che si era ubriacato da me!" Ed Eilif le viene strappato con l'inganno, dopo che le minacce dei reclutatori non l'hanno impressionata, proprio perché sanno sfruttare la sua propensione a combinare affari: il sergente la distrae contrattano per una fibbia da cintura, mentre il reclutatore alletta Eilif con prospettive di gloria e saccheggio. Quando Schweizerkas viene catturato dall'esercito nemico in quanto furiere, Courage non esita un attimo e riesce a corrompere l'ufficiale. I soldi per riscattare il figlio li ricaverà dalla cessione del carro e delle sue mercanzie. Che, come le ricorda il pastore, è però la sua unica fonte di sostentamento; così, combattuta tra la prospettiva di morire lei e gli altri di fame e quella di veder fucilato il figlio, tenta disperatamente di trattare sul prezzo della salvezza di lui, finché i suoi tentennamenti non costano la vita a Schweizerkas.

E' la guerra a traviare gli uomini, diceva il cappellano "A casa loro non erano dei violentatori. I colpevoli sono quelli che fanno scoppiare le guerre: tirano fuori il peggio degli uomini": nella battuta del cappellano si adombra la stessa Courage, e il cuoco Lamb, "Pieter Pipetta", che ha rovinato Yvette; e devono essere valutati secondo questo principio anche i contadini che, nella scena undicesima, sembrano più preoccupati per la sorte del bestiame che del nipote (si ripete, con variazione drammatica, quello che era successo per Schweizerkas, l'irresolubile conflitto tra la necessità di sopravvivere e il senso del valore della vita umana) e collaborano con il nemico, cercando di far smettere Kattrin che tambureggia furiosamente per mettere in allarme la città addormentata; arrivano addirittura ad azionare la pompa per coprire il frastuono. Nel contesto della scena l'atteggiamento dei due vecchi contadini appare spregevole: ma essi cercano di salvarsi la vita, ritengono che non ci siano speranze per la città, sono troppo vecchi per correre a dare l'allarme:non sono diversi da Madre Courage, solo che lei è stata vista dal pubblico sotto varie angolazioni, ne è venuta a galla l'umanità repressa.

Un'altra caratteristica saliente del personaggio è il "coraggio", insito nel suo stesso nome, che lei stessa aveva ironicamente spiegato con un paradosso al reclutatore "Mi chiamo Courage perché una volta ebbi una paura così fottuta di finire in miseria, che attraversai Riga sotto le cannonate. Quando le viene portato dinanzi il cadavere crivellato di colpi di Schweizerkas, in una scena livida e tesa, ella ha la forza di contenersi e nega di conoscerlo: deve salvare se stessa, Kattrin e il cappellano, tradirsi equivale a fare la stessa fine del figlio. Il "Courage" è una dote necessaria per sopravvivere: "La povera gente ha bisogno di Courage. Perché è gente disgraziata. Nella loro situazione ne hanno già bisogno al mattino soltanto per alzarsi. E ce ne vuole poi di Courage per arare i campi, in tempo di guerra! E il fatto stesso che mettano la mondo figli dimostra che hanno Courage, perché sono senza speranza. Devono fare l'uno il boia dell'altro e scannarsi a vicenda: di Courage, ne hanno bisogno anche solo per guardarsi in faccia"

Interpretazione memorabile della Melato: intensa, determinata, aggressiva quando è necessario, ma anche fredda e calcolatrice, domina con grinta per tre ore abbondanti il palcoscenico, difendendo fino all'estremo ciò che è suo, con le unghie e con i denti, quando non con un coltello (scena I), sempre presente sulla ribalta, come l'Edipo sofocleo, a lottare per sopravvivere ed assistendo invece alla propria rovina. Straordinaria la gamma vocale che sfodera, dalle sfuriate a piena gola ai figli, che le mettono a repentaglio vita e commercio ai momenti di raccoglimento interiore e malinconia in cui le parole si fanno soffuse, come la "canzone della Grande Capitolazione", dal tono rassicurante con cui cerca di incoraggiare i suoi cari nei momenti difficili allo scoramento della sua voce quando il cuoco le chiede di abbandonare Kattrin per andare a gestire l'osteria di lui, dalla rabbia indignata ed impotente che le vibra tra i denti quando aggrediscono la figlia a certe inflessioni venate di malizia rivolte al cuoco. Alcuni quadri sono indimenticabili: l'accorata ninna nanna che canta al corpo ormai privo di vita di Kattrin adagiato sulla neve, cullandola con splendidi versi in cui la consola che non patirà più fame, freddo e tribolazioni, prima di coprirla con la sua pelliccia spelacchiata e continuare da sola la sua vita errabonda; la diffidenza della commerciante navigata che saggia le monete con i denti prima di dare via la sua merce; la forza che si impone quando le viene portato innanzi il cadavere di Schweizerkas, seduta di spalle al pubblico, lo sguardo basso, incapace di fissare il corpo: con un filo di voce nega di riconoscere il figlio morto, non trasalisce quando questo viene buttato nella fossa comune. E ancora lo slancio affettuoso e protettivo con cui tenta di rincuorare Kattrin per la ferita che la deturperà, la sardonica lettura della sorte al sergente nelle pietre mescolate nell'elmetto di questi, che pesca la pietra nera, premonizione di prossima morte, perché "lei ha la seconda vista", assicura Schweizerkas. A questo proposito, risulta una scelta felice eliminare le battute successive del testo originale, in cui Madre Courage prevedeva la morte di tutti i suoi figli: acquista maggior peso il contrasto tra la (presunta) chiaroveggenza della protagonista e la fatale cecità che la porterà a perdere inevitabilmente tutta la sua famiglia. Particolarmente brillante, nella parte di Kattrin, Arianna Comes, che riesce ad essere molto comunicativa esprimendosi solo con i gesti e la mimica: dolce ed infantile il suo trasporto quando indossa la parrucca e le scarpe rosse con i tacchi a spillo di Yvette, per sentirsi bella e corteggiabile, tendenza che la madre cerca di reprimere, per timore delle aggressioni e delle delusioni che potrebbe subire; e così lei, in nascosto "si esercita" a portare le scarpe con il tacco, camminando in equilibrio precario lungo le rotaie sulla scena. Il suo amore per i bambini, che le fa tanto desiderare la fine della guerra per trovare marito, si manifesta teneramente quando stringe tra le braccia e culla il piccolo che ha salvato dalla casa in fiamme ed è la molla ulteriore che la spinge al gesto di eroismo che le costa la vita. Quando non riesce ad avvertire Schweizerkas della presenza delle spie che lo cercano, si porta le mani al collo, vorrebbe strangolarsi dalla disperazione; quando Courage contratta per la vita del fratello si dispera, corre a rifugiarsi nel carro dopo un'intensa occhiata di rimprovero alla madre. Un cast ben assortito, che sa creare momenti d'emozione: la fessura che Yvette (Frédérique Loliée) si apre davanti agli occhi con due dita quando canta il verso "Dietro al pagliaio con il nemico si fraternizzò" della canzone della fraternizzazione, in cui racconta la storia della sua vita rovinata; il cuoco Lamb (Miodrag KrivoKapic) sottolinea i momenti clue della storia lanciando imprecazioni in Slavo di grande effetto; il cappellano (Ugo Maria Morosi) alterna una grottesca sottomissione a svolgere le umili mansioni al seguito di Courage ed impennate satiriche e liriche (canzone delle Ore).

Il dramma è diviso in scene temporalmente e geograficamente distinte (varie fasi della guerra e diversi accampamenti e campi di battaglia), in polemica con le ormai fruste unità di tempo, luogo ed azione aristoteliche fortemente attaccate dalla poetica brechtiana del "teatro epico". Tempo: la vicenda si dipana dal 1624 al 1636, per un arco temporale di ben dodici anni; luogo: è un continuo vagabondare per città e stati, come racconta il pannello di sfondo, con il tracciato del peregrinare di Courage; azione: la vicenda, sotto il comune denominatore della guerra, è spezzata in vari episodi, negli avvenimenti che si abbattono sulla protagonista e sulla sua famiglia in un crescendo di miseria e di sciagure. Nonostante questa struttura anti-classica il comune, immutabile scenario della guerra, vissuto nelle traversie di Madre Courage, sortisce un effetto unitario: Brecht ambienta la pièce durante la guerra dei trent'anni, combattuta nel '600; ma il dramma è esemplare delle due guerre mondiali e di qualunque altro conflitto. L'allestimento risponde a questa indeterminatezza, con costumi ascrivibili a diverse epoche -gli straccioni non seguono molto i capricci della moda: pezze ai piedi, pantaloni rattoppati, camicioni sformati sono sempre attuali-, a parte alcune eccezioni, come l'abito da prostituita prima e l'elegante completo da colonnella poi indossati da Yvette o le uniformi dei generali, di foggia prima guerra mondiale, con i cappotti ricavati da coperte militari.

La scenografia dello spettacolo è, contemporaneamente, immediata e complessa: la scena è costituita da un teatro sfarzoso ridondante di decorazioni in stucco stile '700, ormai in rovina a causa della guerra: una palla di cannone sfonda il tetto durante una scena, sacchi sono ammucchiati alla rinfusa (viveri? merci?) contro l'ingresso laterale del teatro sulla scena e richiamano metaforicamente un accampamento di fortuna o il bottino di un saccheggio. Ma si percepisce anche un altro tipo di decadenza: dal palco d'onore sporge una trave d'acciaio, poltrone da platea teatrale, consunte in maniera evidente dal tempo e dalle tarme, campeggiano in scena: è un richiamo all'esigenza di rinnovare anche gli spazi scenici, con la creazione di "aree aperte", l'abbattimento della famigerata "quarta parete"? Una metafora del nuovo teatro che cerca di scalzare l'ormai datato ed esausto dramma borghese dalle vecchie sale "storiche" -operazione parallela, anche nella tempistica, a quella di Pirandello in Italia (ed è interessante ricordare che Pirandello si laureò in in filologia proprio in Germania; e là assistette alle messinscene dei principali registi dell'espressionismo tedesco, come Piscator). Questa chiave di lettura della scenografia si intreccia con altre ipotesi e suggestioni. La ripartizione del dramma in scene, con l'eliminazioni di atti che le unifichino, è un'innovazione presente in molti lavori brechtiani: così nello spettacolo ogni scena è introdotta dal narratore, un ragazzo in pantaloni fantasiosi e giubbetto luccicante di motivi floreali, che legge le didascalie introduttive, anticipando ciò che avverrà: eliminare l'effetto sorpresa, il "coup du theatre", è un espediente dell'autore per far concentrare il pubblico sul significato di ciò che vede, più che sul susseguirsi degli eventi. Curiosamente fa eccezione proprio la scena in cui viene usata violenza a Kattrin (introdotta da un ambiguo "Kattrin riceve in regalo le scarpe rosse" , vano tentativo della madre di consolarla) e Madre Courage reagisce con (l'unica) violenta invettiva che rivolge alla guerra: qui l'attenzione deve essere ben desta. L'abbigliamento del presentatore, le canzoni che costellano lo spettacolo conferiscono a quest'ultimo un'atmosfera da avanspettacolo, ribadita da particolari tocchi registici: il microfono utilizzato per le canzoni della fraternizzazione, delle Ore e quella dei grandi uomini della storia, rafforza, con una nota di professionalità, l'aria da cabaret; il gesto brusco con cui il presentatore strappa di mano a Yvette il microfono: il numero di varietà è finito, avanti un altro, mentre lei, imperterrita, si ribella al meccanismo teatrale e continua a raccontare la sua storia in musica. La presenza, come base scenografica, di una scena teatrale rimanda a un continuo gioco di specchi: gli spettatori che assistono alla rappresentazione potrebbero essere a loro volta oggetto di osservazione da parte di chi sta sul palco. Il pubblico impersona l'attore (in senso etimologico), il rappresentante della società malata in cui viviamo, responsabile quindi anche delle vicissiudini di Courage. Inoltre la scenografia vuole essere concreto richiamo per gli spettatori al fatto che ciò a cui assistono è solo finzione, rappresentazione di vicende "verosimili", ma non "vere" e che quindi non va compatita semplicemente Madre Courage, ma tutti i derelitti afflitti dalla guerra, costretti a vendere tutto ciò che possiedono (i clienti di Courage) o a vivere di espedienti e di un antesignano del mercato nero, come la protagonista. La scenografia è quindi una concessione al principio dello "straniamento" del teatro brechtiano, dovendo negargli quello di un'interpretazione distaccata del personaggio principale. E il richiamo, costante a livello scenografico, alla finzione scenica è una precisazione non da poco se si vuole universalizzare la vicenda e "smussarne" gli apici drammatici. Un'esemplificazione concreta è la morte di Kattrin. L'episodio in cui la ragazza salva la città di Halle da un attacco notturno sferrato di sorpresa, percotendo selvaggiamente e testardamente il tamburo, con la mano che continua debolmente a picchiare anche dopo che l'ha colpita la prima pallottola, è bella e commovente: è quasi patetica, ad un pubblico italiano può ricordare la storia della Piccola Vedetta Lombarda deamicisiana. La messinscena (e Brecht con essa) quindi ci avverte: guardate che è una storia verosimile, non necessariamente vera. Non bisogna commuoversi solo per Kattrin e Madre Courage, per le sventure che si sono abbattute su di loro: sono le sventure che sono toccate a una miriade di famiglie, ad interi popoli, e solo per esigenze teatrali il dolore è concentrato tutto su Courage: Madre Courage deve insomma rimanere un esempio. Un'altra suggestione risvegliata dalla "scenografia teatrale": pochi giorni dopo la Prima dello spettacolo ha avuto luogo l'attentato dei terroristi ceceni che hanno occupato un teatro moscovita, con gli esiti drammatici che si sanno. E la cornice del teatro diroccato dalla guerra, con lo sfondo popolato da gente urlante e armi da fuoco spianate, evoca, incidentalmente ma in modo impressionante, il sanguinoso attentato, rafforzando la sensazione dell'universalità del messaggio di condanna della guerra, sotto qualunque forma e per qualunque scopo, che è fulcro della pièce.

La scenografia è articolata in molti dettagli, ma senza risultare ingombrante o eccessiva. Una striscia di binari ferroviari corre parallela al bordo della scena: il contrasto tra la facile locomozione consentita dal treno e il faticoso viaggio in carro (e senza cavallo) di Courage è immediato. La botola al centro della scena risulta funzionale a più usi: è la fossa comune in cui viene gettato Schweizerkas, l'angolo in cui Madre Courage butta via cibarie andate irrimediabilmente a male, rappresenta la casa dei contadini delle ultime scene, che, situata sotto terra, trasmette contemporaneamente il senso di un primordiale bunker in cui essi si siano rifugiati e quello più vasto dell'inferno dell'esistenza, per cui i poveracci emergono dal sottosuolo. L'arrivo impietoso dell'inverno è rappresentato da un telone bianco che scende dall'alto fino a coprire i limiti della ribalta, corredato da ragguagli storici sullo svolgimento della guerra e, soprattutto, sulle terribili condizioni di vita della popolazione; su questo sfondo si muovono nel finale Courage e il cuoco, ridotti ormai all'elemosina, e, bianchi e silenziosi, i soldati che vogliono sferrare l'attacco a Halle. Se sulla sinistra del palcoscenico campeggia un'entrata del teatro, occlusa da sacchi ammassati alla rinfusa, sulla destra c'è l'esterno di una catapecchia, da cui non esce mai nessuno: la guerra rende diffidenti, le porte rimangono chiuse. Sarà aperta soltanto nel finale alle suppliche di Lamb di avere un pasto caldo, quando un piccolo crocifisso montato sull'ingresso le fa assumere l'aspetto di una malridotta parrocchia. La parete di fondo che mappa le peregrinazioni di Courage è a pannelli scorrevoli e fa apparire, per accompagnare le canzoni, un'orchestrina klezmer: anche qui sono sistemate poltrone tarlate che, unite a scale e muretti in pietra appena abbozzati, corredano la scena di un cumulo di macerie. Anche la resa scenica del locale chiuso in cui si è rifugiata Madre Courage durante i funerali del feldmaresciallo è semplice ma d'effetto: il pannello di sfondo con le figure urlanti è calato a strisce alternate, come una tenda a liste, attraverso cui Madre Courage serve da bere ai suoi avventori.

Fondamentale tra gli arredi scenici è il carro: sui lati sono dipinte immagini di soldati che sparano e, come contrappunto, immagini pubblicitarie anni '50-'60 per reclamizzare la mercanzia. Il baldacchino che copre il carro per renderlo abitabile ha la tenda d'ingresso che rappresenta una giovane coppia agghindata a festa, per ricevere i compratori. Il carro è il forziere dei beni di Madre Courage, è il rifugio di Kattrin sconsolata per l'interminabile guerra o ritrosa a mostrarsi in pubblico perché sfigurata. Man mano che il dramma procede, il carro si impoverisce sempre di più: nelle scene finali è ridotto ad un cassone, il pannello con l'insegna "Madre Courage" si è ridimensionato in una rozza scritta pennellata direttamente sul fianco del carro stesso. Nell'episodio che sancisce la separazione da Lamb, Kattrin vi è rinchiusa dentro, per ripararsi dal freddo, come se fosse chiusa in una bara; con la mano tremante di chi si sa prossimo a morire, la ragazza solleva il coperchio per ascoltare la proposta del cuoco ad Anna di abbandonare la figlia ed andare a gestire con lui l'osteria. E tutto il peso, fisico e metaforico, del carro lo si avverte palpabilmente nell'uscita di scena della protagonista, sola alle stanghe, spinta a continuare dall'inesauribile spirito vitale che è tra i suoi connotati principali.

La traduzione, fedele al testo, inserisce espressioni dei nostri giorni nelle battute popolane e sguaiate dei personaggi "bassi", a cominciare da Madre Courage, con risultati di indubbio rinvigorimento del dialogo. La versione dell'opera è così in perfetta sintonia con gli effetti mimetici dell'originale: si pensi alla scena I, in cui il reclutatore si lamenta di veder prendere la fuga ai nuovi coscritti appena finito di rifocillarsi: "Se mi capita di scovarne uno, chiudendo un occhio e fingendo di non accorgermi che ha il petto di pollo e le vene varicose, lo sbronzo subito, in modo che, allegro come un fringuello, si dispone a firmare. Mi rimane soltanto da pagare l'acquavite, ma quello se la fila e io gli corro dietro perché ho un brutto presentimento. Proprio così, è sparito come un pidocchio tra i capelli."

Un allestimento intenso, con una chiusa vagamente profetica ed inquietante, come anche in La resistibile scesa di Arturo Ui: lì si tirava un sospiro di sollievo per il pericolo scongiurato schiacciando il nazismo, "il mostro che stava per distruggere il mondo ma fu fermato dai popoli", con l'ombra della possibilità che l'Orrore si ripeta. Qui con uno splendido versetto del Vangelo di Luca, relativo all'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, quando i farisei lo invitano a zittire i suoi discepoli festanti e il Maestro risponde: "Vi dico che se taceranno costoro, si metteranno a gridare le pietre" : insieme splendida metafora della muta Kattrin, considerata, famiglia a parte, un essere umano di serie B perché storpia (molte volte viene apostrofata "bestiolina", più o meno amorevolmente, come quando la madre la rimprovera perché mugola come un cane) e che diventa nel finale una delle pietre miracolose del Vangelo e, muta, sa farsi sentire più di chi può parlare. E si può, forse, leggere in questo riferimento evangelico anche un messaggio di speranza: le voci contro la guerra -la voce di Kattrin, quella di Courage a volte, quella di Brecht sempre- non si estingueranno mai: piuttosto grideranno le pietre dei campi di battaglia.

Irene Liconte