Teatro, di tutto, di più

KITCHEN

Di Banana Yoshimoto

"Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina": è l’incipit di Kitchen, romanzo d’esordio dell’autrice giapponese Banana Yoshimoto. Cucina, luogo di relegazione femminile per antonomasia, e Giappone, paese tradizionalmente maschilista: gli indizi per indovinare la storia di una moderna Madama Butterfly –magari con la novità di un seduttore non necessariamente americano- ci sono. Ed invece la Yoshimoto ribalta questi presupposti: la cucina, che dalle prime pagine si svela entità ben diversa da un assembramento di mobili ed elettrodomestici, è il perno della conquista dell’indipendenza e del passaggio all’età adulta per la giovane Mikage, che intraprende la carriera di cuoca professionista (a sfatare, tra l’altro, lo stereotipo secondo cui i grandi chef sarebbero, immancabilmente, solo uomini). La protagonista, rimasta sola al mondo, prende faticosamente in mano la propria vita, mette in discussione le scelte fatte –l’università-, per seguire una vocazione scoperta in sé gradualmente, dalle colazioni preparate per i Tanabe, la sua famiglia d’adozione, all’accanito interesse per le trasmissioni TV dedicate alla culinaria ed ai relativi, non sempre felici, esperimenti gastronomici. L’autrice riesce, con grazia e naturalezza, ad abbinare la funzione "propulsiva" e quella "atavica" della cucina, simbolo del nucleo familiare. La cucina è l’evoluzione del fuoco attorno a cui si stringevano e cuocevano i cibi gli uomini primitivi, è la versione moderna del "megaron" miceneo, dove si accoglievano gli ospiti (e, infatti, Mikage, a casa dei Tanabe, dorme su un divano vicino a frigo e fornelli): "Perché amo quanto ha a che fare con la cucina fino a questo punto? È strano. Per me è come ritrovare un’aspirazione lontana, incisa nella memoria dello spirito." È il focolare domestico. Consumare i pasti diventa un rituale di comunità, una sorta di calumet della pace, però ben più pregnante, in quanto non episodico, ma quotidiano. Tutti i dialoghi e i momenti importanti della storia si svolgono, anche nelle circostanze più bizzarre, davanti a piatti invitanti e tazze di tè, dall’incontro in sogno di Mikage e Yuichi, tramutato poi in reale spuntino notturno, alla decisione di Mikage di chiarire il suo rapporto con Yuichi, introducendosi in piena notte, con una cena da asporto, nella stanza d’albergo di lui. Non a caso il glossarietto che completa il romanzo riporta quasi esclusivamente termini culinari: a parte l’appesantimento che le relative perifrasi avrebbero determinato nel testo, tradurre questi suoni giapponesi ne avrebbe cancellato l’evocatività, la valenza un po’ magica che la Yoshimoto ha consegnato loro.

Tornando al cammino di maturazione di Mikage, esso ha fin dall’inizio, una connotazione di "fuga": la sua è una tendenza all’autarchia, più che all’autonomia. La causa è lo shock della perdita. Ecco Mikage, morta da poco la nonna, l’unica familiare che le rimanesse: "Essere rimasta io sola in questa casa dove sono cresciuta, mentre il tempo continua a scorrere regolare, mi sconvolge. È pura fantascienza. Le tenebre del cosmo." Il terrore di soffrire ancora, la difficoltà di capire gli altri ("Ognuno è solo se stesso, purtroppo") e, addirittura, se stessi ("Mi era ingrata anche la mia figura che percorreva le strade come quelle di qualsiasi altro passante notturno senza rivelare lo scompiglio che avevo dentro"), la inducono a ritrarsi, ad ignorare l’amore di Yuichi. All’opposto, tale "shock" la riavvicina a lui, quando egli è sconvolto dalla morte della madre Eriko. La completa maturazione dell’adolescente in donna si ha proprio con la scoperta della possibilità di un equilibrio. In questo senso Eriko, la bellissima madre di Yuichi, (in realtà suo padre, divenuto donna dopo esser rimasto vedovo con il bambino piccolo), per Mikage rappresenta la dimostrazione vivente del bastare a se stessi, del racchiudere in un’unica persona l’universo maschile e quello femminile. Dopo la morte di Eriko, però, anche questa visione si modifica: affiora il ricordo della confidenza di Eriko circa la morte della moglie, un dolore così disperato da indurlo a "trasformarsi in lei, nella madre di Yuichi, per impedirle, forse, di morire del tutto.

Avvincente la scrittura di questa giovane autrice, il cui stile punta sulla disinvolta abiura del "logico" –illogici sono il cambiamento di sesso e la morte di Eriko, intessuti di illogicità risultano spesso anche i dialoghi- come opposizione emotiva al mondo razionale del pensiero maschile. Affascinante e coinvolgente anche la descrizione degli stati d’animo come getti diretti dell’essere, non mediati dalla psicologia: ne deriva una trama esile e stimolante, frammentata ed insieme rinsaldata dai pensieri e dalle sensazioni della protagonista. E come sfondo una Tokyo notturna illuminata dai fiumi luminosi delle macchine e dai barbagli delle insegne, sotto uno splendido cielo stellato e una luna bella come una perla.