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ANNO 2000: CENTENARIO DELLA NASCITA DI EDUARDO, DECENNALE DELLA MORTE DI PERTINI



I1900-2000: cento anni fa, il 24 maggio, nasceva a Napoli Eduardo De Filippo, uno dei più grandi drammaturghi ed attori del '900. 24 Febbraio 1990: muore Sandro Pertini. In questo primo anno del nuovo millennio, ricorre il centenario della nascita dell'uno, il decennale della morte dell'altro. E' un incrocio di date, di ricorrenze, quasi cabalistico. E non finisce qui: il 25 settembre del 1981 Pertini varca la soglia degli 85 anni, il giorno successivo, 26 settembre 1981, il presidente della repubblica nomina Eduardo senatore a vita "per altissimi meriti nel campo artistico e letterario", ad occupare il seggio che era stato di Eugenio Montale, da poco deceduto. La nomina fece scalpore: era la prima volta che un uomo di teatro riceveva una simile onorificenza (si pensi allo "stupore", se non alle polemiche, per il conferimento del Nobel a Dario Fo nel 1998), la prima volta che il mondo politico incontrava il teatro: molti quotidiani, allora, titolarono "Eduardo va in scena a Palazzo Madama". Lo stesso Eduardo confessò di aver avuto delle remore ad accettare, lui che aveva preso chiara posizione contro la demagogia della politica in "Il figlio di Pulcinella" (1962), e nel film "Ferdinando I, il re di Napoli" (1959) aveva interpretato un Pulcinella nemico dell'oppressione del potere. Davvero, anche per Eduardo, "Gli esami non finiscono mai"! (1973, sua ultima commedia), opera esemplare che trascorre sull'intera esistenza del protagonista, dalle speranze giovanili, alle amare disillusioni della maturità, all'anticipata, grottesca "rappresentazione del proprio funerale" (Eduardo morirà nel 1984). In questa circostanza, però, "l'esame" ha esito positivo: Eduardo accetta, per avere "la soddisfazione di poter offrire qualcosa a Napoli, al teatro, agli attori, agli autori, agli scrittori", ma anche "giacché mi lusingo d'essere amico di Pertini, il quale mi ha dimostrato molte volte la sua simpatia e devo dire, addirittura, affetto, stima". Un'amicizia contratta in tarda età: eppure un filo ben più datato e tenace sembra unire i percorsi della vita di questi due uomini di tanto raro calibro che fecero il nostro '900 -e viene da dire, con il Manzoni "Né sa quando una simile orma di piè mortale la sua [..] polvere a calpestar verrà", in questo inizio millennio che ci coglie in piena crisi di ideali politici e morali.
Due passioni coltivate, anzi radicate, fin da giovanissimi: Eduardo esordisce nella compagnia paterna di Vincenzo Scarpetta a 4 anni, per adattarsi poi a ricoprire, in un lungo tirocinio, ogni ruolo attinente il teatro, da comparsa a suggeritore, da trovarobe a trascrittore di copioni, per acquisire i segreti più riposti e sottili dell'arte dell'attore. Sandro Pertini da Stella (SV) si iscrive, poco più che ventenne, al P.S.I., più un credo che una fazione politica: "Il mio partito è [..] la mia casa, la mia famiglia, la ragione prima della mia esistenza [..] e fa parte della mia stessa anima". Sono gli anni '20: Eduardo scrive le prime commedie ed atti unici, Pertini prende ferma posizione di fronte all'assassinio Matteotti (1924), chiede il tesseramento nel Partito Socialista Unitario scisso da questi dal P.S.I.. Entrambi attivi negli anni del fascismo: Eduardo non si crogiola nella continuazione della tradizione teatrale paterna, modellata sull'acquisizione nella commedia napoletana dei vaudevilles francesi, e fonda la compagnia del "Teatro Umoristico i De Filippo" con i fratelli Titina e Peppino (1931), che debutterà con successo in "Natale in casa Cupiello", primo grande capolavoro. Per Pertini sarà un decennio tormentato, una successione di condanne e fughe, l'attività nelle file della Resistenza, anni illustrati in "Sei condanne, due evasioni", testo autobiografico su quegli anni. Ed ancora, teatro e politica si intrecciano: il processo di Savona del '27, indetto, tra gli altri, contro Pertini per espatrio clandestino (il futuro presidente aveva scortato Turati in Francia) diventa fulcro drammatico dell'omonimo dramma di Vico Faggi, allestito allo Stabile di Genova nel 1965. L'esperienza della guerra è vissuta in maniera angosciosa anche da Eduardo, che, separatosi dal fratello Peppino, dirige, con la sorella, la compagnia del "Teatro di Eduardo": "Napoli milionaria" debutta il 25 marzo 1945 al S. Carlo di Napoli. La follia e la perversità della guerra è dipinta esemplarmente da Gennaro Jovine, reduce che ritorna in una città traumatizzata da una guerra che vuole dimenticare e che pure le ha insegnato, per dura legge di sopravvivenza, che "homo homini lupus", che il disordine imperante può sostentare l'esistenza tramite il mercato nero, i furti di automobili. In un ulteriore intreccio vita-scena, l'attaccamento del protagonista alla sua città si riverbera nella "impossibilità [..] ad accomodarsi alla vita incolore dell'esilio", con cui Vera Modigliani commenta il soggiorno in Francia di Pertini. La pièce -non la versione cinematografica- costituisce comunque una svolta drammaturgica: Eduardo stesso aveva preannunciato nell'intervallo della prima: "Questo primo atto umoristico è legato al vecchio teatro fatto finora. Dal secondo atto nasce il mio nuovo teatro". E' così che con "Napoli milionaria" alla "Cantata dei giorni pari" succede la "Cantata dei giorni dispari": "I giorni pari erano quelli che credevamo sereni. Li credevamo, era un'illusione". Ora la fiducia si è assotigliata, scemerà ancora; la battuta conclusiva della pièce nel 1945: "Ama', ha da passà a nuttata", nel 1977, a Spoleto, in una riedizione in veste di opera lirica, diventa: "La guerra non è finita! Non è finito niente!". Le commedie successive -"Questi fantasmi!" (1946), "Filumena Marturano" (1946), "Le voci di dentro" (1948), "La grande magia" (1949), per citare le più note- accentuano il senso doloroso dell'acuta crisi di una società fondata non più su valori, nemica dell'individuo che si accanisca a difenderli tenacemente o a custodirli rassegnato in sé, in quel microcosmo sociale della famiglia che, a scala minore, ben rappresenta tale dissidio, fino all'amarezza beffarda di "Gli esami non finiscono mai", dove la speranza è ormai relegata solo nel nome del protagonista, Guglielmo Speranza, appunto. Non si affievolirono mai, però, il rigore morale, pur temperato dall'umana compassione -"De Pretore Vincenzo" (1957)-, il senso della giustizia: in "Napoli milionaria", nel celebre dialogo con il brigadiere Ciappa, Gennaro condanna " 'o mariuolo", anche se si tratta di suo figlio, fa una dura reprimenda sulla disonestà e la degradazione morale, respinge con orgoglio il luogo comune che le relega a Napoli. Ne "Il sindaco del rione sanità" (1960) Antonio Barracano è una specie di boss di quartiere, votato a mantenerne l'ordine, con mezzi non sempre legali, ma con buonsenso ed autorevolezza; perché se "le leggi sono fatte bene, sono gli uomini che si mangiano fra di loro". E se Don Antonio si fa promettere di non denunciare il proprio assassino, il suo "alter ego" drammaturgico Fabio della Ragiona, si ribella a questa generosa omertà: lo spirito di denuncia, l'invocazione della legalità impellono, scindono l'autore in due personaggi. E Forse in questa svolta della creatività di Eduardo, dal dopoguerra in poi, si può cogliere la divergenza delle esperienze dei due uomini: il teatro eduardiano si fa sempre più amaro, sbocca nel silenzio di Zi' Nicola, che si esprime solo con i botti dei fuochi d'artificio ("Le voci di dentro"). Per contro, si afferma l'energia di Pertini nella ricostruzione dell'Italia, nella riorganizzazione delle file P.S.I. In comune, sempre, gli stessi ideali di rigore morale e giustizia: durante il 35° Congresso Nazionale dei Socialisti, Pertini esortava: "Noi socialisti dobbiamo dare l'esempio di onestà e rettitudine. Soprattutto se andrete al governo, dovrete ricordare questo: essere intransigenti prima verso noi stessi [..]". Quando nel '68 la Camera respingeva la proposta di un'inchiesta parlamentare sul servizio segreto di controspionaggio, i socialisti votarono la fiducia, ma Pertini votò contro "Si tratta di un caso di coscienza", commentava con amarezza e scriveva "Spesso vengo preso dal desiderio di piantare tutto e di ritirarmi a vita privata." Nonostante l'amarezza comune, né l'uno né l'altro hanno però mai rinunciato alla lotta, ideologica ed attiva: Pertini nel 1978 divenne presidente della repubblica, anzi, presidente degli Italiani, amato da quel popolo sofferente, afflitto dai problemi eppure speranzoso che incarnano i Napoletani nei drammi di Eduardo, in barba all'ottusità di chi vi vuole leggere solo "commedie dialettali" e non capolavori di respiro ben più ampio. E il neo-senatore si pose come primo obiettivo quello di intervenire a favore dei terremotati dell'Irpinia. Nonostante la diffidenza di Eduardo ad affidare le sue opere teatrali ai mezzi televisivi, per la mancanza del rapporto diretto con il pubblico, non c'è maniera migliore di commemorarlo che assistere in TV ad una delle sue "cantate", con un sospiro di sollievo che il suo volto scavato, l'espressività di ogni sua ruga, la passione che brillava nei suoi occhi sulla scena non siano morte con lui.

Irene Liconte