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Copi




L'atto unico Il frigo e La donna seduta in scena al Duse (24/10-12/11)

IL TEATRO DELL'ASSURDO ALL'ARGENTINA


Abbagliato dai flash della passata giovinezza, un travestito di mezza età medita di suicidarsi chiudendosi nel frigo che la madre gli ha fatto recapitare in salotto; una donna senza nome è condannata dall'autore a vivere su una sedia, dove assiste ad una sfilata di creature fantastiche e di visite sconclusionate: Alfredo Arias e Marilù Marini si avvicendano, rispettivamente nei due atti unici, nella parte del/la protagonista, "Lui" e "Lei", e nel corteo, umano e animale, che ne accentua la solitudine.
Si tratta di un originale allestimento, per la regia dello stesso Arias, de Il frigo e di un effervescente adattamento teatrale delle strisce de La signora seduta con cui Copi -al secolo Raul Damonte- s'impose nel campo della vignettistica. Nella prima parte campeggia la solitudine e la disperata ricerca d'amore di un travestito, disprezzato dalla madre, ormai lontano dalla ribalta delle passerelle, che si fidanza con un topo, per poi chiudersi nel frigo-bara. La dimensione di teatro dell'assurdo esplode poi nella figura della donna che trascorre la sua esistenza incollata a una sedia - il pensiero corre immediatamente alla buca in cui è intrappolata Winnie di Beckett in Giorni felici-, che viene divorata da un boa, lasciando sulla scena il trionfo della morte.
Uno spettacolo vivace, contrassegnato dall'umorismo graffiante dell'autore, dalla sua ossessiva e morbosa, ma anche- e volutamente- insolente, provocatoria esibizione del sesso per scandalizzare la società benpensante, fino ai limiti di un ricercato cattivo gusto. Provocazione a parte -il thè allungato con sperma-, il sesso è vissuto in maniera dolorosa, seppure smorzata dal grottesco, dal ridicolo del paradosso: Lui è stato sodomizzato dal padre, che ha poi colpito con i tacchi a spillo e strangolato con le calze di seta; la madre dilapida il patrimonio di Lui per pagare le rate del suo gigolò, è ubriaca e delirante per i "negroni" -con voluta ambiguità tra alcolismo e sesso sfrenato con extra-comunitari.- Il sesso è violenza, crudezza: Lui viene violentato dal marito della portinaia, le pratiche sadomasochistiche sono solo fonte di sofferenza. In un mondo paradossale com'è quello, tutto interiore, creato da Copi, la donna seduta ripudia il marito (?) violentato, perché divenuto "frocio", mentre la sua femminilità non sarebbe comunque stata intaccata dalla violenza sessuale. E' l'anarchia totale: una folla di animali variopinti, nei fantasiosi costumi ideati da Francoise Tournafond, spesso mossi da appetiti sessuali distorti - ma, fin dal '500, il Ruzante non insinuava già nel nome rapporti tra contadini ed animali?- entra nel mondo umano: formiche, "tirchie come nessuno!", che fanno regolare il traffico a Lei, le cui sanzioni consistono nel calpestare gli insetti insubordinati; il boa che si accorda con la donna sui pasti e poi la inghiotte, come pianta velenosa; la lumaca, troppo lenta per sfuggirle, su cui ella riversa la propria infelicità. E il topo "con gli occhi azzurri", prima selvaggiamente bastonato, poi amato dal protagonista de Il frigo: la vita è crudeltà, su cui rifarsi con crudeltà. La stola penzolante di zampe di volpi, vecchio cimelio di successi passati, è un capo degno di Crudelia Demon, ma il proprietario la difende come una creatura viva dai morsi del topo.
Non pochi gli spunti che apparentano lo spettacolo al teatro dell'assurdo. La segregazione in una stanza e l'agorafobia dei protagonisti si ritrovano costantemente in Pinter, uno dei massimi esponenti attuali del genere: ne Il frigo il protagonista è prigioniero della "maggiordoma" nel proprio attico, Parigi è solo uno sfondo lontano ed invitante; la donna seduta, stanca di essere osservata dal pubblico, rivolge contro di lui sedia e sguardo, lo sbeffeggia, ma presto, terrorizzata dalla platea, distoglie lo sguardo, per ricevere il corteo di visite, come un moderno Prometeo incatenato -questi interni obbligati, al di là dell'estremizzazione che ne fa Eschilo, con il suo protagonista legato alla roccia, non riecheggiano teatro antico, la cui unità di spazio, salvo poche eccezioni, costringeva la scena in un unico luogo ben definito, di solito l'esterno di un palazzo?- La memoria è una nicchia illusoria della mente, ricordi affastellati e contraddittori: la donna dice del marito che è fuggito, poi che si è suicidato, poi questi torna, violentato nel metrò. Il libro di memorie di Lui consiste in scatoloni vuoti, egli si guarda allo specchio frequentemente, interrogativo come la regina di Biancaneve, nel definirsi indossatrice o scrittore. Ecco la crisi d'identità: i personaggi sono senza nome -anche per universalizzare le loro vicende-, la donna seduta ha sollecitato invano più volte per raccomandata l'autore a darle un nome, ne Il frigo il protagonista vuole suicidarsi in maniera originale chiudendosi nel frigo per acquistare spessore agli occhi del mondo, ma ha concorrenza e i giornali a cui comunica la notizia in anteprima non si ricordano delle sue passate grandezze -che siano fittizie?-, nemmeno lui rammenta le proprie generalità. Smarrimento d'identità anche sessuale: il protagonista de Il frigo è definito gay dalla madre, ma la sua carriera d'indossatrice fa pensare più ad un travestito; il frigo è regalo destinato dalla nonna al nipote per la menopausa; la donna seduta riceve avanches lesbiche. Anche la mancanza di una trama, evidente soprattutto ne La donna seduta, dove la derivazione dalle strisce è l'antitesi di uno sviluppo logico dell'azione, è comune all'Assurdo, che attinge materia dalla casuale banalità della vita quotidiana.
Non mancano allusioni a temi tuttora molto attuali: il topo e la sua famiglia sono fuggiti da laboratori di ricerca, sono nascosti nel suo armadio perché profughi male accetti -la xenofobia dei Francesi?-, la madre del protagonista li accetterebbe per sfruttarli come giardinieri. Rapide sferzate, ma potenti. Meritevole di altri esperimenti teatrali la trasposizione del fumetto in sequenze teatrali: la vignettistica, figlia degli anni '60, è un'arte figurativa e linguistica insieme, che ha affascinato la versatilità di molti autori: si pensi a Calvino ed al suo progetto di ricavare dai fumetti un terzo romanzo da affiancare a Il Castello dei destini incrociati e La taverna dei destini incrociati, ispirati alle figure dei tarocchi.
Molte le suggestioni, scenografiche, elaborate da Roberto Plate, e registiche: il "ppprrrrrr" della donna seduta ogni volta che si abbandona nella sua posa annoiata sulla sedia, tic vocale o peto; quest'ultimo nel teatro popolare è indizio di un sano risveglio -Ruzante-, diventa ingrediente grottesco per ridimensionare la tragedia alla meschinità ed al ridicolo della condizione umana in Savinio. Ne Il frigo lo sfondo parigino, attraente, cova l'instabilità nella figura in bilico della Tour Eiffel, nel sole e la luna sproporzionati, surreali; l'altro atto unico ha uno sfondo monotono, tinta unita, con l'eccezione di un'angosciante luna quadrata. Le donne che fanno visita a Lui -la psicanalista, la cameriera, la madre- sono manichini stile figure di De Chirico. Il frigo, che giganteggia nel salone immerso nel buio, ha il macabro aspetto di una bara, ne rivela l'imbottitura quando il protagonista vi entra nel finale. E l'orologio fermo sulle dieci e mezza è simbolo del tentativo di fermare il tempo del protagonista, che lotta con i suoi 50 anni a colpi di lifting? O l'attesa di una faustiana resa dei conti, l'attrazione della dannazione tra vapori inferi, pur sempre preferibile alla condanna all'anonimato, perfino interiore? Ma "i cavalli del tempo" di Marlowe non galoppano, la mezzanotte non arriva mai: la dannazione, più disperata che mai, è già nella vita. Una curiosità: il topo di peluche, unico personaggio non affidato alla recitazione, è un delicato ricordo dell'inseparabile burattino a forma di topo con cui l'autore appariva in una serie di spot TV?
Straordinari entrambi gli interpreti ed ingiustamente spopolata la platea. Da notare l'espressionismo con cui la Marini traduce la fisiognomica caricaturale ed eccessiva del fumetto e così pure la deformazione stridula e gracchiante della voce, con brevi intervalli lirici in cui la parola riacquista la sua naturale dolcezza, nella visione delle farfalle, nel ricordo e nel rimpianto della giovinezza, per inasprirsi di nuovo nella ricerca, presso la Protezione Animali, del "tempochefu", bianco ed intatto come la pagina poetica di Mallarmè.

di Irene Liconte