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Una cantastorie di oggi ci TRASPORTA nel mondo del mito

I MISTERI DI CRETA E IL FASCINO DEL LABIRINTO

"Arma virumque cano" esordiva Virgilio nell’Eneide per introdurre le traversie del suo eroe; Mara Baronti, moderno rapsodo, come Demodoco –colui che mostra alla gente- alla corte dei Feaci ospiti di Ulisse, racconta agli spettatori La storia del labirinto, un avvincente intreccio di miti: il rapimento di Europa, la nascita di Minosse e del regno di Creta, la passione di Pasifae, moglie di Minosse, per il toro e la nascita del Minotauro, la costruzione del labirinto, la storia della nascita di Teseo, del suo arrivo a Creta, dell’amore funesto con Arianna. Si ribalta la consueta figura dell’eroe: l’eroismo diventa una ribellione all’effimera condizione umana, un gesto eclatante per squarciare l’oblio del tempo. L’eroismo comporta crudeltà: come quella di Teseo che abbandona a Nasso Arianna, che lo ha aiutato ad uscire vivo dal labirinto. Lo spettacolo, che ci riporta alle origini del teatro -secondo la tradizione "Eschilo affermava di raccogliere le briciole del banchetto omerico"; le celebrazioni da cui nacquero le feste teatrali ateniesi, a parere di alcuni studiosi, erano rievocazioni delle gesta gloriose di eroi locali- è stato allestito al Teatro della Tosse dal 16 al 19 gennaio. La narratrice, seduta al centro della scena, è circondata da fughe di lenzuola –i meandri del labirinto? Le vele chiare non issate da Teseo vincitore del Minotauro che inducono il padre Egeo a precipitarsi in mare da una rupe? Le vesti che scivolano desolate dal corpo di Arianna, abbandonata su uno scoglio in mezzo al mare?-, mentre la musica coniuga ritmi jazz e tribali. Un proiettore impazzito ci risucchia nei secoli come una macchina del tempo, sboccia sulla parete di fondo la pianta del labirinto … o i tasselli della porta per retrocedere nei secoli, fino alla misteriosa civiltà minoica. Il fascino della società cretese, priva di difese contro invasori, priva di templi svettanti, emerge prepotente: la filosofia della z w h (zoè), cioè del perpetuarsi della vita dell’universo oltre le esistenze individuali -gli stessi re si immolano volontariamente dopo nove anni di regno-, il culto per la vita nel suo complesso, il divino presente in mezzo all’uomo. Un modo di sentire che stride pesantemente con il disperato attaccamento alla fuggevolezza della vita dei popoli Dori che conquistano la Grecia, la b i o ò (bìos), l’esistenza del singolo uomo destinata a spegnersi presto in un’ombra depersonalizzata, confinata nell’Ade: "Gli uomini sono come le foglie", canta Mimnermo.

"Forse è un segno vero della vita:/ intorno a me fanciulli con leggeri/ moti del capo danzano in un gioco/ di cadenze e di voci": è Salvatore Quasimodo incantato dalla levità misteriosa della danza. A Creta una complicata successione di passi di danza, il labirinto (ancora non trasformato in edificio), esplorava i segreti della vita e della morte, consentiva il passaggio ad una dimensione superiore a quella terrena. Ne era era provetta esecutrice Arianna, figlia di Minosse: la eseguiva non per un gruppo di iniziati -come sarà poi per i misteri eleusini e quelli orfici-, ma per tutti i Cretesi. E vigeva la serena accettazione dei cicli vitali, gestiti da una triade divina femminile, dalla nascita, alla perpetuazione dell’essere, alla morte. La dea del trapasso, ci racconta la Baronti, sarà relegata dai Greci ai limiti del mondo conosciuto, resa inerme -si pensi alle Graie, le tre vecchie dee con un solo occhio e un solo dente in comune; o al terrore sacro che avvolgeva le Parche, specie Atropo, dea della morte, e gli inganni tramati per modificare le loro orditure dei destini umani, come la frode attuata da Apollo per salvare Admeto dalla morte in giovane età.- Ma nonostante "l’esilio", la dea sarà perseguitata: Medusa uccisa da Perseo, l’idra di Lerna, custode dell’Ade, debellata da Eracle. Ed affiora una lettura moderna dell’antico: i "mostri" non sono tali, sono forse manifestazioni di una contaminazione uomo-natura che rientra nello spirito dell’universo. Così il Minotauro è una povera vittima dei pregiudizi dei Greci, che con quel nome lo irridevano, mentre i Cretesi lo chiamavano Asterios, dio delle stelle. E quando Teseo lo scova nel labirinto in cui è stato segregato, egli dorme "quasi innocente, povero mostro" (*); così come è la pietà che spinge Minosse a non sacrificare lo splendido toro bianco offertogli da Poseidone. Di contro, Eracle, coperto delle vestigia dei mostri uccisi, intriso di sangue, abbrutito da una vita dedicata allo sterminio, è uno spauracchio per i bambini della città di Trezene: lui è diventato un mostro. Un’immagine grottesca e divertita, di sapore moderno, come la reazione esagerata di Poseidone a cui è stata preferita Atena come protettrice dell’Attica: il dio del mare infuria con terremoti e maremoti a non finire: "E perché? Perché le donne avevano diritto al voto e, più numerose degli uomini, avevano decretato la supremazia di una divinità femminile, che però con le arti muliebri poco aveva da spartire, guerriera e nata dalla testa del padre: e le donne persero il voto ed ogni altro diritto." E di gusto quasi dantesco il contrappasso che colpisce Dedalo: assassino del nipote, destinato a superarlo in abilità, scagliato dallo zio giù dalle mura di Atene, "l’artefice" perderà il figlio Icaro in un volo altrettanto devastante. Numerosi gli spunti poetici che costellano il racconto: le vesti di Europa, rapita in mare da Zeus sotto le spoglie di un toro, si gonfiano al vento come vele; le figurine di legno snodate, inventate da Dedalo, dondolano dagli alberi durante le feste, prefigurano il penzolare del corpo inerte di Arianna, impiccatasi nella desolazione di Nasso; solo un nugolo di penne galleggianti sul mare riesce a trovare Dedalo, mentre in voli sempre più bassi e disperati cerca il figlio. E rientriamo nell’indeterminatezza, nella vita che è trasformazione, nelle molteplici versioni della morte di Arianna: impiccatasi a Nasso; trafitta da una freccia di Artemide per ordine di Dioniso, amante tradito; salvata dal dio ed unitasi al suo corteggio, sarà tramutata in pietra in mezzo a un prato dalla testa di Medusa; morta di parto a Cipro; ascesa al cielo nella costellazione della Corona Boreale per opera di Dioniso: "nessuno ebbe tante morti come Arianna". E grazie a lei e a Teseo, che volle danzare i passi del labirinto a Delo, in onore del dio Apollo, anche a noi si è tramandata la possibilità di non soccombere al terrore della morte.

Irene Liconte

(*) Le citazioni dallo spettacolo sono perifrasi delle parole di Mara Baronti –non esiste un testo, come una vera cantastorie il suo racconto nasce ogni sera-