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William Shakespeare

Classica la messinscena di Scaparro del capolavoro shakespeariano al Teatro della Corte fino al 2/12

LA TRAGEDIA RIPROPONE LE INQUIETUDINI DELL’ADOLESCENZA

 

Un allestimento senza sorprese, che mantiene i toni delicati e struggenti della grande tragedia dell’amore di "Giulietta e del suo Romeo", anche grazie alla bella traduzione poetica e sornione, a seconda della necessità., di Masolino D’Amico. Alleggerita dalla presenza di vari personaggi di contorno –i componenti delle "bande" rivali, i servi, gli invitati alla festa dei Capuleti-, la tragedia punta sull’interpretazione dei due giovani protagonisti: un Romeo malinconico ma ribelle, facile preda della scontentezza senza perché dell’adolescenza si innamora di una Giulietta fresca e vivace, sbarazzina nel suo caschetto di ricci. Particolarmente felici alcune intuizioni registiche: la scena del risveglio dei due innamorati dalla loro prima notte li vede "ruzzare" sul pavimento come cuccioli, si sorride -e ci si ricorda- della loro giovane età, travolta dall’ottuso odio degli adulti. La stessa giocosità infantile trasposta nell’amore è anche nei "bacetti" a fior di labbra scambiati prima della partenza di Romeo per Mantova. Impressiona diversamente "l’altro risveglio", quello di Giulietta nella cripta funeraria dei Capuleti: ella apre gli occhi mentre Romeo scivola morto lasciando abbandonata la mano nella sua, sembra quasi che la vita passi dall’uno all’altro. È una potente rappresentazione del loro destino: non possono vivere che l’uno o l’altra, o nessuno dei due. Le battute dei due amanti in punto di morte sono tagliate e -relativamente ai tempi di recitazione- accelerate: questo contribuisce alla subitanea, terribile consumazione del dramma, rinunciando però a qualche suggestione poetica: lo smarrimento di Giulietta che, risvegliandosi, non realizza subito dove si trova, smarrita; la battuta in cui si dispera perché il corpo di Romeo è ancora caldo, pregna della disperazione per una tragedia evitabile per pochi secondi. Qualche altro snellimento non consente la comprensione di alcuni dettagli, che però incidono pesantemente sugli eventi, a chi già non conosca il testo: non si specifica che Tebaldo è nipote di donna Capuleti fino a quando non è pianto morto, togliendo forza alle offerte di pace di Romeo prima della morte di Mercuzio; il principe, intervenuto dopo il duello, allude alla propria stirpe colpita dall’odio delle due famiglie rivali, ma non dice che Mercuzio era suo parente.

A parte i personaggi principali –ottima la caratterizzazione di Mercuzio, che "miagola" il nome di Romeo nascosto nel giardino dei Capuleti, con richiamo buffonesco agli Aristogatti, introducendo uno spicchio di oggi nella Verona ‘500esca-, spiccano letture interessanti di tre personaggi: il padre di Giulietta, la madre di lei e Frate Lorenzo. Quest’ultimo, viene ribadito più volte, ha fama di uomo saggio in tutta Verona; alla sua filosofia alludono i due protagonisti, entrambi si affidano al suo aiuto. Il frate incarna la razionalità che tenta -e s’illude- di condurre i casi umani, mentre l’imprevisto è sempre in agguato per mutare i destini dei mortali. Le oscure forze superiori che soppiantano la ragione avranno ben altro sviluppo nelle opere della maturità dell’autore –si pensi alle streghe di "Macbeth" e agli spettri dell’Amleto-, ma compaiono già qui: in questo senso, la mancata apparizione di frate Lorenzo nella cripta per portare via Giulietta, che si conclude in una precipitosa fuga in preda al panico -"Vieni via, Giulietta! Non posso più restare! "-, priva di questa connotazione non secondaria la tragedia, anche se concentra l’attenzione sulla morte dei due innamorati, eliminando ogni elemento estraneo (un po’ come il corpo di Paride scostato a lato da Romeo e ricoperto di un mantello: nel finale non devono esserci che Romeo e Giulietta). Altra caratterizzazione da notare è quella di Capuleti: fin dall’inizio, quando parla a Paride come un padre benevolo che non forzerebbe la figlia al matrimonio, e per tutto il dipanarsi della vicenda, egli ostenta un’aria sicura, una calma da dominatore, non scalfita dagli eventi. Quando, durante la festa, intima a Tebaldo di non attaccar briga con Romeo, addirittura lo caccia (aggiunta registica), gli chiede imperiosamente "Il padrone, qui, sono io o sei tu?". Alla fine, passato il momento della violenza psicologica della figlia e del dolore per la prematura morte di colei che il giorno prima voleva disconoscere, è un uomo distrutto: è "un povero commediante che si pavoneggia e si dimena per un’ora sulla scena e poi cade nell’oblio: la storia racccontata da un idiota, piena di frastuono e di foga, e che non significa nulla" (Macbeth, atto V). Infine, donna Capuleti: il personaggio delle pagine shakespeariane è accentuato dai costumi: nella sua casa veste sempre una camicia da notte, che ricorda lo scopo di "concepimento" a cui erano devolute le donne (in apertura di dramma, Paride aveva fatto presente al padre di Giulietta che molte, alla sua età, erano già madri), con il risultato di un rapido sfiorire: "Ma appassiscono presto", commenta Capuleti.

La scenografia è estremamente semplice e non manca di evocatività: è un muro, opportunamente crepato, simbolo concreto dell’odio tra le due famiglie; il simbolo può estendersi ad ogni discordia tra gli uomini, potrebbe essere il muro di Berlino che tanto sconsolatamente ha comunque riconosciuto una spettatrice. Ricorda il muro crudele, che non si commuoveva alle lacrime dei due amanti, di Piramo e Tisbe, il precedente mitico della storia di Giulietta e Romeo. Ed è funzionale alle varie scene: "interpreta" le mura cittadine, sia di Verona, che di Mantova; il muro del giardino dei Capuleti scavalcato da Romeo; squarciato in due diventa il palazzo dei Capuleti, la cripta che accoglie i morti della famiglia, la cella di Frate Lorenzo.

Una tragedia ricca di emozioni, come è difficile che non lo sia una lettura fedele di Shakespeare. Una delle tragedie più cupe, secondo alcuni. In realtà, c’è un amore più forte del destino che la intride tutta. E, forse, ricordando Romeo che si strugge per Rosalina e la dimentica al solo vedere la bellezza di Giulietta, ci si può consolare del finale straziante pensando che Shakespeare non credeva alla fedeltà ed unicità dell’amore, soggetto a volubilità: forse, paradossalmente, l’amore di Romeo e Giulietta è diventato paradigmatico proprio perché sono morti giovani.