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Shakespeare




Recensioni della stagione 1999-2000
Elio De Capitani regista e protagonista dà voce ai popolani di Shakespeare

IN SCENA IL "SOGNO" DEGLI UMILI"


Ha debuttato al Teatro della Corte di Genova Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, per la regia di Elio De Capitani. La trama: si celebrano le nozze di Ippolita e Teseo, duchi di Atene. Ermia, promessa dal padre a Demetrio, ama Lisandro e progetta di fuggire con lui; li insegue nel bosco Demetrio, a sua volta seguito da Elena, innamorata di lui e non corrisposta. Oberon e Titania, sovrani delle fate, sono in lite per un paggio. Per punire Titania, Oberon incarica il folletto Puck di farla innamorare di un animale. Questa vicenda si intreccia con quella di un gruppo di attori improvvisati, servitori di Teseo, che provano un grottesco allestimento della tragedia di Piramo e Tisbe. E' Bottom, capo della combriccola, mutato da Puck in fattezze asinine, ad essere onorato dell'amore di Titania, mentre Puck scombina le coppie di giovani amanti. Alla fine l'ordine naturale delle cose sarà ristabilito, sia nel bosco che ad Atene, dove si svolgerà la farsesca rappresentazione di Bottom e dei suoi compagni.
Luogo dell'azione è una Atene orientaleggiante, scintillante di drappeggi ricamati, turbanti e costumi dalle fogge esotiche, tra cui avanzano, come due sovrani da mille e una notte, Teseo ed Ippolita: il consueto travestimento in principi elisabettiani sfuma nell'indistinto splendore della fiaba. E tra l'oro del drappeggio su cui si apre la scena, riverbero della luce del giorno, del certo e del reale, e il palco argenteo su cui la scalcinata compagnia di Bottom allestisce il dramma di Piramo e Tisbe, campeggia per buona parte della commedia il blu della notte, del regno dei sogni e dell'irrazionale. Campeggia la selva in cui gli amanti si inseguono senza raggiungersi, ingannati dalle loro voci contraffatte da Puck e, ancora di più, dalla mutevolezza delle proprie passioni. Come nella selva ariostesca, il motore è un amore volubile, amore eternato dall'autore qualche anno prima nella sublime passione di Romeo e Giulietta (ma, in fondo, Romeo non si struggeva per Rosalina un istante prima di conoscere Giulietta?)e che ora viene descritto con sorridente ironia. Ironia puntualmente tradotta dalla regia nei concitati ritmi da vaudeville degli inseguimenti degli amanti, con esiti comici sia suggeriti evidentemente dall'originale (si pensi al battibecco tra Ermia ed Elena), sia concepiti dalla regia (Ermia che minaccia Demetrio con uno spillone da capelli). Agli occhi disincantati di un pubblico, sembrano dire Shakespeare e De Capitani, gli innamorati appaiono inevitabilmente ridicoli: non ridano dunque questi ultimi con troppa aristocratica superiorità degli strafalcioni di Bottom e compagni! L'originalità dell'allestimento sta soprattutto, infatti, nel rovesciamento del masque, genere teatrale di corte, in cui l'autore rappresentava sulla scena e celebrava la classe dominante. Qui si impone invece all'attenzione la classe dei "patches", dei pezzenti, delle "schiere di svitati che sgobbano notte e giorno per il pane". I clowns che fanno sganasciare la corte sono innocui, ancora: ci vorrà la rivoluzione francese e la rivisitazione romantica del concetto di popolo perché Edgar Allan Poe concepisca la vendetta di Hop Frog contro il dileggio Regale; ma De Capitani insinua in loro una sfumatura di rivendicazione sociale, dà spessore alla buffoneria dei popolani mettendo loro in bocca le parole "alte" di altri personaggi shakespeariani. Così, nel culmine della buffoneria delle prove teatrali, essi reclamano la propria umanità con le celeberrime parole di Shylock ne Il Mercante di Venezia: "Ma noi ebrei non abbiamo mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni, come voi?". Quando, durante la recita, Ippolita esclama "Quest'uomo mi fa pena", le risate dei cortigiani si interrompono e Bottom, liberatosi dei pacchiani paludamenti da Piramo, riacquista la propria identità, esordendo in un sospeso "O natura ingrata…", prima di proseguire nella recita. E l'ultima battuta di Amleto -E il resto è silenzio- in bocca a Bottom suona metafora perfetta dell'anonimato inesorabile che chiude la faticosa esistenza dei patches, a fronte degli onori militari di Fortebraccio e della fama promessa da Orazio al principe danese. Tutto con levità, siamo lontani dalle dark comedies. Eppure l'atmosfera inquietante in cui viene recitato l'epilogo, il commento musicale cadenzato e sinistro, le luci basse, il tono ambiguo degli auguri di prosperità alla casa dei duchi (la scabbia scongiurata per i discendenti di Teseo cadrà sulla casa dell'"esausto contadino"?) contrastano con la gaia leggerezza dell'intreccio.
Buone le caratterizzazioni degli attori: Ferdinando Bruni offre la sua bella voce profonda all'autorità di Oberon e Teseo, Ida Marinelli il suo fascino a Titania ed Ippolita. Nicola Russo è un Puck giovanile ed irruento, che scivola veloce sulla scena nelle sue scarpe rosse, prestito incantato di altre fiabe, Elio De Capitani dà corpo alla goffaggine ed all'umanità di Bottom, esuberante cuoco aspirante attore, ben supportato, tra gli altri, da un Quince (Luca Toracca) con ambizioni registiche ( e look alla Zeffirelli) e da uno Starveling divenuto sussiegosa e pepata guardarobiera (Corinna Agustoni), mentre nel gruppo dei giovani amanti spicca la vezzosa e incontenibile Ermia di Elena Russo. Fedele alla sobrietà che fu del Globe (e delle moderne tendenze) la scenografia, pochi teli fluttuanti per dipingere il giorno o la notte, dettagli registici di grande suggestione, come la luce dell'alba che fa irruzione in un angolo della scena e Puck che scompare cavalcando la testa d'asino di Bottom, ormai dismessa. Alla forza evocativa della poesia, proclamata nell'Enrico V, viene affidato il compito di immergere lo spettatore nell'incanto della natura, vera protagonista della pièce. Di buon livello la traduzione di Dario Del Corno, versatile nell'alternare i diversi registri stilistici e linguistici, dalla parte popolare, scoppiettante di storpiature lessicali e maliziosi doppi sensi, ai toni ricchi e sognanti della poesia, scanditi da rime negli incantesimi delle fate. Elegante e sobrio l'accompagnamento musicale - che rifugge dagli eccessi che trasformarono, nel '700-'800, la commedia in operetta- dalle note del clarino alla bella voce della fata "Tela di Ragno" che culla i sogni di Titania. Da vedere. In scena al Teatro della Corte fino al 17/10/99.

di Irene Liconte