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Il MERCOSUR avverte Bush che vuole migliori condizioni per il commercio
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dicembre 2000 - Nonostante la decisione del Cile di negoziare accordi commerciali separati con gli Stati Uniti e la pressione nordamericana per una rapida intesa per l'Area del Libero Commercio delle Americhe (ALCA), il Mercato Comune del Sud (MERCOSUR) ha deciso di affrontare la sfida dell'economia mondiale, ha riportato l’agenzia AP.
La decisione è stata adottata al 19° Vertice dei Presidenti del MERCOSUR, che si è tenuto nei giorni 14 e 15 dicembre a Florianápolis, 1.713 Km. a sud di Brasilia.
Per questo sono stati sottoscritti accordi che evitino divisioni a fronte di negoziati con altri paesi, principalmente con gli Stati Uniti, con l'Unione Europea e con gli stati asiatici.
L'iniziale suscettibilità di Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Bolivia per la possibilità che il Cile potesse incorporarsi all'ALCA in forma individuale, ha determinato un cambiamento nell'incontro.
Il Presidente uruguayano, Jorge Batlle, ha affermato che il MERCOSUR deve negoziare direttamente con gli Stati Uniti, in blocco, per evitare che quel paese lo faccia individualmente con le nazioni latino-americane, come è successo con il Cile.
"Dobbiamo prendere il toro per le corna", ha dichiarato Batlle, spalleggiato rapidamente dal Presidente brasiliano, Fernando Henrique Cardoso, per appoggiare una riunione presidenziale del blocco con il nuovo Presidente nordamericano George W. Bush.
"Dobbiamo cercare il beneficio comune perché il Sudamerica non può andare più ai negoziati solo per ascoltare, bensì a esporre le proprie esigenze e a vigilare sullo sviluppo dei popoli", ha dichiarato.
"Vedremo cosa vuole il Presidente Bush", ha affermato Cardoso e ha aggiunto che il blocco di paesi potrebbe negoziare la nuova area di libero commercio come un fronte unito e mostrare così più forza nei negoziati.
Il MERCOSUR, istituito nel 1990, è composto da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay e può contare su Bolivia e Cile come membri associati al blocco, il cui Prodotto Interno Lordo è di circa 1.2 miliardi di dollari annui.
La posizione dei Presidenti di Uruguay e Brasile è stata accolta da quelli di Argentina, Paraguay e Bolivia, rispettivamente Fernando de la Rúa, Luis González Macchi e Hugo Bánzer.
Il MERCOSUR ha adottato decisioni sull'armonizzazione macroeconomica, sulla soluzione di controversie, di dare una prospettiva politica e sociale e non solamente economica a questo organismo e la ricerca di un solido blocco sudamericano.
Una delle conclusioni dell'evento si riferisce alla prosecuzione dei negoziati tra il MERCOSUR e la Comunità delle Nazioni Andine, formata da Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela. L'Ambasciatore di Cuba a Montevideo, Miguel Martínez, ha dichiarato secondo l'agenzia AP, che il suo paese negozierà con il MERCOSUR a partire da gennaio alla ricerca di accordi economici e sotto la formula di "quattro più uno". Riguardo a questo, negoziati bilaterali sono stati già sottoscritti con Brasile, Uruguay e Paraguay e; in gennaio, verranno siglati accordi con l'Argentina.

I Presidenti di Venezuela e Guatemala elogiano il lavoro dei medici cubani
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novembre 2000 - I presidenti di Venezuela e Guatemala, Hugo Chávez e Alfonso Portillo, hanno elogiato il lavoro dei medici cubani che prestano servizio in sperduti luoghi di questi due paesi.
Chávez e Portillo hanno partecipato il 19 novembre al programma radiofonico "Aló, Presidente", un abituale spazio di dialogo del Presidente venezuelano che per la prima volta è stato trasmesso fuori della nazione. La trasmissione si è trasformata nella prima attività della visita ufficiale di Chávez in Guatemala, che è arrivato nella capitale provenendo da Panama, dove aveva partecipato al 10° Vertice Ibero-Americano.
Portillo ha reso merito al lavoro dei medici cubani, che hanno dimostrato dedizione alla missione fin dal loro arrivo sul territorio guatemalteco, da circa due anni, dopo il devastante passaggio dell'uragano Mitch e ha espresso il suo desiderio che tutti i professionisti della sanità del continente fossero capaci di questa dedizione.
Da parte sua Chávez, ha detto di sentirsi molto soddisfatto dell'impegno che mostrano i medici di Cuba nel suo paese, la cui popolazione desidera che la loro presenza si prolunghi nel tempo.

L’integrazione economica è il cammino per la sopravvivenza.
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novembre 2000 - La nuova Ambasciatrice permanente del Venezuela presso la Federazione di San Cristóbal e Nevis, Myriam Troconiz Luzardo, ha dichiarato che l’integrazione economica è l’unica possibilità per la sopravvivenza dei Paesi dell’America Latina e dei Carabi.
Durante una visita di cortesia, ha comunicato al Primo Ministro, Denzil L. Douglas, che sotto il Governo del Presidente Hugo Chávez si è adottata una costituzione basata su principi pacifici e democratici il cui obiettivo è lottare contro le disuguaglianze sociali.
"Come Ambasciatrice del Venezuela nel vostro Paese, mi compiaccio di tradurre i desideri del mio Presidente, Chávez, nel senso che l’unico modo per sopravvivere in questo mondo che si muove all’insegna della globalizzazione è l’integrazione economica, e specialmente l’integrazione subregionale; tanto il mio Governo che il vostro conoscono questo complesso problema al quale facciamo fronte avvalendoci delle nostre risorse naturali – petrolio e altri minerali – ma ancora dobbiamo lottare contro la povertà e altri problemi ereditati dai 40 anni di amministrazioni incoscienti", ha dichiarato l’Ambasciatrice.
La Luzardo ha dichiarato anche che il Venezuela si dichiara ottimista non solo nei confronti delle relazioni con San Cristóbal e Nevis, ma anche riguardo ai Paesi della Comunità Caraibica (CARICOM) e alla Associazione degli Stati Caraibici (ACS).

Fox chiede appoggio all’ONU per creare un’area di sviluppo in Centroamerica
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novembre 2000 - Il Presidente eletto del Messico, Vicente Fox, ha chiesto l’appoggio delle Nazioni Unite per concretizzare un progetto denominato Puebla-Panama, inteso a creare un’area di sviluppo nella regione.
Fox, che si è incontrato con il Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, durante una visita di meno di 24 ore effettuata il 30 ottobre a New York, ha sottolineato la necessità di trovare forme di cooperazione e integrazione con i Paesi del Centroamerica.
Jorge Castañeda, uno dei coordinatori dell’Area delle Relazioni Internazionali del Governo di Transizione di Fox, ha dichiarato che il Presidente eletto ha insistito sulle difficoltà economiche che attraversano i paesi del Centroamerica.
Nel giro di visite effettuato in Centroamerica lo scorso settembre, il presidente eletto messicano ha presentato il suo Piano di Sviluppo Puebla-Panama (PPP), il quale è teso a dare impulso alla crescita economica del Messico e dei paesi dell’area.
Fox, che assumerà l’incarico il 1° dicembre prossimo, ha sostenuto che il Centroamerica occuperà "una posizione privilegiata nella politica estera" del suo paese, che pretende di diversificare i vincoli commerciali e finanziari con la regione.
Ad ogni modo, il Presidente eletto ha chiesto agli imprenditori di valutare opportunità e di concretizzare alleanze strategiche per approfittare dei vantaggi competitivi delle relazioni di vicinato tra Messico e istmo centroamericano.
Fox ha esortato gli imprenditoria a riflettere "sull’opportunità che abbiamo di fare del Centroamerica e degli Stati del Sud del Messico una zona di avanguardia economica e sociale, una zona di sviluppo da Puebla a Panama, una zona con piani di convergenza".
Durante l’incontro alla sede dell’ONU, Fox e Annan hanno analizzato anche l’impatto del microcredito per abbattere la povertà e temi come la lotta contro il narcotraffico e il crimine organizzato.

Si cerca di dare impulso al Trattato di Libero Commercio regionale
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ottobre 2000 - Esperti dei Paesi centroamericani e Panama si riuniscono in questi giorni a San Salvador per trattare gli ultimi dettagli per la firma di un Trattato di Libero Commercio (TLC) regionale, secondo quanto ha riportato Prensa Latina.
L’incontro è considerato decisivo per l’eventuale istituzione dell’accordo concepito durante il 19° summit presidenziale dei Paesi dell’area, realizzato a Panama nel 1997.
Fonti del Ministero salvadoregno dell’Economia hanno segnalato che in contatti precedenti a questi, si è arrivato al consenso in temi delicati come l’accesso ai mercati, gli investimenti e i servizi. Allo stesso modo, si sono conclusi i dibattiti sugli ostacoli tecnici al commercio (barriere non doganali), così come le disposizioni generali e iniziali, in un processo caratterizzato dalla mutua comprensione e dalla comunione di interessi.
Tuttavia, non sono stati ancora abbordati gli argomenti più complessi, come le procedure degli sgravi doganali.
Intorno a queste azioni di integrazione, Eduardo Ayala Gimaldi, Ministro salvadoregno del Commercio, ha dichiarato che si realizza uno sforzo non già per negoziare bilateralmente, bensì con l’intenzione di avvicinare tutti i prodotti in misura uguale. Attualmente, i cinque paesi centroamericani conducono il loro commercio interregionale mediante accordi commerciali firmati tra loro, oltre a quelli sottoscritti con il Messico, con la Repubblica Dominicana e uno con il Cile.
Secondo l’opinione di Miguel Lacayo, Ministro salvadoregno dell’Economia, la concertazione di questi trattati aumenta la capacità negoziatrice delle nazioni della regione di fronte ad altri interlocutori e, in particolare, in relazione all’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), che potrebbe concretizzarsi nel 2005.
Il TLC, che gli esperti dell’area cercano di coordinare, potrebbe consolidare il Mercato Comune Centroamericano (MCCA), il quale ha favorito lo sviluppo del commercio, degli investimenti e del movimento di capitali tra le nazioni della regione.
Fernando Naranjo, ex Ministro delle Finanze e degli Esteri del Costa Rica, ha sottolineato recentemente a San José che il dinamismo dello schema si mostra nelle esportazioni interregionali, le quali sono passate da 1.541 milioni di dollari nel 1995 a 2.333 milioni nel 1999.
Le esportazioni centroamericane sono arrivate a 9.104 milioni di dollari nel 1995, e da allora sono cresciute costantemente: 9.763 milioni nel 1996; 11.711 un anno più tardi, e si sono collocate a 13.364 nel 1998, per chiudersi nel 1999 a 14.100 milioni di dollari.
Naranjo ha sottolineato allo stesso modo la notevole crescita degli investimenti stranieri diretti ai Paesi membri del Mercato Comune Centroamericano dalla sua creazione.

L’ospite indesiderato della conferenza di San José
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ottobre 2000 - Nonostante la sua esclusione dai temi all’ordine del giorno nell’agenda della conferenza sulla pace, i diritti umani e il diritto internazionale umanitario, che si è da poco conclusa a San José di Costarica, il Plan Colombia – il ben noto piano di intervento contro il traffico di droga e la guerriglia – ha fatto comunque la parte dell’ospite indesiderato.
La pesante impronta militare conferita alla strategia di intervento messa a punto dal Presidente colombiano Andrés Pastrana insieme al Governo degli Stati Uniti, ha infatti destato notevole preoccupazione tra i partecipanti alla conferenza, che è durata tre giorni e che ha avuto luogo nell’Hotel Meliá Cariari di San José, a partire dal 16 ottobre scorso.
I rappresentanti delle organizzazioni non governative e dei sindacati hanno fatto pressioni perché si procedesse a una radicale modifica del piano, che, lasciato così com’è, avrebbe come unico risultato l’intensificarsi del conflitto armato che affligge il Paese.
Il Plan Colombia, infatti, invece di fugare i dubbi e la sfiducia della popolazione, semina discordia e morte al suo interno – ha spiegato Domingo Tovar, membro della direzione della Centrale Unitaria dei Lavoratori, secondo fonti di Prensa Latina.
La discussione sul controverso appoggio militare offerto dagli Stati Uniti – quantificabile in 1.300 milioni di dollari – è stata volutamente esclusa dall’agenda della Conferenza dagli organizzatori del convegno per evitare di compromettere il buon esito di una discussione che, secondo le loro intenzioni, doveva porre le basi per una soluzione pacifica del conflitto. Il dibattito tuttavia non potrà essere rimandato a lungo.
Tale preoccupazione trova giustificazione nell’acutizzarsi degli scontri armati proprio nei mesi precedenti l’incontro, seguiti all’annuncio da parte governativa dell’arrivo dei primi rinforzi da Washington.
Da parte loro - secondo quanto dichiarato da un portavoce dell’Esercito di Liberazione Nazionale - i guerriglieri sosterranno le decisioni dei sindacati e dei gruppi non governativi contrari all’intervento militare degli Stati Uniti.
La discussione si preannuncia lunga e difficile, soprattutto a causa delle posizioni assunte dal presidente Pastrana, che continua a negare il carattere militare del progetto, potendo così contare sull’appoggio dei rappresentanti della Casa Bianca alla Conferenza.

Un viaggio da incubo alla ricerca del sogno americano
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ottobre 2000 - Ogni giorno migliaia di emigranti affrontano una vera e propria odissea per raggiungere a bordo di treni merci la frontiera nord del Paese ed entrare negli Stati Uniti in cerca di un’esistenza migliore. Per tutti loro questo viaggio non rappresenta soltanto un tragitto lungo e faticoso, ma anche un pericolo per la propria vita: rischiano infatti di venire rapinati o uccisi o di morire lungo il percorso.
Alla frontiera di Nuevo Laredo arrivano ogni giorno dal sud in media 200 vagoni, che trasportano di nascosto emigranti sia provenienti dal Centroamerica, sia dal sud del Messico, per i quali questi convogli rappresentano l’unica possibilità di raggiungere il sogno americano ("American dream").
"Facciamo quasi 22 giorni di viaggio ed è sempre un rischio venire in treno, perché se non veniamo rapinati dalla polizia, ci assaltano i civili" – spiega Sergio Aníbal García, guatemalteco, aggiungendo che a lui è capitato di essere aggredito ben due volte.
"Ci hanno assalito all’improvviso e in quattro e quattr’otto ci hanno rubato il poco denaro che avevamo lasciandoci senza neanche i vestiti indosso. Quando siamo arrivati a Palenque, nel sud, alcuni operai delle ferrovie al vederci in quello stato ci hanno dato cibo e dei vestiti. Con quelli siamo arrivati fino a qui" – ricorda ancora García.
Durante questi tremendi viaggi, la vita degli emigranti rappresenta infatti l’ultima delle preoccupazioni delle bande di rapinatori, che oltre tutto agiscono d’intesa con i pateros, o passatori, coloro che guidano i clandestini nell’attraversamento illegale del confine con gli Stati Uniti.
Stando ai racconti degli stessi clandestini, è infatti abitudine delle bande ferire a morte le loro vittime prima di derubarle.
All’interno dei vagoni si fa inoltre un massiccio consumo di droghe e di alcol, con la conseguenza che alcuni tra gli stessi emigranti finiscono per commettere atti di violenza.
"E’ un viaggio che non auguro a nessuno" – commenta Eduardo Murillo, originario dell’Honduras, che ha impiegato 20 giorni per arrivare a Nuevo Laredo.
"Bisogna sopportare i cambi climatici, il caldo, i rapinatori e per di più stare anche attenti a non cadere sui binari. Non si riesce quasi a chiudere occhio" – spiega Murillo.
I "treni della morte", come li chiamano gli emigranti, viaggiano giornalmente da sud a nord e viceversa trasportando derivati del petrolio, prodotti agricoli e articoli industriali.
Approfittando del fatto che da parte delle autorità messicane non viene esercitato nessun tipo di controllo sull’emigrazione clandestina - soprattutto nelle zone più spopolate, come quelle attraversate dalla linea ferroviaria - i pateros utilizzano i vagoni dei treni merci per trasportare i loro "clienti" fino agli Stati Uniti. Gli emigranti continuano a salire sui treni anche durante il tragitto, ammassandosi via via negli stretti spazi tra un vagone e l’altro.
Secondo quanto hanno raccontato diversi emigranti centroamericani, la maggior parte delle bande di rapinatori agisce d’accordo con gli stessi pateros, perché lo scopo di entrambi è di ottenere denaro facile, senza alcuna preoccupazione per la vita di persone che hanno come unica colpa quella di aver lasciato la propria terra con la speranza di un’esistenza migliore.
Per gli emigranti provenienti dal Centroamerica, il tratto di viaggio in territorio messicano è il più difficile da percorrere. Infatti, mentre in centinaia riescono ad attraversare giornalmente il Messico, molti di più sono quelli che vengono arrestati e rimandati indietro, senza contare quelli che muoiono lungo il cammino per i motivi più disparati.
Secondo i dati resi noti dall’Istituto Nazionale per la Migrazione (INM) e dalle stesse pattuglie di guardie frontaliere, l’Honduras è al secondo posto tra i Paesi di provenienza dei clandestini, nei confronti dei quali viene sistematicamente attuato il provvedimento di espulsione dal territorio messicano.
L’Istituto Nazionale per la Migrazione ha confermato infatti che nel 1999 sono stati fermati e successivamente espulsi dal Paese 43.751 cittadini honduregni, mentre ben 9.514 sono stati quelli respinti tra gennaio e febbraio di quest’anno. Il 27 settembre scorso, altri 34 cittadini honduregni sono stati fermati dall’INM a Nuevo Laredo.
Secondo le stime del Servizio di Immigrazione degli Stati Uniti, nei sei mesi compresi tra ottobre 1999 e aprile 2000, sono stati fermati alla frontiera 636.170 clandestini, in prevalenza messicani e centroamericani, mentre tentavano di attraversarla in modo illegale.
I messicani, comunque, costituiscono il 90% del flusso migratorio diretto verso gli Stati Uniti.

L’impunità e la giustizia non possono stare insieme
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settembre 2000 – La donna di ferrea volontà e con una vita temprata dalle avversità è ritornata a Cuba. Rigoberta Menchú, instancabile lottatrice per i diritti delle popolazioni indie, ha visitato nuovamente l’Isola con il cui popolo e con i suoi dirigenti mantiene una "grande amicizia", come da lei affermato.
"Sempre ho avuto un pezzo del mio cuore per questo popolo", ha affermato a La Habana la Premio Nobel per la Pace del 1992, che ha ricordato che gli indigeni sono parte dell’enorme settore della popolazione mondiale che patisce l’emarginazione, il razzismo e la povertà.
Nonostante questo ha assicurato che, a suo parere, siamo felici "perché non solo abbiamo problemi, ma abbiamo anche una storia millenaria e un messaggio da dare al mondo per renderlo maggiormente pluriculturale e plurietnico".
"Noi popoli indigeni dell’America Latina siamo una gran forza di identità che deve aiutare a cercare soluzioni ai problemi", ha rilevato l’india maya-quiché, testimone nei suoi anni giovanili dell’assassinio dei suoi genitori, dei suoi fratelli e vittima di persecuzioni fino a vedersi obbligata ad abbandonare il suo villaggio, Chimel, nella provincia guatemalteca di El Quiché.
Senza abbandonare la determinazione che un giorno ha assunto come principio fondamentale di unire gli indigeni del continente in uno sforzo comune per raggiungere una giusta posizione sociale. La Menchú continuerà a lavorare affinché questi popoli siano rappresentati alla conferenza mondiale contro il razzismo, che avrà luogo in Sudafrica l’anno prossimo. "Ci sarà un grande vuoto se saremo assenti".
L’allora giovane contadina che non parlava altro che la sua lingua natale e adesso conosce l’inglese e il francese, ha sparato a zero, con la sua caratteristica sicurezza, contro la situazione dei diritti umani nel suo paese, dove ha assicurato che ci sono "sintomi di persecuzioni politiche" e "una situazione incerta" perché "non si possono unire l’impunità e la giustizia".
"In Guatemala ha dovuto accadere l’etnocidio di oltre 200.000 persone perché il mondo si ricordi che abbiamo bisogno di dare dignità alla giustizia e di lottare contro l’impunità", ha sottolineato.
La Menchú, in visita a Cuba per quattro giorni, ha censurato la presenza a capo del Parlamento guatemalteco del generale Efraín Ríos Montt, ex presidente di fatto della nazione centroamericana, e ha enfatizzato sul fatto preoccupante dell’ultima relazione dell’Ufficio delle Nazioni Unite in Guatemala in cui viene segnalato un arretramento del rispetto degli accordi di pace.
Ha dichiarato, tuttavia, di essere motivata perché il sommario della denuncia presentata al parlamento nazionale della Spagna è già di oltre 3.000 pagine. Ríos Montt è stato denunciato insieme ad altri sette militari e civili, attualmente dirigenti di governo, dalla leader indigena per genocidio, fatto per il quale verrà aperto un processo nello stato iberico.
Vestita con i suoi tradizionali abiti che ricordano i popoli della cultura maya, colei che un giorno è stata anche Ambasciatrice della Buona Volontà alle Nazioni Unite non smette di sognare la pace e il futuro degli indigeni latinoamericani. Però il suo vasto pensiero va ancora più in là: non perdona al Governo degli Stati Uniti il blocco contro Cuba e lo accusa di manipolare contro di essa il tema dei diritti umani.

Integrazione nel mirino
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settembre 2000 - Il Sudamerica, un gruppo di nazioni con proprie caratteristiche nel loro ordinamento politico e marcate differenze economiche, ha potuto dar corso a un’idea lungamente accarezzata da alcuni statisti e politici dell’area: stabilire un dialogo profondo e su basi logiche allo scopo di prendere la difficile rotta dell’integrazione regionale.
Il Vertice di Brasilia, convegno convocato dal presidente Fernando Enrique Cardoso – suo anfitrione – e al quale hanno presenziato i capi di Stato di dodici paesi, ha seminato in ciascuna delle delegazioni partecipanti il seme e la volontà di collaborare in sfere così importanti quali l’integrazione delle loro infrastrutture, la difesa della democrazia, l’informazione, la conoscenza e le tecnologie, il commercio e la lotta contro il narcotraffico.
Il documento finale, chiamato Dichiarazione di Brasilia, ha dato la priorità all’accelerazione del processo di integrazione tra il Mercato Comune del Sud (MERCOSUR), formato da Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay, i suoi associati Cile e Bolivia, e la Comunità Andina (CAN), i cui membri sono Colombia, Bolivia, Perù, Venezuela e Ecuador. In tal senso, si vuole stabilire prima del 2002 una zona di libero commercio tra i due blocchi.
Gli esperti in negoziati commerciali – riferisce l’agenzia Notimex – ritengono urgente che i due blocchi sveltiscano la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone nell’ambito di una concorrenza trasparente.
Riguardo al finanziamento dell’infrastruttura vengono privilegiate la questione ambientale, i bisogni sociali e la viabilità dei progetti: le strade, le ferrovie e il trasporto fluviale. In generale questi progetti dovranno essere eseguiti da imprese private a determinate condizioni.
Secondo un rapporto dell’agenzia Prensa Latina, il testo presenta inoltre la democrazia rappresentativa come fondamento della legittimità dei sistemi politici e la condizione indispensabile per il consolidamento delle istituzioni democratiche per la pace, la stabilità, la giustizia e lo sviluppo della regione.
La Dichiarazione puntualizza anche l’importanza di concretizzare le politiche macroeconomiche, essenziali per la stabilità interna di ogni paese e di garantire la progressiva integrazione, sostenuta da un piano di azione che dovrà entrare in funzione nel termine di 10 anni.
Tuttavia un convegno così importante, in cui erano rappresentati tutti gli stati sudamericani, come pure la Guyana e il Suriname, i cui presidenti erano stati invitati, si è svolto sotto l’ombra inquietante del cosiddetto Piano Colombia, concepito dal Governo del presidente Andrés Pastrana, allo scopo di (secondo quanto ripetuto finora da questa élite governante) combattere il narcotraffico e realizzare investimenti sociali. Secondo gli analisti, potrebbe diventare una regionalizzazione del confitto colombiano.
Si ipotizza che il Vertice non abbia risolto la spinosa questione. In un documento separato della dichiarazione, i presidenti hanno espresso il loro appoggio al processo di pace in Colombia e auspici per l’esito del prossimo incontro del Gruppo di Sostegno al Processo di Pace che avrà luogo a Bogotà. Allo stesso modo hanno dato pieno sostegno alla lotta contro le droghe di cui il triangolo andino (Colombia, Bolivia e Perù) è il principale fornitore.
Ma hanno evitato di far riferimento al suddetto piano di azione militare.

L’indifeso volto della povertà
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settembre 2000 – "Ci troviamo di fronte a una generazione frustrata". Questa è stata l’inquietante conclusione di un alto dirigente della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) nel fare considerazioni sul problema della povertà in questa zona del mondo, dove a quasi la metà della popolazione non è stato permesso di liberarsi di un tale nefasto flagello.
L’aria di prosperità che agli albori del nuovo secolo sperimentano le nazioni progredite non arriva a circa 220 milioni di persone – di queste 117 milioni sono bambini o adolescenti – che nell’America Latina e nei Caraibi vivono sotto la sindrome dell’insicurezza, della mancanza di protezione e del rischio, numero che è circa il 45 % degli abitanti dell’area, secondo una recente relazione della CEPAL sul tema.
Il documento precisa che la crisi finanziaria internazionale che ha colpito una parte delle economie latinoamericane tra il 1998 e il 1999, ha acutizzato gli indici di miseria a causa della recessione nella crescita economica e all’incremento della mancanza di occupazione. L’elenco di questi drammi continua: sensazione di instabilità e mancanza di protezione dopo lo stallo o la riduzione del Prodotto Interno Lordo, crescita del tasso di disoccupazione e cattiva qualità dei posti di lavoro.
La precarietà del mercato del lavoro, con maggiori percentuali dell’occupazione a termine, senza contratto e senza sicurezza sociale, porta con sé l’instabilità delle entrate familiari, fatto che si traduce in un sentimento generalizzato di frustrazione, come ha rimarcato il Segretario Esecutivo della CEPAL, Antonio Ocampo.
Certe nazioni hanno raggiunto, secondo lo studio della CEPAL, il mantenimento di un saldo favorevole nel periodo citato, tra queste alcune centroamericane, le maggiori della zona caraibica, e il Messico che, nonostante abbia riportato una forte crescita economica, non è riuscito a estendere questi benefici fino ai settori impoveriti, che ammontano alla metà dei circa 100 milioni di abitanti, fatto profondamente criticato dal presidente eletto, Vicente Fox.
Fox ha contraddetto gli esperti locali che parlano di un "surriscaldamento" dell’economia messicana: è triste – ha segnalato – che si lotti per tanto tempo per crescere e il giorno che si è cresciuti gli economisti parlano di "raffreddare" l’economia e di fermare la crescita.
La maggior parte delle nazioni latinoamericane non sfuggono all’asfissia. Per esempio, El Salvador patisce una povertà che colpisce oltre il 50 % della popolazione, un’ondata di violenza e di delinquenza senza precedenti e forti scontri di interesse tra operai e imprenditori.
In Guatemala, secondo dati ufficiali, la disoccupazione o il sottoimpiego interessano il 46 % degli 11 milioni di abitanti e l’indigenza arriva al 60 %, mentre nell’Ecuador questa si mantiene al 70 %, in Nicaragua quasi al 50 % e in Colombia a più della metà degli abitanti. Dall’altro lato, l’alto tasso di disoccupazione è la principale preoccupazione degli abitanti dell’Argentina e colpisce allo stesso modo i distinti settori, secondo quanto riporta da Buenos Aires l’agenzia stampa IPS.
Di pari passo con l’impoverimento degli strati sociali più svantaggiati - carenti di entrate sufficienti per avere accesso ai minimi livelli di cure mediche, di alimentazione, di abitazione, di vestiario e di educazione - sorgono, inevitabilmente, altri mali, tra questi le malattie mentali, l’alcolismo, le droghe, la cui produzione, traffico e consumo si ripercuotono sulla qualità della vita di interi settori della popolazione di questa parte del mondo.
Quello che è sicuro è il fatto che si avvicina il secolo XXI e le nuove generazioni latinoamericane sono testimoni di un lamentevole scorrere del tempo. Come traspare dalla relazione della CEPAL, al termine di questo secolo più della metà dei bambini e degli adolescenti dell’America Latina sono poveri, e più della metà dei poveri sono bambini e adolescenti.

Vertice dei presidenti sudamericani
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settembre 2000 – I presidenti sudamericani si propongono di dare impulso a un ambizioso piano di integrazione fisica con un investimento previsto che potrebbe arrivare a 210.000 milioni di dollari nel prossimo decennio. "L’integrazione fisica crea le basi per l’integrazione economica", ha affermato il segretario brasiliano della Pianificazione e degli Investimenti Strategici, José Paulo Silveira, in dichiarazioni raccolte dall’agenzia di notizie Reuters. "Però è necessaria anche l’armonizzazione delle normative, la stabilità economica e lo sviluppo tecnologico", ha aggiunto.
L’incontro dei 12 presidenti dell’America del Sud, svoltosi dal 31 agosto al 1° settembre ha emesso un piano di azione di massima da sviluppare nei prossimi dieci anni, con le linee per identificare progetti di integrazione fisica.
"Esiste un potenziale immenso di integrazione, che ha bisogno di una volontà politica forte per il suo consolidamento", ha dichiarato Silveira. "Con questo vogliamo costruire uno spazio comune di prosperità".
Secondo il sottosegretario generale degli Affari Politici del Brasile, Iván Canabrava, l’idea dei presidenti è quella di abbandonare il concetto tradizionale di pensare alla infrastruttura come un affare nazionale, e proiettarlo al contesto regionale.
"L’idea è quella di non avere più una focalizzazione nazionale, bensì una regionale", ha spiegato Canabrava. "Nello sfruttamento delle risorse, nella costruzione e nella modernizzazione dell’infrastruttura si può guardare a un’America del Sud non più come a un continente di dodici nazioni, bensì come a una regione unica".

L’America Latina chiede un accesso più equo all’informatica e alle comunicazioni
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luglio 2000 – I paesi dell’America Latina hanno fatto appello alle Nazioni Unite per ottenere una diffusione più "efficiente ed equa" dell’informatica e delle comunicazioni, secondo quanto detto dai rappresentanti di questa area che sono intervenuti al Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC).
Secondo quanto riportato dall’agenzia DPA, i paesi sudamericani non solo sono preoccupati perché il pagamento del loro debito estero impedisce loro di disporre di fondi per il rinnovamento tecnologico, ma anche per la mancanza di siti web in spagnolo che diano loro un maggior accesso all’informazione e per la questione delle licenze.
Secondo il Ministro di Scienza e Tecnologia del Costarica, Fernando Gutiérrez, l’ONU "può e deve" giocare un ruolo centrale nel dirigere i problemi dell’informatica e delle comunicazioni.
"Soffriamo per la mancanza di risorse finanziarie e di capacità tecnica. Ci blocca l’assenza delle infrastrutture di base e il grado di analfabetismo dei nostri popoli. Patiamo per l’assenza in Internet di contenuti nei nostri idiomi, così pure per le questioni derivanti dalla riservatezza e dai diritti di proprietà intellettuale sul materiale disponibile", ha affermato e ha aggiunto che le nuove tecnologie devono essere destinate a procurare "Benessere a tutta l’umanità".
Il Ministro dell’Informatica e della Comunicazione di Cuba, Ignacio González Planas, ha detto che l’ONU dovrebbe collocarsi al centro degli sforzi mondiali in questo senso per "coordinare la instaurazione di un piano internazionale di azione" che permetta l’accesso alle nuove tecnologie da parte dei paesi del Terzo Mondo.
Secondo González Planas, la cooperazione Sud-Sud è fondamentale in questo processo però si richiede anche l’appoggio dei paesi industrializzati.
Il Ministro cubano ha denunciato, inoltre, che con la globalizzazione dell’economia alcuni paesi sviluppati, in particolar modo gli Stati Uniti, hanno iniziato un’aggressiva campagna per brevettare tutti i tipi di tecnologia, e anche le idee che sostengono la nuova economia, fatto che ha creato "nuove Barriere" per le nazioni in via di sviluppo.
"Se questa tendenza continuasse, brevetti di contenuti importanti come la telemedicina o l’educazione a distanza entreranno a far parte del 97 % dei brevetti mondiali che sono nelle mani dei paesi ricchi", ha enfatizzato.
Alla riunione dell’ECOSOC hanno partecipato rappresentanti di 54 paesi che si sono riuniti a New York per discutere sulle crescenti differenze tra le nazioni ricche e quelle povere riguardo all’accesso alle comunicazioni e all’informatica. La sessione è stata preceduta dall’emissione di un documento sul tema che sosteneva, tra altre cose, che New York possiede più pagine in Internet di tutto il continente africano, e la Finlandia ne ha più dell’insieme dell’America Latina e dei Caraibi.
Il documento raccomanda ai governi una serie di passi per portare le nuove tecnologie ai paesi poveri, e ai paesi ricchi di scontare un punto percentuale dal debito delle nazioni povere e investire questo denaro nello sviluppo delle aree impoverite.
L’America Latina è l’area del mondo con la maggior crescita di utilizzatori di Internet. Tuttavia, solo il 2 % dei 500 milioni di abitanti dell’area ha un accesso alla rete.
Mentre 7 statunitensi su 10 hanno una linea telefonica, solo 1 latinoamericano su 10 ha la possibilità di avere questo servizio. Inoltre, l’80 % dell’informazione e delle pagine in Internet è in inglese.

Una migrazione che fugge dalla crisi
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luglio 2000 - La crescita demografica, la galoppante crisi economica e, in misura minore, i conflitti politici sono aspetti che si combinano sempre più per trasformare l’America Latina da un continente di immigranti a uno di emigranti.
Secondo le ultime statistiche dei paesi della zona, un numero crescente di lavoratori si aggiunge ogni giorno alla corrente internazionale di emigrazione in cerca di presunte migliori opportunità all’estero, fenomeno che, come prevedono gli analisti, si ingrandirà sempre di più con il persistere della crisi economica.
Questo fenomeno è salito di nuovo alla ribalta internazionale la scorsa settimana allorché la progredita Europa si è vista commossa per la tragedia dei 58 immigranti asiatici che sono stati trovati morti all’interno di un camion in un porto britannico.
Nel continente americano questo fenomeno ha molti risvolti che vanno dai movimenti dei professionisti o dei tecnici fino ai latinoamericani che si spostano da un paese all’altro per lavorare illegalmente e in numerosi casi finiscono per lavorare in condizioni molto simili alla schiavitù.
Uno degli aspetti del fenomeno è il cosiddetto furto dei cervelli, quando professionisti e tecnici che non trovano impiego nei loro paesi cercano di trovare altri orizzonti eventualmente migliori, specialmente nel mondo sviluppato.
Queste correnti, che comprendono, tra l’altro, medici, ingegneri, giornalisti e attori, fluiscono non solo dai paesi meno sviluppati a quelli più sviluppati, ma anche in un riciclaggio interno della zona.
Secondo gli analisti, il traffico illegale di immigranti o anche il cosiddetto "commercio umano" è un affare multimilionario, dal quale i suoi promotori annualmente intascano tra i cinquemila e i settemila milioni di dollari.
Per gli esperti, non tutti gli emigranti riescono a raggiungere un destino migliore, poiché molti cadono in condizioni peggiori – compreso la morte – di quelle che avevano nei loro paesi di origine.
Effettivamente la morte incombe spesso sugli immigranti illegali che cercano di passare, per esempio, la frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti, per la maggioranza provenienti dal Cono Sud latinoamericano.
Un bollettino informativo del Sistema Economico Latinoamericano (SELA) ha segnalato recentemente che coloro che vogliano entrare in modo illegale negli Stati Uniti, mettono la loro vita nelle mani dei trafficanti che non dicono loro la verità sul pericolo che li aspetta.
Una tragedia come quella capitata nel porto britannico di Dover, può anche avvenire nel lungo cammino dal Sud-America alle frontiere statunitensi o dal Centro-America ai Caraibi o nelle strade tra i vicini del sud del continente.
Un fatto che ha attirato recentemente l’attenzione degli specialisti di questa regione, è stata la morte di sei immigranti haitiani, crivellati di pallottole il 18 giugno da soldati dominicani.
Senza questi aspetti così tragici, ma non meno drammatici, si è saputo il 23 giugno che più di una cinquantina di bambini e di adolescenti boliviani, che erano entrati illegalmente in Argentina, sono stati liberati dalla polizia di Buenos Aires, da tre stabilimenti tessili in cui lavoravano in condizioni di schiavitù.
Oltre a essere privati dei lavori che trovano, gli illegali sono spogliati anche dei loro averi quando vengono portati in prigione in condizioni vessatorie.
Stando alle cifre del Servizio di Immigrazione del Messico, i boliviani e i peruviani, assieme ai clandestini locali, sono coloro che sono transitati maggiormente negli ultimi anni verso gli Stati Uniti.
Il "commercio umano" dell’America Latina verso gli Stati Uniti o l’Europa è diventato un’attività economica tanto attraente (fino a 25.000 dollari per ogni immigrante) che molte mafie, che prima si dedicavano alla droga, al traffico di armi o al furto di automobili, si concentrano ora su questa lucrosa attività.
Una parte considerevole di queste vittime è costituita da donne che sono obbligate a prostituirsi, come pure da bambini, utilizzati per il medesimo scopo, per la vendita dei loro organi o per adozioni forzate.
Questo traffico giova sia a gruppi mafiosi che a imprenditori senza scrupoli che approfittano della presenza di questi immigrati per impiegare una forza lavoro praticamente schiava.

Gli Stati Uniti non pagano, però comandano ancora
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giugno 2000 – Lo statunitense Luigi Einaudi, recentemente eletto Segretario Generale Aggiunto dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), ha indicato dopo la sua elezione che uno dei suoi principali compiti del nuovo incarico sarà quello di ottenere risorse economiche per l’Organizzazione.
Einaudi ha segnalato che le sue buone relazioni con i congressisti di uno o dell’altro partito a Washington gli permetteranno di cercare in modo attivo la cancellazione del debito che gli Stati Uniti hanno con l’OSA e che ammonta a oltre 35.6 milioni di dollari.
Per il diplomatico statunitense una delle questioni chiave per ottenere il contributo economico di Washington è quella del pagamento del debito che hanno altri paesi latinoamericani.
Il nuovo Segretario Generale Aggiunto ha sottolineato che si va ad affrontare "una serie di sfide per migliorare il funzionamento dell’organizzazione" e che è la prima volta da quasi 40 anni che uno statunitense occupa la Segreteria Generale Aggiunta dell’OSA.

La democrazia degli accusatori
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giugno 2000 – L’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), formata da 34 nazioni dell’emisfero occidentale, ha tenuto la sua Assemblea Generale annuale, di tre giorni, a Windsor nello stato dell’Ontario in Canada. Cuba e Stati Uniti facevano parte dei membri fondatori quando venne istituita l’Organizzazione nel 1948. Cuba è stata espulsa di fatto per le pressioni degli Stati Uniti nel 1962. Il Canada è entrato con altre nazioni nel 1990.
Secondo la OSA, uno dei suoi principali interessi è la situazione della democrazia e dei diritti umani, come la libertà di espressione, nelle Americhe. Lasciando da parte il fatto che in realtà il principale interesse è l’ampliamento della globalizzazione nelle Americhe, in particolare da nord verso sud, a spese di quest’ultimo, il concetto di democrazia e dei diritti umani presentato a Windsor ha posto certi interrogativi.
Una delle principali preoccupazioni dei canadesi e degli americani è l’estensione del capitale dominato dagli Stati Uniti in America Latina e nei Caraibi, che come risultato rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. La sovranità nazionale economica e politica delle nazioni del sud deve sopportare una sfida più grande.
Tenendo conto di questo, i cittadini canadesi e americani hanno cercato di unirsi a Windsor per far conoscere i loro punti di vista.
Che cosa è successo alla libertà di espressione che si suppone sia così sacra in Canada e negli Stati Uniti? Nei quattro giorni precedenti alla sessione di apertura della scorsa domenica 5 giugno, le autorità canadesi dell’immigrazione hanno impedito a 560 cittadini del loro vicino del sud di attraversare la frontiera da Detroit, nel Michigan, verso Windsor. Nella stessa Windsor c’era una presenza della polizia così armata che persino la stampa controllata dai monopoli commentava che la città sembrava un campo di battaglia. Solo il primo giorno, 41 persone sono state arrestate. Il posto dove si è riunita l’OSA è stato circondato da barriere di cemento e da filo spinato. C’è da notare che la riunione si tiene a porte chiuse. Eccetto i discorsi più rilevanti trasmessi dalla televisione, il popolo canadese e quelli delle Americhe non sono stati informati su ciò che veniva trattato. I manifestanti, costretti a guardare dall’esterno, hanno tentato di innalzare un grande cartello per esprimere la loro opinione sull’OSA. Non è stato loro permesso. La polizia ha lanciato gas lacrimogeni sui manifestanti attraverso le barriere di filo spinato e con lunghi bastoni hanno fatto cadere il cartello.
Nessuno in Canada ha potuto vedere quello che veniva detto. Dopo, nel pomeriggio, un professore di economia intervistato dalla televisione nazionali ha rilasciato dichiarazioni sugli incidenti, manifestando che la libertà di espressione di quelli che protestavano era stata repressa dalla polizia.
Uno degli aspetti che irrita, non solo i giovani manifestanti del Canada e degli Stati Uniti, ma anche una gran parte dell’opinione pubblica di questi paesi, è quanto segue. Chi dà diritto a nazioni come gli Stati Uniti e il Canada di giudicare il grado di democrazia e di diritti umani in altre nazioni? Perché il dito è sempre puntato su un paese del Terzo Mondo? Adesso si alza uno scenario molto patetico per le recenti elezioni in Perù: saranno o non saranno state regolari? Senza tirare conclusioni su queste elezioni, o sulla libertà di espressione in questo paese, perché non esaminiamo la situazione della democrazia e della libertà di espressione nei paesi più potenti dell’OSA?
L’OSA realizza le sue riunioni privatamente, nel momento in cui i cittadini tentano di dare un’opinione che probabilmente coincide molto di più con quella della stragrande maggioranza del popolo, e la loro libertà di espressione viene soppressa senza riguardo. E’ veramente ironico il fatto che nella prima dichiarazione dell’OSA, il Perù è stato messo sul banco degli imputati perché detto paese "non permette il diritto di esprimersi all’opposizione". Cosa è accaduto a Seattle, a Washington, e ora a Windsor in Canada? Cosa dicono le voci dell’opposizione nell’America del Nord? Che cosa chiedono? Hanno ragione?

Il Vertice di Río riconosce gli effetti negativi della povertà
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giugno 2000 – L’agenzia Notimex, da Cartagena de Indias, ha riportato che i 15 Presidenti che hanno partecipato il 16 giugno al Vertice del Gruppo di Río, hanno approvato la Dichiarazione di Cartagena, in cui riconoscono che la povertà colpisce ampi settori della società della regione.
"Consideriamo che la crescita economica deve contribuire a far diminuire le disuguaglianze economiche delle nostre nazioni e la grande incidenza della povertà nelle stesse", segnala il documento analizzato dai Presidenti.
Con questo fine, i governanti si sono impegnati a fornire livelli adeguati di spese sociali e hanno considerato necessario mantenere un ambiente favorevole che renda possibile attendere alle necessità sociali e assicurare l’uguaglianza delle opportunità che richiede lo sviluppo.
I Capi di Stato del Gruppo di Río chiedono ai paesi industrializzati di collaborare per il loro sviluppo, garantendo l’accesso ai mercati eliminando le barriere protezionistiche.
Il documento chiede una soluzione "giusta e duratura" al problema del debito estero, i cui interessi passivi opprimono varie economie dell’area e il cui peso costituisce una barriera per lo sviluppo ed è limitante per l’attenzione ai problemi sociali.
Il testo definisce una posizione regionale per il Vertice del Millennio, organizzato dall’ONU e considerato "un’opportunità storica per dar impulso a iniziative concrete che contribuiscano alla costruzione di un sistema internazionale più giusto, più sicuro e più equo".
Al Vertice hanno partecipato i Presidenti di Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Messico, Panama, Perù, Uruguay e Venezuela, e quelli di cinque paesi centroamericani ammessi come nuovi membri del Gruppo, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua, come pure delegati di Cile, Guyana e Paraguay.
Ha pure assistito per la prima volta la Repubblica Dominicana, il cui Presidente, Leonel Fernández, ha rappresentato le nazioni della comunità del Caribe (CARICOM).

L’Operazione Cóndor è sopravvissuta alle dittature militari
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giugno 2000 - Lo scambio di informazioni sui gruppi della sinistra latinoamericana è sopravvissuta alle dittature militari ed è continuata fino al 1987, ha denunciato il 5 giugno l’importante quotidiano brasiliano ‘Folha de Sao Paulo’.
Secondo questo giornale, durante la 17° conferenza degli eserciti americani, tenutasi a novembre di quell’anno nella località balneare argentina di Mar del Plata, avvenne uno scambio di informazioni sulle organizzazioni di sinistra, come era successo nell’operazione repressiva di coordinamento sudamericano denominata Cóndor.
Questo piano repressivo era stato messo in pratica nei decenni degli anni ’60 e ’70 dalle dittature militari di Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay e Brasile.
Alla conferenza di Mar del Plata hanno assistito rappresentanti di Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Bolivia, Stati Uniti, Paraguay, Colombia, Ecuador, Venezuela, El Salvador, Perù, Honduras e Panama.
Secondo ‘Folha’, i militari brasiliani misero in rilievo come la loro maggiore preoccupazione era la legalizzazione del Partito Comunista, l’operato dei sindacati e la composizione del Congresso Costituente del 1988.

Si scorge una nuova ondata di instabilità economica

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maggio 2000 - Una nuova ondata di instabilità minaccia l’America Latina, nonostante la favorevole congiuntura economica, giacché le conseguenze della più recente crisi stanno creando problemi, secondo quanto commentato dal quotidiano finanziario tedesco ‘Handelsblatt’, nell’edizione del 15 maggio.
Il giornale ha aggiunto che "i fattori di incertezza delle economie latinoamericane si stanno moltiplicando. I prossimi aumenti dei tassi di interesse degli Stati uniti mettono a rischio i piani finanziari di questi Paesi."
Il quotidiano mette in rilievo il fatto che le economie latinoamericane siano dipendenti dai flussi dei capitali esteri, in particolare quelle di Brasile e Argentina.
Le suddette economie, aggiunge, "hanno molti debiti a breve termine in dollari e risentono di ogni punto percentuale in più che devono pagare per i crediti stranieri".
‘Handelsblatt’ cita dichiarazioni dell’agenzia (di valutazione dei rischi creditizi) Moody’s, nel senso che per il momento i piani per aumentare la qualificazione di almeno uno di questi due Paesi sono inesistenti.
Il giornale afferma che nonostante entrambe le nazioni latinoamericane registrino un crescita economica, mancano di un miglioramento nei bilanci preventivi nazionali.
"L’insicurezza si ripercuote anche nelle borse: nonostante l’economia continui a verificare una crescita, si aspettano per il futuro molta vaghezza e un basso aumento delle quotazioni."
Quanto detto in precedenza, spiega il giornate tedesco, si deve al fatto che la liquidità nei mercati finanziari latinoamericani è in declino.
"I consorzi internazionali che hanno partecipato alle privatizzazioni latinoamericane negli ultimi anni stanno assumendo lentamente il controllo delle imprese che hanno acquisito", viene indicato.
Aggiunge che detti consorzi "stanno collocando azioni nei mercati azionari dei loro paesi di provenienza, non in America Latina".
La ragione risiede nel fatto che queste imprese ottengono maggiori dividendi nei loro paesi piuttosto che nei mercati finanziari latinoamericani.
"Anche sul piano politico i rischi in America Latina aumentano, in particolare nella regione delle Ande. Insieme all’Ecuador e alla Colombia, permanenti focolai di conflitto, la tensione va aumentando sul piano politico in Venezuela e Perù."
In queste due ultime nazioni si eleggerà il presidente il prossimo 28 maggio. "Gli esperti temono che il consenso neoliberista sia posto in questione come conseguenza della disuguaglianza socioeconomica in questi paesi", commenta ‘Handelsblatt’.
Venti milioni di poveri in più in due anni
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maggio 2000 - La crisi economica degli ultimi due anni ha provocato un incremento di 20 milioni di poveri in America Latina per un ammontare di 224 milioni al termine del 1999, secondo quanto dichiarato il 15 maggio dal segretario esecutivo della CEPAL, José Antonio Ocampo.
Il massimo rappresentante della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi ha segnalato che la distribuzione delle entrate si è deteriorata in molti paesi industrializzati e sottosviluppati e che la situazione è migliorata solo per il 16 % della popolazione.
Ocampo ha dichiarato che la crescente disuguaglianza è forse la miglior constatazione del fatto che il mercato da solo non possa garantire che i benefici del suo sviluppo dinamico arrivino a tutti e che ciò sia il risultato delle azioni collettive orientate a garantirlo.
Ha spiegato che gli strumenti della ridistribuzione sviluppati a livello nazionale mostrano "non solo la propria insufficienza, ma anche le debolezze crescenti che gli stati nazionali affrontano per conciliare la competitività internazionale e una politica sociale attiva".
Il ritmo di crescita dell’America Latina in questo decennio è stato del 3.3 % annuo, quando nei tre decenni precedenti era stato del 5.5 %.
Pesante primato per l'America Latina
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maggio 2000 - In una tavola rotonda trasmessa dalla radio e dalla televisione cubana, si è saputo che l'80 % dei 224 milioni di poveri dell'America Latina vive in luoghi ecologicamente vulnerabili: economisti e altri esperti hanno analizzato l'ultimo rapporto della Commissione Economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL), che ha fatto conoscere il triste primato della regione, che ha raggiunto negli ultimi dieci anni il più alto livello di povertà della sua storia.
Gli esperti hanno sottolineato nella loro analisi che il neoliberismo non è percorribile e che le sue conseguenze sociali sono nefaste. Indebolisce il ruolo dello Stato e trasferisce il potere economico alle multinazionali dei paesi industrializzati, che cercano anche di imporre un nuovo modello economico: la dollarizzazione delle nazioni povere, come sta accadendo in Argentina e nell’Ecuador, che con questa misura limitano parte della propria sovranità, facendo dipendere così la loro politica monetaria e, in definitiva, l'economia, da quello che fanno le riserve monetarie degli Stati Uniti, senza che i rispettivi Governi e Parlamenti possano agire.
Nel caso dell'Ecuador, istituzioni rappresentative della società civile hanno denunciato che la dollarizzazione benefici le banche in perdita, elimina i debiti degli imprenditori, ma in nessun caso aiuta i settori medi e poveri, caratterizzati da salari bassi; inoltre determina un rialzo dei prezzi degli articoli di prima necessità.
Altro fatto che contribuisce ad aumentare la povertà nella regione è che il valore aggiunto nella produzione industriale è la metà di quello che era nel 1980, quando le aziende privatizzate sono state in gran parte denazionalizzate, perdendo le conoscenze tecnologiche. Con il completo controllo delle industrie, le multinazionali hanno smantellato la maggior parte dei pochi centri di ricerca che esistevano nella regione, trasferendoli nei paesi in cui le società hanno sede.
Gli esperti hanno anche evidenziato che le attuali relazioni di commercio internazionale, sono caratterizzate da un alto livello di disequilibrio, dato che le nazioni in via di sviluppo hanno liberalizzato il commercio, ma si trovano ad affrontare gli alti livelli di protezione dei prodotti dei paesi sviluppati. Così vediamo che in America Latina gli esportatori sono notevolmente danneggiati dal crollo dei prezzi dei propri prodotti, mentre nei paesi sviluppati vengono destinati ogni anno 362.000 milioni di dollari in sovvenzioni alla loro agricoltura. Questa somma è la metà dell'attuale debito estero dei paesi latinoamericani.
Un debito con il quale la maggior parte della popolazione dell'America Latina non ha niente a che vedere, e che ora deve accollarsi il pagamento dei servizi e del debito totale. In generale, i paesi poveri destinano più del 30 % delle entrate per pagare il debito estero. Nel caso dell’Honduras e del Nicaragua la cifra supera il 60 %.
Il debito estero del Terzo Mondo oscilla sui 2.300 milioni di dollari, dei quali oltre 700.000 sono di pertinenza dell'America Latina e dei Caraibi, che hanno poche possibilità di estinguere e persino di diminuire i debiti perché più del 50 % di ciò che devono è in mano delle banche e di altre istituti finanziari privati internazionali. Per esempio, il Club di Parigi e banche private del Nord.
Anche lì sta l'origine del triste primato della regione, in cui vivono 224 milioni di poveri, il che significa che 24 milioni si sono impoveriti dal 1998 quando era stato annunciato che il numero dei poveri raggiungeva i 200 milioni, fatto che allarmò Governi e istituzioni che manifestarono preoccupazione e annunciarono misure per attenuare la povertà. Ma quello che è cresciuto è stato l'abisso tra i ricchi e i poveri in America Latina, dove il 20 % più ricco riceve 19 volte più introiti dei settori più poveri.
Altra situazione vincolata alla povertà è il panorama della salute della regione, che presenta un preoccupante quadro d'esclusione sociale, se teniamo conto del fatto che 136 milioni di persone non hanno accesso ai servizi sanitari.
Lo studio Panorama dell'Esclusione dalla Protezione Sociale nella Salute in America Latina e nei Caraibi evidenzia che l'esclusione sociale corrisponde a una condizione nella quale le persone non possono accedere a condizioni di vita che permettano loro di soddisfare necessità essenziali come l'alimentazione, l'educazione, la salute e, allo stesso tempo, partecipare allo sviluppo della società in cui vivono. I principali esclusi sono i poveri, le donne, i bambini, gli anziani e la popolazione rurale, secondo lo studio, realizzato sotto la supervisione e la direzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro e dell'Organizzazione Panamericana della Sanità.
Barriere di tipo finanziario, geografico, lavorative e culturali ostacolano l'accesso di questi gruppi ai servizi sanitari. Coinvolti nelle misure del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e dal neoliberismo, i Governi della regione hanno via via diminuito i preventivi destinati alle cure mediche, i cui risultati si traducono nello smantellamento dei programmi di prevenzione e nutrizione, nella chiusura d'ospedali pubblici, nei tagli salariali a professionisti e lavoratori del settore, così come nell'eliminazione dei medicinali gratuiti.
Ampliando il suo rapporto e basandosi sul fatto che nella regione il 17 % dei parti non ha avuto l'assistenza di personale specializzato, si stima che più di 83 milioni di persone sono escluse dai servizi sanitari. Utilizzando il tasso di vaccinazione dei bambini minori di un anno, si arriva a una stima di circa 82 milioni di persone escluse. Inoltre, stima la ricerca dell'OIT e dell'OPS, in America Latina e nei Caraibi 152 milioni di persone non hanno la disponibilità d'acqua potabile e/o alle fognature.
Sono queste verità che, come un pugno, mostrano le conseguenze del neoliberismo e i risultati in termini di povertà e di disperazione.
Più medici per la comunità caraibica
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marzo 2000 - "Le relazioni tra Cuba e la Comunità Caraibica (CARICOM) si fanno di giorno in giorno più strette e frequenti" - ha affermato il Ministro degli Esteri cubano Felipe Pérez Roque al ritorno da un giro di visite durato 14 giorni, durante i quali si è incontrato con le principali autorità di 10 Paesi appartenenti a questo gruppo di nazioni, con cui ha firmato importanti accordi.
Cuba, la "isla grande" delle Antille, aumenterà, da parte sua, il numero di medici e di personale sanitario impiegato nelle aree caraibiche di lingua inglese, favorendo nello stesso tempo la presenza di giovani provenienti da questa zona nei propri centri di insegnamento superiore. Obiettivi altrettanto importanti saranno il potenziamento della cooperazione in campo economico e in quello della lotta al narcotraffico e al crimine in generale.
Il Ministro degli Esteri cubano ha spiegato di aver incontrato molta riconoscenza per la collaborazione offerta da Cuba per tanti anni, che ha permesso, tra le altre cose, che più di 1.000 giovani provenienti da questi piccoli Paesi potessero laurearsi nelle università di Cuba.
Pérez Roque ha reso noto che altri 1.400 studenti degli Stati del CARICOM risultano attualmente immatricolati negli istituti cubani di insegnamento superiore, mentre sono circa 200 le matricole previste per quest’anno, precisando però che in questo caso i dati non sono ancora certi, poiché la decisione del Governo cubano e "l’indicazione fornitaci dal compagno Fidel è stata quella di fare ogni sforzo possibile per accogliere tutti gli studenti che gli Stati caraibici possono inviare".
Il Ministro degli Esteri cubano ha inoltre affermato di aver trovato, nei Paesi visitati, totale comprensione sia da parte dei Governi, sia da parte dell’opinione pubblica riguardo al caso Elián, alle ragioni per le quali suo padre e i suoi nonni esigono il suo ritorno e ai motivi per cui i loro compatrioti li sosterranno fino alla fine.
Nelle Bahamas, l’ultima tappa del suo viaggio, Pérez Roque ha firmato un accordo in base al quale è possibile l’estradizione dei detenuti di entrambi gli Stati, che possono così scontare la pena nel loro Paese d’origine. Durante la visita si sono inoltre discusse misure di promozione e di potenziamento degli investimenti.
Pérez Roque e la sua collega bahamense Jane Hostwick sono stati concordi nel rafforzare le loro relazioni nell’area dello sport, della cultura, della salute, del turismo e in altre ancora.
Le due delegazioni hanno riconosciuto la necessità di operare congiuntamente nel campo del turismo multidestino con tutta la regione, per trasformare la concorrenza tra i due Paesi in alleanza.
Durante questo incontro, è stata annunciata la prossima apertura di un consolato cubano alle Bahamas, coerentemente con il progetto di ampliamento del numero delle rappresentanze diplomatiche cubane nell’area caraibica, comunicato di recente dal Ministro degli Esteri cubano.
L’impegno di Cuba si manifesta anche nei confronti di un altro Paese dell’area, la Guyana, alla cui richiesta di rafforzamento della debole infrastruttura sanitaria, farà seguito, secondo quanto annunciato da Pérez Roque durante la sua visita di due giorni, l’invio di 20 nuovi medici cubani e di altri specialisti del settore sanitario, che lavoreranno in ospedali pubblici e in centri rurali del territorio guayanense.
In questo modo, il numero di specialisti del settore medico impiegati in Guyana salirà a 39 persone.
Il viaggio del Cancelliere cubano ha toccato San Cristóbal e Nevis, Santa Lucia, la Dominica, San Vicente e le Granadinas, Granada, la Guyana, Antigua e Barbuda, le Barbados, Trinidad e Tobago e le Bahamas.

Certificazione e ingerenza di Washington
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marzo 2000 - Il segretario di Stato nordamericano, Madeleine Albright, ha difeso il primo marzo scorso la politica di certificazione applicata da Washington dal 1986 ad altri paesi, secondo – a loro insindacabile giudizio – l’assistenza che questi offrono per far diminuire il narcotraffico nel paese maggior consumatore di droghe al mondo.
Secondo PL, in una conferenza stampa, la Albright si è riferita al processo annunciato ore prima, attraverso il quale ha ritenuto che 20 paesi, tra i quali 12 latino-americani, collaborino con gli Stati Uniti nella lotta antidroga, mentre ne ha squalificati due asiatici e, per motivi di "sicurezza nazionale", ne ha approvati altri quattro.
Il segretario di Stato ha tentato di giustificare questa pratica denunciata e rifiutata, argomentando che serve per "porre altre nazioni sotto la stessa sorveglianza in cui ci poniamo noi e speriamo che ci si giudichi secondo l’efficacia del nostro piano nazionale".
In diversi paesi latino-americani – compresi quelli che avevano ottenuto il "visto buono" statunitense – questo modo di fare è stato rifiutato nuovamente.
In Messico, lungi dal provocare consenso, la certificazione ha generato una condanna unanime di tutti i partiti politici, che la considerano un giudizio unilaterale, interferente e violatore della sovranità dei paesi. Il procuratore generale, Jorge Madrazo, ha assicurato che il suo paese appoggia i meccanismi multilaterali nella lotta contro la droga e non attraverso una valutazione. In generale, i gruppi parlamentari di tutti i settori messicani hanno convenuto che la vicina nazione del Nord manca di morale per giudicarne altre.
Gli Stati Uniti sono inefficaci per fermare lo "schiacciante e fenomenale" traffico di droghe che si verifica nel loro territorio, ha detto alla AFP il presidente venezuelano Hugo Chávez, mentre assisteva a Montevideo all’entrata in carica del suo collega uruguayano Jorge Batlle.
Il Venezuela ha ottenuto il certificato nordamericano, il cui Governo aveva ritenuto allo stesso tempo inefficaci le strutture venezuelane di intercettazione aerea del narcotraffico. "Come entra la droga negli USA ?", ha chiesto Chávez, per aggiungere poi: "La porta Superman".
"Rifiutiamo come unilaterale anche il solo meccanismo di certificare o non certificare", ha aggiunto il Presidente venezuelano.
D’altra parte, organizzazioni per i diritti umani a El Salvador hanno assicurato che Washington deve autocertificarsi poiché, in stati come la California – hanno indicato – si trovano grandi piantagioni di marijuana e il consumo di qualsiasi tipo di droga pesante è normale nelle strade del paese. "Entriamo in una situazione contraddittoria – ha detto un esperto salvadoregno nel campo antidroga – giacché loro vogliono giudicare gli altri".
In materia di ingerenza in affari altrui, gli Stati Uniti hanno fatto un altro passo il 2 marzo scorso, suggerendo una nuova legislazione per riformare il sistema giudiziario dell’America Latina in base alle proprie esigenze.
Durante il 3° Incontro dei ministri e procuratori di giustizia latinoamericani, il Ministro della Giustizia statunitense, Janet Reno, ha affermato che la globalizzazione dei sistemi giudiziari in questa zona eviterebbe a Washington di ricercare un fuggiasco in cinque paesi. Per la Reno, le nazioni della regione dovrebbero promulgare leggi comuni e inoltre un trattato regionale con gli Stati Uniti.
Ciò implicherebbe riforme di fondo negli ordinamenti giuridici della maggior parte di queste nazioni, i cui interessi non sono stati però menzionati nelle proposte del Nord.

L'orgoglio di un grande patrimonio
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gennaio 2000 - Nel dicembre 1999 un dramma familiare, a Cuba, mobilita una nazione e commuove la parte migliore del Continente e del mondo.
I particolari, gli obbiettivi e le conseguenze d'impedire a un padre di proteggere suo figlio di sei anni li abbiamo pubblicati con l'intensità che merita nelle pagine di questo settimanale.
Riprendendo un poema dell'uruguaiano Mario Benedetti, "vi domanderete, perché..." lo riproponiamo adesso in ‘Nuestra America’.
Si tratta del fatto che tra le più tragiche conseguenze di questo rapimento, si evidenzia lo sradicamento di un'innocente creatura dalla sua cultura, dove più precisamente si manifesta la sua identità.
Strapparlo da una cultura, quella cubana e quella latinoamericana, della quale possiamo essere orgogliosissimi, e fittiziamente introdurlo in un'altra, con tradizioni e valori differenti, che non sono, certamente, quello che gli sono stati offerti.
Non è Walt Whitman, Tennessee Williams e meno ancora le afroamericane Alice Walker o Toni Morrison, bensì Superman o Topolino, la banalità e la filosofia di possedere oggetti senza avere un'anima.
Però questo piccolo è parte inseparabile di un insieme umano che ha profonde e magnifiche radici culturali.
Menzioneremo solo alcuni di quelli che hanno meritato di essere inclusi nella relazione dell'UNESCO come luoghi del Patrimonio Culturale o Naturale dell'Umanità, secondo la Convenzione approvata nel 1972.
Il nostro Patrimonio culturale o naturale - precisa la Convenzione - è fonte insostituibile di vita e ispirazione, è ¼ la nostra identità.
Nell'America Latina e nel Caribe, questo "patio posteriore" che gli Stati Uniti credono di possedere, sono stati riconosciuti 76 luoghi con questo titolo veramente regale, patrimoni dell'Umanità.
Di Cuba, Patria del piccolino, l'UNESCO ha iscritto tre luoghi (le date tra parentesi corrispondono al loro inserimento nella relazione) La Habana Vieja e le sue fortificazioni (1982), Trinidad e la Valle de los Ingenios (1988) e il Castello di San Pedro de la Roca, a Santiago de Cuba (1997).
Durante un itinerario tra i luoghi Patrimoni Culturali, abbiamo incontrato in Argentina le rovine delle Missioni Gesuite nella terra dei guaraní dei secoli XVII e XVIII e le loro simili in Paraguay (1993).
La Bolivia può contare sulla Città di Potosì (1987), tragica per gli indigeni che cercando l'argento morirono a milioni; la Missione Gesuita de los Chiquitos (1990), Sucre (1991), e il Forte di Samaipata (1998).
I centri storici di Ouro Preto (1980), Olinda (1982), Bahía (1985), il Santuario de Bom Jesus do Congonhas (1985), Brasilia (1987) e Sao Luis (1997), tutti in Brasile, quelli di Cartagena de Indias (1984) e Santa Cruz de Mompox (1995), ambedue in Colombia, sono memorie di rilevanza culturale.
Nel Caribe si trova Santo Domingo (1990), nella Repubblica Dominicana; la Cittadella (1982) ad Haiti; Willemstad (1997), nelle Antille Olandesi, San Juan (1983), a Porto Rico, posta nella relazione sotto gli Stati Uniti, riconoscendogli uno status coloniale, ma a danno di un'identità difesa e sopravvissuta a più di un secolo di dominazione.
La regione centroamericana è egualmente ricca di luoghi importanti, radice che si estende fin dallo splendore delle civiltà precolombiane.
Ci riferiamo a la Joya de Ceren (1993), nel Salvador; la Antigua Guatemala (1979), Tikal (1979) e le rovine di Quiriga (1981), in Guatemala; il sito maya di Copán (1980), in Honduras, e a Panama le fortezze di Portobelo e San Lorenzo (1990) e il distretto storico di Panama. (1997).
Il Messico emerge in particolare: il centro storico di Città del Messico e Xochimilco (1987), le città preispaniche di Palenque (1987), Teotihuacán (1987), Chichén-Itzá (1988) e El Tajin (1992), cui si aggiungono i centri storici di Oaxaca ed il sito archeologico di Monte Alban (1987), Puebla (1987), Guanajuato (1988) e Morelia (1991).
Uguale e diverso, il Perù presenta un impressionante Patrimonio, che come tutta l'America Latina, Nuestra America, presenta sia le civiltà indigene - qui quella Inca - che quella spagnola.
E' il momento di Cuzco e del Santuario di Machu Pichu (1983), i siti archeologici Chavín (1985) e Chan Chan (1988), i parchi nazionali Huscarán (1985) e Manu (1987), il centro storico di Lima (1991) e le enigmatiche Linee di Nazca (1994).
Siti patrimoniali che fanno si che le nuove generazioni conoscano il loro passato, quello che ha forgiato la loro identità, la propria appartenenza a una cultura.
Voi, riproponete la domanda?

Huacaynan, una visione dolorosa e tragica
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dicembre 1999 - L’interesse lo si deve anche al maestro Oswaldo Guayasamín, al di là dell’inquietudine che la sua opera inevitabilmente suscita. Il "Pittore Iberoamericano" ci apre il cammino verso un tema non sconosciuto, ma abbandonato negli angoli di un - involontario? - oblio.
Il maestro conosceva questa problematica. Fin dal suo personale e orgoglioso cognome indigeno: Guayasamín , che nel poetico idioma quechua significa "volo di un uccello bianco".
Forse per il valore didattico che imprime alla sua opera - non è il caso che ci riferiamo ai valori estetici - intitola la sua prima serie con un nome quechua, ‘Huacaynan’, la cui traduzione significa niente di meno che "Il Cammino del Pianto".
In ‘Huacaynan’ - 103 tele - il maestro plasma con precisione la sua visione, dolorosa e tragica, dell’indio americano.
Questo ‘Cammino’ che passa per il ripudio, la repressione e l’isolamento in cui per secoli si è cercato di mantenere il quechua, un idioma che ancor oggi tredici milioni di persone parlano quotidianamente in Bolivia, in Perù, in Ecuador, nel nord del Cile e dell’Argentina e nel sud della Colombia.
Il quechua era la lingua del Tahuantinsuyu, l’Impero Inca che nel momento del suo splendore - nei secoli XV e XVI - ha lasciato, tra le altre meraviglie, quella che probabilmente è la sua più fantastica costruzione urbana, il Machu Pichu, con le sua gigantesche muraglie che sembrano essere state intagliate nella roccia.
I colonizzatori imposero, è superfluo dirlo, i loro idiomi, lo spagnolo e il portoghese, ma nonostante la violenza che, come in tutto, perpetrarono, il quechua, relegato e discriminato, si mantiene vivo.
Il quechua vive non solo nelle comunità indigene, ma anche i massimi esponenti della cultura lo usano con determinazione: parliamo dell’equadoregno Guayasamín, ma potremo citare anche il cineasta boliviano Jorge Sanjinés, che nel suo film del 1966 ‘Ukamau’ - che significa ‘Così è’ - offrì una lucida riflessione sulla difficile convivenza tra le culture indigene e quella creola (nel 1969 girò ‘Yawar Mallku’ cioè ‘Sangue di Condor’).
La Casa de las Américas, sempre attenta, nel 1992 istituì un Premio Straordinario per le Letterature Indigene, in quella prima occasione in quechua, nahuatl e guaraní - assegnato a Luis Avelais, messicano, per il suo libro di poesia nahuatl ‘Yolteoti’ (Del Cuore Divinizzato).
Due anni più tardi la letteratura indigena viene inserita come una categoria nel premio più prestigioso della regione - ottenuto nel 1994 dal cileno Lorenzo Aillapan con la sua raccolta di poemi in mapuche ‘Hombre-Pájaro’ (Uomo-Passero).
E’ interessante sapere che ora l’Organizzazione degli Stati Americani sta lavorando su una ‘Dichiarazione sui diritti delle popolazioni indigene’.
Lo stesso temine "popolazioni" viene garbatamente posto in dubbio nel caso di popoli indigeni ai quali verrà riconosciuto, in futuro, il diritto di partecipazione a "tutti gli ambiti della vita sociale, politica ed economica".
Grazie alla Dichiarazione, avranno anche diritto a preservare la propria identità culturale "liberi da qualunque tentativo di assimilazione", a una personalità giuridica e ai "propri costumi, tradizioni, credenze, abbigliamenti e ... idiomi".
L’idioma quechua - sottolinea un documento dell’Accademia Maggiore della Lingua Quechua, con sede in Perù - è il più completo deposito della cultura tradizionale e contiene diversi milioni di dati su nomi di località, corsi d’acqua, vegetali, animali, cognomi, mestieri e una varietà di attività economiche.
Il quechua è anche ricco di espressioni poetiche e ogni parola, con l’uso di prefissi e suffissi, può avere diversi significati.
Guayasamín, quell’uccello bianco che volò, ha indicato il ‘Huacaynan’ che da secoli percorre il quechua, una lingua che, nonostante tutto, gli uomini hanno saputo mantenere viva.


La strada dell’integrazione
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ottobre 1999 - Si stima che attraversare oggi per via terrestre l’America Centrale, dal Guatemala fino a Panama, richieda non meno di 72 ore, delle quali oltre 20 si perdono in passaggi e incartamenti doganali.
Le difficoltà di comunicazione nell’istmo sono tra i principali problemi che devono risolvere le nazioni che lo compongono, come condizione indispensabile per conseguire l’integrazione della regione.
Secondo un’informazione della IPS, su questo impegno, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama intendono mettere in moto, alla fine di quest’anno, il progetto di costruzione di una strada che collegherebbe le principali città, porti, aeroporti e gli oceani Atlantico e Pacifico, con l’obiettivo di arrivare a un’unione doganale.
Il cosiddetto Corridoio Logistico Centroamericano, che avrebbe una lunghezza di 5.600 chilometri e costerebbe oltre un miliardo di dollari, è una delle priorità del piano di sviluppo regionale per il nuovo secolo, chiamato ‘Agenda per la competitività e lo sviluppo sostenibile’.
Si tratta del maggior progetto multinazionale che si sia realizzato in Centroamerica. L’opinione della prima Vicepresidente del Costa Rica, Astrid Fischel, è che l’impatto della strada sarà multiplo, dato che ridurrà i costi delle operazioni di commercio nell’area, attrarrà gli investimenti stranieri e modernizzerà le dogane. Quest’ultimo aspetto imprimerà maggior efficienza all’interscambio di beni e di servizi.
L’esecuzione dell’opera è concepita in quattro fasi. Nella prima, che si chiamerà ‘Via Longitudinale del Pacifico’, verranno costruiti 1.700 chilometri di strada per unire le località di Tecun Umán, nell’occidente del Guatemala, e la capitale di Panama.
Nella seconda fase si sfrutterebbero i tratti già esistenti della Carretera Panamericana, alla quale verranno aggiunti nuovi tronconi che metteranno in comunicazione le principali città della regione, per un totale di 1.400 chilometri. Infine, le due ultime tappe prevedono la costruzione del ‘Corridoio Atlantico’ - di 1.350 chilometri - e dei ‘Corridoi Interoceanici’ - di 1.100 chilometri - che uniranno i porti situati sulle coste degli oceani.
Adesso i Governi dell’America Centrale aspettano la realizzazione di uno studio di pre-fattibilità effettuato da Taiwan, il cui costo oltrepasserà i 6 milioni di dollari. Dopo, cercheranno finanziamenti in settori pubblici e privati e chiameranno a una licitazione per la costruzione delle opere.
Con la realizzazione di questo progetto, il Centroamerica comincerebbe il nuovo secolo facendo un passo concreto sul cammino verso l’integrazione e l’attenuazione della povertà, temi che hanno dovuto rimanere relegati, una volta ancora, dopo i disastri causati dall’uragano Mitch alla fine dello scorso anno.

Segnali di allarme all'ONU
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ottobre 1999 - Negli ultimi anni, nelle sessioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si sono uditi entusiasti discorsi di quasi tutti i presidenti latinoamericani sui 'progressi' politici ed economici nei loro paesi. Ma in questa occasione è stato diverso.
Il narcotraffico e la povertà sono state le parole che hanno contrassegnato gli interventi dei presidenti dell'area, che hanno assistito al 54° periodo del massimo organismo mondiale. E sono state ripetute con la stessa insistenza con la quale una nave, sul punto di naufragare, chiama per un aiuto.
Alberto Fujimori ha detto che la tranquillità nella regione è stata perturbata dai narcotrafficanti, le cui attività hanno raggiunto in alcuni casi potere sufficiente a sfidare governi e a destabilizzare l'economia mondiale.
Il tema della globalizzazione è stato pure toccato dal governante peruviano, nel senso che questa potrebbe condurre a una rinnovata frustrazione se non porta con sé risultati positivi per i paesi in via di sviluppo.
Il colombiano Andrés Pastrana ha chiesto urgentemente alle nazioni di aumentare le pene contro i narcotrafficanti e ha assicurato che non ci sarà pace in Colombia mentre questo fenomeno continua in alleanza con il mercato nero degli armamenti.
Pastrana ha richiesto inoltre misure contro il contrabbando dei prodotti industriali, che ha considerato come un mezzo per il riciclaggio di denaro e causa di asfissia per le industrie nazionali. Il presidente colombiano ha chiesto circa 3.500 milioni di dollari in aiuto estero per i prossimi tre anni per combattere la produzione e il traffico di droga.
Non ha sorvolato l'inevitabile argomento delle relazioni economiche internazionali e ha detto che le nazioni dovrebbero considerare con serietà e dare priorità alla creazione di una nuova struttura finanziaria, perché i flussi di capitale senza controllo hanno portato instabilità economica, disoccupazione, più povertà e, in alcuni casi, instabilità politica.
Il presidente del Guatemala, Alvaro Arzú, ha detto che il suo paese, come molti altri del continente, ha sofferto un rallentamento economico e una contrazione finanziaria, aggravati da un crescente costo delle importazioni del petrolio e dall'impatto dell'uragano Mitch.
Dopo aver ricordato che in Venezuela l'80 % della popolazione vive nella povertà, nonostante le abbondanti riserve di petrolio e di altre risorse naturali di cui dispone la nazione, Hugo Chávez ha ricordato gli sforzi del suo governo per costruire una genuina democrazia.
E' stata la voce di chi, in rappresentanza della maggioranza - come avrebbe poi detto nel suo intervento il Ministro degli Esteri cubano Felipe Pérez Roque - non hanno ragioni per sentirsi tranquilli.

AIDS: una malattia senza frontiere
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ottobre 1999 - Ogni minuto, undici persone nel mondo contraggono l'AIDS, fatto che significa un totale di 16.000 casi quotidiani.
Il cosiddetto male del secolo non ha frontiere e non è limitato al sesso, all'età o alla razza. Invece sì, la sua prevenzione e il suo trattamento, e non parliamo di cura perché all'ombra del terzo millennio ancora non è stata scoperta, dipendono molto dal potere d'acquisto.
Una recente relazione del Programma delle Nazioni Unite sull'AIDS (ONU-AIDS) indica che uno ogni cento adulti nel mondo ha l'AIDS (33.4 milioni di persone) e di questi il 95 % sopravvive o muore nel Sud del mondo in via di sviluppo.
Questa epidemia rappresenta già la quarta causa di morte nel mondo (la prima in Africa). L'anno scorso 2.2 milioni di infetti dall’HIV hanno sviluppato la malattia e sono morti, di questi 99.000 in America Latina.
Per la regione, compreso il Caribe, tra l'1 e il 2 % della sua popolazione è sieropositivo all'HIV, vale a dire, ha il virus però non ha ancora sviluppato l'AIDS. Dati ufficiali del 1997 indicano che 1.3 milioni di latinoamericani e di caraibici sono registrati come infetti, di questi il 19 % sono donne (33 % per il Caribe).
Il Programma argentino di Lotta Contro l'AIDS, in un'analisi che comprende il periodo 1982-1998 indica che il totale dei casi è di 12.320 e il 50 % è causato dall'assunzione di droga per via venosa.
Tuttavia, in Brasile e in Centroamerica (dove l'Honduras ha la maggiore concentrazione dei casi, con 11.000) l'epidemia è associata alla trasmissione eterosessuale, e in Messico alla omosessualità.
Secondo la Società Iberoamericana di Informazione Scientifica, in Venezuela sono stati registrati, tra il 1982 e il 1997, 6.768 persone con AIDS, e si avverte che la cifra reale potrebbe essere di 450.000.
Per il Brasile, nello stesso periodo, il numero si colloca tra 338.000 e 448.000. Secondo un documento del loro Ministero della Salute, quando la malattia si è manifestata, i costi dello Stato sono ammontati a 3.600 milioni di dollari.
Lo studio brasiliano segnala che è tra la popolazione emarginata il luogo dove ogni giorno si registra il maggior numero di contaminati dall'HIV. Nel caso del cosiddetto 'gigante sudamericano' c'è da rallegrarsi che esistano misure legali che obbligano il governo a offrire le medicine necessarie per il trattamento, dato che il cocktail delle medicine antivirali - comunica il documento citato - costa 1.200 dollari al mese per ogni malato.
Durante un Seminario Internazionale sull'AIDS tenutosi a La Habana, il professore nordamericano Paul Farmes, approfondendo il tema dei costosi trattamenti, ha affermato che la povertà e le diseguaglianze sociali sono sempre state co-fattori nella trasmissione dell'HIV e ha lamentato che nonostante si possa contare su medicine efficaci per assistere i contagiati, il divario tra ricchi e poveri si allarga, non avendo quest'ultimi la possibilità di pagare una terapia il cui costo annuale diventa di circa 20.000 dollari per paziente.
Mark Wainberg, presidente della Società Internazionale di Lotta contro l'AIDS, ha detto che farmaci sviluppati nel Nord America hanno dimostrato la loro efficacia per impedire la trasmissione dell'HIV da madre a figlio. Si tratta dell'AZT, con un costo di 40 dollari per dose, e della nevirapina, con un costo di 4 dollari per dose.
A Cuba, come è noto, lo Stato ha tra le sue priorità la salute della popolazione. La prevenzione e il trattamento dell'AIDS occupa uno spazio particolare e conta su di un programma speciale. L'Isola ha deciso il trattamento immediato in un sanatorio (ora esiste anche l'ambulatorio) che, come è stato riconosciuto a livello mondiale, ha riportato risultati soddisfacenti.
Non è casuale allora che lo scorso maggio al Convegno Subcontinentale dell'ONU sull'AIDS, Cuba sia stata eletta per la Segreteria Tecnica del Gruppo di Cooperazione Orizzontale sul HIV-AIDS per l'America Latina.
Dal primo rilevamento nel 1986 fino all'agosto scorso a Cuba sono stati diagnosticati 2.506 sieropositivi all'HIV e 925 malati di AIDS, con 655 morti. Si avverte che l'AIDS nell'isola è di lenta crescita, e nel 98 % dei casi è trasmesso per via sessuale.
Il dottore Jorge Pérez, direttore del Sanatorio di La Habana (ne esistono 13 nell'Isola), ha ribadito i costosi trattamenti con i cocktails e le nuove triterapie, che vengono ancora applicate, compresa quella dell'interferone cubano.
Il direttore esecutivo di ONU-AIDS, durante una visita a La Habana, ha dichiarato che una delle conseguenze inammissibili del blocco nordamericano a Cuba è che l'Isola non può acquistare i medicinali più recenti per questa malattia, che letteralmente possono salvare vite e migliorare le condizioni di salute di questi pazienti.
Nonostante ciò, Cuba è uno dei pochi paesi al mondo che ha un candidato-vaccino contro l'HIV (ne esistono 20, in Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia) approvati dall'Organizzazione Mondiale della Salute.
Sul terreno della ricerca per ottenere un vaccino preventivo, gli svantaggi del Sud sono pure critici.
Lo stesso Comitato Scientifico Assessore dell'Iniziativa Internazionale per Un Vaccino contro l'AIDS spiega che esistono diversi ceppi dell'HIV che causano l'AIDS, e un vaccino per immunizzare da uno di questi non necessariamente protegge da un altro.
I ceppi A, C, D, ed E, che prevalgono nelle regioni più colpite (Africa subsahariana e Asia meridionale) - precisa - non fanno parte della maggior parte delle ricerche che tentano di ottenere un vaccino. Queste si dirigono verso il ceppo B che abbonda - bisogna dirlo? - nel Nord America, nel Sud America e in Europa.
Non c'è da aggiungere altro. Ma, attenzione, l'AIDS non rispetta frontiere. Anche se nell'America Latina il ritmo di propagazione dell'HIV-AIDS è stato minore di altre regioni del mondo in via di sviluppo, l'epidemia si incontra, senza dubbio, ben salda, e la vigilanza epidemiologica deve mantenersi all'erta.

Il Centroamerica chiede aiuto di fronte alle inclementi piogge

ottobre 1999 - Oltre 68 morti e decine di migliaia di evacuati sono stati il risultato delle intense piogge che hanno colpito il Centroamerica per oltre venti giorni e che hanno causato gravi danni materiali, aumentando lo sconforto lasciato dall'uragano Mitch nell'ottobre dello scorso anno.
Secondo l'agenzia DPA, la regione ha chiesto, lo scorso fine settimana, la solidarietà internazionale per affrontare l'emergenza.
Anche se non esistono cifre precise, i Governi e altri enti dell'area hanno cominciato a fare le stime delle grandi perdite, in particolar modo per la distruzione di grandi estensioni di coltivazioni, come pure di abitazioni, ponti, strade e altre infrastrutture, ha riportato AFP.
In Guatemala, organizzazioni di produttori hanno valutato in 1.9 milioni di dollari le perdite per la distruzione della raccolta di mais. Il Ministero delle Opere Pubbliche e dei Trasporti del Costa Rica ha valutato in 3.4 milioni di dollari i danni a ponti, strade e fognature, ma non esiste ancora una valutazione delle perdite in agricoltura, soprattutto nella provincia di Guanacaste nel nord del paese, dove le coltivazioni sono state completamente allagate.
Le autorità di El Salvador hanno annunciato che oltre 4.000 ettari di coltivazioni sono state seriamente danneggiate e hanno stimato in circa 3 milioni di dollari le perdite all'agricoltura. Le notizie ufficiali dell'Honduras parlano di 96 abitazioni distrutte e di oltre mille danneggiate parzialmente, oltre a 15 ponti abbattuti, tra gli altri disastri.
Il numero dei morti per straripamento dei fiumi, inondazioni e crolli era di 22 nell'Honduras, 13 in Nicaragua, 12 in Guatemala, 10 nel Salvador, 10 in Costa Rica e 1 a Panama. Il numero degli evacuati era di 12.604 in Honduras, circa 12.000 in Guatemala, 10.000 nel Salvador, 5.000 in Costa Rica e oltre 7.000 in Nicaragua.
Il Programma Mondiale delle Nazioni Unite per gli Alimenti ha avvertito sulla minaccia per la sicurezza alimentare nell'istmo, mentre i ministeri della sanità di Nicaragua, Costa Rica, Honduras e Guatemala hanno mantenuto un allarme sanitario, in quanto molte comunità erano senza acqua potabile, che scarseggia anche nei rifugi degli evacuati, e alcuni villaggi ne hanno consumato da pozzi contaminati.

La popolazione urbana è cresciuta di 120 milioni in 30 anni e vive in miseria
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ottobre 1999 - Esperti di vari paesi che hanno partecipato al seminario ibero-americano sull'abitazione, hanno segnalato che negli ultimi trent'anni la popolazione urbana povera in America Latina è cresciuta di circa 120 milioni di unità e vive in condizioni precarie di abitazione.
Al seminario, che è iniziato il 27 settembre nella città di Cuernavaca, capitale dello stato centrale di Morelos (circa 90 Km. a sud della capitale messicana), hanno partecipato rappresentanti di 14 paesi e almeno 300 esperti.
Il rappresentante della Bolivia, Alberto Calla García, del Consiglio di Scienza e Tecnologia, ha indicato che questa crescita rappresenta un 40 % della popolazione urbana, e le persone che hanno abbandonato la campagna per stabilirsi nelle cinture delle grandi città vivono in condizioni di emarginazione sociale e di estrema povertà.
Calla García ha dichiarato che attualmente 30 città latinoamericane concentrano un milione di persone e altre 35 oltrepassano i 600.000 abitanti, e questa crescita accelerata provoca una situazione in cui i nuovi nuclei mancano di un'abitazione dignitosa di alternative di sviluppo.
La rappresentante della Colombia per le reti di abitazioni rurali, Clara Angel Ospina, ha criticato i programmi di governo dei paesi latinoamericani che dimenticano i poveri e obbligano le famiglie rurali a emigrare verso le città.
In Colombia, ha aggiunto Ospina, almeno un milione di contadini sono stati estromessi dalla campagna e obbligati a emigrare in zone urbane per il rischio di restare senza mezzi di sopravvivenza.
Il rappresentante del Messico, Jorge González, coordinatore della rete di abitazioni rurali nell'Iberoamerica, ha spiegato che la mancanza di abitazioni è un comune denominatore in America Latina, che si accentua nella parte nord del Centroamerica e nei paesi delle Ande, come la Bolivia.
Jorge González ha detto che ancora nei paesi latinoamericani più avanzati come Messico, Argentina e Brasile, il problema dell'abitazione è critico, le cinture di miseria si caratterizzano per capanne dove si ammucchiano migliaia di persone.
Il coordinatore della rete di abitazioni rurali ha spiegato che il sudest del Messico, le zone aride dell'Argentina e il nordest del Brasile sono le zone dove il problema dell'abitazione e della migrazione rurale risultano più gravi.

Morti e danni materiali per intense piogge
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settembre 1999 - Senza essersi riavuto da nessuno dei disastri causati dall’uragano Mitch alla fine dell’anno scorso, il Centroamerica è nuovamente vittima delle sorprese della natura che, nello scorso fine settimana, ha colpito la regione, questa volta con intense precipitazioni.
Le forti piogge che gli scorsi sabato e domenica hanno colpito la regione, hanno provocato vari morti. Prensa Latina ha riferito che più di quattromila persone sono state evacuate e si sono riportati considerevoli danni materiali, principalmente in Nicaragua e in Honduras.
La Commissione Permanente per le Emergenze (COPECO) dell’Honduras ha informato che fino a questo 20 settembre erano morte nel paese sette persone, mentre circa 2.270 sono state danneggiate ed evacuate, oltre 315 case distrutte o danneggiate parzialmente oltre a nove ponti distrutti. Vaste aeree si sono trovate inondate e prive di comunicazione. Sono state messe in pericolo le piantagioni di banane, cereali e canna da zucchero.
Nel mentre, in Nicaragua, la crescita dei fiumi ha costretto la protezione civile a evacuare oltre 300 famiglie dalle regioni di León e Chinandega. In totale sono decine di migliaia gli alluvionati in tutto il paese. Secondo la AFP, le precipitazioni hanno inondato e distrutto circa il 50 % di mais, fagioli e grano, ciò che renderà più dure le difficili condizioni dei contadini della zona.
Nel Salvador, il bilancio lasciato dal temporale è stato di quattro morti, oltre mille famiglie danneggiate e perdite nelle coltivazioni fino al 90 %.
Il Guatemala ha avuto la stessa sorte delle nazioni vicine: fonti ufficiali hanno riferito a PL che più di mille persone erano state evacuate, mentre la crescita dei fiumi non aveva permesso di conteggiare i danni materiali.
Le autorità della Sanità in Costa Rica hanno iniziato i controlli sanitari di fronte al pericolo che sopravvenga un focolaio di malattie nella nazione in cui sono state alloggiate circa 1.400 persone.
Le piogge sono iniziate la scorsa settimana come effetto dell’uragano Floyd e sono aumentate per una depressione tropicale nel Golfo del Messico.

Lotta unilaterale antidroga
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settembre 1999 - Le informazioni sulla "lotta antidroga" nel continente giungono con regolarità ai giornali.
Soltanto qualche settimana fa, una riunione di esperti dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ha concordato a Toronto la stesura di un cosiddetto "Meccanismo di valutazione multilaterale" per la lotta antidroga.
Il futuro documento, secondo le spiegazioni, dovrà misurare 80 indicatori per giudicare gli sforzi che ogni paese latinoamericano fa e, tra questi, lo sradicamento della coltivazione in particolari luoghi.
Simultaneamente si è saputo che gli Stati Uniti hanno concesso alla Colombia 15 milioni di dollari per "rafforzare le azioni del Piano Nazionale di Sviluppo Alternativo", la cui filosofia, secondo la direttrice dello stesso, è quella di aumentare l’investimento nello sviluppo rurale e di eliminare le cause delle coltivazioni illecite tra i contadini indigeni.
Un’altra notizia ha riferito della visita del capo del Comando Sud dell’Esercito statunitense, generale Charles Wilhelm, a Tegucigalpa per riproporre la cooperazione antidroga con l’Esercito honduregno "ponendo al centro la lotta al narcotraffico".
A queste recenti informazioni vorremmo aggiungere che ci sono tre convegni internazionali sulla droga, tutti riferiti all’offerta e al narcotraffico, mentre il problema chiave della domanda è stato lasciato soltanto alle politiche nazionali.
Chiave non è un modo di dire. Secondo uno studio della Giunta della Fiscalizzazione di Droghe delle Nazioni Unite – presentato quest’anno – il consumo di droghe colpisce oltre 190 milioni di persone nel mondo, tra cui 13 milioni di cocainomani.
Il maggiore consumatore sono gli Stati Uniti, con oltre dodici milioni di tossicodipendenti, con la tragica aggravante di un aumento enorme (166% nel 1994-95) nella fascia di età tra i 12 e i 17 anni.
Kofi Annan, segretario generale dell’ONU, ha definito spaventoso il mercato internazionale della droga. Secondo il suo rapporto del 1998, questi 190 milioni di consumatori spendono 400.000 milioni di dollari all’anno, "ciò che lo colloca al secondo posto a livello mondiale, dopo il traffico di armi".
Non è quindi strampalata la conclusone che il problema reale è il gigantesco mercato mondiale di consumo, con a capo gli Stati Uniti, mentre gli "sforzi", da quanto si desume, si dirigono verso lo sradicamento delle coltivazioni.
In tal senso Washington ha approvato nel 1986 una Legge diretta a tagliare la droga fuori dalle sue frontiere, nei paesi produttori. Legge, per giunta, che concede al Presidente nordamericano la facoltà di certificare che i paesi inclusi nell’elenco di quelli coinvolti, collaborano nella battaglia contro la droga.
Da questa certificazione dipende, per esempio, l’arrivo dell’aiuto economico nordamericano, compreso il voto di Washington negli organismi finanziari internazionali in caso di richiesta di crediti.
Vediamo il caso della Bolivia, paese che, dal decennio degli anni ‘80 è obbligato allo sradicamento forzato delle coltivazioni della foglia di coca, un arbusto, del resto, dal consumo millenario tra i quechua e gli aymará.
E non si tratta di tossicodipendenza, bensì la utilizzano tradizionalmente con fini medicinali e alimentari, poiché, come hanno constatato scienziati dell’Università Andina, quella che è considerata la "foglia maledetta" è un ricostituente energetico, efficace contro la fame, il freddo e il mal d’altura, nausee e vertigini.
Per ottenere lo sradicamento di una coltivazione tradizionale, con la quale - secondo dati degli anni ’80 - vivevano 56.000 famiglie (mezzo milione di persone), essendo la principale zona produttiva la regione del Chapare, dipartimento di Cochabamba, si sono utilizzati vari metodi. Da una parte un indennizzo per ettaro per sostituire le piantagioni, finanziamento iniziale dei progetti per altre coltivazioni e l’uso di defoglianti, pericolosi e dannosi per l’ambiente.
Per il 1991, circa 12.000 coltivatori di foglia di coca che avevano accettato di sostituire le loro piantagioni si trovavano in grave crisi, dovuto al fatto che le loro nuove produzioni non avevano mercato, mentre il progetto denominato Agroyungas, sostituzione di coca con caffè – nella regione di Yungas a 110 chilometri a nord di La Paz – finanziato dall’Organizzazione per la lotta contro la droga dell’ONU, pure falliva.
Ma nel marzo 1995, siccome questa politica unilaterale contro le droghe evidentemente non fermava né il narcotraffico né il consumo negli Stati Uniti, il rappresentante Dan Burton, allora presidente del Sottocomitato per le Questioni Continentali, ha proposto di far stazionare portaerei davanti alle coste della Bolivia e di utilizzarli come base per bombardare con prodotti chimici le piantagioni di coca.
Un solo dettaglio era sfuggito al congressista Burton: la Bolivia non ha sbocco sul mare dalla guerra del Pacifico nel XIX secolo e non ha cessato di reclamare internazionalmente questo diritto.
Il colombiano Ernesto Samper, durante il suo mandato presidenziale nel 1997, ha affermato: "Il mondo sta perdendo la battaglia contro le droghe illegali: Il problema avrà solo una soluzione strutturale e definitiva quando tutti i paesi, senza eccezione, assumeranno le loro proprie, insostituibili responsabilità".
Non è il contadino il responsabile del narcotraffico, bensì lo smodato consumo imperante in numerosi paesi, essendo gli Stati Uniti il maggiore consumatore. Colà ha radici la chiave, lo sradicamento del consumo e una reale lotta contro il narcotraffico, giacché attualmente viene confiscato soltanto circa il 10 % della droga che circola nel mondo.

Proposta un’alleanza regionale di compagnie aeree
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settembre 1999 - Esperti in aeronautica dell’America Latina hanno analizzato a San José, Costarica, le nuove tendenze del mercato internazionale che presuppongono dure condizioni di concorrenza, e hanno proposto la formazione di un consorzio di linee aeree regionali.
Gli specialisti hanno anche chiesto di creare un’organizzazione internazionale per qualificare i servizi delle linee aeree del mondo, un compito che oggi si assume, di fatto, l’Amministrazione Federale dell’Aviazione degli Stati Uniti (FAA).
Questi sono stati alcuni dei risultati delle Prime Giornate Accademiche su Trasporto Aereo e Diritto Aeronautico, organizzate a San José dal 9 all’11 agosto dall’Associazione delle Linee Aeree del Costa Rica (ALA), le cui conclusioni sono in fase di pubblicazione.
Attualmente la FAA assegna tre categorie ai servizi aeronautici. "Quelli della prima possono volare senza restrizioni verso gli Stati Uniti, quelli della seconda non possono aumentare i loro voli verso questo paese né cambiare i loro punti di destinazione", ha spiegato a IPS William Rodríguez, presidente dell’ALA.
A quelli della terza categorie viene impedito di fare operazioni negli Stati Uniti. Le categorie della FAA vengono prese come riferimento internazionale e si trasformano di fatto in una norma mondiale.
Gli esperti hanno stimato che questo sistema può svilire le politiche dei "cieli aperti", che ricercano l’apertura internazionale delle rotte, l’eliminazione delle restrizioni, la deregolamentazione delle tariffe, la liberalizzazione dei voli charter e di cargo, e permettere alle linee nazionali di far tornare in patria i guadagni.
Nelle giornate di San José si è segnalato che i paesi che hanno firmato trattati di "cieli aperti" con gli Stati Uniti devono permettere che le linee aeree di questo paese volino nei loro territori senza restrizioni, però questi paesi possono vedersi vietare di fare voli verso il territorio statunitense.
"Alcuni ritengono che questa sia una politica di tigre libera contro asino legato", ha rilevato Rodríguez, segnalando che sarebbe più giusto stabilire un organismo internazionale per catalogare i servizi, indipendentemente dagli interessi nazionali.
Nell’incontro sono state analizzate le tendenze attuali nell’industria aeronautica mondiale e, tra queste, il processo che sta portando al raggruppamento delle linee aeree in grandi conglomerati che coordinano i loro itinerari e condividono le loro aeronavi, i loro equipaggi e i loro ricambi.
"Tra cinque o dieci anni nel mondo ci saranno solo cinque o sei consorzi di linee aeree" ha sostenuto Federico Bloch, presidente del Gruppo Trasporti Aerei del Centroamerica.
Dal 1994 il numero delle alleanze è aumentato da 61 a 163.
Alcuni esperti ritengono necessario formare un consorzio che raggruppi le linee aeree latinoamericane, molte delle quali stanno restando fuori dai grandi conglomerati internazionali.
Uno dei consorzi attuali di maggiore importanza è Star Alliance (o Alleanza Stella), che raggruppa dieci linee aeree capeggiate dalla statunitense United Airlines, assieme, tra l’altro, con la tedesca Lufthansa, la canadese Air-Canada, la thailandese Thai Airways e la giapponese All Nippon.
Le uniche due linee aeree latinoamericane di questo consorzio sono la brasiliana Varig e la Mexicana de Aviación.
Soltanto nel 1998 la Star Alliance ha toccato 720 destinazioni con un totale di 1.678 aerei, ha trasportato 213.000 milioni di passeggeri e ha venduto biglietti per un valore totale di quasi 50.000 milioni di dollari.
"Attualmente, nei nostri paesi latinoamericani, ci sono linee aeree formate da cinque aeromobili che devono competere con questi consorzi", ha spiegato Ernesto Rois-Méndez, presidente dell’Associazione Latinoamericana di Aeronautica.
Rois-Méndez ha indicato, inoltre, che le linee aeree dei paesi della regione hanno flotte molto antiquate i cui costi di mantenimento sono superiori.
Rodríguez ha detto che è indispensabile formare un’alleanza latinoamericana, poiché "di fronte alla realtà attuale, è impossibile che una linea aerea di cinque o sei aeroplanini sopravviva".
Durante le giornate si è segnalata l’importanza che riveste la regione in campo aeronautico per gli Stati Uniti. Tra il 1990 e il 1997 il traffico tra Stati Uniti e America Latina e Caraibi è aumentato da 26 a 36 milioni di passeggeri e si prevede che nell’anno 2001 arriverà a 78 milioni.

Passo indietro dell'economia latinoamericana
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agosto 1999 - Dopo essere cresciuta l'anno scorso solo del 2.3 %, l'economia della regione retrocederà dello 0.4 % alla fine del 1999, secondo uno studio della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL), diffuso il 4 agosto a Santiago del Cile.
La crisi internazionale e i disastri naturali sono segnalati dalla CEPAL come le cause della caduta del Prodotto Interno Lordo (PIL) regionale dal 5.4 del 1997 al 2.3 del 1998, come pure della recessione attuale.
Quest'anno "sarà la continuazione di quanto successo alla fine del 1998, con un quadro di recessione molto pronunciata, soprattutto nell'America del Sud", ha detto Hubert Escaith, capo dell'unità di analisi macroeconomica di questo organismo.
Nel secondo semestre si dovrebbero vedere segnali di recupero in molte delle economie che soffrono una forte recessione. Tuttavia, ha aggiunto Escaith, la spinta non sarà sufficiente a compensare il calo osservata nella prima metà dell'anno.
Il documento afferma che solo nel 2000 la zona riprenderà la sua tendenza ascendente.
Da parte sua, il segretario permanente del Sistema Economico Latinoamericano (SELA), Carlos Moneta, ha dichiarato che le aspettative generate alla fine del decennio degli anni '80 da parte delle nuove politiche di apertura e di modernizzazione non sono state soddisfatte, ogni volta che aumentano i tassi di allarmante povertà.
Intervenendo a una riunione ministeriale per stabilire una posizione comune dell'America Latina e dei Caraibi, prima della X Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), Moneta ha aggiunto che nei 35 anni trascorsi dalla sua fondazione, le trasformazioni di questo organismo non si caratterizzano proprio per aver contribuito a un sostanziale avanzamento dei legittimi interessi delle società.
Ha portato come esempio il fatto che ancora paesi che hanno appena il 15 % della popolazione mondiale detengono oltre l'80 % del PIL totale.
Il funzionario del SELA ha affermato che la sfida attuale consiste nel cercare la complementarità tra globalizzazione e sviluppo. Ha ricordato che nel 1996, la IX Conferenza della UNCTAD coincise con una fase di crescita economica e di prospettive ottimistiche per l'America Latina e i Caraibi, ma quattro anni dopo la riunione si sarebbe realizzata in una situazione internazionale e regionale differente.
Non siamo - ha avvisato - in presenza di turbolenze congiunturali, bensì di profonde perturbazioni le cui oscillazioni colpiscono le fondamenta delle economie nazionali e del sistema globale, con maggiore intensità nei paesi in via di sviluppo.

CARICOM: benvenuto ad Haiti e nuovi passi verso l’integrazione

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luglio 1999 - L’ingresso di Haiti, gli impegni per lavorare verso un mercato e un’economia unici, oltre alla creazione di una Tribunale Caraibico di Giustizia prima della fine dell’anno, sono stati i principali risultati della XX Conferenza dei Capi di Governo della Comunità dei Caraibi (CARICOM).
Il gruppo, formato da 26 anni, ha dato il benvenuto al suo membro numero 15, Haiti, il paese più povero della regione. Nel fare l’annuncio ufficiale insieme al primo ministro di Santa Lucia, Kenny Anthony, il presidente haitiano René Preval ha affermato che "per noi la globalizzazione vuol dire innanzitutto regionalizzazione".
Il CARICOM è impegnato in un ambizioso progetto per creare un mercato e un’economia unici, come un passo in più nel suo processo d’integrazione, anche se concederà alla debole economia haitiana un periodo di tempo di adattamento, secondo quanto hanno spiegato i governanti caraibici.
La popolazione del gruppo regionale che raggiunge ora i sei milioni di abitanti, raddoppierà con l’inserimento della nazione francofona che oltrepassa i sette milioni di persone.
Le altre 14 nazioni che lo compongono sono Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Dominica, Granada, Guyana, Giamaica, Montserrat, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, San Vicente e le Granadinas, Suriname, Trinidad e Tobago.
I Capi di Governo hanno anche approvato di creare un comitato che dovrà rendere concreti i passi necessari per istituire il Tribunale Caraibico di Giustizia, massimo tribunale della regione, che permetterà alla maggioranza di questi paesi di rendersi indipendenti dal Consiglio Privato britannico, con sede a Londra, che opera come ultima istanza giuridica.
Il documento per la creazione del tribunale dovrà essere pronto in ottobre per la firma dei presidenti caraibici e permettere in tal modo che il nuovo sistema giuridico, con sede a Trinidad, entri in vigore nello stesso momento del mercato e dell’economia unici previsto per la fine dell’anno.
Anche se le sue economie sono abbastanza asimmetriche, il CARICOM ha approvato un protocollo che facilita l’integrazione regionale dei paesi più vulnerabili.

Vertice di Rio: decisioni strategiche di fronte al secolo XXI
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giugno 1999 - Il Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea con i Presidenti dell’America Latina e dei Caraibi che incomincia a Río de Janeiro, potrebbe essere un’opportunità per accorciare le distanze tra le due grandi regioni in materia di scambio commerciale.
L’Europa, prevalentemente occupata della sua stessa integrazione, si è allontanata dall’America Latina, però può difficilmente prescindere in futuro da questo continente che costituisce il 25 % dell’umanità.
Di questo sono consapevoli i 15 Presidenti che si daranno appuntamento con i loro colleghi latinoamericani e caraibici nella metropoli brasiliana, dove cercheranno di prendere decisioni che garantiscano la loro crescente presenza nell’emisfero.
Tuttavia l’incontro non sarà meno importante per i 33 Paesi di questa parte del mondo che vi saranno rappresentati. Alcuni dei loro Presidenti hanno criticato ripetutamente il protezionismo della UE in campo agricolo. "Vogliamo migliori condizioni di accesso ai mercati europei" ha dichiarato il Presidente uruguayano Julio Sanguinetti nello scorso maggio. Il brasiliano Fernando Henrique Cardoso, da parte sua, ha sottolineato in una recente intervista citata dall’agenzia AFP, "il desiderio e la capacità del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) di trattare senza restrizioni le questioni agricole con la UE".
Mentre gli europei vogliono una maggiore apertura dei mercati latinoamericani per i loro manufatti e difendono settori come quello agricolo, i latinoamericano chiederanno coerenza in tal senso. "Se accettiamo questo per voi, anche noi abbiamo diritto di fare lo stesso", ha detto alla UE tramite l’agenzia Xinhua, la direttrice della Divisione per il Commercio Internazionale della Commissione Economica dell’ONU per l’America Latina, Vivianne Ventura.
La Ventura ha ritenuto ingiusto che la logica del libero commercio valga soltanto per i paesi sviluppati e non per quelli in via di sviluppo. Questa differenza è stata sentita dal diplomatico brasiliano Jorio Dauster come l’ipocrisia e la falsità del discorso della globalizzazione, nel senso che i paesi ricchi non si globalizzano, poiché non aprono i loro mercati.
Lungi dall’ascoltare le decisioni della UE, l’America Latina dovrà modificare la sua strategia interna riguardo alla sua stessa integrazione e intraprendere, come fa l’Europa, azioni volte a difendere gli interessi nazionali e regionali.
I Presidenti che saranno presenti a questo Vertice a partire dal 28 giugno, parleranno essenzialmente di temi economici in una città come Río de Janeiro dove, al di là delle sue belle spiagge e costruzioni, ci sono due milioni e mezzo di persone che quotidianamente improvvisano le loro ‘case’ nelle stipate favelas, con un alto indice di disoccupazione. Simile è il panorama nel resto della regione. Una forte motivazione che spinge l’America Latina verso l’integrazione.

Mercosur: per il coordinamento economico
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giugno 1999 - I paesi membri del Mercato Comune del Sud si sono riuniti nella capitale paraguaiana con l'obiettivo di attenuare l'incidenza dei problemi economici e politici che scuotono questo gruppo regionale dall'inizio di quest'anno.
Come grande proposta strategica e asse principale dell'appuntamento, i Presidenti di Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay hanno presentato una proposta per fare passi concreti verso il coordinamento macroeconomico.
L'intenzione è quella di avviarsi verso un patto che collochi il Mercosur sulla falsariga di una specie di Accordo di Maastricht, come quello che ha fissato norme per l'Unione Europea obbligando gli Stati coinvolti a una stretta disciplina fiscale.
Questo permetterebbe, secondo gli analisti, di evitare in futuro i contraccolpi che provocano le crisi finanziarie in altre regioni del pianeta, come pure di riscattare l'immagine di questo blocco commerciale che è rimasta seriamente danneggiata dopo la svalutazione brasiliana dello scorso gennaio, come conseguenza di un attacco speculativo contro il real.
D'altra parte, il Ministro degli Esteri brasiliano, Luis Lampreia, ha annunciato che questo 16° Vertice avrebbe adottato decisioni sulle relazioni con l'Unione Europea. In tal senso, il Presidente argentino Carlos Ménem ha detto che è necessario che il Mercosur richieda alle nazioni del Vecchio Continente l'eliminazione dei sussidi alle loro produzioni e ha annunciato che questa richiesta sarà portata alla riunione, alla fine di questo mese, di Río de Janeiro, dove si svilupperanno due istanze parallele, una UE-America Latina e Caribe, e l'altra UE-Mercosur-Cile.
Non resta altra alternativa a questa comunità di nazioni - nel mezzo dell'accelerata globalizzazione, della crisi finanziaria internazionale e dell'imminente apertura di un nuovo ciclo mondiale di negoziati commerciali - che rivitalizzarsi, approfondendo il processo di integrazione della propria economia e avanzare verso una posizione paritaria, insieme ad altri blocchi nel panorama economico internazionale.

L’Organizzazione degli Stati Americani e l’interventismo degli Stati Uniti
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giugno 1999 - Criticata per la sua dipendenza dai disegni di Washington, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ha affrontato nella sua 29° Assemblea Generale un processo di riforme per tentare di avviarsi verso una tendenza d’integrazione della regione. Però molti dubitano del fatto che i risultati favoriscano, realmente, il necessario cambiamento nell’orientamento di questa istituzione.
Oltre alle discrepanze su come affrontare l’attuale crisi economica e sociale, una buona parte della riunione è stata dedicata a discutere un vecchio tema il cui nocciolo è la bramosia interventista degli Stati Uniti, etichettata questa volta con il nome di "rinnovamento democratico".
Il progetto nordamericano pretenderebbe, niente di più e niente di meno, la creazione di un cosiddetto "gruppo di amici" che, insieme al Segretario Generale dell’OSA, dovrebbe decidere cosa fare nel caso in cui, secondo la loro valutazione, la democrazia fosse "minacciata" in qualcuno degli Stati membri.
La maggioranza dei 34 Ministri degli Esteri partecipanti si è mostrata diffidente o contraria a tale idea. Il venezuelano José Vicente Rangel l’ha definita "sproporzionata", dato che la storia dimostra che "la democrazia si salva per mezzo degli stessi popoli".
"Questo è un continente molto diffidente di fronte a qualsiasi proposito interventista", ha detto Rangel.
Una diffidenza che, senza dubbio, è nata dalle esperienze che le nazioni dell’area hanno vissuto riguardo agli interventi militari degli Stati Uniti.
E’ chiaro, come ha detto il Ministro degli Esteri del Perù, Fernando Trazegnies, che questo "gruppo di amici" permetterebbe di legalizzare l’intromissione in uno Stato ipoteticamente in conflitto, senza l’autorizzazione dello stesso.
Rappresenterebbe un assenso per applicare in questo continente lo stesso schema che la NATO ha applicato al Kosovo: il bombardamento e l’intervento militare con qualsiasi pretesto.
Per ora gli Stati Uniti non hanno ottenuto l’approvazione delle loro pretese, ma che il tema venga riproposto nella prossima assemblea che avrà luogo in Canada nell’anno 2000. La filosofia di "L’America agli americani", lanciata nel secolo passato per tentare di puntellare un presunto diritto imperiale d’intervento negli affari interni latinoamericani, non è stata abbandonata.
Difficilmente il rafforzamento della democrazia partecipativa parte del seno dell’OSA, perché neppure essa stessa - come ha detto il ministro Rangel - possiede un’adeguata democrazia interna.

Comunità Andina: di fronte alla sfida dell'integrazione
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giugno 1999 - Il blocco più antico delle nazioni dell'America Latina, formato da Bolivia, Ecuador, Perù, Colombia e Venezuela, ha spiegato le vele del suo 30° anniversario con il proposito di costituire prima dell'anno 2005 un mercato comune che rispecchi la sua piena integrazione.
Sembra facile, ma la via da percorrere è minata da ostacoli, perché per arrivare a questa meta ciascuno di questi paesi dovrà prima risolvere i propri problemi interni.
Durante l'11° Vertice dei Governi Andini, effettuato nella città colombiana di Cartagena de Indias, il presidente venezuelano Hugo Chávez ha domandato: "Come possiamo integrare in un solo corpo, corpi disintegrati?". Tutte le nazioni partecipanti al processo mostrano un panorama sociale simile a quello che Chávez ha descritto per il Venezuela: "Un 80 % di poveri, la metà dei bambini non frequenta le scuole, oltre il 20 % di disoccupazione..."
Gli analisti considerano che nei 30 anni di sforzi per la propria integrazione, la Comunità Andina (CAN) ha ottenuto solamente un aumento del commercio tra i suoi membri, che è passato da 100 milioni di dollari nel 1970 a 5.600 milioni di dollari nel 1997. Ma quello che è certo è che questo incremento ha avuto poca o nessuna ripercussione a livello sociale.
A prescindere da questo e dalla recente rinascita di misure protezionistiche per alleviare le situazioni nazionali, i capi del Gruppo hanno riconosciuto la necessità di andare a fondo nella loro integrazione. Il Documento di Cartagena raccoglie i quattro punti di questa fase: mercato comune, agenda sociale, sviluppo delle frontiere e politica estera comune.
Creare consigli di coordinamento tra i ministri dell'area economica, l'armonizzazione delle politiche macroeconomiche e ridurre l'inflazione a meno del 10 %, figurano tra le direttive di un mercato comune. Il Vertice ha stabilito anche che i negoziatori del CAN concludano con il Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay un accordo integrazionista che dia luogo a sua volta a una zona sudamericana di libero commercio.
Allo stesso modo è stato raggiunto un accordo sul fatto che Panama si incorpori al CAN dopo che vengano trattati con questo paese accordi sulla cooperazione doganale e sul flusso commerciale.
L'agenda sociale cercherà di creare lavoro nella zona e di migliorare i livelli della salute e dell'educazione dei 108 milioni di abitanti tra boliviani, colombiani, ecuadoriani, peruviani e venezuelani.
Nelle prossime riunioni, su proposta del Venezuela, sarà analizzata la richiesta boliviana di accesso al mare, perso durante la cosiddetta Guerra del Pacifico (1879-1883) che vide confrontarsi Bolivia e Perù contro il Cile.
Compiaciuto per la proposta, il presidente Hugo Bánzer ha dichiarato che questo significa "un punto fisso nella nostra vita comunitaria e una svolta fondamentale dell'ottica sul futuro dell'integrazione regionale".
"Non abbiamo altri trenta anni per sperimentare politiche e azioni. Il futuro non ammetterà nuove posticipazioni né attitudini vacillanti", ha detto Bánzer. Forse le sue parole non riscuotono l'approvazione del mondo intero, ma sicuramente quella dell'intera Comunità Andina.

L'impero delle banane

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aprile 1999 - Si sostiene che tutto cominciò quando nel 1870 il capitano di una nave, Lawrence Baker, imbarcò in Giamaica 160 caschi di banane, dando inizio a quello che sarebbe diventato un lucroso affare
Per Baker sembra essere stato vero, poiché nel 1876 fonda la Boston Fruit Company e amplia il ventaglio dei suoi mercati di acquisto: Cuba, Santo Domingo, Costa Rica, Nicaragua, Panama e Colombia.
Già dal 1898 la banana aveva conquistato un suo spazio ed esistevano più di un centinaio di compagnie bananiere, che importavano negli Stati Uniti circa 16 milioni di caschi.
L'anno successivo alcune di queste si fondono nella United Fruit Company, con un capitale iniziale di 20 milioni di dollari. Per molti è la nascita dell'impero delle banane, poiché si approprierà di terre in Centroamerica, Ecuador, Colombia e nei Caraibi.
Nel 1930 il capitale investito si era moltiplicato fino a 250 milioni di dollari. Il che è facilmente comprensibile: per ogni dollaro ricavato dalle banane, la United Fruit otteneva 86 centesimi, mentre il paese produttore - ovviamente - 14 centesimi.
Come padrona e signora - e, di fatto, lo era - la United Fruit reputava di poter godere di ogni tipo di privilegi. E' per questo che in Guatemala, nel 1954, cospira e ottiene la destituzione di Jacobo Arbenz.
Quella cospirazione - ricorda il quotidiano Granma - è stata ordita dai più alti dirigenti di Washington, dove i fratelli Dulles dirigevano il Dipartimento di Stato e la CIA e, non a caso, erano allo stesso tempo soci dell’ufficio legale che rappresentava la compagnia.
Altri anni, meno facili, aspettavano la United Fruit. Negli anni '60, venti di Rivoluzione percorrevano Cuba e venivano nazionalizzati 110.000 ettari di terra e due zuccherifici. Niente sarà più come prima. La compagnia comincia a fondersi con altri monopoli americani, come l'American Machinery, si trasforma, si maschera nella Chiquita Brands e poi si suddivide in sussidiarie come la Cobigua, il suo nome in Guatemala, o Tela Railroad nell’Honduras.
Tuttavia il 1998, centenario della United Fruit, viene ricordato in Guatemala, per esempio, come l’anno del licenziamento della metà dei suoi 6.000 lavoratori, o nell’Honduras per la sospensione di 7.500 su un totale di 10.000 lavoratori, proprio dopo il passaggio dell'uragano Mitch.
I produttori di banane dell'area caraibica - dal canto loro - dove, come si è detto, tutto è cominciato, sono penalizzati da una sentenza dell'Organizzazione Mondiale del Commercio favorevole agli Stati Uniti nella sua disputa con l'Unione Europea.
Gli Stati Uniti hanno stimato una perdita di 520 milioni di dollari - l'OMC sostiene siano 191 milioni - per il rapporto preferenziale che l'UE concede ai produttori di banane facenti parte del cosiddetto ACP (Africa-Caraibi-Pacifico).
Il centenario della United Fruit - o di qualsivoglia dei nomi che ha adottato - non sembra essere un momento da celebrare in nessuna delle aree delle banane

Giornalismo: una crudele globalizzazione
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aprile 1999 - Due seminari internazionali sul tema della globalizzazione dei mezzi di informazione hanno avuto luogo in questi giorni, uno a Santo Domingo intitolato "Giornalismo e democrazia in America Latina: globalizzazione e integrazione regionale" e l’altro a Buenos Aires sulla "Globalizzazione dell’informazione".
Nel seminario tenuto nella Repubblica Dominicana c’è stata una magistrale conferenza del presidente Leonel Fernández che ha considerato che si tratta di un processo controverso e in particolar modo bisogna discutere e riflettere profondamente sulla globalizzazione delle telecomunicazioni.
In questo senso, il deputato messicano Javier Corral ha messo in rilievo che non è un segreto che in materia di comunicazioni il processo è stato messo al servizio delle grandi compagnie multinazionali.
I dibattiti a Buenos Aires, intanto, hanno enfatizzato - data l’evidenza dei progressi tecnologici - la saturazione dell’informazione, la rapidità a discapito della verità e di una minore puntualizzazione giornalistica, aspetti che, di fatto, allontanano il lettore o il fruitore.
L’agenzia IPS ha raccolto l’intervento dell’analista politico e autore di inchieste argentino Rosendro Fraga, che ha precisato che dell’edizione domenicale dei principali quotidiani del suo paese, 8 lettori su 10 leggono solo i titoli e 1 su 14 legge l’articolo completo.
Per esemplificare la saturazione, Ignacio Ramonet direttore di "Le Monde Diplomàtique", che si è specializzato nel tema della globalizzazione, ha precisato che è provato che l’edizione domenicale del "The New York Times" contiene più informazioni di quelle che avrebbe ricevuto una persona nel secolo XVIII nel corso di un anno.
Questo non implica - ha detto - una migliore qualità dell’informazione e - nonostante vengano presentati molti fatti, anche se frammentati e in forma divertente - "la noia è diventata il nemico numero uno".
Coincidenza dei partecipanti a entrambi i seminari? I principali mezzi di comunicazione sono in mano ai mega-gruppi multinazionali. Molta informazione e poca verità.

Comunità Andina - Mercosur: ottimismo per la zona di libero scambio
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marzo 1999 - C’è ancora spazio per l’ottimismo riguardo al negoziato per la creazione di una zona di libero scambio tra la Comunità Andina ed il Mercosur, nonostante che nella riunione tra i blocchi che si è conclusa la settimana scorsa a Lima, non si sia raggiunto un accordo tra le parti.
Benché sia difficile che le due parti superino le divergenze prime del termine del 31 marzo che si sono prefissate, l’annunciata volontà di ricorrere a meccanismi più agili suggerisce che il negoziato potrà orientarsi verso la considerazione dei problemi legati con i cosiddetti "prodotti sensibili", come quelli siderurgici, tessili, agricoli e dell’industria dell’abbigliamento, il cui commercio costituisce lo scoglio più difficile da superare.
Però l’universo commerciale restante è ampio e può essere il punto di partenza per cominciare immediatamente con l’ambizioso piano.
Hugo Aquino, analista economico, ha concordato con altri osservatori nel segnalare che se le attuali differenze in materia di tariffe doganali non saranno superate entro il 31 marzo, è probabile che si fissi un nuovo termine, forse di sei mesi, per proseguire il negoziato. "Manca molto, ma manca anche poco", ha detto Aquino alla IPS.
Questo ottimismo dei partecipanti all’incontro non è condiviso da tutti: Emilio Navarro, presidente della Società Nazionale delle Industrie, che raccoglie gli impresari manifatturieri peruviani, ha osservato che l’obiettivo va verso il fallimento.
"Nessuno dei partecipanti alle trattative dei due blocchi vuole cedere i suoi mercati. I governi proteggono le loro imprese, specialmente nel caso dell’Argentina, le cui autorità sono allarmate per la crescente disoccupazione", ha dichiarato Navarro.
La Comunità Andina è composta da Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela; Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay fanno parte del Mercosur.

Guerra delle banane: altro uragano per i Caraibi
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marzo 1999 - La richiesta degli Stati Uniti che l’Unione Europea revochi alle banane caraibiche alcuni benefici concessi tradizionalmente, minaccia gli accordi che Washington ha firmato con la regione due anni fa e che includevano argomenti commerciali e il sistema per affrontare il narcotraffico.
Nelle loro attività contro la frutta caraibica, gli Stati Uniti sono perfino arrivati a minacciare l’Europa di sanzioni alle sue importazioni per oltre 500 milioni di dollari, malgrado la contesa sia nelle mani dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) che dovrà dare il suo responso il prossimo 6 aprile.
Sostenuti paradossalmente dai principi del commercio libero, Washington cerca di ottenere per le grandi bananiere statunitensi del Centroamerica, il controllo del mercato europeo, che, secondo Prensa Latina, di fatto già domina – si stima – per l’85 – 90 %.
Fa pena vedere una grande potenza coinvolta in una guerra con i deboli paesi dell’area, che puntellano le loro economie con appena il 2 % del mercato delle banane nel Vecchio Continente, ha opinato un esperto del giornale The Herald, di San Vicente.
Di fronte all’intransigente posizione nordamericana, i governi della Comunità Caraibica hanno avvisato che la cooperazione non può essere a imbuto, con la parte più stretta per loro, e hanno indicato il legame esistente tra commercio, sviluppo economico, sicurezza e prosperità. In particolare hanno espresso la loro disponibilità a rianalizzare quanto ha a che vedere con giustizia e sicurezza, una parte dell’accordo firmato con la superpotenza del nord nel 1997, che rende possibile la sensibile e controversa collaborazione antinarcotici.
La banana rappresenta per molte isole dei Caraibi fino al 60 % delle loro esportazioni e occupa fino alla metà della loro forza lavoro, per cui la posizione statunitense porta problemi economici che favoriscono l’ampliamento della povertà e, di conseguenza, favoriscono il narcotraffico.
Claudius Jean Marie, un abitante di Santa Lucía che coltiva banane da 30 anni, ha detto recentemente a un quotidiano regionale, secondo Prensa Latina, che mai aveva sentito su di sé una minaccia così grande, molto maggiore di quella degli uragani o della siccità.

Clinton in Centroamerica: più promesse che risultati concreti
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marzo 1999 - ‘Delusione’ è la parola che meglio riassume ciò che ha lasciato il presidente degli Stati Uniti William Clinton in Centroamerica dopo il suo incontro con i presidenti della regione la scorsa settimana.
Il vertice, spacciato come conclusione del giro che il capo della Casa Bianca avrebbe fatto attraverso i paesi che sono stati colpiti dall’uragano Mitch, non ha avuto risultati concreti per quanto riguarda il recupero delle perdite causate dalla perturbazione. Clinton ha fatto molte promesse, ma senza nessuna garanzia in quanto devono essere ora approvate dal Congresso nordamericano, dominato dai repubblicani.
Forse il tema dell’immigrazione è stato quello più scabroso, considerando che dallo scorso 8 marzo sono ricominciate le deportazioni di immigranti illegali – principalmente salvadoregni e guatemaltechi – che erano infatti fuggiti dalla situazione critica in cui si trovavano i loro paesi per il passaggio del Mitch. Secondo Prensa Latina, Clinton si è limitato a indicare che avrebbe cercato di elaborare "leggi equilibrate" al riguardo, ma ha avvisato durante tutto il suo giro, che prima di tutto doveva rispettare quanto stipulato.
Circa 600.000 dei tre milioni di centroamericani che vivono negli Stati Uniti e che costituiscono inoltre un’importante fonte di introito per i loro paesi, si trovano oggi a rischio di essere deportati. Secondo dati del Banco Central de Guatemala, citati da IPS, soltanto gli immigrati di questa nazione hanno inviato alle loro famiglie 2.400 milioni di dollari tra il 1997 e il 1998.
Allo stesso presidente guatemalteco, Alvaro Arzú, sembra "un po’ incoerente" che il suo collega statunitense visiti quel paese preoccupato per la situazione nell’area e che, d’altro lato, si disponga la ripresa delle deportazioni.
Per quanto riguarda la cooperazione e l’apertura del mercato ai prodotti centroamericani, i benefici annunciati risultano restrittivi e limitati, giacché hanno una durata di solo 21 mesi.
Nemmeno sono bastate le scuse fatte da Clinton per il sostegno che Washington ha dato alle repressioni e ai massacri commessi nel corso di conflitti civili interni in Guatemala.
Nella decade degli anni ’60 gli Stati Uniti hanno addestrato ed equipaggiato le forze di sicurezza guatemalteche, responsabili dell’assassinio di migliaia di civili, ha rivelato un documento citato dal quotidiano The Washington Post, lo scorso 11 marzo.
Il rapporto recentemente declassificato dai servizi di intelligence nordamericani riflette anche legami tra l’Agenzia Centrale di Intelligence (CIA) e l’esercito del Guatemala negli anni ‘80, quando questo corpo armato e gli alleati paramilitari massacravano villaggi indigeni con il beneplacito di Washington.
Benché il presidente Clinton abbia riconosciuto adesso che "è stato un errore che non deve ripetersi", diverse organizzazioni sociali guatemalteche pensano che questo non basti. "Niente ci restituirà i nostri mariti, i nostri figli, le nostre famiglie, ha dichiarato Feliciana Macario, del Coordinamento Nazionale delle Vedove del Guatemala.

Integrazione turistica nella Comunità Andina
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febbraio 1999 - Il turismo rappresenta per la Comunità Andina il terzo settore in ordine di importanza per la generazione di valuta, nonostante che la sua partecipazione al mercato internazionale sia ancora piccola, appena lo 0.5 % del flusso mondiale e il 3 % di quello continentale.
Nel 1997 i cinque paesi andini – Bolivia, Colombia Ecuador, Perù e Venezuela – hanno registrato l’arrivo di 3.9 milioni di turisti, cifra quasi esigua in rapporto ai 600 milioni che si sono spostati quest’anno in tutto il mondo.
Ma le autorità della regione stanno mettendo a punto un piano per spingere il settore. Alla fine di gennaio si sono riunite a Lima per studiare la possibilità di promuovere azioni congiunte e di eseguire progetti di sviluppo di comune interesse.
In questo piano si colloca la creazione di un asse turistico Ecuador-Perù, dopo la firma da parte di entrambi di un trattato di pace nello scorso ottobre che ha messo fine a una lunga controversia per via delle frontiere. Il progetto si basa sulle principali attrazioni delle due nazioni: le isole Galápagos e Machu Pichu.
La natura conserva testimonianze inalterabili del sorgere della vita sulla terra nell’arcipelago ecuadoriano delle Galápagos. E’ stato lì che lo scienziato e naturalista Carlo Darwin nel 1835 fece una serie di scoperte che gli permisero di elaborare la teoria sull’evoluzione della specie. Le isole, scoperte dai conquistatori spagnoli nel 1535, furono nell’epoca coloniale un porto per i pirati.
Coloro che visitano oggi Machu Pichu, città di pietra appartenente all’impero degli Incas – restano stupiti davanti al suo incredibile stato di conservazione malgrado il passaggio del tempo. E’ ancora un mistero che fine fecero i suoi ultimi abitanti.
Il progetto in fase di studio consiste nell’offerta di un pacchetto con le due destinazioni, anche se la funzionaria di un’agenzia di viaggio peruviana ha dichiarato alla IPS che questo asse potrebbe allargarsi e comprendere la città colombiana di Cartagena e la zona del lago Titicaca, divisa tra Bolivia e Perù.
Attraverso questa linea tende ad aumentare il turismo nella Comunità Andina che, per la sua natura e la sua storia, non ha niente da invidiare a nessun polo turistico del pianeta.

Continua a ridursi il polmone del pianeta

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febbraio 1999 - Nel 1998 l’area boschiva dell’Amazzonia ha perduto altri 16.838 chilometri quadrati, il 27 % più dell’anno precedente. Questo evidenzia un aumento del ritmo della deforestazione del così detto polmone del pianeta.
Uno studio realizzato dall’Istituto Nazionale delle Ricerche Tropicali del Brasile, divulgato il 10 febbraio, attribuisce la distruzione all’incremento dell’attività di aziende del legno, del bestiame e agricole, che l’anno scorso hanno interessato soprattutto le savane e i boschi tropicali.
L’Amazzonia costituisce la maggior riserva di boschi tropicali del pianeta, che nell’ultimo decennio è diminuito di un 15% a causa del disboscamento indiscriminato e degli incendi delle foreste.
L’immenso bacino del fiume con la maggior portata e più lungo del mondo, occupa più di due terzi dell’America Meridionale e comprende territori del Venezuela, della Colombia, dell’Ecuador, del Perù, della Bolivia, del Brasile e della Guyana.
Recentemente, gli indigeni ecuadoriani hanno sollecitato la protezione di una zona di 600.000 ettari nella provincia amazzonica di Pastaza, alla frontiera con il Perù, l’unica nella quale rimangono ancora importanti riserve boschive senza l’impronta della civilizzazione moderna.
Da gennaio le autorità ecuadoriane avevano dichiarato protetti vari territori di enorme potenziale minerario e petrolifero, con un gesto volto a dare priorità agli interessi ecologici e che deve essere di esempio per i governi americani e per le multinazionali della distruzione.

Il successo del supermercato e i suoi rischi sociali
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febbraio 1999 - Studi specialistici segnalano che l’espansione delle grandi superfici commerciali in tutta l’America Latina contribuisce a estraniare ancor più le economie nazionali e genera disoccupazione nel commercio medio e al minuto.
A differenza dell’Europa, nell’America Latina le grandi superfici vengono attrezzate laddove i loro dirigenti lo ritengano conveniente per i loro interessi commerciali, senza alcun limite legale, tranne quello imposto dalla saturazione delle capitali che, in gran parte, sono state già coperte dalle catene. Però attualmente le grandi multinazionali del settore si stanno insediando nelle città dell’interno dove ci sono ancora zone vergini.
L’espansione permanente dei supermercati e degli ipermercati è spinta soprattutto dalle imprese europee e statunitensi, le quali hanno acquisito la maggior parte delle ditte latinoamericane di maggior successo nel campo.
Secondo uno studio congiunto della Banca Interamericana di Sviluppo e della corporazione degli immagazzinatori e dei proprietari di bar dell’Uruguay, l’ascesa del "supermercatismo", com’è conosciuto questo fenomeno, obbedisce a ragioni economiche, ma anche a quelle socioculturali.
Tra le cause indicano l’ampliamento e la diversificazione delle offerte di beni e servizi, il progresso delle comunicazioni e l’espansione del credito. Altri analisti aggiungono il fatto che le donne, che rappresentano più dell’80 % di coloro che fanno compere, non hanno più tempo di servirsi dei piccoli negozi.
Tuttavia la penetrazione crescente delle grandi superfici presenta d’altro canto gravi ripercussioni sull’impiego: per ogni posto di lavoro che crea un supermercato, se ne distruggono altri sei. I piccoli magazzini ubicati in prossimità perdono nella concorrenza disuguale e falliscono.
Il supermercatismo comporta altri rischi: siccome queste catene si riforniscono in generale da ditte di grande importanza, vanno escludendo le aziende regionali; i guadagni fatti dai supermercati raramente permangono nella località in cui hanno sede.
Su un altro piano, la Federazione Uruguayana degli Impiegati del Commercio ha denunciato la repressione antisindacale a cui sono sottoposti i lavoratori delle grandi superfici, ai quali spetta la parte peggiore.
Giornate spossanti che superano le 15 ore, insicurezza sul lavoro, rifiuto di pagamento degli straordinari e del riposo obbligatorio fanno parte della situazione.

Caffè con aroma di integrazione

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febbraio 1999 - Probabilmente l’idea non è stata presa dalla telenovela colombiana "Caffè con aroma di donna" - nonostante questa abbia fatto il giro del mondo - ma i cafetaleros (proprietari di piantagioni di caffè) centroamericani hanno deciso di unificarsi in una Commissione Speciale regionale per promuovere congiuntamente il loro prodotto.
Echi dell’immaginaria "Associazione dei Cafeteros (raccoglitori di caffè) della Colombia" che propaganda la telenovela in questione, o dell’assolutamente reale Federazione Nazionale dei Cafeteros Colombiani, o un’urgente necessità di fronte agli assalti del mercato mondiale?
La cosa certa è che i cafeteros dell’America Centrale - riuniti in Costa Rica - hanno fatto un primo passo formando una Segreteria pro tempore che inizierà con l’unificazione delle statistiche e le attività di promozione e che quest’anno avrà la sua sede in Guatemala.
Nel campo delle statistiche l’accordo precisa che la Segreteria unificherà il numero dei sacchi raccolti da ciascun Paese, la quantità del caffè in grani commercializzata nel mercato internazionale e il prezzo medio.
Il blocco delle nazioni dell’America Centrale produce annualmente circa 10 milioni di sacchi da 60 chili, quantità vicina a quella della Colombia (11,25 milioni di sacchi nel 1998) che è il secondo produttore. Il primo produttore mondiale di caffè è il Brasile.
Il caffè - uno dei principali prodotti d’esportazione centroamericani - ha visto cadere il suo prezzo nel mercato mondiale. Proprio la Federazione colombiana nella sua analisi annuale registra nel 1998 un aumento di volume, ma una caduta delle entrate a causa dei prezzi internazionali.

L’ingiustizia ha storia

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gennaio 1999 - Due recenti articoli sulla stampa cubana - Juventud Rebelde e Granma - sugli scienziati latinoameriacani ai quali si è cercato di strappare la gloria di rilevanti scoperte nel campo della medicina, danno lo spunto per dei commenti.
Juventud Rebelde scrive che l’episodio più recente riguarda il ricercatore honduregno-salvadoregno Salvador Moncada, oltretutto anche Premio Príncipe de Asturias per la Ricerca Scientifica, che secondo quanto è stato pubblicato in diversi articoli anche della stampa, è lo scopritore, a metà degli anni ‘80, dell’ossido di azoto (NO) come prodotto cellulare.
Ma risulta che l’Accademia Svedese ha assegnato il Nobel per la Medicina 1998 a tre scienziati nordamericani per questa scoperta. Questo fatto ha scatenato una forte protesta in università e istituti latinoamericani e spagnoli ed è stato qualificato un "esercizio di discriminazione".
Si fa presente che si cominciò ad assegnare il Nobel nel 1901 e solo nel 1947 è stato assegnato per la prima volta quello per la scienza a un latinoamericano, il fisiologo argentino Bernardo Houssay.
Il caso fa ricordare il medico cubano Carlos J. Finlay, scopritore dell’agente vettore della febbre gialla, che aveva esposto la sua teoria nel 1881 alla Conferenza Sanitaria Internazionale di Washington.
L’articolo di Granma fa riferimento a una cronologia di un’agenzia di notizie nella quale si concede questo merito al nordamericano Walter Reed.
In realtà ci sarebbe da incolpare di poca professionalità questa agenzia o scusare la sua fiducia, dato che fu proprio Reed, senza pudore né etica, che nel 1901 - vent’anni dopo Finlay - durante il Secondo Congresso Medico Panamericano parlò dei risultati della ricerca in questo campo senza menzionare lo scienziato cubano.
Naturalmente, con il sempre nebuloso apparato propagandistico nordamericano, sul caso Finlay-Reed sono molto probabilmente molti gli ingannati nel mondo nonostante il cubano sia stato proposto in due occasioni per il Nobel per la sua scoperta, senza ottenerlo, e nonostante l’UNESCO abbia instaurato il premio internazionale Carlos J. Finlay nel campo della microbiologia.
Non significa necessariamente che i nordamericani che ottengono ora il Nobel si siano appropriati della ricerca di Moncada, si può lavorare nella stessa direzione, ma il latinoamericano è arrivato ai risultati per primo.
Spetta all’Accademia Svedese, a quelli che concedono il Nobel, rispondere di questo nuovo errore che, collocato in una valenza storica, mostra che va sempre in pregiudizio degli scienziati e ricercatori - non delle menti né delle intelligenze - che operano nel mondo sottosviluppato.

Un miliardo di analfabeti

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gennaio 1999 - Nella sua ultima relazione dell’anno 1998, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) ha comunicato che un miliardo di persone - la sesta parte dell’umanità - arriverà analfabeta al nuovo millennio.
Il documento "Lo stato mondiale dell’infanzia nel 1999" è stato fatto conoscere nella sede dell’ONU a New York e precisa che oltre 130 milioni di bambini - 73 milioni dei quali sono bambine - non hanno accesso alla educazione elementare.
Carol Bellamy, direttrice esecutiva dell’UNICEF, afferma che il mondo "non può permettersi il lusso di questo enorme spreco di potenziale umano".
L’UNICEF ricorda anche che si nega così un diritto umano fondamentale, il diritto all’educazione, proclamato 50 anni fa nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e nella Convenzione del 1989 sui Diritti del Bambino.
Questo organismo dell’ONU precisa che le cifre si riferiscono ai Paesi in via di sviluppo e segnala la radice economica dell’analfabetismo, il debito estero di 2.2 bilioni di dollari, il che rende loro "estremamente difficile investire nell’educazione".
Secondo l’UNICEF è necessario un investimento di sette milioni di dollari l’anno per i prossimi dieci anni perché tutti i bambini abbiano accesso all’educazione e sottolinea come questo sia meno di quanto negli Stati Uniti si investe per i cosmetici e in Europa per i gelati.
Per l’America Latina la situazione, sempre secondo l’UNICEF, è differente, e segnala che in essa la frequenza scolastica è superiore al 90%, ma ha bisogno di una migliore qualità e un accesso equo.
Indica che dei nove milioni di bambini e bambine che ogni anno iniziano le elementari, quattro milioni ripetono la prima.
Considerando il parametro qualitativo, uno studio dell’UNESCO sulla conoscenza della lingua e della matematica da parte di bambini e bambini della terza e della quarta classe, attesta che quelli di Cuba sono molto superiori alla media dell’America latina.
L’analisi è stata condotta a Cuba, in Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Cile, Repubblica Dominicana, Honduras, Messico, Paraguay, Perù e Venezuela e, su un indice massimo di 500 punti, Cuba ha raggiunto 350 e gli altri tra 180 e 280.
Lo studio ha preso in considerazione campioni di almeno cento scuole per ogni Paese.

Oscuro panorama lavorativo per il 1999
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dicembre 1998 - Un panorama per nulla incoraggiante attende i lavoratori dell’America Latina il prossimo anno, quando il tasso di disoccupazione potrebbe arrivare al 9.5 %, superando quello del 1998, secondo un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT) presentato il 10 dicembre del corrente anno.
Le stime poi, saranno superiori a quelle registrate nel momento più acuto della crisi del debito estero durante il passato decennio, secondo Victor Tokman, vicedirettore generale della OIT per le Americhe, menzionato da AFP.
L’oscuro panorama per il 1999 è il risultato della crisi del sudest asiatico, a cui si è aggiunta la recessione in Giappone, la crisi russa e i devastanti effetti del fenomeno climatico El Niño e degli uragani Georges e Mitch, ha precisato Tokman.
Ha aggiunto che la crescita dell’economia regionale in quest’anno che sta passando, equivarrebbe approssimativamente alla metà del risultato del 1997, il che ha comportato un deterioramento della situazione lavorativa. Il tasso di disoccupazione nell’America Latina è aumentato dal 7.7 % nel periodo gennaio-settembre dello scorso anno, all’8.5 % nello stesso periodo nel 1998.
Il vicedirettore della OIT ha segnalato che l’unico indicatore che ha mostrato un comportamento relativamente positivo per tutti i paesi dell’area è quello dei salari reali, dovuto all’inflazione e all’aumento della produttività.
In questa situazione il rapporto suggerisce di mettere in pratica il rispetto dei diritti base dei lavoratori e l’allargamento della capacità per fare udire la voce di coloro che non sono rappresentati.

Il SELA mostra una rinnovata disposizione all’integrazione

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dicembre 1998 - La 24° riunione ordinaria ministeriale del Sistema Economico Latinoamericano (SELA) tenutasi a La Habana ha confermato con un rinnovato accento la necessità crescente dell’integrazione latinoamericana, ora più necessaria che mai per affrontare l’attuale problematica economica mondiale, qualificata dal presidente Fidel Castro come "ora decisiva dell’umanità".
Fidel ha affermato che cercando nuove vie per i popoli di questa regione, stiamo necessariamente cercando nuove vie per il mondo, "questo mondo che oggi sta invischiato in una battaglia per la sopravvivenza, perché marcia sulla stessa barca che se affonda, affonderà con tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti".
Sia il presidente cubano in un discorso durante l’incontro, sia un gruppo di esperti in una riunione di alto livello, insieme ai rappresentanti dei 28 paesi membri, sia gli stessi documenti finali dell’evento, hanno rispecchiato in modo realistico e obiettivo gli effetti nella regione della crisi vissuta ultimamente dal mondo per la crisi finanziaria sorta in Asia e per altri problemi economici e finanziari, uniti ai disastri naturali.
Al riguardo, uno dei motivi centrali della riunione è stato l’incapacità delle strutture economiche e finanziarie su scala mondiale, e la sue conseguenze in regioni come l’America Latina, di fronteggiare questi problemi, fatto che rivela ancora più necessaria l’integrazione tra le sue nazioni.
Il documento centrale sottoscritto nell’incontro, che ha avuto il nome di Dichiarazione di La Habana, ha espresso la preoccupazione di fronte al fatto che la crisi finanziaria "possa condurre a una grave recessione economica internazionale con effetti negativi per la crescita economica e la stabilità dei paesi dell’area".
La riunione ha messo in risalto l’importanza dei vari processi di integrazione attualmente in corso nell’America Latina e nei Caraibi, sui quali ha affermato che "hanno acquistato rinnovato dinamismo negli ultimi anni" e ha chiamato a "rafforzarli e a preservarli dagli effetti della crisi finanziaria internazionale e dagli aspetti negativi della globalizzazione". In questo senso, si è accordato di riaffermare la decisione del SELA di continuare ad approfondire questi schemi, così pure di favorire la più rapida convergenza, al fine di raggiungere, nel più breve tempo possibile, l’obiettivo dell’unità regionale.
I partecipanti hanno convenuto nella dichiarazione che il processo di globalizzazione dell’economia internazionale deve essere orientato in modo tale che sia basato sulla concertazione, sulla cooperazione e sulla solidarietà affinché sia al servizio del progresso e contribuisca, in modo speciale, all’eliminazione della povertà e delle sue cause, a raggiungere l’uguaglianza sociale e ad appoggiare lo sviluppo sostenibile.
Nell’ultimo dei due giorni di sessioni, l’assemblea ministeriale ha concordato di esprimere il suo riconoscimento al popolo e al Governo di Cuba per la loro ospitalità e al presidente Fidel Castro per la sua inestimabile partecipazione alla Commissione di Alto Livello su "La Dinamica delle Relazioni Estere dell’America Latina", tema centrale della riunione.
Tra le 13 decisioni approvate dalla riunione del SELA, organismo che funziona dal 1973, ne figura una che riafferma il "più energico rifiuto alla Legge Helms-Burton, così pure a tutti i tipi di misure dirette a rafforzare, ad ampliare e a internazionalizzare il blocco". Un altro degli accordi principali è stato quello di stabilire all’interno della struttura dell’organismo un Meccanismo Regionale di Coordinamento dei Direttori di Cooperazione Tecnica per controllare interventi a favore degli stati colpiti da disastri naturali.

Un viaggio senza ritorno
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dicembre 1998 - Molto opportuno è stato l'incontro mondiale Voci dei Giovani sull'AIDS, che con il patrocinio del Programma Congiunto sull'HIV/AIDS (ONUAIDS) si è recentemente tenuto in India.
Allarmanti sono stati i dati elaborati dagli specialisti sull'altissima incidenza del virus tra la popolazione giovane, che è naturalmente la più esposta per una vita sessuale più intensa, ma allo stesso tempo la meno protetta.
I partecipanti hanno convenuto che in molti paesi l'educazione sessuale e l'uso dei profilattici sono insufficienti, per l'alto costo della protezione e per la vendita limitata alle farmacie.
Una delegata brasiliana ha annunciato la creazione di un agenzia non ufficiale che ha come obiettivo principale quello di sensibilizzare i mezzi d'informazione, i periodici, la radio e la televisione, sulla necessità di un'ampia informazione e di un'ampia propaganda sul tema.
Il Brasile, secondo quanto detto nell'incontro, occupa il terzo posto nell'incidenza dell'HIV/AIDS.
L'Organizzazione Panamericana della Salute (OPS), nel suo ultimo documento, mette in guardia su quello che qualifica come "allarmante espansione dell'AIDS nella regione" ed esorta i governi a destinare maggiori risorse per combattere la malattia del secolo.
Il documento è stato reso noto proprio nella Giornata Mondiale della Lotta contro l'AIDS (1° dicembre) che quest'anno è stata espressamente dedicata alla gioventù.
Quest'ultimo rapporto sull'incidenza dell'AIDS, datato agosto 1998, segnala che nel continente americano ci sono 915.858 casi, di questi 243.834 in America Latina.
Dal 1991 a oggi sono morti nella regione, a causa di questa malattia, 112.865 persone, più uomini che donne. Nel 1997 - sempre secondo la OPS - sono stati rilevati 117,57 casi di AIDS per ogni milione di uomini nel continente e 37,26 casi per ogni milione di donne.
Stati Uniti, Brasile, Messico, Canada e Puerto Rico hanno i più alti indici di mortalità per AIDS nel continente.
Durante l'incontro tenuto in India dall'ONUAIDS, un rappresentante dell'UNICEF ha segnalato che i giovani, in certi momenti della loro vita, amano correre rischi, il fumo, bevande alcoliche, provare droghe, tutte cose che in seguito possono essere abbandonate, ma l'AIDS - ha avvisato - è un viaggio senza ritorno e questo messaggio bisogna farlo arrivare con urgenza e in qualsiasi modo.

La realtà oltrepassa la finzione
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dicembre 1998 - Quando Costa Gravas girò nel 1973 "L'amerikano" e nel 1982 "Desaparecido", alcuni considerarono che questi film fossero lastricati di esagerazioni.
Nel primo, Ives Montand rappresentava un funzionario della CIA in Uruguay che addestrava l'esercito e la polizia in tattiche brutali contro gli oppositori della dittatura, e nel secondo Jack Lemmon interpretava il padre che infruttuosamente cerca suo figlio "desaparecido" durante il colpo di stato di Pinochet in Cile.
La realtà documentata, denunciata e sofferta in numerosi paesi latinoamericani è drammaticamente peggiore, dato che decine di migliaia di persone sono state assassinate e torturate nei decenni delle dittature militari e altre migliaia sono nella terribile categoria dei "desaparecidos".
I responsabili di tali crimini - descritti nelle due pellicole citate, anche se ce ne sono altre, per esempio "La storia ufficiale" - sono stati addestrati nella Scuola delle Americhe, fondata nel 1946 a Fort Gulick, nella zona del Canale di Panama, trasferita nel 1984 a Fort Benning, Georgia, come risultato della firma del Trattato Torrijos-Carter (1977).
Si stima che circa 60.000 militari latinoamericani siano stati addestrati in questo centro.
La Scuola fa nuovamente notizia, dopo che circa tremila nordamericani, tra i quali si trovava anche l’attore Martin Sheen, hanno manifestato davanti alla sua sede. Protestavano proprio perché da lì sono usciti i responsabili dei "desaparecidos" latinoamericani, delle tecniche brutali di tortura e degli assassinii.
I manifestanti esigevano non solo la chiusura di questo centro, molte volte denominato "la scuola degli assassini", ma che Washington presentasse le proprie scuse.
Non è la prima volta che si richiede la chiusura della Scuola. L’anno scorso, in aprile, lo ha richiesto il quotidiano "The New York Times", dopo che in febbraio il Dipartimento della Difesa ha reso noto uno studio - preparato su richiesta del Congresso - sui manuali che lì venivano utilizzati.
Il Pentagono riconosce che, in violazione delle proprie leggi e dei regolamenti statunitensi, veniva condotto un addestramento, fino al 1991, con manuali segreti che - afferma - velatamente approvavano esecuzioni, torture ed estorsioni come tecniche antisovversive, cioè, "incitavano alla violazione dei diritti umani".
Si riferisce al "Manuale per il trattamento delle fonti", dove sono comprese tecniche come torture psicologiche e sequestri di familiari dei detenuti, e al "Manuale terrorismo e guerriglia urbana", dove si raccomanda la neutralizzazione.
Dopo tanti libri, film e telefilm polizieschi e di spionaggio, il quotidiano "The Washington Post" si rimette a "rivelazioni" di un funzionario del Pentagono per spiegare che neutralizzazione nel Manuale equivale ad assassinio.
Alcuni analisti si sono trovati d’accordo, dopo lo studio dello stesso Dipartimento di Difesa, con decine di magistrati, politici, difensori dei diritti umani e familiari delle vittime, che affermano che grazie all’addestramento dato dalla Scuola delle Americhe, sono comparsi, per esempio, gli squadroni della morte nel Salvador (sei sacerdoti gesuiti furono assassinati da uno squadrone in questo paese), e si è aperta la strada ai "desaparecidos", alle torture (tra queste quelle con gli elettrodi, e all’Operazione Cóndor o alla cosiddetta sporca guerra coordinata, nei decenni tenebrosi, tra i servizi segreti di Cile, Paraguay, Uruguay e Argentina.
La settima arte molte volte è una denuncia e a volte, come sfortunatamente in questo caso, la realtà oltrepassa la finzione.

I cambi climatici
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novembre 1998 - E' terminata a Buenos Aires, Argentina, la quarta Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambi Climatici, con un confronto e posizioni divergenti, come è abituale, tra il nord industrializzato e i paesi in via di sviluppo, rappresentati dal Gruppo dei 77, portavoce di 132 nazioni.
Anche se la riunione si è conclusa con la firma di un piano d'intervento che cercherà di instaurare meccanismi per ridurre l'inquinamento ambientale in un periodo di tempo di due anni, questo risultato non lo si può considerare come un successo.
Dopo nove giorni di discussioni, per esempio, non si è raggiunto un consenso per instaurare i meccanismi di flessibilità previsti dal Protocollo di Kyoto approvato in Giappone alla fine del 1997, che stabilisce obiettivi e responsabilità per la riduzione delle emissioni che causano cambi climatici.
Il nocciolo dei dibattiti è sulla questione che la Convenzione del Cambio Climatico identifica come principali cause del riscaldamento del pianeta le emissioni di biossido di carbonio, di metano e di altri gas liberati dalla carburazione di combustibili fossili e da tutta una serie di attività umane.
Il nord industrializzato - secondo dati forniti nelle varie riunioni - è responsabile del 75 % delle emissioni di gas "con effetto serra" generate dalle attività produttive, e il Protocollo di Kyoto stabilisce che nel periodo 2008-2012 queste emissioni dovranno essere ridotte del 5.2 % rispetto al livello di quelle del 1990.
Al contrario, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico e l'Agenzia Internazionale dell'Energia hanno diffuso statistiche che dimostrano l'incremento del 7 % delle emissioni di biossido di carbonio tra il 1990 e il 1996.
Gli Stati Uniti sono il primo paese emettitore, seguiti da Cina, Russia, Giappone, Germania, India, Gran Bretagna, Canada, Ucraina e Italia e, per l’America Latina, Messico, Brasile e Argentina.
Sempre secondo questo documento, l'aviazione internazionale ogni anno aggiunge milioni di tonnellate di biossido di carbonio, e la deforestazione ne causa l'aumento tra 3.000 e 4.000 tonnellate all'anno.
L'emissione di questi gas è la causa del cosiddetto effetto serra o riscaldamento della terra con i conseguenti cambi climatici che producono siccità, inondazioni, aumento del livello del mare per lo scioglimento dei ghiacci polari e uragani ogni volta sempre più violenti.

Speranze perse
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novembre 1998 - L'uragano Mitch è stato il peggior disastro naturale nella storia di Honduras, Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Non solo per il numero di morti, dispersi, feriti ma anche per le enormi distruzioni causate alle deboli economie di quei paesi centroamericani.
In questo modo sono sfumate le speranze di un veloce decollo economico previsto tra un 5 e un 6 % di incremento del Prodotto Interno Lordo, che lo scorso anno è stato di 29.039 milioni di dollari.
Grandi produttrici di caffè, queste nazioni - insieme al Costa Rica - speravano nell'insieme di scalzare la Colombia dal secondo posto mondiale che occupa dopo il Brasile. Perché si abbia un'idea dell'importanza che ha questa zona, le esportazioni di grano dell'istmo sono arrivate a circa 2 miliardi di dollari nel 1997, quasi il 20 % delle vendite globali dei cinque paesi.
Ma ora Mitch ha lasciato a terra questi piani. Le cifre ufficiali alle quali si è avuto accesso sono rivelatrici.
Principale fonte di ingresso di divisa in Guatemala, la produzione di caffè calerà di un 10 %, con perdite valutate in 75 milioni di dollari, mentre in Nicaragua calerà di circa 400.000 quintali, vale a dire il 30 % di quanto era stato preventivato come produzione.
I dati dell'Honduras sono ancora imprecisi, ma il Presidente Carlos Flores ha già comunicato che il 70 % delle coltivazioni di tutta l'agricoltura è stato distrutto. Per El Salvador, oltre il 25 % del suo commercio globale è a rischio. Se non ci fosse stato Mitch, hanno comunicato fonti economiche, il commercio centroamericano quest'anno sarebbe cresciuto del 12 %, vale a dire oltre 2 miliardi di dollari, e le esportazioni totali sarebbero state di circa 18 miliardi di dollari.
Viene assicurato che Honduras e Nicaragua tarderanno non meno di dieci anni per recuperare.
Riassumendo, un vero disastro.


Il Gruppo ACP cerca di rafforzare la sua unità

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novembre 1999 - Le 71 nazioni dell’Africa, del Caribe e del Pacifico (ACP) daranno priorità nel 2° Vertice dei Capi di Stato e di Governo, a Santo Domingo, al rafforzamento della propria unità in modo da agire in blocco.
"Il Vertice ha come obiettivo quello di riaffermare l'unità e la solidarietà del blocco per agire insieme all'interno di un mondo che presenta molte difficoltà" nel segno della globalizzazione, ha commentato il diplomatico dominicano Max Puig in un'intervista a Notimex.
I Capi di Stato e di Governo dell'ACP, nel loro 2° Vertice, hanno stabilito la linea che il blocco dovrà tenere di fronte alla Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e la proposta per negoziare con l'Unione Europea un nuovo schema di cooperazione.
Oltre alle 71 nazioni dell'ACP, all'incontro del Gruppo parteciperanno Cuba e cinque nazioni insulari del Pacifico del Sud come osservatori.
L'incaricato dominicano per le relazioni con i paesi dell'ACP ha precisato che questo gruppo di nazioni desidera, inoltre, mantenere i propri vincoli con la UE e consolidarsi come blocco per far sentire la propria voce ai forum internazionali.
Ha aggiunto che il Gruppo dell'ACP - composto da 48 paesi africani, 15 del Caribe, dei quali solo Belize, Guyana e Suriname sono nel massiccio continentale, e 8 nazioni insulari del Pacifico - deve avere una propria linea per negoziare i suoi problemi comuni.
Puig ha manifestato il suo beneplacito per il progetto di unificare la posizione che avrà questo gruppo di nazioni alla 3° Conferenza Ministeriale dell'OMC, che si terrà il 30 novembre a Seattle, Stati Uniti.
I paesi dell'ACP, riuniti al Convegno di Lomé per negoziare l'appoggio della UE, "hanno bisogno in modo indispensabile di un sostegno, di un appoggio per porsi in condizioni migliori in vista di affrontare la nuova realtà" dell'apertura di mercati.
Ha ricordato che la UE dispensa, mediante l'Accordo di Lomé, la cui prima stesura è stata scritta il 28 febbraio 1975, appoggio economico non rimborsabile, come pure collaborazione tecnica in diversi settori e facilitazioni doganali alle nazioni dell'ACP.
Commentando il fatto che i Capi di Stato e di Governo dell'ACP sono riusciti durante il 2° Vertice "a tracciare orientamenti sicuri per negoziare con la UE l'ampliamento dei benefici del Convegno di Lomé", Puig ha indicato che in nessun modo si tratta di rendere eterna la dipendenza.
In accordo con Puig, le funzioni del gruppo dell'ACP devono smettere di limitarsi ai loro canali commerciali e di cooperazione con la UE e iniziare a fondere i propri interessi in una sola voce per ottenere risultati economici e politici nei forum internazionali.
Qualificando incoraggiante l'intenzione di stabilire una proposta congiunta da presentare alla OMC, ha spiegato che "perfino una buona parte dei paesi in via di sviluppo più poveri si uniscono per parlare dei problemi che li riguardano".
Puig ha ribadito che "tutti siamo d'accordo sul fatto che il mondo avanza verso le relazioni basate sul libero commercio, ma non tutti i paesi sono sufficientemente preparati" per la globalizzazione.
Secondo il diplomatico, l'apertura commerciale e la fine delle concessioni bilaterali, come quelle che offre la UE ai paesi dell'ACP mediante il Convegno di Lomé, "metterà una buona parte dei paesi in una situazione molto difficile" all'inizio del prossimo secolo.
I paesi dell'ACP e la UE realizzeranno dal 5 al 10 dicembre prossimo nella capitale belga un terzo giro di negoziati per determinare il modello che sosterrà i programmi di cooperazione dopo la scadenza del Convegno di Lomé il 29 febbraio 2000.
Il diplomatico ha sottolineato che durante l'appuntamento di questa settimana, il blocco dei paesi rafforzerà la sua unità, con la creazione della Segreteria Generale, che darà un carattere di permanenza all'esistenza del gruppo e rafforzerà all'interno la propria solidarietà.