Associazione Nazionale Su Ricordo di Giovanni Ardizzone Le lezioni sempre attuali di un braccio di ferro
Nuestra America
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Ricordo di Giovanni Ardizzone
Nella seconda metà di ottobre del 1962 in Italia, come nel resto del mondo, si
stavano vivendo momenti dansia, momenti di paura per quanto stava accadendo a Cuba.
Non era in gioco solo il destino di questa piccola nazione, in quel momento se fosse
scoppiata una guerra avrebbe coinvolto anche noi che ci troviamo distanti, a diverse
migliaia di chilometri. |
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Da una decina di giorni la gente ascoltava la radio, guardava il telegiornale delle ore 20
lunico che cera e in bianco e nero leggeva i giornali pieni di
titoli a nove colonne. Cera veramente molta preoccupazione.
La Camera del Lavoro di Milano aveva indetto per sabato 27 ottobre uno sciopero generale
allora si lavorava anche in questo giorno della settimana e una
manifestazione con comizio finale, nel centro della città, per la pace e in solidarietà
al popolo cubano.
Quel sabato 27 ottobre era una giornata molto piovosa, ma questo inconveniente non aveva
impedito a centinaia di migliaia di lavoratori, studenti, semplici cittadini, di recarsi
allappuntamento con striscioni e cartelli ricavati artigianalmente da pezzi di
cartone con le scritte "Sì alla pace, no alla guerra", "Cuba sì, yankee
no" e molte altre ancora, più o meno con gli stessi contenuti. Ladesione delle
fabbriche allo sciopero era stata impressionante, con percentuali dastensione al
lavoro che andavano dal 70 all80 %. Alcune erano arrivate addirittura al 100%.
Giovanni Ardizzone era uno dei tanti. Era un ragazzo di Castano Primo, un paese a una
trentina di chilometri a nord-ovest di Milano. Figlio di un farmacista, era iscritto
alluniversità al terzo anno di medicina. Durante la settimana viveva a Sesto San
Giovanni in un collegio per studenti, per essere più comodo a raggiungere
luniversità. Era un comunista, un intellettuale. Discuteva spesso con gli altri
studenti del collegio per convincere i pavidi, gli indolenti, gli scettici, per fare
capire loro limportanza della mobilitazione delle masse per ottenere
luguaglianza e la giustizia.
Sotto la pioggia sferzante, in via Mengoni - la via intitolata allarchitetto che ha
costruito la Galleria e che sbuca in Piazza del Duomo - stava gridando con gli altri
"Pace, pace, pace", quando allimprovviso le jeep della polizia si sono
scagliate con i fari accesi contro la folla per disperderla, subito seguite dalle cariche
degli agenti a piedi con manganelli e lacrimogeni.
Giovanni è stato investito in pieno da una jeep, alle spalle, mentre correva a cercare un
riparo. E rimasto lì, a terra, con il giubbotto di fustagno marrone lacerato, il
volto sporco e gli occhi sbarrati in un ultimo "perché?".
Più in là quella che prima era una bicicletta, ridotta a due tronconi informi e
contorti, testimoniava il passaggio di tanta furia. Quel ciclista rimase poi in ospedale
tra la vita e la morte per diversi giorni. Anche molti altri manifestanti vennero feriti,
sia dagli automezzi lanciati a folle velocità contro di loro sia dalla inaudita e
ingiustificata violenza delle cariche di polizia. Il grido di "Pace, pace, pace"
si tramutò subito in "Assassini, assassini, assassini", con i dimostranti che
lanciavano contro le jeep e contro i poliziotti quello che in quel momento avevano in
mano: le aste di legno che sorreggevano gli striscioni e gli ombrelli che avevano portato
per ripararsi dalla pioggia.
In mezzo al fumo dei lacrimogeni e ai lamenti dei feriti, la gente costernata non riusciva
a concepire come si potesse morire così, a poco più di ventanni, semplicemente
gridando "pace".
Questo fatto suscitò una grande emozione non solo a Milano e in provincia, ma anche nelle
altre regioni italiane. Numerosi messaggi di cordoglio giunsero alla famiglia Ardizzone e
alla Camera del Lavoro di Milano da molti Comuni e da molte fabbriche italiane. Riveste un
particolare significato il messaggio, scritto personalmente a mano, dallallora
Sindaco di Marzabotto, il piccolo paese emiliano vittima della ferocia nazista.
Venne proclamato un altro sciopero e tutta Milano si fermò ancora una volta, in segno di
lutto e di protesta per la morte del giovane, caduto per la pace e per la libertà di
Cuba.
Oggi a Cuba, precisamente allIsola
della Gioventù, dove hanno studiato gratuitamente decine di migliaia di giovani ragazzi
venuti dal Terzo Mondo, cè una scuola per infermieri che porta il nome di Giovanni
Ardizzone. Lo storico cantautore della sinistra, Ivan Della Mea, ha scritto una canzone in
dialetto milanese dal titolo "La ballata dellArdizzone", nella quale
racconta la violenza della polizia contro i manifestanti e la morte del giovane studente.
Recentemente, a metà degli anni 90, il Comune di Castano Primo ha voluto intitolare
la grande piazza del paese, dove ogni settimana si tiene il mercato, alla memoria del suo
cittadino. Anche i Circoli lombardi della nostra Associazione, gemellati con la Provincia
di Las Tunas, hanno voluto dare il nome di Giovanni Ardizzone alla piccola brigata di
lavoro volontario che ogni anno si reca in quella provincia cubana.
E giusto che Giovanni sia stato ricordato in questi diversi modi. E ancora
meglio se tutti noi lo ricordiamo attraverso un nostro maggiore impegno per rendere
concreti gli ideali per i quali è caduto perché, dopotutto, sono anche i nostri.
Sergio Marinoni |
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