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Intervento del Presidente del Consiglio di Stato e dei Ministri della Repubblica di
Cuba, Fidel Castro Ruz, alla sessione inaugurale del Vertice Sud
La Habana, 12 aprile 2000
Eccellenze;
Distinti delegati e invitati:
L'umanità non ha avuto mai prima dora un potenziale tecnico-scientifico tanto
formidabile, una capacità di generare ricchezza e benessere tanto straordinaria, e mai
prima dora il mondo è stato così diseguale l'inequità tanto profonda.
Le meraviglie tecnologiche che hanno fatto più piccolo il pianeta in termini di
comunicazioni e di distanze, coesistono con l'enorme e sempre più maggiore distanza tra
ricchezza e povertà, tra sviluppo e sottosviluppo.
La globalizzazione è una realtà oggettiva che pone in evidenza la nostra condizione di
passeggeri di una stessa nave, questo pianeta abitato da tutti. Ma in quella nave i
passeggeri viaggiano in condizioni molto diseguali.
Un'esigua minoranza viaggia in cabine di lusso dotate di Internet, telefoni cellulari,
accesso a reti globali di comunicazione; dispongono di dieta alimentare abbondante e
bilanciata; consumano acqua pulita; hanno cure mediche sofisticate e accesso alla cultura.
Una schiacciante e sofferente maggioranza viaggia in condizioni che somigliano alle
orribili traversate del passato coloniale del commercio di schiavi tra Africa e America.
Ammucchiato in stive insalubri, affamato, ammalato e sfiduciato, viaggia su quella nave
l85 % dei suoi passeggeri.
È evidente che è carica di troppa ingiustizia per mantenersi a galla, e segue una rotta
tanto irrazionale e assurda che non è in grado di approdare a un porto sicuro. Questa
nave sembra destinata a sbattere contro un iceberg. Se così accadesse, affonderemo tutti.
I Capi di Stato e di Governo qui riuniti, rappresentanti della schiacciante e sofferente
maggioranza, hanno il diritto, e ancora di più l'obbligo di dare un colpo di timone e di
correggere questa rotta catastrofica. Hanno l'obbligo di occupare il posto che ci
corrisponde sul ponte di comando e di far sì che tutti navighino in condizioni di
solidarietà, di equità e di giustizia.
Per due decenni al Terzo Mondo è stato ripetuto un discorso semplicista e unico, e gli è
stata imposta un'unica politica.
Ci è stato assicurato che il mercato senza regole, la massima privatizzazione e il ritiro
dello Stato dall'attività economica erano i principi infallibili per raggiungere lo
sviluppo economico e sociale.
Seguendo questi principi, i paesi sviluppati, e in particolar modo gli Stati Uniti, le
grandi multinazionali beneficiarie di questa politica e il Fondo Monetario Internazionale,
hanno disegnato negli ultimi due decenni l'ordine economico mondiale più ostile per il
progresso dei nostri paesi, e anche il più insostenibile per il mantenimento della vita
in termini sociali e ambientali.
La globalizzazione è stata rinchiusa nella camicia di forza del neoliberismo e, come
tale, tende non a globalizzare lo sviluppo, bensì la povertà; non il rispetto della
sovranità nazionale dei nostri Stati, bensì la sua violazione; non la solidarietà tra i
paesi, bensì quel si salvi chi può! nel mezzo di una disuguale competizione
nel mercato.
Due decenni della cosiddetta sistemazione strutturale neoliberista hanno lasciato un saldo
di fallimento economico e disastro sociale, che è dovere dei politici responsabili
affrontare con il proposito di prendere le decisioni imprescindibili per tirare fuori il
Terzo Mondo da questo vicolo cieco.
Il fallimento economico è evidente. Sotto le politiche neoliberiste, l'economia mondiale
ha avuto una crescita globale tra il 1975 e il 1998 che è stata appena la metà di quella
raggiunta nel periodo 1945-1975, con politiche keynesiane di regolazione dei mercati e di
attiva partecipazione dello Stato nell'economia.
In America Latina, dove il neoliberismo è stato applicato con ortodossia dottrinale, la
crescita economica della fase neoliberista non va oltre la metà di quanto è stato
ottenuto con politiche di sviluppo condotte dagli Stati. L'America Latina non aveva debito
all'inizio del dopoguerra. Oggi dobbiamo quasi un milione di milioni di dollari. Il debito
per abitante è il più alto del mondo. La differenza di entrate tra ricchi e poveri è
anche la più alta del mondo. Ci sono più poveri, più disoccupati e più affamati che
nei peggiori periodi della sua storia.
Con il neoliberismo, l'economia mondiale non è cresciuta più rapidamente in termini
reali, ma invece si sono moltiplicati l'instabilità, la speculazione, il debito estero,
lo scambio disuguale, la tendenza a prodursi crisi finanziarie più frequenti, la
povertà, la disuguaglianza e l'abisso tra il Nord opulento ed il Sud saccheggiato.
Crisi, instabilità, turbolenza e incertezza sono stati i termini più utilizzati negli
ultimi due anni per riferirsi all'ordine economico mondiale.
La deregolamentazione neoliberista e la liberalizzazione del conto di capitale hanno
profonde ripercussioni negative in un'economia mondiale dove fiorisce la speculazione nei
mercati di valuta e dei titoli finanziari, nei quali si realizzano transazioni quotidiane,
la maggioranza delle quali sono totalmente speculative, non inferiori a tre milioni di
milioni di dollari.
Si esige dai nostri paesi una maggior trasparenza nell'informazione e un'effettiva
supervisione bancaria, ma enti finanziari come i fondi di copertura non offrono
informazioni sulle loro attività, non hanno regolamentazione alcuna e realizzano
operazioni con importi molto superiori a tutte le riserve delle banche dei paesi del Sud.
In un clima di speculazione straripante, i movimenti di capitale a breve termine rendono
vulnerabili i paesi del Sud di fronte a qualsiasi contingenza esterna.
Si obbliga il Terzo Mondo a immobilizzare risorse finanziarie e a indebitarsi per
mantenere riserve in valuta con l'illusione di resistere agli attacchi speculativi. Oltre
il 20 % delle entrate di capitale negli ultimi anni sono state immobilizzate come riserve
e alla fine non sono state in grado di resistere a tali attacchi, come è stato dimostrato
nella recente crisi finanziaria iniziata nel Sud-est Asiatico.
Negli Stati Uniti sono sistemati circa 727.000 milioni di dollari provenienti dalle
riserve delle Banche Centrali del mondo. Questo dà luogo al fatto assurdo che con le loro
riserve i paesi poveri offrono un finanziamento economico e a lungo termine al paese più
ricco e potente del mondo, riserve che potrebbero essere investite non solo nello sviluppo
economico ma anche in quello sociale.
Se Cuba ha potuto fare quello che ha fatto nell'educazione, nella salute, nella cultura,
nella scienza, nello sport e in altre sfere sociali, con i successi che nessuno discute
nel mondo, nonostante il blocco economico che dura già da quattro decenni e, inoltre, ha
rivalutato di sette volte la sua moneta negli ultimi cinque anni in relazione al dollaro,
questo è stato possibile per il privilegio di non appartenere al Fondo Monetario
Internazionale.
Un sistema finanziario che obbliga a mantenere congelate tanto abbondanti risorse di paesi
che ne hanno disperatamente bisogno, per proteggersi dall'instabilità che lo stesso
sistema genera, e propizia il fatto che i poveri finanzino i ricchi, è un sistema che
deve essere demolito.
Il menzionato Fondo Monetario Internazionale è l'organizzazione emblematica dell'attuale
sistema monetario. In esso gli Stati Uniti godono di potere di veto sulle sue decisioni.
Nella recente crisi finanziaria il FMI ha dimostrato imprevidenza, rozzo maneggio della
crisi una volta iniziata e imposizione delle sue clausole di condizioni che paralizzano le
politiche di sviluppo sociale dei governi, creano loro gravi problemi interni e
impediscono loro di ottenere le risorse necessarie nei momenti in cui più le richiedono.
È già ora che il Terzo Mondo chieda con forza la demolizione di un organismo che non
offre stabilità all'economia mondiale e funziona non per assegnare fondi preventivi ai
debitori ed evitargli crisi di liquidità, bensì per proteggere e per il recupero dei
creditori.
Che razionalità o che etica ci può essere in un ordine monetario internazionale che
permette ad alcuni tecnici, i cui incarichi dipendono dall'appoggio nordamericano, di
progettare da Washington programmi di sistemazione economica sempre uguali da applicare
all'enorme varietà di paesi e di problemi concreti del Terzo Mondo? Chi si assume la
responsabilità quando i programmi di sistemazione causano caos sociale, paralizzano e
destabilizzano paesi con importanti risorse umane e naturali, come è successo in
Indonesia e nellEcuador?
Per il Terzo Mondo è di vitale importanza fare sparire questa sinistra istituzione e la
filosofia che rappresenta, e sostituirla con un organismo regolatore delle finanze
internazionali che funzioni su basi democratiche e senza potere di veto per nessuno, che
non sia un difensore esclusivo dei creditori ricchi, che non imponga condizioni di
ingerenza e che permetta di regolare i mercati finanziari per frenare la speculazione
dilagante.
Un modo possibile per ottenere questultimo sarebbe quello di stabilire non
un'imposta dello 0.1 %, come ha proposto il geniale Tobin, bensì del 1 % come minimo alle
transazioni finanziarie speculative, che permetterebbe di creare inoltre un abbondante e
necessario fondo, superiore ogni anno a un milione di milioni di dollari, per il vero,
sostenibile e integrale sviluppo del Terzo Mondo.
Il debito estero dei paesi sottosviluppati stupisce per il suo importo gigantesco, per lo
scandaloso meccanismo di sottomissione e di sfruttamento che implica e per la ridicola
forma proposta dai paesi sviluppati per affrontarlo.
Questo debito supera già i 2.5 milioni di milioni di dollari e ha avuto nel decennio
attuale una crescita ancora più pericolosa di quella degli anni 70.
Una gran parte di questo nuovo debito può cambiare di mano con facilità nei mercati
secondari, è più disperso ed è più difficile da rinegoziare.
Un'altra volta devo ripetere quello che stiamo esponendo dal 1985: il debito è già stato
pagato, se si tiene conto dei termini in cui è stato contratto, della vertiginosa e
arbitraria crescita dei tassi di interesse del dollaro nel decennio precedente e delle
discese dei prezzi dei prodotti di base, fondamentale fonte di entrate dei paesi in via di
sviluppo. Il debito continua ad autoalimentarsi in un circolo vizioso in cui si chiedono
prestiti per potere pagare gli interessi.
Oggi è più evidente che mai che il debito non è un problema economico, bensì politico,
e, pertanto, esige una soluzione politica. Non si può continuare a ignorare che si tratta
di un tema la cui soluzione deve venire fondamentalmente da coloro che hanno le risorse e
il potere di fare ciò: i paesi ricchi.
La cosiddetta Iniziativa per la Riduzione del Debito dei Paese Poveri Altamente Indebitati
ha un nome lungo e molto brevi risultati. L'unica qualifica che merita è quella di
ridicola, perché si propone di alleviare l 8.3 % del debito totale dei
paesi del Sud e, a quasi quattro anni dalla sua messa in pratica, solo quattro paesi dei
33 più poveri sono riusciti a superare il complicato processo, e tutto per condonare
l'insignificante cifra di 2.700 milioni di dollari, che è il 33 % di quello che ogni anno
si consuma negli Stati Uniti solamente in cosmetici.
Il debito estero è oggi uno dei maggiori ostacoli per lo sviluppo ed è una bomba pronta
a esplodere sotto le fondamenta dell'economia mondiale in qualunque congiuntura di crisi
economica.
Le risorse necessarie per una soluzione di fondo di questo problema non sono grandi se si
confrontano con le ricchezze e le spese dei paesi creditori. Solo nel finanziamento di
armi e soldati, quando non c'è più oramai guerra fredda, si spendono annualmente 800.000
milioni di dollari, non meno di 400.000 milioni in droghe stupefacenti e, in aggiunta a
questo, un milione di milioni in pubblicità commerciale tanto alienante come le stesse
droghe, per citare soli tre esempi.
Come abbiamo detto altre volte, con sincero realismo, il debito esterno del Terzo Mondo è
impagabile e inesigibile.
Il commercio mondiale continua a essere, e lo sarà sempre di più sotto la
globalizzazione neoliberista, strumento di dominio dei paesi ricchi, fattore di
perpetrazione e di accentuazione delle disuguaglianze e scenario di forte lotta tra i
paesi sviluppati per controllare i mercati del presente e del futuro.
Il discorso neoliberista raccomanda la liberalizzazione commerciale come formula unica e
assoluta per raggiungere l'efficienza e lo sviluppo. Secondo questa, tutti i paesi devono
eliminare gli strumenti di protezione dei loro mercati interni, e le differenze di
sviluppo tra paesi, per grandi che siano, non giustificherebbero di allontanarsi dalla
strada che si pretende di presentare senza un'altra alternativa possibile. Ai paesi più
poveri verrebbe solamente riconosciuto, dopo ardue negoziati nell'OMC, qualche piccola
differenza nei termini per entrare pienamente in questo nefasto sistema.
Mentre il neoliberismo ripete il discorso sulle opportunità che offre l'apertura
commerciale, il peso dei paesi sottosviluppati nelle esportazioni mondiali era inferiore
nel 1998 a quello che aveva 45 anni prima, nel 1953. Il Brasile, che ha 8.5 milioni di
chilometri quadrati, 168 milioni di abitanti e 51.100 milioni di dollari di esportazioni
nel 1998, ha esportato molto meno in questo stesso anno dellOlanda, che ha 41.500
chilometri quadrati, 15.7 milioni di abitanti e 198.700 milioni di dollari di
esportazioni.
La liberalizzazione nel commercio è consistita, nellessenziale, in un'eliminazione
unilaterale di strumenti di protezione da parte del Sud senza che i paesi sviluppati
abbiano fatto la stessa cosa per permettere l'entrata ai loro mercati delle esportazioni
del Terzo Mondo.
I paesi ricchi hanno spinto la liberalizzazione in settori strategici vincolati al dominio
tecnologico, nei quali godono di enormi vantaggi che il mercato senza regole si incarica
di accrescere. Sono i casi classici dei servizi, della tecnologia dell'informazione, della
biotecnologia e delle telecomunicazioni.
Invece, settori come l'agricoltura e il tessile, di grande importanza per i nostri paesi,
non sono riusciti neppure a eliminare le restrizioni già accordate durante la Ronda
Uruguay perché non corrispondono agli interessi dei paesi sviluppati.
Nei paesi dell'OCSE, il club dei più ricchi, il dazio medio applicato alle esportazioni
di manufatti dei paesi sottosviluppati è quattro volte maggiore di quello che si applica
agli stessi paesi di questo club. Contro i paesi del Sud si alza una vera muraglia di
barriere non doganali.
Si è instaurato nel commercio internazionale un ipocrita discorso ultraliberista che si
combina con un protezionismo selettivo imposto dai paesi del Nord.
I prodotti di base continuano a essere l'anello più debole nel commercio mondiale. Per 67
paesi del Sud questi prodotti rappresentano non meno del 50 % delle loro entrate di
esportazione.
L'ondata neoliberista ha spazzato gli schemi difensivi delle relazioni di scambio dei
prodotti di base. Il supremo giudizio del mercato non poteva tollerare alcuna distorsione
e, pertanto, gli Accordi sui Prodotti di Base e su altre formule difensive per combattere
lo scambio disuguale sono state abbandonate. È per questo che prodotti come lo zucchero,
il cacao, il caffè e altri simili hanno oggi un potere d'acquisto equivalente al 20 % di
quello che avevano nel 1960, e non riescono neppure a coprire i costi di produzione.
Il trattamento speciale e differenziato verso i paesi poveri, che è il riconoscimento non
solo di enormi differenze nello sviluppo che impediscono di applicare uguali misure per
ricchi e poveri, ma anche di un passato storico coloniale che esige una compensazione, è
stato pensato non come un atto di elementare giustizia e di una necessità che non può
essere ignorata, bensì come unazione temporanea di carità.
La fallita riunione di Seattle ha espresso la stanchezza e l'opposizione che la politica
neoliberista provoca in crescenti settori di opinione nei paesi del Sud e dello stesso
Nord.
Gli Stati Uniti hanno presentato la Ronda di Negoziazioni Commerciali che avrebbe dovuto
partire di Seattle come un gradino superiore nella liberalizzazione commerciale, senza
preoccuparsi, e forse senza ricordarsi, della validità della sua aggressiva e
discriminatoria Legge di Commercio Estero che comprende disposizioni come la cosiddetta
Super-301, che è un campionario di discriminazione e di minacce di sanzioni
verso altri paesi per ragioni che vanno dalla supposta applicazione di barriere a prodotti
nordamericani fino all'arbitraria, interessata e molte volte cinica qualifica che questo
Governo vuole dare a un altro sul tema dei diritti umani.
A Seattle è successa un'insurrezione contro il neoliberismo che ha avuto un antecedente
nel rifiuto ai tentativi di imporre un Accordo Multilaterale di Investimenti. Sono
espressioni che l'aggressivo fondamentalismo di mercato, che ha causato abbondanti perdite
ai nostri paesi, sta sollevando un forte e un meritato rifiuto mondiale.
In aggiunta alle calamità economiche riferite, gli alti prezzi che a volte raggiunge il
petrolio, costituiscono un fattore di sostanziale peggioramento della situazione dei paesi
del Sud che sono importatori netti di questa vitale risorsa.
Il Terzo Mondo fornisce circa l80 % del petrolio che si commercializza a livello
mondiale, e di questo totale l80 % si esporta verso i paesi sviluppati.
I paesi ricchi possono pagare qualsiasi prezzo per l'energia che dissipano per sostenere
consumi superflui e distruggere l'equilibrio ecologico. Gli Stati Uniti consumano all'anno
8.1 tonnellate di petrolio per abitante, mentre i paesi del Terzo Mondo consumano in media
0.8 tonnellate e, di questi, i 48 più poveri solo 0.3 tonnellate.
Quando i prezzi salgono bruscamente da 12 a 30 dollari al barile, o ancora di più, il
loro effetto è devastante sui paesi del Terzo Mondo, e si somma agli impatti negativi che
già pesano su di loro per il debito estero, per i bassi prezzi dei loro prodotti di base,
per le crisi finanziarie e per lo scambio disuguale. Un nuovo scambio di questo genere,
questa volta con i propri fratelli del Sud, sorge in modo devastante.
Il petrolio è un prodotto tanto vitale e di universale necessità che in realtà sfugge
alle leggi del mercato. Il suo prezzo, in un modo o nell'altro, è stato sempre deciso
dalle grandi multinazionali o dagli stessi paesi del Terzo Mondo esportatori di petrolio,
alleati in difesa dei loro interessi.
I prezzi bassi beneficiano fondamentalmente i paesi ricchi e grandi consumatori di
combustibile. Limitano, contemporaneamente, la ricerca e lo sfruttamento di nuovi
giacimenti, lo sviluppo di tecnologie che ne riducono il consumo e proteggono
l'ecosistema, e colpiscono gli esportatori del nostro mondo. Gli alti prezzi beneficiano
gli esportatori, sono facilmente sopportabili dai paesi ricchi, ma scoraggianti e
devastanti, invece, per l'economia di gran parte del Terzo Mondo.
Questo è un buon esempio che, nel commercio mondiale, il trattamento differenziato per
paesi in condizioni disuguali di sviluppo deve costituire un principio giusto e
imprescindibile. È assolutamente ingiusto che il Mozambico, un paese povero del Terzo
Mondo, con 84 dollari di Prodotto Interno Lordo pro capite, debba pagare per un prodotto
tanto vitale lo stesso prezzo della Svizzera, che ha 43.400 dollari pro capite, 516 volte
di più del Mozambico!
Il Patto di San José, concordato venti anni fa da Venezuela e Messico con un gruppo di
piccoli paesi dell'area importatori di petrolio, è un buon precedente di quello che si
può e si deve fare, prendendo in considerazione le condizioni particolari di ognuno dei
paesi del Terzo Mondo in simili circostanze, benché sia necessario questa volta evitare
qualsiasi condizione per il trattamento differenziato che ricevano.
Alcuni non sono in condizioni di pagare più di 10 dollari a barile, altri più di 15
dollari, e nessuno più di 20 dollari.
Il mondo dei paesi ricchi, sciupone e consumistico, può, invece, pagare più di 30
dollari a barile senza subire gravi danni. Se essi consumano l80 % di quello che
esportano i produttori del Terzo Mondo, un prezzo inferiore per il 20 % restante
rimarrebbe compensato vantaggiosamente.
Sarebbe una forma concreta ed effettiva di trasformare la cooperazione Sud-Sud in un
potente strumento per lo sviluppo del Terzo Mondo. Fare un'altra cosa equivarrebbe a
sbranarci fra noi stessi.
Nel mondo globalizzato, dove la conoscenza è la chiave dello sviluppo, la breccia
tecnologica tra il Nord ed il Sud si approfondisce sempre più in condizioni di crescente
privatizzazione della ricerca scientifica e dei suoi risultati.
I paesi sviluppati, con il 15 % degli abitanti del pianeta, concentrano l88 % degli
utenti di Internet. Solo negli Stati Uniti ci sono più computer che la somma di quelli
esistenti nel resto del mondo. Questi paesi controllano il 97 % dei brevetti a livello
mondiale, ricevono più del 90 % dei diritti di licenze internazionali, mentre per molti
paesi del Sud l'uso dei diritti di proprietà intellettuale è inesistente.
Il lucro si impone al di sopra delle necessità nella ricerca privata, i diritti di
proprietà intellettuale escludono della conoscenza i paesi sottosviluppati e le leggi sui
brevetti non riconoscono né le conoscenze né i sistemi tradizionali di proprietà, che
sono tanto importanti nel Sud.
La ricerca privata si concentra sulle necessità dei consumatori ricchi.
I vaccini sono le tecnologie più efficienti in relazione alle spese nelle cure della
salute, perché sono capaci di prevenire la malattia con una dose che si somministra una
sola volta, ma producono pochi guadagni e sono relegati rispetto a medicine che richiedono
applicazioni continuative e che generano guadagni maggiori.
Le nuove medicine, i migliori principi e in generale le migliori tecnologie, trasformate
in merci, hanno un prezzo che è solo alla portata dei paesi ricchi.
Gli scarni risultati sociali di questa corsa neoliberista verso la catastrofe sono sotto
gli occhi di tutti.
In più di cento paesi le entrate per abitante sono inferiori a quelle di quindici anni
fa. Milleseicento milioni di persone vivono ora in modo peggiore rispetto agli inizi del
decennio degli anni 80.
Oltre 820 milioni di persone sono denutrite e, di queste, 790 milioni vivono nel Terzo
Mondo. Si stima che 507 milioni di persone che abitano oggi nei paesi del Sud non
sopravvivranno ai 40 anni di età. Due su ogni cinque bambini dei paesi del Terzo Mondo,
che qui rappresentiamo, soffrono di ritardo nella crescita, e uno su tre è sotto di peso
per la sua età. Trentamila che potrebbero essere salvati muoiono ogni giorno; 2 milioni
di bambine sono costrette a esercitare la prostituzione; 130 milioni non hanno accesso
all'educazione elementare, mentre 250 milioni minori di 15 anni sono costretti a lavorare
per sopravvivere.
L'ordine economico mondiale funziona per il 20 % della popolazione, ma esclude, sottomette
e degrada il restante 80 %.
Non possiamo rassegnarci a entrare nel prossimo secolo come la retroguardia ritardata,
povera, sfruttata, vittima del razzismo e della xenofobia, impedita allaccesso della
conoscenza e patendo l'alienazione delle nostre culture a causa del messaggio estraneo e
consumistico che i mezzi di comunicazione di massa globalizzano.
Per il Gruppo dei 77 l'ora attuale non può essere di suppliche ai paesi sviluppati, né
di sottomissione, disfattismo o divisioni interne, bensì di riscatto del nostro spirito
di lotta, dell'unità e della coesione sulle nostre richieste.
Da cinquantanni ci hanno promesso che un giorno non ci sarebbe più stato
labisso tra paesi sviluppati e sottosviluppati. Ci hanno promesso pane e giustizia,
e oggi cè sempre meno pane e sempre meno giustizia.
Il mondo potrà globalizzarsi sotto l'egida neoliberista, ma è impossibile governare
migliaia di milioni di persone affamate di pane e di giustizia.
Le immagini che vediamo di madri e bambini in intere regioni dell'Africa colpite dalla
siccità e da altre catastrofi, ci ricordano i campi di concentramento della Germania
nazista, ci fanno vedere di nuovo davanti ai nostri occhi le montagne di cadaveri o di
uomini, di donne e di bambini moribondi.
È necessaria una Norimberga per giudicare l'ordine economico che ci hanno imposto, che
ogni tre anni uccide per fame e per malattie prevenibili o curabili più uomini, donne e
bambini di tutti quelli che ha ucciso in sei anni la Seconda Guerra Mondiale.
Che cosa fare è quello che dobbiamo qui discutere.
Noi a Cuba diciamo: Patria o morte!. In questa conferenza Vertice del Terzo
Mondo ci compete affermare O ci uniamo e cooperiamo strettamente, o ci aspetta la
morte!
Molte grazie.