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La situazione sociale nel Terzo Mondo
Il peggioramento della situazione sociale nel Terzo Mondo è una delle manifestazioni più
evidenti della globalizzazione neoliberista. L'applicazione delle politiche di
aggiustamento, le crisi finanziarie e la crescente instabilità provocata dal processo di
globalizzazione, hanno segnato profondamente la realtà sociale dei paesi sottosviluppati.
Questa drammatica situazione si riflette su importanti indicatori che fanno fede alle
sfide che hanno davanti a sé i nostri paesi e all'urgente necessità di trovare soluzioni
giuste e durature alle esigenze dei nostri popoli.
Il deterioramento delle entrate è il principale tratto degli attuali modelli
socioeconomici. Secondo dati delle Nazioni Unite, nel 1960 il 20 % della popolazione
mondiale che viveva nei paesi più ricchi aveva 30 volte l'entrata del 20 % più povero.
Nel 1997 questa relazione era di 74 volte superiore. Il patrimonio delle 200 persone più
ricche del mondo è aumentato da 440.000 milioni di dollari a oltre un milione di milioni
di dollari solo tra il 1994 e il 1998. Inoltre, nel periodo prima menzionato, il
patrimonio delle tre persone più ricche del mondo era superiore al PNL unito dei 49 paesi
considerati meno avanzati.
Nella 'Relazione sullo sviluppo umano' del 1999 del PNUD si segnala che la parte delle
entrate corrispondenti ai paesi sottosviluppati è diminuita da quasi il 56 % nel 1850,
fino ad appena il 12 % nel 1960 e al 15 % negli anni più recenti.
All'interno dei paesi sottosviluppati, la differenza nella partecipazione alle entrate
globali tra il 20 % più ricco (6.195 dollari come media annuale) e il 20 % più povero
(768 dollari) è di 8 volte, ma in America Latina, regione che si classifica al primo
posto mondiale nell'ingiusta distribuzione della ricchezza, questa differenza è di 19
volte. In questa regione, il 20 % più ricco dei latinoamericani si appropria di 17.380
dollari come media annuale, mentre il 20 % più povero ha solo accesso a 933 dollari.
Mentre la globalizzazione è avanzata nel campo tecnico-scientifico fino a livelli
inimmaginabili, nel Terzo Mondo ci sono 1.300 milioni di poveri, cioè, uno ogni tre
abitanti vive nella povertà. La Banca Mondiale pronostica nella sua ultima relazione
sulla povertà che si potrebbero avere 1.500 persone nella più nera povertà alla soglia
del nuovo millennio.
Per regioni, la povertà si fa sentire in maniera molto drammatica in Asia meridionale e
in Africa. Secondo le previsioni della Banca Mondiale, dopo la crisi nei paesi dell'Asia
orientale si sono incrementati considerevolmente i livelli di povertà.
In Africa, la povertà continua a causare una grande inquietudine. Nella citata relazione
sullo sviluppo umano del PNUD, si evidenzia come un gruppo importante di paesi della
regione hanno superato il 50 % dell'Indice di Povertà Umana (IPH), che indica che la
povertà sta colpendo almeno la metà della popolazione.
Nel caso dell'America Latina, secondo l'ultima relazione della CEPAL, il numero di poveri
ha raggiunto 204 milioni di persone ed è di 90 milioni la quantità di indigenti.
Più della quarta parte dei 4.500 milioni di persone che vivono nei paesi sottosviluppati
non possono contare su alcuni dei fattori più basilari della vita: la sopravvivenza dopo
i 40 anni, l'accesso alle conoscenze e ai servizi sociali minimi.
Davanti a tali condizioni di vita, il degrado dellambiente si trasforma in una via
obbligata per la sussistenza giornaliera, e in questa interconnessione
povertà-deterioramento ambientale influiscono un insieme di fattori.
Uno di essi è l'incontrollabile crescita della popolazione che accompagna i paesi
sottosviluppati. A livello mondiale, il tasso annuale di crescita demografica tra il 1975
e il 1997 è stato del 1.6 %, mentre nei paesi sottosviluppati è stato del 2.0 %. Nei
paesi più poveri è stato del 2.5 %. Risalta in particolare la regione dell'Africa
Subsahariana, con un 2.8 %. Benché le previsioni fino all'anno 2015 riflettano che ci
sarà una riduzione nel tasso annuale di crescita demografica a livello mondiale (1.1 %),
nei paesi sottosviluppati continuerà a essere superiore (1.4 %).
Questo fenomeno acutizzerà un altro problema: l'esodo della popolazione verso le città
alla ricerca di maggiori opzioni di sopravvivenza e con questo la crescita dei livelli di
urbanizzazione. La popolazione urbana nei paesi sottosviluppati è cresciuta dal 26.1 %
nel 1975 al 38.4 % nel 1997, e si stima che per il 2015 rappresenterà il 49.1 % della
popolazione totale. Questo contribuisce alla crescita delle concentrazioni urbane sotto
forma di quartieri marginali e aumenta i livelli di insalubrità, insicurezza alimentare,
degrado ambientale e altri mali sociali.
Indubbiamente, queste tendenze demografiche potenziano la sfida che significa
l'alimentazione della crescente popolazione mondiale con tecniche ambientali sostenibili.
La situazione alimentare del mondo sottosviluppato riflette la sofferenza di fame cronica
di oltre 800 milioni di persone e la loro carenza allaccesso di servizi di salute,
pertanto si stima che 507 milioni di persone nel Terzo Mondo non sopravvivranno ai 40
anni. Il 61 % di queste persone vive in Asia Meridionale e in Africa al sud del Sahara; in
questa ultima regione, quasi il 30 % della popolazione morirà prima dei 40 anni.
Il numero di persone denutrite continua a essere inaccettabilmente alto. Si calcolava che,
nel 1995-1997, circa 820 milioni erano denutrite, la maggioranza di esse, 790 milioni, nei
paesi in via di sviluppo. Negli ultimi anni si sono osservati alcuni progressi: il numero
di queste persone nel mondo sottosviluppato è diminuito di 40 milioni. Tuttavia, solo in
37 paesi si è registrata una diminuzione della quantità di denutriti; nel resto dei
paesi la cifra di persone cronicamente denutrite è aumentata di quasi 60 milioni. Nel
caso dei paesi meno avanzati, la proporzione di persone denutrite è del 38 %, e non è
variata negli ultimi 16 anni.
Con questa situazione risulta molto difficile raggiungere l'obiettivo del Vertice Mondiale
sull'Alimentazione di ridurre la quantità di persone affamate della metà per l'anno
2015. La diminuzione del numero negli ultimi tempi è stata di 8 milioni di persone
all'anno, quantità che non è sufficiente. Per raggiungere l'obiettivo del Vertice, il
ritmo di avanzamento deve essere aumentato del 150 % fino ad arrivare a 20 milioni di
persone affamate in meno ogni anno.
Nel caso delle persone sottoalimentate (con insicurezza alimentare cronica), il maggiore
numero di queste vivono nella regione dell'Asia e del Pacifico. In questi paesi si
concentra il 70 % della popolazione totale del Terzo Mondo e i due terzi delle persone
sottoalimentate, circa 526 milioni di persone.
Tuttavia, se prendiamo in considerazione la quantità di persone colpite dalla fame,
nellAfrica Subsahariana abita quasi una quarta parte del totale.
In totale, più di un quarto delle persone colpite dalla fame cronica vive in paesi a
elevata prevalenza sottoalimentare (35 % o più). Il problema è specialmente grave
nellAfrica centrale, orientale e meridionale, dove soffrono di sottoalimentazione
quasi la metà (44 %) dei 340 milioni di persone che vivono nei 26 paesi che conformano
detta regione.
Nei paesi sottosviluppati le possibilità dei bambini di godere di una vita lunga e
salutare sono pregiudicate dalla povertà, dalle malattie, dalla denutrizione e dai
conflitti armati. Secondo dati ottenuti da studi realizzati dalla FAO tra il 1987 e il
1998, due bambini su cinque nel mondo sottosviluppato soffrono di ritardi nella crescita,
uno su tre di insufficienza ponderale (sotto peso per l'età) e uno su dieci è sottopeso
in relazione alla statura. Quasi la metà dei bambini del mondo che presentano queste
insufficienze si trovano in Asia meridionale, dove vi è l'incidenza più alta a causa
della denutrizione e un elevato numero di bambini minori di cinque anni. A sua volta, la
denutrizione è uno dei fattori che contribuiscono a causare oltre la metà delle morti
dei minori di cinque anni nei paesi sottosviluppati.
Nel caso dell'America Latina e dei Caraibi, la sottoalimentazione cronica e la
malnutrizione continuano a rappresentare un serio problema. La mancanza di importanti
componenti, come, per esempio, la vitamina A, colpisce circa 14 milioni di bambini minori
di cinque anni nella regione.
Per quello che riguarda leducazione, più di 840 milioni di adulti continuano a
essere analfabeti. In questa situazione i bambini e le donne si trovano in un notevole
svantaggio sociale.
Più di 130 milioni di bambini in età scolare nei paesi in via di sviluppo crescono senza
avere accesso all'educazione elementare. Le bambine rappresentano circa il 60 % dei
minorenni che non frequentano la scuola.
Continuano anche a essere molto grandi le disuguaglianze per genere. Nei paesi
sottosviluppati c'è ancora un 60 % in più di donne analfabete rispetto agli uomini
analfabeti, e l'iscrizione alle scuole da parte femminile continua a essere il 6 %
inferiore a quella maschile.
Nel caso dell'America Latina e dei Caraibi, si vedono colpiti i tassi di ingresso scolare
per una serie di fattori come le matricole tardive, la ripetizione e la non frequenza
scolare, ed è per questo che diminuisce il numero di bambine e di bambini che finiscono
l'educazione elementare. In tutta la regione si stima che del 20 % dei bambini e bambine
che si iscrivono tardi al sistema scolare, il 42 % ripete il primo anno e il 30 % ripete
il secondo. Il tasso medio di ripetizione in tutti gli anni elementari è attorno al 30 %.
La quantità di medici e di infermiere per ogni 100.000 abitanti è nei paesi
sottosviluppati è 76 e 85, rispettivamente; mentre per le nazioni sviluppate è di 253
medici. Nei paesi più poveri questa relazione è di 14 e 26.
La situazione della salute si vede anche specchiata nei tassi di mortalità infantile nei
lattanti e fino al quinto anno di vita. Nell'Africa Subsahariana questo indice è
rispettivamente di 107 per mille nati vivi e di 173; nellAsia meridionale è di 76 e
114, per citare alcuni esempi. Nel Terzo Mondo muoiono ogni anno 2.2 milioni di bambini e
bambine a causa della diarrea. Dei 192 milioni di bambini che vivono in America Latina e
nei Caraibi, quasi mezzo milione, minore di 5 anni, muore ogni anno per malattie molte
delle quali sono prevenibili.
Nel caso dell'America Latina, la media di mortalità dei minori di 5 anni era di 39 per
mille nati vivi nel 1998, ma questa media occulta differenze, sia tra i paesi sia
all'interno di essi, dove i tassi di mortalità e di morbilità sono più alti nelle aree
rurali e tra i gruppi con basse entrate. Si stima che alla fine del decennio tra il 20 % e
il 50 % delle popolazioni urbane della regione rimarrà senza accesso a servizi di
sanità. Nelle aree rurali, il 50 % della popolazione non ha alcun accesso alla fornitura
di acqua potabile, e più del 60 % non può accedere a servizi di sanità.
La mortalità materna media in America Latina è di 190 morti materne per 100.000 nati
vivi. Se si tenessero conto i casi non registrati, si stima che questa cifra sarebbe di un
40 % più alta. Più di mezzo milione di madri soffrono di problemi cronici di salute che
provengono dall'assistenza inadeguata durante la gravidanza e il parto.
La speranza di vita nel Terzo Mondo è un altro indicatore del deterioramento della
situazione sociale. Tra il 1975 e il 1997 è diminuita in dieci paesi; di questi, in
quattro paesi, tutti dell'Africa Subsahariana, la speranza di vita è diminuita oltre del
10 %. Questo declino in un termine tanto breve rivela gli effetti devastanti dell'AIDS.
Per regioni, la speranza di vita dell'Africa Settentrionale e del Medio Oriente è di 66
anni, ma nell'Africa Subsahariana è di 48 anni. Il PNUD stima che in questa regione la
percentuale di persone che non sopravvivrà fino ai 60 anni raggiunge un 56 %.
Uno dei fattori che più ha inciso sulla diminuzione della speranza di vita è stato
l'impatto causato dallHIV/AIDS. Questo virus colpisce principalmente i poveri. Si
stima che 33.4 milioni di persone vivono con lHIV, causa dell'AIDS, di questi 1.4
milioni sono in America Latina e 330.000 nei Caraibi. I tassi di infezione dellHIV
sono superiori nei Caraibi che ha il secondo tasso più alto di incidenza nel mondo dopo
l'Africa Subsahariana.
L'Africa è la regione dove l'impatto sociale ed economico causato nell'ultimo decennio
dallHIV/AIDS è maggiore della distruzione provocata dai conflitti armati. Nel 1998,
circa 200.000 africani, in maggioranza bambini e donne, sono morti in conflitti armati,
mentre circa 2 milioni di persone hanno perso la vita a causa del virus.
L'instabilità dell'economia si è ripercossa negativamente sull'incremento della
disoccupazione e sulla precarietà dell'impiego. Secondo stime dell'OIL, i livelli di
disoccupazione sono più elevati tra i giovani e le donne.
Si calcola che nei paesi sottosviluppati i tassi di disoccupazione giovanile urbana
oltrepassano spesso il 30 %. In America Latina l'impiego generato nel decennio dei
90 è relativo per la maggiore parte al settore precario. La disoccupazione è
salita all8.7 % nel 1999, il tasso più alto del decennio.
Nelle aree urbane della regione si stima che circa 18 milioni di persone siano senza
lavoro. Il tasso di disoccupazione tra gli uomini è cresciuto più di quello delle donne,
passando dal 7.2 % nella prima metà del 1998 a un 8.2 % nel primo semestre del 1999. La
disoccupazione tra le donne è salita al 10.2 %, comparata con un 9.5 % nello stesso
periodo precedente.
La OIL segnala che il salario reale nel settore industriale dell'America Latina e dei
Caraibi sono scesi di un 0.9 % nel primo semestre del 1999 a fronte dello stesso periodo
di un anno prima. È anche considerevole l'ampliamento del divario di rimunerazioni tra
lavoratori qualificati e non qualificati che è cresciuto tra il 18 % e il 24 % come media
per la regione. Si è prodotta anche la discesa della percentuale di salariati urbani
formalmente affiliati a qualche sistema di previdenza sociale. Tra il 1990 e il 1998
questa cifra è diminuita da un 67 % a un 62 %.
In Africa l'aumento dell'impiego è rimasto sotto l'incremento della popolazione
economicamente attiva. In questo senso, l'OIL segnala che, con una crescita della
popolazione attiva di quasi un 3 % e una creazione insufficiente di posti di lavoro nel
settore formale, la maggioranza degli impieghi verranno creati nel settore precario e
nell'agricoltura di scarsa produttività.
Il problema dell'impiego continuerà a essere molto pressante, dovuto al ritmo accelerato
dell'emigrazione dalla campagna alle città e per il fatto che si pronostica una crescita
annuale della popolazione economicamente attiva del 2.9 % tra il 1997 ed il 2010, che
presuppone l'inserimento ogni anno di 8.7 milioni di persone al mercato del lavoro, per le
quali non cè sicurezza di impiego.
La relazione dell'OIL segnala che continua esserci più disoccupazione e povertà in Asia
che in qualsiasi altra regione del mondo, in quanto conta quasi due terzi del totale
mondiale stimato di 1.300 milioni di poveri, soprattutto nellAsia meridionale. In
questa stessa relazione si aggiunge che le condizioni del mercato del lavoro in Asia
possono deteriorarsi ancora di più se l'ambiente economico estero diventa ostile.
I sistemi di sicurezza e di benessere sociale della regione poco hanno potuto fare per
proteggere la popolazione dal drastico peggioramento delle condizioni di vita.
Praticamente in nessuno dei paesi colpiti dalla crisi esiste unindennità di
disoccupazione, per cui i disoccupati sono rimasti senza alternative di sussistenza.
Un altro aspetto che si deve segnalare è la situazione del lavoro infantile. Secondo
stime dell'OIL, ci sono circa 250 milioni di bambini minori di 15 anni che lavorano nei
paesi sottosviluppati, molti di questi in lavori pericolosi dove i loro diritti di base,
la loro salute e perfino la loro vita si trovano minacciati.
Solo in America Latina e nei Caraibi ci sono circa 20 milioni di bambini minori di 15 anni
che lavorano. Se a questa cifra si somma il gruppo di adolescenti che lavorano da quando
compiono i 15 anni fino a prima dei 18, è molto probabile che la cifra sia non meno di 30
milioni di bambini e di adolescenti che lavorano nella regione. Secondo questa stessa
fonte, più della metà di questi lavoratori minorili sono bambine che per la maggior
parte realizza lavori che neanche sono riconoscenti né vengono presi in considerazione
nelle statistiche ufficiali.