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Camilo Cienfuegos
l’"immagine del popolo"
A quant’anni dalla sua tragica morte, lo sguardo profondo e buono del "barbudo" Camilo Cienfuegos, il suo sorriso aperto e pieno di vita sotto un immancabile sombrero fanno pensare più ad un fratello o ad un amico che ad un guerrigliero ed esprimono senza molte parole, con grande semplicità ed immediatezza, l’ideale della Rivoluzione "Verde Oliva", che mette al primo posto la solidarietà sociale fra il popolo e attraverso i popoli.
Se ogni cubano sa bene chi è stato Camilo, appare doveroso ricordarlo anche al di fuori dai confini dell’Isola, dove il suo nome è meno noto rispetto a quelli di Che Guevara e Fidel, in parte a causa della sua breve vita (morì infatti a soli ventisette anni), in parte anche perché non cercò mai la celebrità, mantenendosi lontano il più possibile da cariche ufficiali e posizioni di potere, preferendo una lotta dura quanto silenziosa e non appariscente, dapprima per la vittoria della Rivoluzione, quindi per la realizzazione delle riforme, fra cui -in primo luogo- quella agraria.
Pensare a Camilo significa innanzitutto ricordare la Cuba pre-rivoluzionaria, dove un popolo portava avanti fra fasi alterne la propria lotta centenaria per la conquista della libertà e di una più equa distribuzione della ricchezza. Sotto la dittatura batistiana Cuba appariva, più che una patria da amare, la proprietà privata di pochi grandi possidenti, dove il sopruso e lo sfruttamento erano la regola, a tutto vantaggio della potenza egemone (gli Stati Uniti). In questa atmosfera la vita di Camilo Cienfuegos fu breve ed intensa, tutta dominata da una bruciante passione sociale e politica.
Nato da umile famiglia di lavoratori, si schiera giovanissimo contro l’aggressione nazi-fascista in Spagna ed organizza varie iniziative a sostegno della Repubblica ed a favore delle vittime della guerra civile.
Dopo il 1945, con la fine della seconda guerra mondiale e con l’avvio della guerra fredda, anche a Cuba si fanno sentire sempre più le accese campagne anticomuniste, il disprezzo dei diritti dei lavoratori e l’impunità del crimine a sfondo politico. L’assassinio del dirigente sindacale e militante comunista Jesùs Menéndes scuote le coscienze, ed anche il giovane Cienfuegos partecipa alle manifestazioni popolari di protesta, per altro duramente represse.
Sperimentata l’asprezza del capitalismo latino-americano divenendo ben presto operaio, è costretto ad emigrare negli USA appena ventenne, in cerca di lavoro, in seguito ad una profonda crisi economica nell’Isola. Negli Stati Uniti Camilo si troverà a fare vari lavori umili e faticosi, senza dimenticare però la pesante situazione del proprio paese. Come ricorda l’amico Antonio (Tato) Rabaza durante tutto il periodo in cui insieme si trovavano negli USA, Camilo restò collegato ad una organizzazione patriottica dei cubani in esilio, la Acciòn Cìvica Cubana, scrivendo anche alcuni articoli giornalistici per il periodico di questa, La Voz de Cuba. Nello stesso periodo partecipa a numerose manifestazioni antibatistiane ed antifasciste in genere, legando la causa di Cuba, già da questo momento, ad un più vasto scenario internazionale. Nelle case degli esuli cubani e di altri immigrati latino-americani si porta avanti un programma di formazione politica, partendo dalle idee di José Martì si analizza la situazione di Cuba e si progettano azioni di sostegno a Castro. Tornato appena possibile nel suo Paese, a 23 anni è già schedato come comunista e viene ferito ed arrestato nel corso di scontri antigovernativi. Non appena scarcerato, nel ’56, a soli ventiquattro anni, troviamo Camilo già al fianco di Fidel, che aveva raggiunto in Messico per organizzare la rivolta armata contro il regime e partecipare alla spedizione del Granma; Camilo scrive infatti ad un amico: "il mio unico desiderio, la mia unica ambizione è tornare a Cuba e stare in prima linea per combattere".
In questo periodo, da sconosciuto sostenitore del Movimento rivoluzionario diviene uno dei più prestigiosi e amati comandanti ribelli, conquistando rapidamente la fiducia e l’ammirazione tanto dei compagni di lotta quanto dell’intero popolo di operai e contadini, che "immediatamente si riconoscevano in lui", come afferma con evidente ammirazione Raul Castro in uno dei suoi discorsi; ancora, secondo il Che, Camilo rappresentava l’immagine stessa del popolo. Il suo ruolo nelle vicende rivoluzionarie non fu certo di secondo piano, ed anzi come sottolineò spesso Fidel, contribuì con grande valore alla riuscita dell’insurrezione popolare culminata nella vittoria del gennaio ’59. Cienfuegos si mise rapidamente in luce come combattente coraggioso "al limite dell’incoscienza", ma al tempo stesso attento e capace. Dissero più volte i suoi compagni di lotta che ciò che più colpiva in lui era quella capacità di maneggiare le armi come un professionista e di muoversi sulla Sierra "come se avesse sempre vissuto sulle montagne", ma soprattutto la sua spontaneità e la capacità di relazionarsi con i campesinos, comprendendone le ragioni ed i problemi. Fu sempre Camilo il primo comandante ribelle a scendere nelle città e organizzare la lotta urbana, ricevendo il compito di affrontare l’esercito in una delle zone più difficili di Cuba; mentre il Che è impegnato nella regione centrale, Cienfuegos attraversa la zona orientale e la provincia di Camaguey, finché si stabilisce il contatto con la colonna del Che, necessario per l’invasione a Occidente. In poco più di due anni dal giorno dello sbarco del Granma, Camilo, secondo le parole del Che, era divenuto "il più grande comandante di guerriglia di questa rivoluzione", partecipando in costante dialogo con Fidel alle decisioni ed alle azioni più importanti.
Questo periodo breve ed intenso della vita di Camilo Cienfuegos si rivela peraltro estremamente significativo, come afferma W. Gàlvez nel suo libro Camilo Senor de la Vanguardia, proprio perché è in questo momento, al di là delle vicende militari, che egli entra in contatto con i numerosi e gravi problemi socio-economici di Cuba, affrontandoli direttamente, tentando di risolverli ancor prima del trionfo della Rivoluzione. Si lega così con forza al movimento operaio e contadino, appoggiando l’iniziativa di realizzare un congresso dei lavoratori della canna da zucchero, applicando la legge rivoluzionaria nei territori che venivano liberati ed interessandosi in primo luogo dell’educazione e dell’alfabetizzazione delle masse urbane e rurali. In uno dei suoi discorsi di questo periodo Camilo sostiene con estrema decisione la necessità di un continuo dialogo e confronto, di una unione di intenti fra operai delle città, contadini e soldati dell’esercito rivoluzionario: chiede in particolare che tutta la popolazione si mantenga ferma e determinata nell’appoggio alla riforma agraria, poiché le riforme "sono necessarie agli operai, ai lavoratori nel loro complesso e alla stessa Repubblica; questo è un lavoro di tutti, non un lavoro né un impegno di un gruppo di uomini, bensì una missione di tutti, come fu quella di liberare Cuba".
Come ricorda ancora Raul Castro, per Camilo come per altri "la guerra rivoluzionaria fu una scuola e una tappa del duro apprendistato che lo portò ad essere da giovane ribelle a soldato disciplinato nel compiere il suo dovere e in poco tempo a far emergere le sue straordinarie capacità". Nel momento del trionfo della lotta rivoluzionaria Camilo era un uomo "consapevole dei propri impegni e politicamente maturo", ma forse, come dirà il Che, "Camilo era Camilo": unico, semplice, spontaneo.
Per Cienfuegos come per Che Guevara la rivoluzione cubana non era vista semplicemente in chiave nazionale, anzi essa appariva quale punto di partenza per la liberazione dell’intera America latina, e i rivoluzionari stessi andranno identificando la loro causa con quella degli altri popoli oppressi del continente. Fra il gennaio e l’ottobre del 1959 Camilo partecipa alla vita politica e civile della nazione con l’impegno di sempre, prendendo parte alle riunioni del Consiglio dei Ministri e a quelle della direzione nazionale del M-26-7, visitando le diverse provincie dell’isola e proseguendo instancabilmente nella sua opera a favore di una decisa riforma agraria e di un intenso programma di alfabetizzazione: questi furono mesi di febbrile attività per Camillo, che lavorò da subito per riorganizzare il governo dell’isola. A un mese e mezzo dalla vittoria della Rivoluzione, Cienfuegos afferma in una intervista ("Siete preguntas al comandante Camilo Cienfuegos") che "Gli ideali di liberazione, la giustizia sociale, politica ed economica (…) sono le ragioni della nostra lotta.". Nel suo ultimo discorso di fronte al popolo cubano, pronunciato il 26 ottobre dal Palazzo Presidenziale Camilo afferma che nessuna aviazione mercenaria né i poderosi interessi economici nordamericani potranno fermare la causa di Cuba "perché il popolo cubano sa che questa Rivoluzione per la quale morirono venti mila cubani è stata fatta per mettere la parola fine ad abusi e soprusi, alla fame e all’agonia nelle quali la Repubblica di Cuba ha vissuto negli ultimi cinquant’anni".
Purtroppo non potrà apprezzare a lungo le conquiste di quella Rivoluzione per la quale aveva così intensamente lavorato: meno di un anno dopo, il 28 ottobre 1959, partito da Camaguey alle 18.05 a bordo di un bimotore Cessna (che abitualmente usava per i suoi viaggi) scompare tragicamente nel mare antistante l’Avana per un incidente aereo, durante un uragano. Oggi nel grande cimitero monumentale Colon vi è per lui una tomba simbolica, ma il suo ricordo è sempre vivo nel cuore dei cubani, che ogni anno lo ricordano nell’anniversario della morte lanciando in mare migliaia di fiori.

Da El Moncada n.4 anno 1999
Tiziana Girimondi