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PABLO ARMANDO FERNÁNDEZ
ACQUE ERRANTI
POESIE
da "All'Hudson" a "Tharros" introduzione
di LAURA LUCHE

Scrittore di grande versatilità, Pablo Armando Fernández è autore di numerose raccolte poetiche, opere teatrali, racconti, romanzi e saggi. Tuttavia i suoi testi, non importa a quale genere appartengano, sono sempre pretesti per dar voce alla sua poesia. E la poesia, a sua volta, da voce alla vita del poeta alla quale è inscindibilmente legata. La biografia, infatti, è un’importante chiave di accesso al complesso universo poetico di Pablo Armando Fernández.
Pablo Armando Fernández è nato nel 1930 a Delicias, immenso latifondo di una Compagnia statunitense dello zucchero. Isola nell’isola, Delicias, sintetizzava l’eterogenea realtà del paese, la sua molteplicità di razze, lingue, religioni, tempi e mondi. In questo spazio si forgia una delle caratteristiche più evidenti della sua opera: la cubanità, la cubanía, che si manifesta nella costante evocazione del paesaggio e dei costumi, della storia e degli eroi di Cuba, dei miti e riti del sincretismo afro-cubano. Cuba, insomma, è il principale campo d’amore e di battaglia di questo autore cosmopolita che, come scrive in "Di colui che torna", «andò per il mondo attaccato alle pareti della sua casa, / all’ombra dell’albero, alla sua strada di bambino». A Delicias il poeta trascorre i primi quindici anni della sua vita, lì studia nelle scuole della Compagnia, dove l’inglese era la prima lingua. Nel 1945, insofferente a quella situazione di neocolonialismo strisciante e al regime politico del dittatore Fulgencio Batista, lascia Delicias per trasferirsi negli Stati Uniti.
L’esilio rappresenta una tappa cruciale nel cammino esistenziale e artistico di Pablo Armando e, da volontario, diverrà politico quando da New York appoggerà attivamente il movimento rivoluzionario contro Batista. L’allontanamento da Cuba significa, innanzitutto, la scoperta della solitudine che, anche quando le circostanze della sua vita cambieranno, lo accompagnerà sempre e ne segnerà l’opera. Ma l’esilio significa anche l’incontro con la poesia, la voce che parla in lui e che gli consente di superare la solitudine che lo assedia: «se parlo o canto è per non stare solo, / seppure una folla intorno / si muova e io senta altri parlare», si legge in "All’ Hudson". Questo testo, che apre Acque erranti e che il poeta scrisse a soli diciassette anni, annuncia alcune costanti tematiche della sua produzione: la solitudine dell’escluso, già menzionata, il desiderio e l’impossibilità di instaurare un dialogo con chi lo circonda, la preoccupazione per l’identità personale e nazionale minacciata da una realtà che avverte estranea e ostile. Negli anni di permanenza a New York, Pablo Armando Fernández scrive le sue prime raccolte poetiche. Nel 1953 pubblica Salterio y lamentación (Salterio e lamento), libro dominato dall’evocazione del mondo familiare perduto in cui il poeta cerca le tracce della propria identità dispersa*.
* Riguardo a Salterio y lamentacion, vedi Teresa Fernández, Revolucion, poesia del ser, La Habana, UNEAC,1978, pp.73-76.
 
Si prefigura qui un’altra costante della sua poetica: l’inquietudine di fronte all’implacabile scorrere del tempo, un movimento verso il nulla cui l’io lirico di tante composizioni si oppone con la memoria con cui riscatta persone, cose, età: "Come un’orologio che instancabile adoro, - scriverà molti anni dopo in "Sotto custodia" - la mia memoria risveglia /un tempo che altri dimenticarono. / [...] / Il mio corpo ha età, / stagioni che ancora non ho percorso / e che morte mi attendono».  Nel 1955 appare Nuove poesie in cui Pablo Armando, lasciato indietro l’incontro con le origini, si confronta col proprio presente e con la scoperta sempre più consapevole dell’universo poetico cui sente di appartenere. Nuove poesie è una raccolta di carattere ermetico e riflessivo in cui, come in Salterio y lamentación, appaiono evidenti l’eredità di poeti quali Eliot e Pound e le tracce delle letture di carattere religioso e metafisico che lo scrittore affronta in quegli anni di esilio. Proprio i costanti richiami al mondo biblico e i riferimenti alla grande poesia contemporanea fanno sì che questa prima produzione si sottragga all’intimismo e alla contingenza per acquisire risonanza universale.
Nel 1959 Pablo Armando torna a Cuba, una Cuba che è la stessa che ha lasciato e, al contempo, il nuovo paese sorto dal movimento rivoluzionario, che gli riserverà una vita «a volte bella e triste, altre volte brutta e giocosa»*.
Nel 1961 pubblica Tutta la poesia, volume di grande varietà tematica e formale che in alcune sue sezioni include scritti anteriori al ritorno nell’isola. È questo il caso del lungo poema Il gallo di Pomander Walk che, composto nel 1958, rappresenta l’esperienza dell’esilio come un viaggio attraverso l’inferno terreno, i ghetti di New York, le sue miserie, la sua violenza. Lo sguardo dell’io lirico si sofferma solidale sugli emarginati, su coloro che soffrono e su chi oppone resistenza alla barbarie della ‘civiltà’, come i poeti della beat generation capeggiati da Allen Ginsberg, cui Pablo Armando in quel momento è vicino anche artisticamente. Una forte nota etica, destinata a diventare propria della voce del poeta, segna il tono di questo e delle altre opere di Tutta la poesía. È evidente sin dal titolo in Ammonimenti e impregna i sei testi riuniti in Io Pablo lungo i quali il poeta porta avanti una riflessione di indole morale e filosofica sugli impulsi contrastanti che condizionano il destino dell’uomo: l’amore, l’odio, il tradimento, la vita e la morte. Due motivi questi ultimi che costituiscono una presenza costante della poetica di Pablo Armando Ferndández pervasa, come ha osservato la scrittice canadese Margaret Atwood, da una «tensione fra la vita intensamente amata e la morte intensamente sentita»*. 
Agli ultimi anni dell’esilio e al primo periodo cubano appartengono anche la maggior parte dei sette Canti nei quali il poeta, alla costante ricerca della propria identità, ripensa la storia del paese fino agli avvenimenti più recenti, fino ai momenti insurrezionali evocati in "Rintocchi di silenzio" attraverso la storia di una donna che imbraccia il fucile per proseguire la battaglia del figlio morto durante un’azione rivoluzionaria.
La scomparsa della madre riporterà Pablo Armando all’ambito familiare in Himnos (Inni,  1962).
Con l’opera successiva, Libro degli eroi (1964), ritorna, invece, alla storia di Cuba per offrire una visione poetica della Rivoluzione e dei suoi protagonisti. Con talento alchemico, Pablo Armando converte la storia in mito e il mito in storia. Una fitta rete di simboli legati al sincretismo afro-cubano e al mondo biblico fa sì che la lotta e i suoi uomini appaiano come paradigmi di una millenaria cultura della libertà: «Dormono nella terra degli antichi miti, / dodici presagi dei fiumi, dodici / auguri della primavera. / Quando si desteranno saranno guerrieri / di obliata tradizione. Le loro memorie inaugurano / il tempo annunciato dai poeti».
* Aldo Garzia, "L'identità latinoamericana, Pablo Armando Fernández " (intervista), Leggere, Milano , gennaio 1990, p.34.
*Margaret Atwood, "La búsqueda de una voz auténtica",Ambito,n.11, marzo 1990, p.8. Sul motivo della morte e sulle figure a questa legate-la solitudine, il silenzio, l'oblio, la notte- vedi anche Basilia Papastamatíu, Pablo Armando Fernández, o la búsqueda del sitio permanente", Revista letras cubanas, n.7, La Havana, gennaio-marzo 1988, .173.
 
 
 
Mentre celebra gli eroi della Rivoluzione, l’io lirico si misura con loro ed emerge il suo rammarico, il suo senso di colpa, per non aver partecipato alle azioni che hanno cambiato il suo destino*. Lo stesso rammarico emergerà più tardi in "Reminiscenze" dove l’autore si confronta col proprio passato e dove, rievocando i campi di battaglia, si domanda «Perché non ero in certi scenari / [...] / mentre vivevo sognando quei luoghi?». 
Malgrado l’acuta coscienza del fatto che i suoi giorni «mancarono / vivi e veri al tempo in cui vissi» ("Reminiscenze"), il poeta nei primi anni del ritorno a Cuba si identifica pienamente con la storia e col presente dell’isola. A Cuba è vicedirettore di Lunes, importante supplemento letterario, mentre all’estero rappresenta il suo paese in qualità di addetto culturale dell’ambasciata cubana in Inghilterra. Nel 1968, inoltre, il suo primo romanzo Los niños se despiden - recentemente tradotto in italiano col titolo Isola, Isole (Jaca Book) - vince il prestigioso Premio Casa de las Américas.
A principio degli anni settanta, tuttavia, una difficile crisi fra la Rivoluzione e i suoi artisti determinerà nella vita di Pablo Armando un nuovo esilio, questa volta creativo. Il poeta sceglie di non lasciare Cuba, ma si isola e viene isolato nel silenzio. Tale silenzio verrà rotto definitivamente solo quattordici anni dopo quando, nel 1984, viene pubblicata a L’Avana la raccolta Campo d’amore e di battaglia che riunisce, oltre a componimenti inediti, i testi di Un luogo permanente (1970) e di Apprendendo a morire (1983), entrambi pubblicati in Spagna, e il poema dedicato a sua moglie, Suite per Maruja (1978), di cui l’autore fece stampare cinquanta esemplari a Cuba.
Campo d’amore e di  battaglia appare profondamente segnato dall’esperienza di esilio interno e di silenzio del poeta. Non a caso l’io lirico di molte poesie sembra esprimere preoccupazioni simili a quelle rintracciabili in "All’ Hudson". Si riaffaccia il terrore dell’esclusione e della solitudine: «se non ti vedo, se non ti sento muoverti per casa, / se tardi a tornare quando ti assenti / in quei paesi che le tue mani creano, / penso che sono molto solo e che muoio solo», confessa in "Come una madre che castiga e ama" rivolto alla madre, a una madre che, come il titolo lascia intendere, è incarnazione della Rivoluzione. Ancora un volta l’io - che in "All’ Hudson" sperava di vincere la sua inquietudine dialogando col fiume - individua nella parola una possibile soluzione: «Tu ed io potremo conversare sempre», «Bambino o adulto, quando tu vorrai / ci sederemo a parlare. Io aspetto», dichiara all’inizio e in chiusura della poesia.
Ma in Campo d’amore e di battaglia emerge anche la consapevolezza dei limiti della parola, del fatto che questa può acquisire vita propria e dare luogo a malintesi. Ed ecco che in "Cifra", si invoca ancora il dialogo, ma privo delle «oscure manovre del dire», ed ecco, quindi, che in "Parabola dell’equilibrista", il poeta appare come un saltimbanco che si appresta a saltare tra le fiamme*.
Campo d’amore e di battaglia inaugura la fase più matura dell’opera di Pablo Armando, che prosegue in Girotondo d’incantesimo e nel Libro della vita, le ultime raccolte pubblicate nel 1990 e nel 1997. Negli anni, e filtrata dal silenzio, la sua espressione si è fatta più sobria. Il poeta si confronta con le realtà più complesse con un linguaggio terso, pudico, estremamente rigoroso, mentre il tono, spesso prossimo al colloquiale, ben traduce l’essenza di tutta la poesia di Pablo Armando, infinito dialogo con se stesso, con l’altro e con la storia.
* Sul Libro degli eroi vedi Teresa Fernández, op. cit., pp.148-152 e John Brotherton, "Introduction" a Learning to Die (raccolta bilingue ), La Havana, Editorial José Martí, 1995, pp.XIV-XVII:
*Sulle figure ricorrenti nella poesia di Pablo Armando Fernández e sulla loro dimensione simbolica vedi John Brotherton, op. cit, al cui studio si rifanno molte delle osservazioni qui riportate.
Acque erranti raccoglie cinquanta poesie di cinquanta anni di poesia. Poche tessere di un grande mosaico che, tuttavia, vorrebbero riflettere la sorprendente versatilità espressiva e la ricchezza tematica di Pablo Armando Fernández, un poeta che, specchiandosi nella propria anima errante, ha visto l’Uomo; un poeta che, specchiandosi nell’acqua che circonda la sua isola, ha visto il mondo, ha visto altre acque, quelle dell’Hudson e quelle che bagnano Tharros, celebrata in una poesia che è uno splendido canto alla memoria, al mare, al ritorno.

Campo de amor y de batalla (1963 - 1982)

aprendiendo a morir

Mientras duermen mi mujer y mis hijos
y la casa descansa del ajetreo familiar,
me levanto y reanimo los espacios tranquilos.
Hago como si ellos –mis hijos, mi mujer—
estuvieran despiertos, activos
en la propia gestión que les ocupa el día.
Voy insomne (o sonámbulo) llamándoles, hablándoles;
pero nadie responde, nadie me ve.
Llego hasta donde está la menor de mis niñas:
ella habla a sus muñecas, no repara en mi voz.
El varón entra, suelta su cartapacio escolar,
de los bolsillos saca su botín:
las artimañas de un prestidigitador.
Quisiera compartir su arte y su tesoro,
quisiera ser con él. Sigue de largo:
no repara en mi gesto ni en mi voz.
¿A quién acudo? Mis otras hijas, ¿dónde están?
Ando por casa jugando a que me encuentren:
¡Aquí estoy!
Pero nadie responde, nadie me ve.
Mis hijas en sus mundos siguen otro compás.
¿Dónde se habrá metido mi mujer?
En la cocina la oigo; el agua corre,
huele a hojas de cilantro y de laurel.
Está de espaldas.Miro su melena,
su cuello joven: ella vivirá...
Quiero acercármele pero no me atrevo
--huele a guiso, a pastel recién horneado--:
¿y si al volver los ojos, no me ve?
Como un actor que se olvida de repente
su papel en la escena,
desesperado grito:
¡Aquí estoy!
Pero nadie responde, nadie me ve.
Hasta que llegue el día y con su luz
termine mi ejercicio de aprender a morir.
imparando a morire

Mentre mia moglie e i miei figli dormono
e la casa riposa dal via vai familiare,
mi alzo e rianimo gli spazi tranquilli.
Faccio come se loro – i miei figli, mia moglie –
fossero svegli, presi
dalle attività che riempiono i loro giorni.
Vago insonne (o sonnambulo) chiamandoli, parlando loro;
ma nessuno risponde, nessuno mi vede.
Raggiungo la più piccola delle mie bambine:
parla alle sue bambole, non bada alla mia voce.
Il maschio entra, lascia la cartella da scolaro,
dalle tasche toglie il suo bottino:
i trucchi di un prestigiatore.
Vorrei condividere la sua arte e il suo tesoro,
vorrei essere con lui. Va oltre:
non bada al mio gesto né alla mia voce.
A chi mi rivolgo? Le mie altre figlie, dove sono?
Giro per la casa giocando a farmi trovare:
sono qua!
Ma nessuno risponde, nessuno mi vede.
Mie figlie nel loro mondo seguono un altro tempo
Dove sarà finita mia moglie?
La sento in cucina, l’acqua scorre,
odora di foglie di coriandolo e di alloro.
È di spalle. Guardo i suoi capelli,
il suo collo giovane: lei vivrà...
Voglio avvicinarmi ma non oso
-- odora di spezie, di dolce appena sfornato --:
e se volgendo lo sguardo, non mi vedesse?
Come un attore dimentica d’improvviso
la sua parte nella scena,
disperato grido:
sono qua!
Ma nessuno risponde, nessuno mi vede.
Finché arriva il giorno e con la sua luce
finisce il mio esercizio di imparare a morire
.