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Nuestra America
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Lo Jutía |
Carlo Nobili * |
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La jutía, detta anche jutía o hutía
conga, è un tipico roditore di Cuba (Capromys pilorides). |
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Lungo dai 30 ai 50 cm e del peso di circa 7 kg, questo animale, di
abitudini notturne e di aspetto un po simile ad un grosso ratto, ha pelliccia di
colore grigio-nerastro. Tra tutti i rappresentanti del genere Capromys, una volta
ben rappresentato in tutte le Antille, proprio la jutía conga è la specie ancora
oggi più numerosa, avendo trovato rifugio nella grande riserva di Ciénaga de Zapata,
nella parte sudoccidentale dellisola, dove è ospitata anche una ricca avifauna. |
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Carne di jutía, insieme a una abbondante quantità di pesce e di
carne di iguana, era una delle portate del pantagruelico pranzo offerto in onore di un
cacicco ospite, di cui riferirà a Cristoforo Colombo la pattuglia scesa a terra per una
ricognizione allindomani dello sbarco a Puerto Grande (lattuale
Guantánamo), il 30 aprile del 1494, in occasione del suo secondo viaggio (25 settembre
1493 11 giugno 1496). |
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È probabile che un enorme numero di jutía sia stato utilizzato
come cibo non solo dalle popolazioni native dellisola, ma anche dagli schiavi negri
che riuscivano ad ottenere la libertà con la fuga: molto spesso infatti sono stati
trovati resti di questo animale tra i rifiuti che si accumulavano allesterno delle
loro abitazioni, in special modo delle capanne usate come rifugio dai cimarrones. |
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Lanimale, benché ormai raro, è ben presente nellimmaginario
popolare cubano: per indicare una situazione difficilissima e pericolosa si dice La
cosa está de carne de jutía, mentre di un taccagno o di un miserabile si dirà Ser
carne de jutía. |
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Scrive Bernhard Grzimez: "Larrivo delluomo bianco, che
disboscò vaste zone di foreste per sfruttarle dal punto di vista agricolo, e introdusse
nelle isole Cani, Gatti e altri animali, determinò fatalmente il destino della maggior
parte di questi Roditori dei Caribi. Soltanto pochi tra essi riuscirono a sopravvivere
rifugiandosi in territori difficilmente accessibili. [
] La sorte dellesiguo
patrimonio residuo dei capromidi venne decisa irrimediabilmente nella seconda metà del
secolo scorso: attorno al 1870, per limitare la diffusione dei Ratti, furono infatti
introdotte nelle Antille le Mangoste indiane. Esse uccisero un gran numero di Hutía, che
non erano in grado di contrastare validamente le aggressioni di simili nemici, per cui ne
divennero delle facili prede". |
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* Carlo Nobili è antropologo americanista del Museo
Preistorico Etnografico "Luigi Pigorini" di Roma |
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