italiacuba.jpg (23268 byte) Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba Cubaband.gif (7566 byte)
  

Da El Moncada n.3 1999

Essere donna a Cuba

Qualche anno fa, curiosando fra le bancarelle di libri usati di Plaza de Armas a La Habana, scoprii un romanzo per ragazzi la cui protagonista era una bambina sognatrice e coraggiosa che, appartenendo a una poverissima famiglia contadina, era riuscita ad andare a scuola solo grazie al Triunfo de la Revolución.
Non sapevo che si trattasse di una storia autobiografica. Ma il libro mi piacque tanto che lo proposi al mio editore, che accettò di pubblicarlo affidandomene la traduzione. Le ricerche dell’autrice non furono semplici, e richiesero una ventina di telefonate intercontinentali. Alla fine qualcuno, all’Istituto Cubano del Libro, ci disse ridendo: "Ma perché la cercate a Cuba? Soledad Cruz Guerra vive a Parigi. E’ la nostra Ambasciatrice all’UNESCO".
Ne aveva fatta di strada la figlia del bracciante agricolo a giornata,
cortador de caña, che a dodici anni ancora sognava di conoscere il mare sebbene vivesse a soli quaranta chilometri dalla costa!
Soledad Cruz Guerra è nata infatti a Florida, un paesino della provincia di Camagüey la cui economia gravitava attorno a uno zuccherificio. Aveva sei anni quando ‘i ribelli scesero dalla Sierra’, e la scuola divenne gratuita e obbligatoria per tutti i bambini cubani. Ne aveva dodici quando, in seguito alla morte della madre e a una gravissima malattia del padre, si trovò sola al mondo, e fu il Governo rivoluzionario a occuparsi di lei, trovandole una famiglia adottiva e incoraggiandola negli studi. A diciassette anni andò all’Università di La Habana a studiare giornalismo, e subito i suoi articoli furono pubblicati dall’allora quotidiano ‘Juventud Rebelde’. Lunghissimo è l’elenco dei titoli di studio conseguiti successivamente dalla brillantissima studentessa, che si è laureata in Filosofia, in Estetica, in Storia, in Letteratura, e che come giornalista ha viaggiato in tutto il mondo. Nel frattempo ha scelto, in un paese dove ci si sposa e si divorzia con grande facilità, di essere una madre nubile, totalmente responsabile di sua figlia. Ha scritto e pubblicato romanzi, racconti e raccolte di poesie, ha condotto programmi televisivi e radiofonici, uno dei quali, in diretta e intitolato ‘Dialogo abierto con Soledad Cruz’, l’ha resa popolarissima su tutta l’isola. Infatti, oltre a essere colta e intelligente, Soledad è una donna piena di vitalità, di umorismo, di ironia e di senso critico.
Quando circa cinque anni fa il Governo decise di nominarla Ambasciatrice di Cuba presso l’UNESCO, lei non voleva accettare, e a Fidel che la chiamò personalmente per convincerla, disse schermendosi: ‘Ma Comandante, io non sono che una contadina di Camagüey!". Per sentirsi rispondere: ‘Ricordati, muchachita, che anche Napoleone era un contadino corso".
Da allora Soledad Cruz vive a Parigi con la figlia.
Dei suoi scritti, si possono leggere in italiano ‘Lettere credenziali’, pubblicato nel 1997 dalle Edizioni della Battaglia a cura di Alessandra Riccio e ‘Delfin Delfinero’ della Mondadori Ragazzi. Di prossima uscita ‘Il cavallo con l’ombrello’ presso le edizioni Capitello di Torino.


Bianca Pitzorno
Il testo che segue è la trascrizione di un discorso fatto all’UNESCO in occasione della Giornata della Donna, e che Soledad Cruz ci ha gentilmente permesso di pubblicare.

Sono donna, e non sono morta nell’impresa di esserlo. (Però sarebbe potuto succedere)

Non sono una socialista del tema ‘donna’, non sono specialista di nulla, sono alunna della vita senza nessun dottorato.
Però come donna partecipo e osservo; credo che le mie riflessioni siano più lunghe dei miei capelli e sono certa che Dio non ci ha fatto da una costola di Adamo, ma che anzi lo stesso Dio in persona ha avuto origine da una di noi.
Con questi antecedenti parlo in quanto donna che ha potuto realizzarsi grazie al magnifico scossone che Fidel Castro ha dato alla storia. L’uomo geniale ha capito fin dal principio senza ombra di dubbio che non si poteva cambiare dalle fondamenta la società senza la partecipazione della donna.
Tuttavia non basta la buona volontà di un uomo come lui, né che le leggi dichiarino che gli esseri umani sono tutti uguali - esseri umani e non uomini, donne, neri, gialli, indigeni - perché scompaia la mentalità discriminatoria, che è antichissima.
Oltre alla lentezza con cui cambia il modo di pensare, che già basterebbe, c’è il fatto che, se a due disuguali vengono date le stesse possibilità, continuano a essere disuguali.
La Rivoluzione ha offerto alle donne cubane possibilità mai avute prima, e credo che ne abbiamo tratto buoni frutti. Chi conosce le leggi del mio paese sa che da noi tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e le stesse opportunità. Chi legge le statistiche internazionali può constatare che nel nostro paese le professioni di più alto livello tecnico e scientifico sono in maggioranza esercitate dalle donne. Chi assiste allo spettacolo pieno di speranza del primo giorno di scuola, vedrà bambini e bambine in uguale numero.
A differenza che in molti paesi sviluppati, noi donne a Cuba riceviamo, a parità di lavoro, lo stesso salario degli uomini; decidiamo quanti figli avere e, quando stiamo per diventare madri, siamo oggetto di cure e attenzioni speciali.
Sono state conquiste reali, tangibili, controllabili, che ci sono costate grandi sforzi, perché nel frattempo non erano sparite le altre responsabilità di madre, moglie, padrona di casa.
Il fatto di svolgere, oltre a questi ruoli tradizionali, quello di partecipanti attive della società ci è costato l’altissimo prezzo di lavorare il doppio, il triplo; di dover spesso far fronte al bloqueo consapevole e inconscio dei nostri familiari, dei mariti; di venire persino rimproverate dai nostri stessi figli.
Credo che siamo riuscite a cambiare molte cose; a cambiare noi stesse, a trasformare le nostre famiglie, i nostri compagni. Abbiamo pagato un prezzo molto alto, ma nonostante le ferite, le cicatrici, gli strappi e la fatica, abbiamo vinto.
Per quanto mi riguarda, sono convinta che il fatto di aver guadagnato un prestigio e una posizione che mai ebbero mia madre, e tantomeno mia nonna, è strettamente collegato al processo di progresso sociale che si è prodotto nel nostro paese.
Questo in generale. In particolare ci sono aspetti della questione e fenomeni che meritano di essere approfonditi, come quello delle relazioni di coppia, dello sconcerto maschile davanti alle nuove attitudini delle donne, le relazioni con i figli, la concezione stessa della famiglia.
Per un paese maschilista come Cuba penso che abbiamo ottenuto il massimo, però il massimo non è sufficiente, è chiaro, e si complica e diminuisce quando il paese, come nel nostro caso, soffre una crisi come quella che attraversiamo attualmente.
Le donne hanno sofferto particolarmente in questa situazione e anche hanno resistito esemplarmente, ma non hanno potuto evitare certi passi indietro, o almeno hanno dovuto diminuire il ritmo della loro marcia ascendente per tornare a occuparsi della famiglia, della difficile pianificazione del menù quotidiano, della distribuzione, all’interno della famiglia, delle scarse risorse per la sopravvivenza nei momenti più duri del cosiddetto ‘Periodo Speciale in Tempo di Pace’.
La società cubana vive attualmente un processo di trasformazione conseguente a un imprescindibile cambiamento economico, che può essere decisivo per l’esistenza stessa del paese, e che però crea contraddizioni sconosciute al tempo in cui io ero bambina e ragazza. Il cambiamento condiziona, che ci piaccia o no, forme di pensiero e modi di vivere che si allontanano dai nostri sogni, dai sogni di quelli che come me pensavano che mai più saremmo tornati a vedere prostitute né prostituti, ed eravamo felici senza usare scarpe da tennis Adidas o Nike, perché neppure le conoscevamo queste marche, ed eravamo troppo occupati a goderci la possibilità di essere persone, di studiare, di lavorare, di avere un medico quando ci ammalavamo e vaccini per i nostri figli.
Quella cubana non è mai stata una società perfetta. Sempre ha avuto contraddizioni e manchevolezze, derivanti dall’eterna conflittualità dell’anima umana. Però la prospettiva che i nostri figli non avrebbero dovuto temere i pericoli che avevano conosciuto i nostri padri era una garanzia per impegnare i nostri sforzi verso il futuro.
Non abbiamo rinunciato a questa prospettiva, ma dovremo portarla avanti con più fatica e in un modo diverso. Come reagiscono le donne davanti a questa nuova realtà? In che modo ne sono colpite? Sono domande cui solo il passare del tempo potrà rispondere.
Quando ho visto la prima ragazza che si prostituiva mi sono sentita sconfitta. Non mi consolavano gli argomenti che la prostituzione è sempre esistita, né che sempre ci fu chi vende il suo corpo al miglior offerente, uomini e donne. Non potevo accettarlo, dopo più di trent’anni che mi ero arruolata sotto le bandiere dell’emancipazione femminile. Così come non mi fu facile capire perché alcune amiche preferivano restare a casa, abbandonare il lavoro, tornare a farsi mantenere da un uomo.
Questa crisi mi ha spinto a riflettere. E posso riaffermare la mia idea di quanto l’essere umano, uomo o donna, è influenzato dalle condizioni che gli offre la società in cui vive, e di quanto dobbiamo alla Rivoluzione il nostro cambiamento da donne a persone.
Non che questi pensieri mi consolino, però ho smesso di sentirmi sconfitta. Oggi a Cuba abbiamo questi problemi e non possiamo concederci il lusso, per stanchezza, di abbandonare la lotta. Non si cambia una mentalità in 30, 40 o 70 anni; non si cambia l’anima umana in tre millenni e noialtre, come la società stessa, dovremo trovare le nostre tattiche e strategie per essere donne e non morire nell’impresa, frase che ha coniato la giornalista spagnola Carmen Rico Godoy dando il titolo al suo primo romanzo.
Sì, è difficile essere donna, pretendere di essere considerata persona, semplicemente persona, al di là delle mestruazioni, del ventre gonfio per la gravidanza, della menopausa, molto al di là della leggenda della costola di Adamo, del peccato cristiano della mela e del serpente, o della versione Yoruba della eterna indiscreta, incapace di conservare i segreti, al di là dell’essere oggetto di piacere. E’ sempre stato difficile essere donna, fin dal principio, da quando un Dio maschio negò di essere uscito da un ventre di donna e creò il mondo solo soletto, presumibilmente senza aiuto femminile.
E’ stato ancora più difficile essere donna, da quando sorse l’inquietudine, da quando scoprimmo che, oltre a partorire figli o a offrire il piacere al maschio, potevamo pensare, scrivere, occuparci di scienza, dirigere un’impresa o diventare cosmonaute; perché il mondo è stato disegnato dagli uomini e continua a essere diretto dagli uomini, da quando a Dio capitò di proclamarsi di sesso maschile. Anche gli atei sono maschilisti, e i socialisti sono maschilisti leninisti. Perché c’è un problema che va oltre le ideologie, le concezioni religiose, i sistemi politici.
Alla fine, solo voglio esprimere la mia soddisfazione per la grande opportunità che ho avuto di andare oltre le mie antenate, e la certezza che l’emancipazione femminile deve essere un atto di decisione, un alzare la testa, che comincia liberandoci dai nostri stessi lacci, alzandoci ogni giorno convinte di quello che valiamo, e del molto che possiamo contribuire al miglioramento umano. E’ ciò che intendo fare.
Sono donna e non sono morta nell’impresa. Però mi sarebbe potuto accadere... se non avessi avuto queste convinzioni.

Soledad Cruz Guerra