Da El Moncada n.3 1999
Essere donna a Cuba
Qualche anno fa, curiosando fra le bancarelle di libri usati di
Plaza de Armas a La Habana, scoprii un romanzo per ragazzi la cui protagonista era una
bambina sognatrice e coraggiosa che, appartenendo a una poverissima famiglia contadina,
era riuscita ad andare a scuola solo grazie al Triunfo de la Revolución.
Non sapevo che si trattasse di una storia autobiografica. Ma il libro mi piacque tanto che
lo proposi al mio editore, che accettò di pubblicarlo affidandomene la traduzione. Le
ricerche dellautrice non furono semplici, e richiesero una ventina di telefonate
intercontinentali. Alla fine qualcuno, allIstituto Cubano del Libro, ci disse
ridendo: "Ma perché la cercate a Cuba? Soledad Cruz Guerra vive a Parigi. E la
nostra Ambasciatrice allUNESCO".
Ne aveva fatta di strada la figlia del bracciante agricolo a giornata, cortador de
caña, che a dodici anni ancora sognava di conoscere il mare sebbene vivesse a soli
quaranta chilometri dalla costa!
Soledad Cruz Guerra è nata infatti a Florida, un paesino della provincia di Camagüey la
cui economia gravitava attorno a uno zuccherificio. Aveva sei anni quando i ribelli
scesero dalla Sierra, e la scuola divenne gratuita e obbligatoria per tutti i
bambini cubani. Ne aveva dodici quando, in seguito alla morte della madre e a una
gravissima malattia del padre, si trovò sola al mondo, e fu il Governo rivoluzionario a
occuparsi di lei, trovandole una famiglia adottiva e incoraggiandola negli studi. A
diciassette anni andò allUniversità di La Habana a studiare giornalismo, e subito
i suoi articoli furono pubblicati dallallora quotidiano Juventud
Rebelde. Lunghissimo è lelenco dei titoli di studio conseguiti
successivamente dalla brillantissima studentessa, che si è laureata in Filosofia, in
Estetica, in Storia, in Letteratura, e che come giornalista ha viaggiato in tutto il
mondo. Nel frattempo ha scelto, in un paese dove ci si sposa e si divorzia con grande
facilità, di essere una madre nubile, totalmente responsabile di sua figlia. Ha scritto e
pubblicato romanzi, racconti e raccolte di poesie, ha condotto programmi televisivi e
radiofonici, uno dei quali, in diretta e intitolato Dialogo abierto con Soledad
Cruz, lha resa popolarissima su tutta lisola. Infatti, oltre a essere
colta e intelligente, Soledad è una donna piena di vitalità, di umorismo, di ironia e di
senso critico.
Quando circa cinque anni fa il Governo decise di nominarla Ambasciatrice di Cuba presso
lUNESCO, lei non voleva accettare, e a Fidel che la chiamò personalmente per
convincerla, disse schermendosi: Ma Comandante, io non sono che una contadina di
Camagüey!". Per sentirsi rispondere: Ricordati, muchachita, che anche
Napoleone era un contadino corso".
Da allora Soledad Cruz vive a Parigi con la figlia.
Dei suoi scritti, si possono leggere in italiano Lettere credenziali,
pubblicato nel 1997 dalle Edizioni della Battaglia a cura di Alessandra Riccio e
Delfin Delfinero della Mondadori Ragazzi. Di prossima uscita Il cavallo
con lombrello presso le edizioni Capitello di Torino.
Bianca Pitzorno
Il testo che segue è la trascrizione di un discorso fatto allUNESCO in
occasione della Giornata della Donna, e che Soledad Cruz ci ha gentilmente permesso di
pubblicare.
Sono donna, e non sono morta nellimpresa di esserlo. (Però
sarebbe potuto succedere)
Non sono una socialista del tema donna, non sono specialista
di nulla, sono alunna della vita senza nessun dottorato.
Però come donna partecipo e osservo; credo che le mie riflessioni siano più lunghe dei
miei capelli e sono certa che Dio non ci ha fatto da una costola di Adamo, ma che anzi lo
stesso Dio in persona ha avuto origine da una di noi.
Con questi antecedenti parlo in quanto donna che ha potuto realizzarsi grazie al magnifico
scossone che Fidel Castro ha dato alla storia. Luomo geniale ha capito fin dal
principio senza ombra di dubbio che non si poteva cambiare dalle fondamenta la società
senza la partecipazione della donna.
Tuttavia non basta la buona volontà di un uomo come lui, né che le leggi dichiarino che
gli esseri umani sono tutti uguali - esseri umani e non uomini, donne, neri, gialli,
indigeni - perché scompaia la mentalità discriminatoria, che è antichissima.
Oltre alla lentezza con cui cambia il modo di pensare, che già basterebbe, cè il
fatto che, se a due disuguali vengono date le stesse possibilità, continuano a essere
disuguali.
La Rivoluzione ha offerto alle donne cubane possibilità mai avute prima, e credo che ne
abbiamo tratto buoni frutti. Chi conosce le leggi del mio paese sa che da noi tutti i
cittadini hanno gli stessi diritti e le stesse opportunità. Chi legge le statistiche
internazionali può constatare che nel nostro paese le professioni di più alto livello
tecnico e scientifico sono in maggioranza esercitate dalle donne. Chi assiste allo
spettacolo pieno di speranza del primo giorno di scuola, vedrà bambini e bambine in
uguale numero.
A differenza che in molti paesi sviluppati, noi donne a Cuba riceviamo, a parità di
lavoro, lo stesso salario degli uomini; decidiamo quanti figli avere e, quando stiamo per
diventare madri, siamo oggetto di cure e attenzioni speciali.
Sono state conquiste reali, tangibili, controllabili, che ci sono costate grandi sforzi,
perché nel frattempo non erano sparite le altre responsabilità di madre, moglie, padrona
di casa.
Il fatto di svolgere, oltre a questi ruoli tradizionali, quello di partecipanti attive
della società ci è costato laltissimo prezzo di lavorare il doppio, il triplo; di
dover spesso far fronte al bloqueo consapevole e inconscio dei nostri familiari, dei
mariti; di venire persino rimproverate dai nostri stessi figli.
Credo che siamo riuscite a cambiare molte cose; a cambiare noi stesse, a trasformare le
nostre famiglie, i nostri compagni. Abbiamo pagato un prezzo molto alto, ma nonostante le
ferite, le cicatrici, gli strappi e la fatica, abbiamo vinto.
Per quanto mi riguarda, sono convinta che il fatto di aver guadagnato un prestigio e una
posizione che mai ebbero mia madre, e tantomeno mia nonna, è strettamente collegato al
processo di progresso sociale che si è prodotto nel nostro paese.
Questo in generale. In particolare ci sono aspetti della questione e fenomeni che meritano
di essere approfonditi, come quello delle relazioni di coppia, dello sconcerto maschile
davanti alle nuove attitudini delle donne, le relazioni con i figli, la concezione stessa
della famiglia.
Per un paese maschilista come Cuba penso che abbiamo ottenuto il massimo, però il massimo
non è sufficiente, è chiaro, e si complica e diminuisce quando il paese, come nel nostro
caso, soffre una crisi come quella che attraversiamo attualmente.
Le donne hanno sofferto particolarmente in questa situazione e anche hanno resistito
esemplarmente, ma non hanno potuto evitare certi passi indietro, o almeno hanno dovuto
diminuire il ritmo della loro marcia ascendente per tornare a occuparsi della famiglia,
della difficile pianificazione del menù quotidiano, della distribuzione, allinterno
della famiglia, delle scarse risorse per la sopravvivenza nei momenti più duri del
cosiddetto Periodo Speciale in Tempo di Pace.
La società cubana vive attualmente un processo di trasformazione conseguente a un
imprescindibile cambiamento economico, che può essere decisivo per lesistenza
stessa del paese, e che però crea contraddizioni sconosciute al tempo in cui io ero
bambina e ragazza. Il cambiamento condiziona, che ci piaccia o no, forme di pensiero e
modi di vivere che si allontanano dai nostri sogni, dai sogni di quelli che come me
pensavano che mai più saremmo tornati a vedere prostitute né prostituti, ed eravamo
felici senza usare scarpe da tennis Adidas o Nike, perché neppure le conoscevamo queste
marche, ed eravamo troppo occupati a goderci la possibilità di essere persone, di
studiare, di lavorare, di avere un medico quando ci ammalavamo e vaccini per i nostri
figli.
Quella cubana non è mai stata una società perfetta. Sempre ha avuto contraddizioni e
manchevolezze, derivanti dalleterna conflittualità dellanima umana. Però la
prospettiva che i nostri figli non avrebbero dovuto temere i pericoli che avevano
conosciuto i nostri padri era una garanzia per impegnare i nostri sforzi verso il futuro.
Non abbiamo rinunciato a questa prospettiva, ma dovremo portarla avanti con più fatica e
in un modo diverso. Come reagiscono le donne davanti a questa nuova realtà? In che modo
ne sono colpite? Sono domande cui solo il passare del tempo potrà rispondere.
Quando ho visto la prima ragazza che si prostituiva mi sono sentita sconfitta. Non mi
consolavano gli argomenti che la prostituzione è sempre esistita, né che sempre ci fu
chi vende il suo corpo al miglior offerente, uomini e donne. Non potevo accettarlo, dopo
più di trentanni che mi ero arruolata sotto le bandiere dellemancipazione
femminile. Così come non mi fu facile capire perché alcune amiche preferivano restare a
casa, abbandonare il lavoro, tornare a farsi mantenere da un uomo.
Questa crisi mi ha spinto a riflettere. E posso riaffermare la mia idea di quanto
lessere umano, uomo o donna, è influenzato dalle condizioni che gli offre la
società in cui vive, e di quanto dobbiamo alla Rivoluzione il nostro cambiamento da donne
a persone.
Non che questi pensieri mi consolino, però ho smesso di sentirmi sconfitta. Oggi a Cuba
abbiamo questi problemi e non possiamo concederci il lusso, per stanchezza, di abbandonare
la lotta. Non si cambia una mentalità in 30, 40 o 70 anni; non si cambia lanima
umana in tre millenni e noialtre, come la società stessa, dovremo trovare le nostre
tattiche e strategie per essere donne e non morire nellimpresa, frase che ha coniato
la giornalista spagnola Carmen Rico Godoy dando il titolo al suo primo romanzo.
Sì, è difficile essere donna, pretendere di essere considerata persona, semplicemente
persona, al di là delle mestruazioni, del ventre gonfio per la gravidanza, della
menopausa, molto al di là della leggenda della costola di Adamo, del peccato cristiano
della mela e del serpente, o della versione Yoruba della eterna indiscreta, incapace di
conservare i segreti, al di là dellessere oggetto di piacere. E sempre stato
difficile essere donna, fin dal principio, da quando un Dio maschio negò di essere uscito
da un ventre di donna e creò il mondo solo soletto, presumibilmente senza aiuto
femminile.
E stato ancora più difficile essere donna, da quando sorse linquietudine, da
quando scoprimmo che, oltre a partorire figli o a offrire il piacere al maschio, potevamo
pensare, scrivere, occuparci di scienza, dirigere unimpresa o diventare cosmonaute;
perché il mondo è stato disegnato dagli uomini e continua a essere diretto dagli uomini,
da quando a Dio capitò di proclamarsi di sesso maschile. Anche gli atei sono maschilisti,
e i socialisti sono maschilisti leninisti. Perché cè un problema che va oltre le
ideologie, le concezioni religiose, i sistemi politici.
Alla fine, solo voglio esprimere la mia soddisfazione per la grande opportunità che ho
avuto di andare oltre le mie antenate, e la certezza che lemancipazione femminile
deve essere un atto di decisione, un alzare la testa, che comincia liberandoci dai nostri
stessi lacci, alzandoci ogni giorno convinte di quello che valiamo, e del molto che
possiamo contribuire al miglioramento umano. E ciò che intendo fare.
Sono donna e non sono morta nellimpresa. Però mi sarebbe potuto accadere... se non
avessi avuto queste convinzioni.
Soledad Cruz Guerra
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