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I Baubau (Emme Edizione) è un libro del 1975 scritto da Lella Gandini, a quei tempi animatrice di scuole medie ed elementari e di doposcuola sperimentali.

Il libro è una ricerca sulla paura e gli spauracchi infantili.

Le parti in corsivo sono tratte dal testo.

 

I baubau:
spauracchi non solo infantili
di Giovanni Zoppoli


La crescente presenza di bambini ‘stranieri’ nelle scuole italiane ha contribuito a due folgorazioni di carattere generale:

  1. i bambini non sono tutti uguali e le diversità vanno rispettate;
  2. queste diversità se fatte incontrare, se mescolate, possono contribuire a formare un individuo migliore, più ricco, più completo, evoluto, consapevole.

Qualche inconveniente. Il primo è un’odiosa ed insopportabile retorica della diversità, dove l’abuso di parole come ‘multiculturalità’, ‘multietnicità’, ‘integrazione’ e simili ha tolto ogni significato a questi termini, obbligando chiunque sia alla ricerca di un senso a cercarne di altri, ad evitarli.
Altro inconveniente. Per bambini e adolescenti stranieri questo ‘incontro delle diversità’ viene ridotto, banalizzato, alla formula dell’ ‘incontro tra culture’, ossia tra stereotipi e schemi precostituiti che vorrebbero tutti gli italiani mangiatori di pizza e danzatori di tarantella, gli zingari suonatori di violino e figli del vento, gli arabi... Un approccio che porta a spacciare per fiabe africane racconti a cui di africano è rimasto, forse, solo il titolo, o a lunghe dissertazioni sulla cultura zingara come esempio, inestimabile, di cultura orale con a seguire lettura, da libri, di fiabe gitane del tutto sconosciute ai bambini zingari presenti.
Questa modalità, purtroppo maggioritaria e da alcuni definita ‘pedagogia del couscous’, ha finito per diventare la giustificazione etica delle moderne pratiche di assimilazione alla cultura prevalente spesso chiamate ‘integrazione’.
Il beneficio di una diversità degna di rispetto comincia ad essere fortunatamente esteso anche ai bambini e agli adolescenti italiani convenzionalmente definiti ‘minori a rischio’, ‘soggetti svantaggiati’, ‘emarginati’, ‘drop-out’ e affini.
La loro diversità, fino ad oggi universalmente sinonimo di bestialità, inferiorità, attitudine innata a qualcosa che sta tra la criminalità e la demenza incurabile, inizia ad essere innalzata, da pochi, a rango di ‘differenza culturale’, che se integrata può comporsi in ricchezza. Anche qui qualche inconveniente. Un esempio. Conosciamo bambini di 5 anni oggetto di inusuale emarginazione da parte dei propri compagni di classe, che hanno sviluppato una precoce identità da drop-out. Sono alunni di scuola materna, ritenuti ‘minori a rischio’ e quindi costretti a frequentare durante l’orario scolare programmi speciali all’esterno del gruppo classe, inseriti in attività con altri ‘bambini a rischio’.
Restano tutti gli altri bambini, i non immigrati, i non a rischio, il prototipo, l’orologio meticolosamente custodito nel meridiano di Greenwich, lo stampino. Insomma il termine di paragone a cui tutti gli altri bambini o assomigliano o sono diversi. Non c’è che sperare che anche per loro, se esistono, arrivino tempi migliori.
Questione centrale del dibattito sulla pedagogia delle diversità è la ricerca di un punto di equilibrio tra cultura di provenienza ed effettiva identità (reali esperienze, conoscenze, emozioni) del bambino con cui si ha effettivamente a che fare.
Non è possibile prescindere dal bagaglio di diversità, o meglio di caratteristiche, storie, avvenimenti, lingue di cui il bambino straniero è portatore più o meno infetto. E’ elemento importante per comprendere e conoscere le singole individualità e promuoverne l’incontro e la crescita. Uno studio e un’analisi corretta della cultura di provenienza costituisce strumento indispensabile per il bambino, perché osservandola dalla giusta distanza possa divenirne consapevole e scegliere cosa accettare e a cosa ribellarsi. La questione da chiarire è se a noi interessa un’astratta cultura di provenienza o il bambino in carne e ossa.
Il pericolo dell’approccio alla diversità oggi prevalente è la creazione e trasmissione di figure virtuali che oscillano tra il ‘mostro spaventoso’ e il ‘meraviglioso personaggio folkloristico’. Noi pensiamo che compito dell’educatore sia creare condizioni per un incontro reale, tra persone reali. Per farlo è necessario lavorare sulla liberazione dagli schemi e dagli stereotipi inventati dagli adulti, aiutando a spogliarsene e non certo aggiungendone di nuovi e più sofisticati a chi in partenza ne aveva meno di noi.
Abbiamo riletto un testo che offre spunti di riflessione fondamentali su diversità e creazione di ‘mostri’. E’ un libro del 1975, I Baubau (Emme Edizione) scritto da Lella Gandini, a quei tempi animatrice di scuole medie ed elementari e di doposcuola sperimentali.

Il libro è una ricerca sulla paura e gli spauracchi infantili e inizia con un discorso sulle origini della paura infantile, basato su studi di Erikson, Bowlby J., Lorenz, Hinde, Leboyer, McGrow, Wolff, Spitz R., Piaget, Freud, Klein M., Propp, Lévi-Strauss C., Beretta, Corral John B., Luccio R, Cohen M. e altri. In una seconda parte Gandini riporta i risultati della sua inchiesta condotta in scuole medie inferiori ed elementari dal ’74 al ’75 a Napoli e provincia e tra Bergamo e Milano.

Perché spaventare i bambini? Siamo noi adulti che abbiamo inventato gli spauracchi.
Uno spauracchio è qualunque cosa che induce in altri falso o esagerato timore.

Chi sono questi spauracchi?

Perché fanno paura ai bambini?

I bambini stessi hanno risposto alle domande e hanno descritto gli spauracchi e cosa rappresentano per loro. E’ utile esaminare prima alcune cause delle paure infantili (...)
Nel mondo delle paure infantili, paure reali e immaginarie si mescolano e si sovrappongono. E’ artificioso cercar di vedere le paure infantili separatamente secondo le varie cause ma è necessario esaminare, sia pur brevemente, i vari elementi che contribuiscono alla loro formazione. Queste paure producono immagini spaventose e quindi gli spauracchi che prendono una connotazione soprattutto dai condizionamenti familiari e le interazioni sociali dei bambini.

1. Dal punto di vista della psicologia comparata le paure che stanno alla base di alcuni comportamenti istintivi del bambino, nelle prime settimane e mesi di vita, hanno un parallelo nelle paure che si manifestano nei piccoli di altri animali superiori.
Il legame tra il genitore e i suoi piccoli si basa su un precoce riconoscimento reciproco. Questo riconoscimento avviene, per i piccoli, in un periodo di particolare sensibilità (periodo critico-sensibile) e viene definito imprinting (nella nota: imprinting: Come significato generico si dice di qualunque processo che può contribuire a far volgere il comportamento di attaccamento filiale, di un giovane uccello o mammifero, preferibilmente verso una o più figure discriminanti. Usato in termine generico il termine implica sempre: a)lo sviluppo di una preferenza chiaramente definita; b) una preferenza che si sviluppa abbastanza rapidamente e di solito in una fase limitata del ciclo vitale; c) una preferenza che una volta fissata rimane relativamente fissa) (...)
Il periodo critico-sensibile è limitato e, in alcuni casi, finito questo periodo, nemmeno l’incontro con la madre naturale può provocare una reazione favorevole, essa non viene seguita. Anzi al termine del periodo critico-sensibile in cui il piccolo ha ricevuto l’imprinting di un oggetto familiare in un ambiente familiare, ogni oggetto non familiare provoca reazioni di paura e di fuga.
(...) Quasi ogni animale condivide il suo habitat con alcuni predatori che sa riconoscere istintivamente alla nascita. Per sopravvivere a questi predatori ogni specie di animali possiede un comportamento acquisito filogeneticamente che le permette di organizzare un sistema di difesa. La maggior parte degli animali sono provvisti di un comportamento istintivo ereditario che fa cercare certi oggetti e fuggire altri. Per i primati terricoli la funzione di protezione è svolta dal gruppo che è socialmente organizzato. In caso di minaccia i maschi adulti, che si tratti di scimmie o di uomini, formano una barriera per respingere i predatori, mentre le femmine e i piccoli si raccolgono in posizione di difesa. In questo modo solo gli individui isolati diventano vittime. E’ stato notato che i giovani animali che tendono a rimanere fuori dal gruppo, in caso di pericolo, vengono duramente aggrediti dagli adulti e spinti a forza al riparo. Questo chiarisce perché, quando un giovane animale viene punito, tende ad approfondire il suo attaccamento alla figura che lo punisce. Il piccolo per garantire la sua sopravvivenza, si aggrappa alla madre, con un comportamento istintivo per non restare isolato.
Le scimmie, che tra gli animali assomigliano di più all’uomo per le cure che prodigano ai loro piccoli, tenendoli attaccati al loro corpo in contatto intimo, compensano anche il trauma della nascita che i piccoli hanno subito. Alla nascita il piccolo umano specialmente, passa bruscamente da una condizione in cui i bisogno vengono immediatamente soddisfatti, in un ambiente completamente favorevole, a una condizione estranea dove, in principio, tutto è fonte di disagi e dove gli stimoli hanno un’intensità altissima. (...) E’ solamente nella nostra società economicamente sviluppata che i bambini rimangono per la maggior parte del tempo privi del contatto fisico materno.
(...) Il bambino quando nasce è già provvisto di schemi di comportamento che sono pronti ad essere attivati da stimoli. Gli stimoli provocheranno il pianto, la suizione, l’orientamento della testa o la prensione. Devono passare alcune settimane perché il bambino sia pronto a uno scambio di segnali che provino il riconoscimento della madre. Lo scambio di segnali, per i piccoli umani, che corrisponde alla reazione di inseguimento per gli uccelli ed è collegata all’imprinting, è la "risposta del sorriso".
E’ verso la fine della quinta settimana che quasi tutti i bambini rispondono col sorriso agli stimoli visivi. In questo momento basta come stimolo visivo un cartoncino che abbia le dimensioni di un viso e che abbia due macchie scure su fondo chiaro
(...)Verso i tre o quattro mesi occorre un vero viso umano per sollecitare il sorriso (...) Verso i cinque mesi poi lo stimolo può limitarsi solo al viso di una persona nota. Ma già a partire dalle quattordici settimane circa c’è una preferenza netta per il viso materno in confronto ad altri visi. Verso i sei, sette mesi i visi degli estranei e le maschere suscitano ancora un debole sorriso ma è proprio a quest’epoca che gli estranei cominciano ad essere trattati con scostamento guardingo o con un piccolo sorriso elargito da una distanza sicura.
Man mano che crescono i bambini, come i piccoli di altre specie, cominciano a manifestare paura per le novità e per le cose sconosciute incluse le persone. L’età in cui si verifica per la prima volta una netta reazione di paura alla vista di estranei varia molto da bambino a bambino (...) varia molto a seconda delle condizioni: qual è la distanza dell’estraneo, se il bambino è in braccio alla madre o lontano da lei, se il bambino si trova in una situazione familiare oppure nuove, se è stanco o riposato ecc. Comunque l’estraneità è in se stessa una causa comune di timore. Se il numero delle persone che si occupa del bambino è vario, se oltre alla madre vi sono altri contatti affettuosi da parte di altre persone, la paura degli estranei tenderà a mostrarsi meno intensamente.
La necessità di esplorare il proprio ambiente fa parte non solo dello sviluppo del piccolo animale ma s’impone come condizione indispensabile della conoscenza per la crescita equilibrata del bambino. Il bambino crescendo alternerà momenti d’intensa esplorazione a momenti di paura delle novità e degli estranei che lo faranno ricorrere alla protezione e al rifugio materno.
Al momento in cui si forma la paura degli estranei, dopo il periodo dell’imprinting del viso materno, i visi che spaventano tendono a trasformarsi in facce paurose che rimangono impresse nella fantasia del bambino.

2. Le paure fondate sullo sviluppo dell’organismo sono, come scrive Erikson, le più precoci, le più penetranti e le meno conscie.
Il bambino trae un senso di benessere e di fiducia soprattutto dalla soddisfazione del suo bisogno di suizione e di contatto fisico. Quando i suoi bisogni non vengono soddisfatti in breve tempo si fanno più intensi, il suo equilibrio fisico è compromesso e il suo organismo segnala che è in pericolo la sua sopravvivenza. Il neonato è completamente indifeso e dipende totalmente dalle cure degli adulti che si occupano di lui. Da queste cure può derivare per lui una situazione di fiducia o di sfiducia.
(...) i suoi desideri insoddisfatti provocano l’ira che fa insorgere degli istinti distruttivi verso il proprio organismo, la sensazione di impotenza verso questo istinti fa sentire il bambini in pericolo e quindi pieno di angoscia.
L’angoscia di venire distrutto dai propri impulsi produce un meccanismo di difesa modellato sul desiderio infantile di esteriorizzare le sofferenze e interiorizzare il piacere. Il bambino vive come esterno un pericolo interno (proiezione) e sente come se fosse diventata una certezza interiore la realtà favorevole e buona che è all’esterno (introiezione).
Il bambino impara sempre più a riconoscere che la madre è qualcuno che dà e trattiene la gratificazione. Nella proiezione all’esterno della sua angoscia la madre viene percepita come oggetto di pericolo e su di lei si riversano gli impulsi distruttivi del bambino. Nello stesso tempo la madre viene percepita anche come la fonte principale di soddisfazione e di conforto. Un parte delle tendenze aggressive nei riguardi della madre o di tutt’e due i genitori vengono dirette verso esseri fantastici che popolano i territori notturni dei bambini o vengono a formare le loro fobie. Lo spostamento all’esterno dei pericoli interni da la possibilità al bambino di domare la paura e di affrontare meglio quegli stessi pericoli.
Occorre chiarire la differenza tra paura e angoscia. L’angoscia è uno stato di tensione diffusa, di timore sordo, che può anche manifestarsi in inquietudini e terrori improvvisi, non ha una causa precisa. La paura è uno stato apprensivo connesso a pericoli determinati riconoscibili e che possono venire valutati realisticamente. (...) il bambino a causa della sua immaturità strumentale non è in grado di distinguere tra pericoli interni ed esterni, reali o immaginari: questa è una cosa che egli deve ancora apprendere e per apprenderla ha bisogno delle rassicuranti indicazioni dell’adulto.
(....) Le paure che contribuiscono all’angoscia infantile possono essere viste essenzialmente come paura di separazione dalle persone amate e paura di distruzione di sé e di quelli che si amano. Queste paure di separazione e di distruzione hanno anche la loro origine nella fragilità della vita dell’organismo che lotta per la sopravvivenza, nella sensazione della propria impotenza e della possibile incombenza della morte. Le energie dell’individuo sono coinvolte completamente nel processo che porta a dominare le proprie situazioni di angoscia infantili; una riuscita positiva di questo processo è di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’io.
La proiezione verso l’esterno in immagini paurose del senso di pericolo provocato dagli istinti interiori trasforma l’angoscia diffusa e indefinita in paura definita, per esempio in un’immagine-spauracchio, quindi più facilmente controllabile.
(...) E’ del 1882 il resoconto di una storia in cui la balia di una bambina di due anni e mezzo costruisce uno spaventoso pupazzo nero e lo mette vicino al letto della bambina immersa nel sonno per poter passare una serata libera. Al ritorno la balia trova la bambina morta di terrore con gli occhi sbarrati e le mani rattrappite nei capelli.
(...) Ma la tendenza a spaventare i bambini con minacce o per ottenere l’obbedienza è ancora viva oggi. I genitori ricorrono a queste minacce perché ripetono forme tradizionali che hanno avuto una presa magico-misteriosa sulla loro fantasia quando erano bambini (...)
E’ soprattutto nella famiglia che le paure dei bambini prendono forma di spauracchi e che alcune paure nascono. Gli ostacoli frapposti al bisogno di muoversi, di fare chiasso, i sensi di colpa che le proibizioni producono, le tensioni e le stanchezze che i genitori non riescono a nascondere al bambino e che li fanno ricorrere al ripiego delle minacce, tutto contribuisce a creare delle paure. Quali sono i fini utilitari immediati che i genitori vogliono raggiungere attraverso gli spauracchi? Prima di tutto bisogna evitare che i bambini escano da soli di casa.
(...) La società emargina delle persone che con la loro presenza possono mettere a disagio le persone inserite. I bambini avvertono questo disagio e sentono la propria sicurezza messa in pericolo da questi personaggi rifiutati. In certi casi gli adulti li usano direttamente per minacciare i bambini, facendoli diventare spauracchi.

Il barbone mi nasconde nel suo mantello e mi fa morire lentamente.
Daniele, 4a elementare, Brescia

Gli zingari hanno una faccia brutta e sporca.
Lorena, 1a media, Riva di Trento

Il vecchio senza denti ha la faccia rugosa e mi mangia.
Carlo, 4a elementare, Casale Monferrato

I pazzi ci uccidono per divertimento per far strage e dopo ci mettono appesi da qualche parte per spaventare altri.
Uwe, 5a elementare, Brescia

Chiamo lo zoppo e ti faccio venì a piglià. Anche quando veniva sera e lo diceva per farmi andare a letto io zitto zitto me ne andavo a dormire con la testa sotto le coperte senza muovermi e certe volte non dormivo per tutta la notte. Perché avevo l’ansia che venisse lo zoppo. E così era tutti i pomeriggi e la sera.
Giovanni, 2a media, Napoli

Gli zingari, come risulta dall’inchiesta, sono visti come dei pericolosi distruttori del focolare domestico. Generalmente perché sono "vestiti male", hanno una "faccia brutta e sporca" e possono "entrare in case anche con le porte chiuse"
(...) Le paure che non hanno una base razionale, le paure di pericoli immaginari o indefiniti, sono difficili da controllare. Fanno sentire indifesi e quindi dipendenti. E’ proprio questa conseguenza di dipendenza che si vuole ottenere quando la paura viene usata per tenere sotto controllo qualcuno. Questo avviene in modo più o meno manifesto in quel tipo di rapporti in cui qualcuno detiene il potere e altri sono in posizione subordinata; e si verifica a vari livelli nella nostra società (famiglia, scuola, lavoro).
(...) I metodi educativi adottati dai genitori in molti casi sono gli stessi che hanno causato loro dei problemi (...) Oppure rappresentano la reazione ad un tipo di educazione che hanno riconosciuto come sbagliata e che li fa cadere nell’eccesso opposto.
(...) L’ambiente esterno è spesso deprimente, le città sono sovraffollate, manca lo spazio. Il problema dello spazio è spesso cruciale nell’acuire le difficoltà dl rapporto adulto-bambino. I bambini sentono il bisogno di muoversi e di fare chiasso per esprimere l’aggressività di tipo positivo che è dentro di loro, aggressività che è mezzo di esplorazione, di scoperta e quindi di formazione. Quando questa necessità viene frustrata e i bambini vengono repressi, proprio perché fanno chiasso, insorge un’aggressività negativa e distruttrice che viene indirizzata verso i fratelli e i genitori con conseguenti minacce, punizioni e produzione di senso di colpa. Inoltre la sorveglianza da parte dei genitori aumenta e il bambino invece di sviluppare un’autonomia di comportamento e di imparare a controllare i propri impulsi, diventerà sempre più dipendente dalle regole imposte dai genitori e dagli educatori e in seguito da qualsiasi persona rappresenti l’autorità.
Le minacce che i genitori usano per tenere sotto controllo i bambini, gli spauracchi che fanno balenare alle loro menti, possono non essere presi seriamente e avere effetto pauroso limitato sul bambino, ma sono soprattutto la disapprovazione, la condanna e a volte l’ostilità, in breve la privazione dell’amore da parte dei genitori che lasciano dei segni duraturi.
Nel primo contatto con la scuola il bambino cerca di essere rassicurato per i timori che questo ambiente esterno e sconosciuto, che deve affrontare da solo, suscita in lui. Purtroppo nella scuola molti educatori, sia per mancanza di informazione, sia per faciloneria usano la paura più o meno apertamente come mezzo per ottenere l’obbedienza dei bambini. Paura del voto, dell’esame, della sospensione, della bocciatura e in alcuni casi di punizioni corporali, che non sono del tutto scomparse. Le forme educative adottate finora nella maggior parte dei casi destano nella prima infanzia troppe paure completamente superflue, bloccando l’apprendimento. Inoltre l’insegnamento basato sulla competitività favorisce l’insorgere di sensi d’inferiorità, paura del ridicolo, paura dei compagni. Il bambino tende a sentirsi solo ed effettivamente in questo modo la socializzazione avviene con molta difficoltà.
(...) Per i genitori ed educatori la grossa difficoltà è immedesimarsi nelle esigenze del bambino, nell’accettarlo come un individuo, in formazione, ma con una personalità da rispettare nella sua interezza.
(...) E’ importante che ogni bambino si renda conto di non essere il solo a soffrire e scopra che i suoi compagni hanno le stesse paure, come le hanno avute gli adulti un tempo.
(...) E’affrontando attivamente la paura, non reprimendola, che si può acquistare una consapevolezza della propria condizione e trovare i mezzi per superarla.