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L'articolo che proponiamo è tratto dal giornale albanese "Koha Ditore" (22 gennaio 1999).
Ringraziamo Andrea Ferrario che l'ha tradotto e diffuso nel febbraio 1999 su Notizie dall'est e che ci ha permesso ora di ripubblicarlo.

Fatos Lubonja è un editorialista indipendente presso i principali quotidiani e riviste albanesi. Rinchiuso nelle carceri di Enver Hoxha per oltre quindici anni, all'inizio degli anni Novanta (dopo la caduta del regime) ha ricoperto la carica di segretario generale del "Forum per i diritti dell'uomo" (organizzazione molto attiva nei mesi della crisi del '97), che ha poi lasciato per via dell'atteggiamento compiacente assunto da questa nei confronti del governo di Berisha ('92-'97). Distante e dai democratici di Berisha e dai socialisti di Nano (tuttora al governo) è membro dell'Albanian Civil Society Foundation. In Italia, presso Marco Costantino Editore, è stato pubblicato il suo "Diario di un intellettuale dalle carceri albanesi".

Altre informazioni:


La diplomazia italiana vuole un protettorato per l'Albania
di Skender Shkupi
"AIM", 26 febbraio 1999

Albania:
Protettorato o Stato sovrano
di Fatos Lubonja
(traduzione di Andrea Ferrario)
Un dibattito sul ritorno dell'Albania a protettorato italiano è stato riaperto nella stampa italiana (più precisamente nel quotidiano "La Stampa"), un'idea che secondo il giornale circola negli ambienti della Farnesina. L'esperto del giornale della famiglia Agnelli ritiene che negli anni della transizione gli albanesi stiano dimostrando scarse capacità di strutturare il loro stato e che forse sarebbe una buona idea tornare nuovamente alla soluzione del protettorato (una concetto che era stata menzionato anche dall'ex primo ministro Fatos Nano di fronte alla stampa italiana).
Questa idea è circolata anche negli ambienti diplomatici di Tirana. "Come prendererebbero gli albanesi un amministratore del tipo di Westendorp?" è una domanda che è stata posta alle sue controparti albanesi da un importante diplomatico di un'ambasciata. E infatti, in un articolo pubblicato dalla rivista "Limes" viene suggerita proprio la nomina di un commissario internazionale, che dovrebbe coordinare tutti gli aiuti civili, militari e finanziari, ivi inclusi gli aiuti all'amministrazione. Questa idea suona quasi come la nomina di un moderno Principe Wied in Albania [il principe Wied era stato nominato dalle grandi potenze nel 1912 re d'Albania, carica che egli non è mai riuscito nei fatti a esercitare - N.d.T.], che oggi assomiglia al ruolo che stanno svolgendo l'ambasciatore OSCE Dan Everts e il gruppo di diplomatici chiamati "Amici dell'Albania". "L'idea di un protettorato per l'Albania non è nuova. Molte prominenti figure italiane, tra cui il giornalista Montanelli, sono andate addirittura più in là". Parlando di Albania, i fautori di tale soluzione giungono a formulare l'idea che l'Italia e l'Austria abbiano compiuto un errore quando hanno creato lo stato albanese nel 1912, perché gli albanesi non erano in grado di gestire questo regalo, come starebbero dimostrando da quasi un secolo. Intervistati da "La Stampa", sia Fasini che Reiner hanno respinto l'idea di un protettorato. Almeno in pubblico, essi hanno dichiarato che l'Albania è uno stato sovrano e che quello di cui vi è bisogno è ristabilire la fiducia nella classe politica albanese.
Tuttavia, è da escludersi che l'idea di un protettorato possa essere approvata in Italia o altrove, se si tiene conto anche solo delle posizioni dei partiti italiani di sinistra che sono saldamente e tradizionalmente contrari alla colonizzazione e ai protettorati. Ma la sola apertura di un dibattito è un fatto essenziale per comprendere come gli albanesi vengono visti dagli stranieri.
Si tratta di una cosa utile per gli albanesi, soprattutto riguardo ai momenti storici che si trovano ad affrontare in Kosova. A livello emozionale, ogni singolo albanese si sente offeso e umiliato anche dalla sola menzione di questa idea e la prima reazione tradizionale è quella dell'indignazione, che individua dietro a questi piani i nemici dell'Albania e reitera l'epiteto dell'Europa come "la puttana". Al fine di comprendere meglio la posizione e la politica di quest'ultima e di mettere a punto una strategia presente e futura basata sulla ragione e la realtà e non solo su una retorica pseudopatriottica, gli albanesi dovrebbero mettere da parte le loro emozioni e analizzare questo dibattito in modo razionale. Addentriamoci maggiormente nell'attuale posizione dell'Albania per vedere se è uno stato sovrano o un protettorato.
Gli albanesi hanno aperto il 1991 con la convizione quasi religiosa che l'Occidente fosse una terra promessa, un paradiso sulla terra. Chiunque venisse dall'Occidente veniva visto stereotipamente dagli albanesi come un "angelo di dio", interminabilmente buono e privo di errori. La scena dei baci all'automobile del Segretario di Stato USA Baker da parte di una folla come quella che si vede nelle congreghe di fedeli musulmani alla Mecca è stata il culmine dell'esaltazione per la religione chiamata Occidente. Se si tiene presente la devastazione spirituale ed economica dell'Albania si potrebbe dire che dopo la caduta del comunismo, gli albanesi hanno guardato al'Occidente come un uomo malato guarda al suo salvatore. L'appoggio dell'Occidente è diventato la prima forza motrice dei movimenti politici in Albania.
"Noi governiamo e il mondo ci aiuta" era lo slogan che Berisha usava ripetere per mantere la propria presa sul potere. I partiti albanesi hanno condotto le loro campagne politiche durante il periodo del pluralismo affidandosi a chi godeva dell'appoggio dell'Occidente. Uno dei maggiori sforzi messi in atto dalla propaganda dei partiti era quello per persuadere la gente comune di chi godesse effettivamente dell'appoggio estero. "Il Partito Democratico (PD) è stato ammesso all'Unione Democristiana Europea", "Il Partito Socialista (PS) è stato ammesso all'Internazionale Socialista", questi erano i titoli cubitali che apparivano sulle prime pagine della stampa albanese.
Una dichiarazione di un burocrate occidentale, per quanto irrilevante, riceveva molta più attenzione di una buona cosa che veniva fatta all'interno del paese e quindi otteneva anche molti più minuti in televisione. La mentalità dell'era socialista prevaleva non solo tra la gente comune, ma anche tra coloro che si erano assunti il compito della creazione di un nuovo sistema politico ed economico albanese. Gli aiuti cinesi e russi venivano ora sostituiti dagli aiuti occidentali. Venivano gestiti dallo stato, con i funzionari statali che facevano la parte del leone. Questa mentalità ha esercitato una grande influenza sulla mancanza di motivazioni, tra gli albanesi, per costruire il proprio paese e il proprio stato per conto proprio, lasciandoli in una posizione vergognosa di inferiorità materiale e spirituale. Allo stesso tempo, seguendo una tradizione di governo ormai classica di figure come Ali Pasha, Ahmet Zogu, Enver Hoxha, gli albanesi non sono stati molto fedeli ai loro leader.

IL DUALISMO BIZANTINO
Gli uomini al governo avevano bisogno del sostegno occidentale per dominare meglio i loro cittadini, per assicurarsi gli aiuti occidentali e aumentare la loro autorità, rendendo più ricca la fazione dei loro sostenitori fino a quando la loro permanenza al potere non era minacciata. Berisha ha vinto le prime elezioni con l'ambasciatore americano Rayerson al suo fianco durante la campagna elettorale. Ha utilizzato il sostegno politico degli Stati Uniti per eliminare i suoi oppositori, ma quando gli americani lo hanno rifiutato, non ha esitato di accusarli di cospirare contro l'Albania, come aveva fatto Hoxha con i sovietici in passato. Inoltre, questo tipo di politici, più diventava servile, più parlava di dignità nazionale e di orgoglio nella propria propaganda.
Questo dualismo bizantino era la principale caratteristica della politica albanese nelle relazioni con il fattore straniero. A causa di tale bizantinismo, l'Albania non sembra essere né un protettorato né uno stato sovrano. I fattori predominanti in questo dualismo, data la continuità del fallimento economico che fa sì che lo stato albanese sopravviva esclusivamente affidandosi agli aiuti stranieri, sono stati il servilismo e la sottomissione. Berisha, per esempio, non ha conservato la propria animosità nei confronti degli USA a causa della sua avidità di potere e dell'incapacità di raggiungere i suoi obiettivi senza il supporto dell'Occidente e di conseguenza è tornato alla compiacenza e alla retorica del "grande amico dell'Albania".
Il caso più evidente è quello del 14 settembre dell'anno scroso, quando egli è stato eletto presidente, ma ha dato immediatamente le dimissioni quando ha ricevuto delle telefonate dall'estero con le quali gli è stato detto che non lo avrebbero sostentuto. I politici dell'attuale coalizione al potere stanno dimostrando la propria subordinazione in maniera forse ancora maggiore rispetto a Berisha. La loro principale preoccupazione, da quando sono giunti al potere, è stata quella di condurre una politica conforme alle preferenze dei burocrati occidentali. Questi burocrati, non sapendo nulla dell'Albania ed essendo privi di ogni senso della storia, sono arrivati con formule già pronte applicate in altri paesi dell'Europa Orientale. Prima di tutto hanno preso in considerazione gli interessi dei loro paesi (in alcuni casi gli interessi di determinate lobby nei loro paesi) e i politici albanesi dei partiti al governo hanno eseguito le loro istruzioni con grande servilità, una cosa che è stata non solo umiliante, ma anche in contraddizione con gli interessi a lungo termine dell'Albania.
Uno degli esempi più evidenti di questa servilità è stato il consiglio occidentale di tenere una riunione con Berisha nel momento in cui quest'ultimo aveva violato tutte le leggi previste dal Codice Penale e non si meritava altro che essere espulso a lungo termine dalla politica. In conseguenza di questo consiglio, l'Albania è sprofondata nell'anarchia e inveve di un pluralismo politico la politica è rimasta in un terrificante pluralismo di kalashnikov; se si aggiunge inoltre la perdita di ogni moralità, la situazione complessiva ha creato tra la gente un profondo senso di sfiducia nei confronti della politica e dei politici. Dall'altra parte, anche la subordinazione dei politici della sinistra è un imbroglio. Seguendo la strada dei loro predecessori della destra e attraverso un altissimo tasso di corruzione, essi hanno proseguito la tradizione di non lavorare per l'Albania o per mettere in atto le idee dei loro protettori, ma semplicemente per se stessi, il proprio potere e la propria ricchezza.

UNO STRUMENTO PER ESPERIMENTI
Si può arrivare alla conclusione che l'Albania non è né uno stato sovrano né un protettorato anche guardando alle cose da angoli diversi. L'Albania, per esempio, non è uno stato sovrano perché le decisioni più importanti sono state prese da stranieri. Inoltre, nel 1997 l'Italia ha imposto l'intervento di eserciti esteri in Albania, perché questo era l'unico modo per fermare l'emigrazione, una decisione che è stata alla fine sottoscritta da tutti i partiti politici albanesi. Oppure il fatto che dopo il colpo di stato del 14 settembre, quando Berisha ha raggiunto il culmine delle proprie sconsideratezze, l'ambasciatore italiano ha minacciato con incredibile arroganza il governo albanese, il 17 settembre, che l'Italia avrebbe cessato di consegnare aiuti nel caso in cui Berisha fosse stato arrestato. (Se si tengono presenti questi fatti, risulta evidente come siano ridicole le dichiarazioni retoriche di questi politici riguardo alla prontezza dello stato albanese di dichiarare la guerra alla Serbia per proteggere i fratelli albanesi in Kosova).
Ma vista da un altro angolo, l'Albania allo stesso tempo non è un protettorato. I fattori stranieri che decidono per l'Albania non hanno una strategia coerente e a lungo termine perché spesso hanno interessi differenti in Albania, come nel caso dell'Italia e della Grecia, e soprattutto non si prendono alcuna responsabilità per le proprie azioni politiche nel paese. Possono fare ogni sorta di esperimento e successivamente negarlo o raccontare agli altri circoli diplomatici le cose stupefacenti che hanno visto in Albania. Da questo punto di vista, un vero protettorato sarebbe più utile di questa situazione che vi lascia nella convinzione di essere uno strumento per esperimenti di cui nessuno si prende la responsabilità.

LA LIBERTA' NON SIGNIFICA NULLA SENZA UNO STATO SOVRANO

Dopo otto anni di aiuti e di intensa presenza dell'Occidente, gli esperti occidentali dicono che la situazione in Albania "è simile a quella in Somalia o in Algeria, sprofondate in uno stato di devastazione che ha perso ogni senso di orientamento e indulge in ogni tipo di vendetta atavica, violenza ed emigrazione" (Limes). Nei fatti, il mondo ha oggi realizzato che l'Albania non sta passando attraverso una guerra civile, ma che invece ci sono gruppi in Albania che vogliono conquistare il potere mediante la guerra, utilizzando gli squadroni armati come strumenti di guerra. La conseguenza è che è emerso "un nuovo tipo di democrazia", quello delle fazioni rivali per controllare le dogane e aumentare la propria ricchezza tramite le risorse statali.
Trovandosi ad affrontare questa situazione l'Occidente si pone domande ciniche: Cosa fare di loro? Imporgli l'ordine quando sembra che vivano eccellentemente nell'anarchia e vi trovino perfino godimento? Appoggiare un clan contro un altro, consentendogli di rafforzarsi così tanto da imporre agli altri una pace costruita con la violenza e la repressione? Creare un'amministrazione più efficiente con personale che ha studiato all'estero e con una rete di consulenti che stia dietro di loro in un ruolo di mediatori? Dopo avere cercato tutto questo senza ottenere grandi successi, ora viene la proposta di un protettorato che a volte assume la forma degli "Amici dell'Albania" e altre volte quello del Commissario Internazionale o altro ancora.
Giungendo a questo punto non si può lasciar passare inosservata una cosa: senza alcun dubbio la principale responsabilità per la situazione in Albania è della classe politica albanese, che ha dato prova di mancanza di capacità, di mancanza di motivazioni patriottiche e di un grado di corruzione tra i più alti, nonché del popolo albanese che non è stato capace di generare una classe politica migliore. Ma non si può non osservare nemmeno, nonostante il paradosso, che sebbene l'Occidente sia stato più che presente e determinante nella politica albanese, i fallimenti della politica albanese sono stati grandi. Come spiegarsi il fatto che i politici occidentali non esaminano i propri errori, ma cercano invece tutte le colpe nella parte albanese? Il Ministro degli esteri italiano Lamberto Dini non ha forse responsabilità per avere sostenuto il distruttore dello stato albanese, Sali Berisha, nel momento in cui quest'ultimo stava creando e difendendo le "piramidi" e dopo che aveva manipolato le elezioni del 26 marzo 1996? E ancora, successivamente, quando voleva fuggire dall'Albania con i suoi più stretti collaboratori, oppure dopo il colpo di stato del 14 settembre?
Comunque, questo è soprattutto questione loro. Gli albanesi devono invece porsi la domanda, che è allo stesso tempo una sfida: la nostra alternativa deve proprio essere quella di continuare a vivere nel caos e nell'anarchia oppure fuggirne? E se ne vogliamo davvero fuggire, come lo faremo - prendendo la via di schiavitù di un protettorato, di un sistema autoritario sostenuto dall'estero, oppure camminando con coraggio verso la democrazia e uno stato di diritto, ovvero prendendo la strada della libertà?