La caccia al cinghiale di NUNN

Quando il duca lo gres (bisnonno dell’attuale duca Elbereth) era signore di Harondor, i suoi due figli, il maggiore Leodegrance ed il minore Lesky, parvero fin dall’inizio destinati a non andare d’accordo tra loro e a ripetere le rivalità mitiche come quelle tra Usoüs e Hypsouranoius o tra Atreus e Tyestes.

Dolce e calmo il primo quanto focoso e impetuoso l’altro, essi la pensavano in maniera diversa anche sul grande problema politico che si trascinava da secoli: la rivalità tra Harondor e Dol-Amrahîl a proposito delle terre della defunta Marca di Begloatz, appartenenti ad Harondor all’epoca del Regno di Nogles, ma sottrattegli dall’Impero e date al Ducato di Dol-Amrahîl incluso nel Regno dei Cures; la situazione era stata confermata anche recentemente subito dopo la guerra contro il Principe Maledetto che aveva portato alla distruzione di Begolatz e all’annessione diretta dei territori ad opera del Duca di Dol-Amrahîl, nonostante le proteste degli harondoriani. Lesky propendeva per la classica soluzione della guerra feudale, Leodegrance riteneva che trattando con il duca avversario e soprattutto richiamando in causa l’imperatore di Camun (che dopo la scomparsa del grande Ast-Wolf aveva solo un potere nominale sul Sud dell’Impero) si sarebbe potuto riottenere tutto senza spargimento di sangue.

A ciò si aggiungeva che Logres era ormai molto vecchio, e presto si sarebbe aperto il problema della successione: Leodegrance era il maggiore e quindi per legge l’erede, ma si sapeva che Lesky, come Erik di Valhol un tempo, non era disposto a vivere sottomesso al fratello, e Lesky godeva di molti appoggi tra gli ambienti militari e dei cavalieri del ducato, desiderosi di guerra per conquistare nuovi feudi, e ala Chiesa di Masinga, il cui sommo pontefice  era stato umiliato da Leodegrance a proposito della questione della spartizione dei pezzi migliori di un vitello alla corte ducale: data, la prima parte al duca, la seconda per tradizione spettava al sommo pontefice della chiesa di Masinga, ma Leodegrance, quasi a voler stabilire una volta per tutte la questione dell'eredità, la pretese, dicendo che dopo il duca attuale era  da servire il duca futuro. L'attacco non era certo rivolto al sommo pontefice, ma era stato lui ad essere umiliato: e fu un altro alleato per Lesky.

Così quando Lesky andò a dire al padre, malato mortalmente, che il fratello maggiore si comportava già da duca di fatto, e che stava prendendo accordi con l’odiato Gottomar II (duca di Dol-Amrahîl) per sposarne la figlia e per riavere Castletown in quel modo, nel morente Logres si rinfocolò l’odio antico per il ducato rivale, e in ultimo gesto di dispetto ordinò che Leodegrance fosse esiliato, consigliato in ciò dai cavalieri e dalla chiesa di Masinga.

Così Lesky fu fatto duca, e subito iniziò i preparativi per la guerra.

Ma fu in ciò rallentato dalla faccenda dell’eresia di Koji Kabuto e soprattutto da una impresa che attirò cavalieri da ogni dove: la caccia al cinghiale di Nunn.

In realtà non si trattava proprio di un cinghiale, ma all’inizio parve proprio essere tale: si trattava (a quanto diceva il bando inviato dal legato imperiale di Nunn) di un’enorme fiera alta un paio di metri dall’aspetto simile a un bufalo, con la testa di cinghiale; la bestia devastava i campi di Nunn da sei mesi circa, e pare avesse la capacita di uccidere un uomo con il solo sguardo. I locali la avevano chiamata “Catoblepas”, ed il legato invitava i maggiori signori del tempo a radunare i propri cavalieri e a conquistarsi gloria imperitura contro un mostro che solo il malefico Altopiano dei Mostri poteva aver generato.

Frenetici furono gli scambi epistolari tra il legato e i vari signori per stipulare una tregua che permettesse la caccia. Ma solo dopo che una prima caccia fu fatta da avventurieri isolati di tutti i ducati (caccia risoltasi in un massacro), solo allora con la mediazione imperiale si raggiunse la tregua e si organizzò la caccia in grande stile. Ogni signore si portò dietro 10 guerrieri, maghi o chierici più potenti del suo possedimento, ma anche altri avventurieri isolati giunsero; giunsero addirittura alcuni nobili Hasworth, e non mancò neppure la delegazione i Ortigia; l’imperatore Chas mandò addirittura l’erede al trono.

Dall’epoca di Artaios non si erano visti tanti nobili cavalieri radunati in un solo logo, e proprio il volere degli altri cacciatori avrebbe dato fama immortale a chi avesse ucciso l’animale.

La caccia iniziò, ma fu subito caratterizzata da una serie di lutti: la compagnia degli Hasworth si trovò assalita di sorpresa dal mostro che li fece a pezzi con una serie di cariche micidiali; l’erede dei Chas giunto in soccorso incrociò lo sguardo del mostro e stramazzò a terra morto: solo il più potente dei chierici del suo seguito poté resuscitarlo, e da allora si dice che il giovane non avesse mai più potuto dormire tranquillo la notte.

Il secondo giorno si scoprì che nella notte il cinghiale aveva devastato un piccolo villaggio e a sfregio aveva portato i cadaveri straziati  davanti alle porte della città: un sacro furore prese i cacciatori che si mossero in gruppi molto numerosi, convinti che il mostro fosse intelligente e ormai volesse lo scontro diretto per affermare la propria superiorità. E così era.

Incrociò il plotone dei cacciatori di Cal e di Laudunn e li affrontò carica dopo carica, subendo grandissime ferite, ma attaccando senza tregua. Alla fine il catoblepas se ne andò, lasciando una grossa scia di sangue, ma tutto il gruppo dio cacciatori era morto e fatto a pezzi, o con lesioni così gravi che gli impedirono di proseguire la caccia.

Alla sera di quel giorno al palazzo del legato imperiale si presentò armato di tutto punto Leodegrance, che dopo esser stato esiliato si era dato da fare come cacciatore di mostri ai confini dell’Hansa di Bergkell, raggiungendo grande fama.

Grande fu l’ira di Lesky, che quel giorno aveva visto da lontano il mostro senza poterlo raggiungere, nel vedere il fratello: egli infatti era convinto di poter prendere il mostro, e la presenza del fratello pareva solo aggiungere non solo un rivale in più da superare, ma soprattutto un rivale abile e per di più l’unico dal quale non avrebbe mai accettato di essere superato.

Roso dalla gelosia il duca fece sabotare dai suoi servi le armi di Leodegrance e così il giorno dopo, quando il mostro caricò, il principe esiliato si trovò in mano un arco inutile. Leodegrance fu ferito assai gravemente dalla carica del cinghiale, ma Lesky non poté gioire: lui fu la vittima successiva, ed ebbe la sventura non solo di essere colpito a morte, ma anche che il suo cadavere si impigliasse sulla schiena del Catoblepas finì trascinato chissà dove, senza potere essere ritrovato e senza poter essere resuscitato dai suoi chierici. Da allora quando in una impresa contro un mostro un partecipante scompare e non viene ritrovato, si dice che “è divenuto il mantello del Catoblepas”.

A questo punto tutti temevano che il cinghiale fosse una sorta di punizione celeste giunta a sterminare tutti i nobili e a lasciare l’impero indifeso contro i barbari; e già si parlava di abbandonare Nunn a sé stessa e di tornare alle proprie case finché si era in tempo.

Uno solo si oppose: un elfo venuto dal Sud, solitario e sconosciuto che diceva di chiamarsi Viator, il quale disse che egli il giorno dopo sarebbe stato in grado di uccidere il mostro, se qualcun  altro lo avesse aiutato. Tutti erano scettici, ma il cavaliere Riccardo Belliotte di Rhovanion accettò di unirsi all’elfo.

La mattina, prima dell’alba, i due si levarono ed iniziarono ad andare nel bosco presso Nunn. L’elfo procedeva sicuro, e disse al compagno che diversamente dagli altri cacciatori che volevano farsi belli con scontri diretti e all’ultimo sangue, lui voleva solo stanare e uccidere il mostro e nei giorni precedenti aveva usato la testa: invece di percorrere i  boschi a cercare l’incontro casuale col mostro per ucciderlo, egli lo aveva seguito per scoprire la sua tana, dove si abbeverasse, come attaccasse. E proprio verso la tana e lo stagno dove il Catoblepas si abbeverava all’alba, stavano andando.

Quando giunsero l’elfo disse a Belliotte di piazzarsi in un punto dietro un cespuglio, in modo che se la fiera avesse voluto caricare dalla sua tana sarebbe dovuto passare sotto un albero su cui si appostò l'elfo. Viator disse inoltre a Belliotte di provocare la bestia perché caricasse, ma di non guardare mai il cinghiale negli occhi, o sarebbe di certo morto.

Belliotte ubbidì, e appena il Catoblepas uscì dalla sua tana, iniziò a insultarlo e a richiamarlo con grandi grida: il mostro lo caricò, ma passando sotto l’albero fu colpito da una scarica di fulmini provocati dall’elfo, e poi lo stesso Viator gli saltò in groppa, ancorandosi saldamente con una imbracatura che era fissata con grandi uncini da macellaio alla pelle della fiera: Belliotte vide che la fiera si dimenava per togliersi il nemico di dosso, ma l’elfo resisteva e anzi lo colpiva a più non posso con la sua spada; il mostro provava a replicare con la coda, che era duro osso affilato, ma Viator aveva lo scudo sulle spalle e resisteva;  il mostro cercava di guardarlo con il suo sguardo mortale, ma non  sollevava abbastanza (o forse non poteva sollevarlo) il capo fino a quel punto, per fissarlo. Vistosi in difficoltà, il mostro iniziò a correre nella foresta più fitta, cercando di scrollarsi  di dosso l’avversario con l’aiuto di rami bassi e arbusti, ma fu inutile: sprezzante delle ferite che subiva, Viator continuava a colpire senza pietà il mostro, mentre Belliotte li inseguiva a cavallo e non poteva aiutare il semiumano poiché cercando di colpire il Catoblepas rischiava di colpire anche lui.

La folle corsa durò per alcune ore, finché il mostro inciampò in una buca e forse esausto, stramazzò: sta di fatto che questo movimento improvviso fece sciogliere (a prezzo di orribili squarci fatti all’animale dai ganci che ancora la fissavano) l’imbracatura dell’elfo, che fu proiettato sul terreno semisvenuto, perdendo in quel volo la spada: il mostro, pur se con una gamba completamente rotta, che pendeva di lato sanguinolenta ed inerte, si rialzò, guardò con odio Viator e, lentamente ma inesorabilmente, con enormi gemiti e sbuffi di rabbia e dolore, si avvicinò all’elfo per ucciderlo.

Allora però Belliotte si precipitò davanti all’elfo e lo difese con le sue armi e il suo corpo: Viator si riprese, si alzò, Belliotte gli lanciò la sua spada di riserva, si girò e cadde fu fulminato dallo sguardo del mostro, con un urlo di rabbia Viator calò un terribile fendente che tagliò di netto la testa del Catoblepas, uccidendolo finalmente.

La sera a Nunn ci fu festa, ma l’elfo, una volta data la testa ai compagni di Belliotte perché la dessero alla sua famiglia e raccontato tutto l’avvenuto, scomparve e di lui nessuno ha più udito parlare.

Chi lo vide, però, disse che nei suoi occhi c’era un fuoco di pace non trovata o di chi va cercando l’immortalità.