TARCHETIUS |
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Tarchetius,
il figlio di Yovan, era il più forte ed abile guerriero degli uomini al
momento della guerra contro i Signori del Nord. Prima
della guerra egli era solito andare per i boschi del Nord a caccia di
lupi, orsi ed altri mostri creati dai Signori (allora ancora scomodi e
potenti vicini degli uomini, ma non ancora nemici) e li affrontava a
mani nude. Si diceva che alla sua nascita il padre lo avesse gettato
sulla neve appena caduta in offerta agli dei perché mandassero il bel
tempo, ma che appena il neonato fu a contatto con il freddo, si rizzò
in piedi da solo,
afferrò un lupo che si avvicinava per sbranarlo e lo uccise con
un pugno, bevendo il suo sangue caldo e riparandosi col suo corpo. Stupito
da questo prodigio che egli stesso vedeva, Yovan riprese il figlio, lo
allevò con latte mescolato a sangue di lupo nero, e invece che balocchi
gli diede un’ascia e dei tronchi. Così Tarchetius crebbe tagliando
legna, finché a tre anni iniziò ad abbattere alberi: tanta era però
la sua potenza che in breve tempo la foresta di abeti stava per essere
completamente abbattuta; allora le creature della foresta si recarono
dal giovane umano e lo pregarono di cessare la strage. Egli
replicò loro: “Perche dovrei? Potete forse impedirmelo?” Allora un
saggio gufo, ché tutti gli
altri animali ricerdavano l’episodio del lupo e sapevano quanto
fosse cresciuta la forza del giovane da allora, disse: “Nessuno può
impedirtelo, se non te stesso, o uomo forte. Ma io sono certo che dentro
te stesso troverai che tu sai cosa sia giusto e cosa no”. Tarchetius
parve turbato da questa frase e disse: “Ma se io penso che una cosa
sia giusta e invece non lo é? Cosa è la giustizia? Forse una
persona?” Il
gufo disse: “Noi animali sappiamo istintivamente quale é la
giustizia, ma non la sappiamo insegnare. Voi umani la dovete cercare. Ma
forse gli elfi potranno dirti di più: noi la giustizia la sentiamo, voi
la dovete sentir dire”. Così
Tarchetius, che a tre anni era alto più di sette spanne, lasciò la
casa e i genitori e partì alla ricerca degli elfi. Giunse
alle sponde del grande Mare Interno di Tmyeäg, l’Utero degli Elfi, e
si accinse a passare sull’isola; ma non aveva barca, e perciò chiese
un passaggio a un Roc che volava là sopra; il Roc però chiese:
“Giovane umano, se tu vuoi da me un passaggio fino all’isola, dovrai
un giorno compiere per me un servigio, e lo dovrai compiere, dovessi
chiederti di contare i granelli di sabba di questa spiaggia, o di
svuotare l?oceano Cerchiante”. Tarchetius
rise e giurò. Il
giovane umano giunse così sull’isola dove si svegliarono i primi elfi
e non passò molto tempo che incontrasse un gruppo di Aimvaitai, i quali
già avevano visto con i propri acuti occhi venire un umano portata da
un uccello. Essi lo accolsero come amico, e quando egli chiese loro di
indicargli cosa fosse giusto e cosa non lo fosse, essi accettarono di
spiegarglielo, in cambio della narrazione di cosa ci fosse oltre le
acque dell’Utero degli Elfi. Così, per quattro lunghi anni
gli anziani elfi narrarono al giovane umano tutto ciò che era
giusto, e lui parlò delle foreste del Nord, dello steppa e delle grandi
pianure, e degli Oscuri signori dei Nord e del loro araldo Hortlek: in
molti elfi vi fu il desiderio di partire, e fu così che iniziarono le
migrazioni degli Aimvaitai. Quando
l’ultimo degli anziani elfi che era stato il suo maestro disse che più
nulla aveva da
insegnare, allora in Tarchetius vi fu nostalgia dei boschi dei
Nord, della sua casa e della sua gente. Partì dunque su un battello
costruito da lui (egli fu il primo uomo a navigare) e mentre si
allontanava dalle coste dell’isola del mare interno, sentì gridare il
suo ultimo maestro: “Ricorda sempre ciò che ti dissi, o mio
discepolo: nella legge sta la giustizia! Nella legge che gli dei e la
natura vollero!” Sbarcato,
Tarchetius andò verso Nord, verso la sua gente. Mentre camminava, udì
delle grida e curioso si avvicinò: vide alcuni giganti che combattevano
contro un loro simile, e mentre si avvicinava vide che quello solo era
stato sopraffatto dagli altri; si avvicinò ancora e vide che i
vincitori si preparavano ad uccidere lo sconfitto. Preso dalla curiosità
(e un po’ dall’ira per la sproporzione delle forze prima
combattenti, e dalla pietà verso lo sconfitto, ricordando le parole di
un maestro elfico: “Uccidere un proprio simile è la cosa più lontana
dal giusto che esista”) lanciò un grido ai giganti e a gesti chiese
loro cosa facessero; essi risposero: “Applichiamo la giustizia!”
Turbato da questa prima risposta disse Tarchetius: “Ma voi uccidete un
vostre simile! Ciò non è giusto!” Piuttosto
seccati, sempre a gesti un gigante replicò: “Egli ha ucciso tre
greggi di armenti di proprietà di altri giganti. La legge dice che chi
fa ciò deve essere ucciso”. Tarchetius
disse: “Tu menti! Io so tutta la legge, e tale pena non è prevista!
Come dice il mio maestro Glorfindel: ‘Chi uccida il bestiame o
distrugga la capanna di un altro elfo, sia costretto a rifondere il
danneggiato; se non lo faccia, gli sia tolto dagli anziani’. Così
dice la legge!”. Il
Gigante rise fragorosamente e disse: “Ma tu parli della legge degli
elfi a noi giganti? Noi siamo molto più forti degli elfi, e molto più
saggi! Le loro leggi sono stupide e non servono a nulla!” Tarchetius
voleva attaccarli per l’ira, poi pensò e disse: “Perché parlate di
leggi degli elfi e di leggi dei giganti? Gli dei e la natura diedero una
sola ed unica legge, poiché la legge é giusta e la Giustizia non può
essere diversa per elfi, uomini o giganti!” Il
gigante si spazientì e replicò: “Ora basta! Mi hai seccato! Tutti
sanno che sono gli elfi a fare la Giustizia degli elfi, non dei o
natura! Quindi lascia che i giganti abbiano la loro legge, fatta da
loro.
E se tu tornerai dai tuoi simili su al Nord, ti renderai conto di
quanto la legge degli uomini sia più simile a quella dei giganti che a
quella degli elfi!” E subito prese lo sua clava e diede il colpo di
grazia al gigante catturato. Turbato
da ciò Tarchetius tornò indietro dagli elfi e, rivoltosi al maestro,
chiese come potesse essere successo che i giganti avessero una legge
diversa da quella universale. Il
maestro spiegò allora: “Figliolo, la legge che seguono gli elfi è
stata data loro dallo Natura e
da dei che conoscete anche voi umani. Per noi e l’unica vera
legge, ed è giusta in ogni sua parte. Per noi questa è la vera
Giustizia. Se qualcun altro dice di avere la Giustizia nella sua legge,
egli è libero di crederlo,
ma per un elfo egli sbaglia!”. Tarchetius
ripartì, ma il dubbio era ancora grande in l. Incontrò un gruppo di
elfi Eiscìrosai, coloro che seguirono il verde cavaliere ma che per una
circostanza o per l’altra non videro mai Eidein. Tarchetius si
trattenne con loro e palesò il proprio dubbio al capo del clan. Egli
disse: “Caro uomo, tu vuoi ciò che nessuno può darti: la Verità
assoluta, che si manifesta tramite la legge che é emanazione del
Giusto. Ma a tutti noi mortali (o forse anche per gli Immertali) tutto
ciò è precluso. Dell’assoluto noi possiamo solo cogliere delle
briciole che per noi esseri limitati sono però sufficienti a dare la
sazietà e ad
illuderci di avere ciò che gli altri non potranno mai avere. Il
vecchio che ti ha istruito non ti ha mentito: egli ritiene davvero che
la legge dei suoi elfi sia davvero la vera legge, ma pur non mentendo
egli non dice il vero. Ad esempio noi partimmo dietro il Verde
Cavaliere, perché ritenevamo che fosse giusto seguire l’inviato della
Natura, mentre essi ritennero che non seguire il suo ordine fosse una
bazzecola: vedi che pure tra gli elfi vi é discordanza su fatti
fondamentali?”. Tarchetius
rifletté molto su quanto udito e poi replicò: “Allora nessuno ha la
vera Giustizia? Uomini, elfi e mostri hanno solo una loro giustizia
personale? Davvero é impossibile sapere DAVVERO ciò che é Giusto?” L’elfo
scosse il capo e poi disse: “Purtroppo é così, giovane uomo, e tu lo
devi accettare: la tolleranza è il metro che più si avvicina alla vera
Giustizia. Ma se tu vuoi davvero l’Assoluto, esiste una persona che può
dartelo, ma io non so se esista veramente o solo nella fantasia e nella
speranza degli esseri senzienti” Tarchetius
gridò: “Ti prego, nobile elfo, dai un senso o almeno una speranza
alla mia vita! Dimmi chi
sia tale essere e dove lo possa trovare!” L’elfo
disse che si trattava della leggendaria “Madre del Lontano
Occidente”, creatura mezzo donna e mezzo fiera, che viveva in un monte
situato oltre i confini della terra, all’estremo occidente, ma che
manifestava il suo pensiero e i suoi consigli anche lontano dalle
steppe, oltre la grande foresta, su monti che difendevano le terre più
a oriente dalle grosse nuvole provenienti dai mari dove il sole dormiva;
là si trovava un suo oracolo, sotto forma di roccia che la notte
prendeva forma di donna e durante il giorno piangeva tanto da
consumarsi, per poi ritornare integra la notte dopo. Ringraziando
l’elfo Tarchetius si mise subito in marcia. Dopo tempo giunse su
quelli che i suoi discendenti fuggitivi avrebbero chiamato Monti Scudo,
nella speranza che essi li avrebbero protetti da Hortlek che li
inseguiva. Là scalò un passo e si trovò di fronte alla roccia
descrittagli dall’elfo, e ad essa rivolse la parola. La
statua però tacque, e Tarchetius disse: “Forse quando verrà la notte
e sarà integra, forse allora esaudirà il mio desiderio e mi udirà”. La
notte venne e Tarchetius vide la statua di nuovo integra: rivolse dunque
ancora la sua domanda, ma ancora una volta non ebbe risposta. Irato pensò
di distruggere la statua, poi si disse: “Che altro farei? Distruggo
qualcosa che non può rispondermi, e allora non è colpa sua, ma se mi
può rispondere, distruggendola, cosa otterrei? Una vendetta che in ogni
caso non mi darà nulla!” E
poggiò il maglio cui stava per sferrare il primo colpo. Subito
una voce parve provenire dal suo interno e dalla statua e da ogni parte,
e Tarchetius capì trattarsi della Madre dei Lontano Occidente; essa
diceva: “Hai ben scelto, figlio mio! Tu non sapevi ancora, ma il tuo
apprendistato é iniziato!” Per
quindici lunghi anni Tarchetius stette sui Monti Scudo, ad udire gli
insegnamenti della Madre, e lui solo tra tutti gli uomini passati,
presenti e futuri, seppe ciò che era bene e ciò che era male SEMPRE,
grazie agli insegnamenti della voce; e quando finalmente
l’apprendistato si concluse, allora la Madre lo istruì su come
scegliere alcuni umani e farne DRUIDI, coloro che vivono tra bene e
male, ma non sono influenzati né dall’uno né dall’altro. Terminato
anche quest’ultimo apprendimento, Tarchetius fu congedato dalla Madre,
che gli predisse gloria imperitura, ma giovane morte, se avesse violato
un suo giuramento, e disse le minacce che gravavano sul suo clan e la
necessità di trovare un luogo dove sorgesse una città che sarebbe
stata la dominatrice del mondo; egli avrebbe trovato un luogo dove aria
e terra si fossero combattute, e tutti e tre i regni della natura si
toccassero. Tarchetius
vagò a lungo per le terre ai di là dei Monti Scudo, sterminando mostri
che venivano creati dal terribile Altopiano dei Mostri, stringendo
alleanze con elfi vaganti, e iniziando a conoscere
i potenti Signori del Nord che avevano esteso il loro potere fin
là e che iniziavano a sottomettere gli umani là donde Tarchetius
veniva. Finalmente
nel suo peregrinare vide un’aquila venire dalla sua destra e disse:
“Il padre della luce e del giorno mi manda un presagio favorevole:
chissà che la mia
ricerca sia alla fine!” E
prese a seguire l’aquila; quando la vide calare su un serpente
avvinghiato ad un arbusto che cresceva tra le rocce, capì che la sua
ricerca era termimata: l’aquila era l’aria, il serpente era la
terra, e lì erano riuniti animali, vegetali e minerali! Allora
Tarchetius ringraziò il Padre degli Dei, sradicò un enorme masso
granitico e con la sola forza dei suoi pugni modellò una gigantesca
statua alta più di sette metri che rappresentava ciò che aveva visto;
in quei luoghi i suoi discendenti avrebbero fondato Camun la potente. Poi
riprese la sua marcia verso est, e dopo molti scontri con nemici
inviatigli contro dai Signori dei Nord, ritornò nei siti dei clan degli
umani. Morti
erano ormai i Padri più antichi, e lo stesse Yovan era ormai debole e
vecchio: senza un valido capo gli uomini si erano sottomessi agli oscuri
Signori dei Nord, tra cui ormai predominava il crudele Hortlek, colui
che gli uomini col tempo avrebbero imparato a conoscere come Shamael. Ma
l’arrivo di Tarchetius ridonò coraggio: egli era potente e forte e
nessuno dei servi dell’Hortlek poteva resistergli; si dice che una
notte lo stesso Shamael lo assalì a tradimento, ma Tarchetius lo mise
in fuga con uno dei suoi tremendi pugni, ma forse questa è solo diceria
nella leggenda. Certo
era che Tarchetius era la più grande minaccia al dominio dei demoni e
di Shamaei, e l’Oscuro iniziò a pensare solo a come eliminare il
figlio di Yovan. Quando poi si seppe che Tarchetius aveva generato il
figlio suo Vofionus, la paura colse Shamael: vista la precocità di
Tarchetius, era possibile che anche il figlio in pochi anni fosse in
grado di prendere le armi, e allora la fine del regno di Hortlek sarebbe
stata prossima. Più
volte i servi del malvagio tentarono di rapire il piccolo Vofionus, ma
sempre fallirono, e il padre alfine lo fece condurre lontano, tra gli
elfi suoi amici che stavano sull’Isola dell’Utero degli Elfi, perché
una volta al sicuro, fosse educato come lo era stato lui. Gli
umani ormai erano in piena rivolta, e Shamael, chiuso nel suo palazzo di
ghiaccio temeva. Ma ancora una volta si rivelò che l’esempio di Usoüs
dava frutti sempre freschi tra i discendenti di Epher: un uomo, il cui
nome non é riportato nelle antiche leggende (si preferisce chiamarlo
sempre “il traditore” o “colui che rovinò gli uomini”) riferì
al malvagio tutta la storia di Tarchetius, e come si poteva fare per
toglierlo di mezzo: il maligno rise e sguinzagliò i suoi demoni. Dopo
due mesi, quando ormai tutto era pronto tra gli umani per la grande
rivolta, giunse all’accampamento di Tarchetius un Roc, lo stesso che
tanti anni prima lo aveva trasportato sull’isola dell’Utero degli
Elfi, e gli chiese di mantenere fede al suo giuramento: doveva svuotare
per lui tutto l’Oceano Cerchiante, e se fosse rimasta una sola goccia,
Tarchetius sarebbe stato spergiuro! Tarchetius
esitò, colpito dalla richiesta fatta proprio allora, e
dall’insistenza del Roc perché ciò fosse fatto entro sei mesi da
quel momento: certo l’eroe non sapeva che l’uovo generato da quel
Roc era state rubato dai servi di Shamael, che ben sapeva che per il
proprio uovo i Roc sono disposti a tutto, e con esso il malvagio Hortlek
ricattava il Roc, costringendolo a fare ciò che doveva allontanare
Tarchetius e la minaccia da lui rappresentata. Ma
il Roc nulla diceva sui motivi della richiesta, e i suoi intenti erano
buoni, poiché nulla sapeva il Roc di rivolte e di domini, e nessun
danno riteneva sarebbe venuto a Torchetius dall’impresa, ma anzi
maggior gloria! Così
Tarchetius, colui che sapeva distinguere il Bene ed il Male, nulla di
male vide in lui, e seppur disperato per il disonore di abbandonare i
compagni nella lotta, fu costretto ad accettare, implorando i compagni
di differire la lotta: essi, che senza di lui non avevano alcuna
speranza di salvezza, tristi e sfiduciati dissero che lo avrebbero
atteso. Tarchetius
si recò allora sulle sponde dell’Oceano Cerchiante, e con la sua
immensa forza e l’aiuto soltanto di una pala, iniziò a cacciare
lontano in cielo l’acqua dell’Oceano e la lanciò tanto lontano che
le gocce formano ciò che gli uomini chiamano Via Lattea. Dopo
due mesi di o lavoro in tale modo, venne da lui una delegazione di pesci
dei mare e di uomini albero: tutta quell’acqua tolta alla terra già
faceva sentire il suo effetto, e i primi deserti stavano nascendo;
smettesse dunque Tarchetius quella immane opera che tanto dannosa era. E
lui, che conosceva il Bene ed il Male, rinunciò, divenendo così lo
spergiuro che Hortlek voleva. Tornato
dai suoi, Tarchetius vide che in sua assenza il giogo del maligno si era
appesantito vieppiù, e che proprio per questo la disperata rivolta era
stata tentata in ogni caso: ma la Prima Guerra contro i Signori del Nord
si era conclusa con un gigantesco eccidio di umani e alleati, tale che
si era fatto un colle alto più di 500 metri largo il quadruplo con i
loro cadaveri. Allora
Tarchetius prese le sue armi, salutò la moglie, ordinò ai
sopravvissuti del suo clan di fuggire verso l’Utero degli Elfi, di
recuperare Vofionus e sotto lo sua guida di raggiungere il luogo
predestinato per la nascita di Camum: lui avrebbe coperto la ritirata. Quando
tutti furono partiti, allora Tarchetius uscì, terribile per i nemici,
forse il guerriero più grande mai visto in tutte le ere dell’uomo, e
con il suo solo apparire mise in fuga tutti i demoni al servizio del
malvagio. Giunse
così al palazzo di ghiaccio di Shamael e a gran voce lo sfidò,
chiamandolo malvagio e codardo e fellone e tiranno. Ma mentre egli
gridava, subdolo il malvagio, l’Oscuro Nemico, gli balzò alle spalle
e lo trafisse con la sua nera spada in mezzo alle scapole. Urlante
per il dolore,
l’eroe umano si voltò e colpì con un fendente Shamael,
spezzando i tendini ed i muscoli del suo braccio destro: li riparò
l’Oscuro Nemico, ma il suo braccio non fu più lo stesso, e
se gli eroi che lo inseguirono sul Passo Sûk tempo dopo poterono
batterlo, ciò fu merito della spada di Tarchetius. Ferito
Hortiek si ritirò, ma scatenò con i suoi ordini tutti i suoi servi
centro l’eroe morente. Ma seppur morente, Tarchetius non era ancor
morto: grande fu la strage che egli fece, e di orchi, e di draghi servi
del malvagio, e di tante creature infernali, tanta e tale da creare un
tumulo più grande e più alto di quello fatto da tutti i servi del
maligno con i cadaveri dei suoi amici; Tarchetius morì in cima a quel
suo monumento, solo dopo che l’ultimo nemico cadde e che Shamael
terrorizzato palesò la propria sconfitta, facendo chiudere in fretta e
furia e sbarrare le porte del palazzo davanti a un nemico agonizzante. |