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Di Luigi Caruso

"Il pianto dei Bruzi"

Tu, stanca e desolata,

Avvinta e senza speme,

Volgi indarno o Cosenza,

La tua ira al barbaro nume.

Tu pianger devi e la ferita geme!

Ove sono i tuoi Bruzi e il tuo Fiume?!

A perir inerme ti appresti

E l’iniquo tuo fato

Chinar ti fa dinanzi al goto re.

O infocata terra, statuaria dea di bruzia gloria,

Sappi morire e memoria ai tuoi posteri

Qual furo le tue piaghe e la tua storia.

Barbara ferocia, coverta di gelide acque

Nell’ignoto loco del torbido Busento,

Il tuo ardire piegò. Poi tutto acque!

E tu Fiume, avido d’oblio, dimmi:

Ove giace il gran re?

Ma tu taci e continui mesto

A seguitar l’eterno corso delle notti.

Maestosa, sublime ti posavi sulla cima,

Miraggio eterno dell’avìto spirto,

Delle genti italiche tu fosti prima.

 

Ricordo di Cosenza

Tra l’acrocoro della Sila,

la cordiglier Paolana,

ed il lontano, vetusto Pollino,

si posa la roccaforte dei Bruzi.

Quando, nelle cadenti notti plenilunari,

dall’altura del Pancrazio la scorgiamo

circondata dagli adamantini declivi,

la fantasia si unisce con lo sguardo

quasi a contemplare il profondo alone

che la ricopre.

Ed essa là giace…tra le scogliere dei ricordi.