SPROLOQUI

DI DARIO...

Carmelo Bene (aprile 2002)

asini e lavagne (marzo 2002)

Italia terra di maghi piazzisti e ciarlatani (febbraio 2002)

La scimmia va in tv (gennaio 2002)

Introduzione

CARMELO BENE ( In morte del fratello Carmelo)

Se n’è andato nel blu cobalto della notte il condannato, fuori dalla tomba marcia della democrazia.

Chiedeva di essere dimenticato nel tempo dell’oblio, per riservarsi l’eternità nell’umanità morta.Voleva non essere scempiato dai vivi, da quelli che in questi tempi hanno rimpiazzato l’organico con i pixel. Piscio e merda, odori,  il concime per i fiorellini di campo e le farfalle gli fanno compagnia

:A lui va bene così. Eterno senza nascere.

Puzzare di umanità nell’universo grigio dell’inarticolato e della plastica. Augurandosi magari che la sua carogna nausei i palati fini del teatro caramellato, o che sia celebrata da file di studenti di sinistra, convinti di capire con l’estro la vita d’un uomo, pronti a scatenare passioni necrofile. Lui, l’ultimo degli attori, l’ultimo degli aristocratici contro il barbaro e degenerato teatro italico.Quelli che lo lodano, tronfi di barbe lunghe e pose da filosofi, si tapperanno il naso edulcorandone la presenza. Lui riderà , libero come l’etere. Poveri studenti: non troverete corpi(il corpo) con i quali copulare. La tomba del maestro è vuota. Noi siamo condannati a restare. Soli su questa terra. Lui nell’altrove avrà migliore compagnia della nostra.Era il teatro, ghigno feroce e umanità sofferta; quinte dipinte, stracci, tele, assi. Un luogo aperto e pieno di energie. Ora è un catafalco.Nel blu cobalto della notte il teatro italiano ha perso il suo ultimo figlio e ora può chiudere i rugginosi battenti. Lui se n’era già andato anni fa, non aveva voluto assistere all’opera di demolizione operata dal carrozzone statale registico; s’è portato con sé l’ultimo frammento di una stella che ha smesso di luccicare. Dimenticatelo; fuori dalla scena è solo un’ombra. Dimenticatelo. Lui l ’ha già fatto!

ASINI E LAVAGNE

Che ci stiano loro dietro la lavagna della storia! Che la smettano di segnare i buoni e i cattivi.

Da troppo tempo gli artisti sono giudicati per le casacche che spesso virtualmente indossano, piuttosto che per il portato delle loro opere; discriminati ingiustamente dalle logiche della politica, che fa dir loro cose mai pensate, prendendone a prestito ideali e pensieri.  Il Novecento, secolo ideologico e gravido di accadimenti, ha trasformato gli intellettuali in garzoni di bottega dei politicanti, sottoponendoli agli strali delle fazioni avverse, ancor più che nei secoli precedenti. L’artista, il pensatore, dalla luce dei tempi umani sono sempre stati guardati con sospetto dal potere, incensati o buttati nel concio, condividendo le fortune e le disgrazie dei potenti che servivano. Tali pressioni e censure, l’intellettuale le ha sempre subite; semmai cambiano i persecutori. Nel rinascimento, gente di valore come il Bembo, l’Ariosto e quant’altri, erano costretti a decantare le lodi dei propri ingombranti protettori. E’ nell’epoca nostra però che si è rinverdito, dopo transitori tempi di fierezza democratica fallace, il culto della politicizzazione dell’arte. Negli anni cinquanta si parlava di intellettuale organico a proposito degli artisti e pensatori di derivazione marxista e si definivano cani sciolti coloro ai quali non si poteva attribuire un’appartenenza politica certa.  Non voglio unirmi al coro dei politici da trivio sulla faziosità degli artisti, sul loro schierarsi con questo o con l’altro.  Un artista, un pittore, un attore qualsivoglia, non sono che interpreti della realtà, liberi creatori, molto spesso alle prese con una genialità che gli schiaccia e che umanamente comprendono poco, forse perché per metà non loro, ma  di natura divina, dunque difficilmente inclini a cercare altri gravami. La sofferenza del ‘dono’ non può contemplarne altre.

 Pertanto, i politici o chi per loro, dovrebbero evitare di passare a “quarantena” molti nomi illustri o ricercare in epoche storiche passate una conferma delle loro ragioni ideologiche. Sottoporre ad esame uno scrittore od un  filosofo morto, estinto da secoli, al fine di rintracciare nel suo pensiero le proprie idee è ancora lontanamente possibile, ma farne oggetto di distinguo ideologico, si rivela una sciocchezza aberrante.  E poi a chi giova? Dante è di destra o di sinistra? Ricordo come, anni or sono, mi fu proposto da un’ organizzazione cattolica oltranzista – Comunione e Liberazione, per la precisione – di scrivere un articolo strumentale, dove avrei dovuto decantare il Medioevo e disprezzare l’odiato Rinascimento, poiché quest’ultimo ritenuto patrimonio del pensiero comunista. Tali assurdità si commentano da sole. Secondo voi, Lorenzo il magnifico era un temibile comunista e Giordano Bruno, Ariosto, sedicenti marxisti? Ma andiamo! Certi cascami ideologici andrebbero lasciati alle spalle, quantomeno quando personalità insigni della cultura e dell’arte vengono usati come bandierine da agitare al vento, o da bruciare in piazza. E’ sempre avvenuto, però almeno lasciate stare in pace i morti. Celine, Buzzati, Pavese, Hemingway, Fenoglio, Sciascia, Malaparte, resteranno sempre dei grandi scrittori; allo stesso modo Dalì, Boccioni, Carrà, De Chirico degli ottimi pittori. Nessuno si permetta più di frugare nelle loro idee politiche, ancorché se manifeste, poiché la loro minore o maggiore grandezza non dipende da aspetti così transitori, ma dalla capacità di usare il ‘dono’ ricevuto. Un dono, quello dell’artista e del filosofo, che non abbisogna del beneplacito umano, perché  si ricollega al mistero dell’eterno. Giù le mani dagli artisti! Il vero artista va apprezzato per quello che è e per quello che produce. Si rispetti di più la sua urna cineraria di quella di cartone nella quale si elegge un uomo, poiché solo in quella può esserci qualcosa più prezioso della cenere del voto, della carta straccia. Solo nella sua urna si distilla il frutto ultimo della sua genialità. “Vi bruci il fuoco dell’arte piuttosto che quello dell’ideologia!” dovrebbe essere la massima da tenere a mente per ogni artista che si rispetti. Il gioco dei buoni e dei cattivi, che in Italia viene fatto, danneggia le ragioni dell’arte, offende, portando le moltitudini a giudicare secondo preconcetti ideologici le opere degli artisti, senza nemmeno badare alla realtà dell’opera.   Pertanto dinnanzi alla nuova divisione manichea operata dai politici tra buoni artisti e artisti cattivi, l’uomo libero dovrà ribellarsi e dietro la lavagna metterci quei politicanti, figli dell’ideologia, che pretendono – come se discutessero il sesso degli angeli – di dividere il mondo tra artisti e impostori, secondo criteri di giudizio iniqui e arbitrari. Gli stessi potranno tuttavia mettersi a dibattere se, per esempio, quel tale filosofo sia di destra, di sinistra o di centro, ma dovranno farlo dietro la lavagna, indossando magari delle imparziali ed eque orecchie d’asino.

  Italia terra di maghi piazzisti e ciarlatani.

In ogni tempo e luogo, gli artisti, gli scrittori, gli uomini di lettere di reale e autentico valore, hanno sempre fotografato, narrato, la realtà intima del proprio paese cogliendone il senso profondo. Così mi appresto a far io nello sviscerare l'esprit, l'animo del mio. L'Italia è da sempre fucina di ciarlatani,dottor ballanzoni, terra di accademici e falsari, paradiso di furbi e ingannatori, di viscidi e invidiosi. Basti pensare al romanzo che meglio(?) ci rappresenta: "i promessi sposi". Uno di questi imbonitori ciarlatani è perfino stato eletto democraticamente al governo della nazione. D'altronde che può fare l'uomo dinnanzi all'imperscrutabilità del suo destino? Semplice: vivere e basta! Poiché le cose non cadono dall'alto e trascinarsi via dalla logica della virtù contro fortuna di rinascimentale memoria, porta ipso facto a cadere nelle braccia di ottenebratori di coscienze, di espropriatori di animo. Quindi, davanti al dato reale, che evidenzia come la vita in parte ce la costruiamo ed in parte "accade", tutti noi avvertiamo inconsciamente un senso profondo di debolezza. Perciò quando le cose vano male in maniera cronica è facile attaccarsi a tutto; proprio da queste umane debolezze traggono linfa vitale eserciti di maghi e guaritori, che sguazzano nell'humus fertile della credulità popolare, per coltivare fortune sottratte, è il caso di dirlo, a sfortunati malcapitati. Cosa è il denaro nella società orribile e plutocratica tanto esaltata dal nuovo totalitarismo democratico? Tutto e niente. Così anche chi ne è provvisto, di fronte alla solitudine nel quale è calato, solitudine peraltro totale e peggiorata dalla assoluta mancanza d'aiuti dalle istituzioni e dalla cosiddetta società civile, decide di affidarlo a maghi e fattucchieri, piuttosto che alle banche. Questo perché, col tramonto dell'individualismo sfrenato degli ultimi anni, valori come la salute dei propri cari e l'agognata serenità familiare, vengono riscoperti e prontamente monetizzati da bande prezzolate di parassiti magici. La chiesa d'altronde, latita , secolarizzata e incapace di avere una certa presa financo sulle sue masse, preoccupata solo che le nuove menzogne non offuschino il verbo, peraltro già reso sterile da folle di credenti che mischiano la devozione iconoclasta per padre pio a quella per il mago di Poggibonsi, tra sacro e profano, razionalità e fuga irreale. Anche l'opera fiabesca di Tolkien viene presa nella sua versione ingenua e new age, ben lontana dal pensiero tradizionale e razionale dello scrittore. Di conseguenza, l'antica superstizione regionalistica mista alle nuove spiritualità deviate danno concime all'humus summenzionato con effetti devastanti ed esplosivi.  Capisco la credulità di gente del sud, usa a credere a fatture e malocchi,  storicamente dedita a pratiche di religione alternativa( quello che dico è ampiamente documentabile), ma sbalordente, è come tale luogo comune sia rovesciato dalla realtà dei fatti. Nella moderna e "nemica delle fatture", almeno quelle fiscali, terra di Lombardia, risiedono due delle vittime dell'arcinota truffa di Vanna Marchi, una delle quali ha sborsato centinaia di milioni, temendo grandi tormenti e disgrazie se non l'avesse fatto. Non sapete quanti cristiani, regolari frequentatori di messe, si dedichino a pratiche occulte, riti satanici,sedute spiritiche e quant 'altro. Così accanto al culto trash per padre Pio, nell'era della scienza assoluta(altra superstizione!), fede e superstizione vanno a braccetto, mentre i nostri ciarlatani sanno di avere un prezioso alleato nel mondo plutocratico e individualista inneggiato dai mass media(mass merda dico io!). Pertanto, di fronte alla solitudine del proprio destino, non trovando ideologie e grandi idee di vita alle quali aggrapparsi, valori solidi,certezze, l'uomo contemporaneo cade ostaggio delle più viete sciocchezze, divenendo preda di imbonitori e maghi mediatici, propiziando con il timore ingiustificato delle sue ipotetiche e futuribili sfortune, le fortune, ancorché cospicue ,altrui. Esemplare la vicenda Marchi: mentre la pingue e cellulitica balorda emiliana sta dietro le sbarre e un numero cospicuo di persone assiste al materializzarsi, questa volta reale, della propria rovina, il mago "Santos do Nascimiento" si gode il clima caraibico, salutando tutti con tipica simpatia carioca, magari sorseggiando del Mojito, con donnine di piacere al seguito, conscio che  la fortuna nella vita capita una volta sola e che va presa quando si presenta. Forse sta già pensando: alla prossima! Aloa.

 

Introduzione

Il perché d’una rubrica dal nome così bizzarro è presto detto. Siamo calati in un magma ribollente di nuove sensazioni, procediamo per inconsuete rotte, ci perdiamo per ritrovarci in un mondo in cambiamento. Lo sproloquio diventa la forma stessa di ciò che sarà. Il dialogo assurdo captato per la via, i talk show orribili ci vaccineranno, pur non volendo, dalla loro realtà, dandoci spunti di riflessione sulla nostra. Sproloqui vuole essere essenzialmente un sasso gettato nello stagno, con la speranza che si originino dei cerchi, delle onde, degli impulsi che scuotano, percuotano il nostro devitalizzato tempo. Sproloqui è il gusto del paradosso,il sondare e spostarsi sui territori della vita con l’energia del racconto;esso solo può dare energia alla vita stessa, nobilitandola. Questo è il principio. Si può esser d’accordo o meno con tale intento, ma millenni fa, da dialoghi apparentemente inutili, Platone costruì la sua filosofia.

Quindi bisogna esser coraggiosi e lanciare il sasso, altrimenti lo stagno sarà immoto e fangoso, e ciò non lo vogliamo. Movimentare le acque, rompere le dighe dei pregiudizi, ancorché quando gli stessi sono mascherati da verità scientifiche inappellabili, da saperi preconfezionati e regimentati, alfine trovare l’Acqua pulita, che fior di pensatori hanno bevuto per secoli sempre nuova. Lanciare quindi il sasso per sondare nuovi orizzonti e non fermarsi ai camuffamenti dei pensieri oziosi o astrusi, talvolta identificati in “ismi” per occultarne il puzzo mefitico.

Che lo stagno ritorni fiume. Tra i tanti sproloqui, si salvi qualcosa. Forse sarà proprio la zattera giusta per rimanere a galla. I fondali sono limacciosi ed insicuri, ma lo spirito intrepido deve farci scorgere, al fine di combatterli, i mostri delle false libertà, che come sauri striscianti smuovono la terra ed i pensieri per rendere torbide e schiave delle loro aberranti teorie le nostre menti entusiaste e veramente libere. Che da questi sproloqui, mi auguro, possa sortire una zattera, per navigare in acque così infide ed insicure e prendere finalmente il mare.

  LA SCIMMIA VA IN TV.

 “Lascia tutto e seguiti” è il refrain d’una canzone e perdendomi in questo motivo, mi ritrovo fuori dal labirinto di sciocchezze che la coda del Novecento ha portato con sè. A cominciare dalla sperimentazione artistica fine a se stessa, dalla quantità di “ismi” filosofici, da quel rendere fruibile tutto incondizionatamente, che - citando Carmelo Bene -, ha finito per moltiplicare l’ignoranza proprio nell’era dell’informazione globale, riducendo al silenzio gli artisti, quelli veri, confinandoli magari sulle pagine dorate del Web. Così la mia esistenza (dall’etimo “stare fuori da”) di scrittore, la scovo nel luogo dove dovrebbe trovarsi il virtuale. La comunità è un termine pertanto neutro, che può significare gruppo di menti pensanti come mafia di paese. Essendo fatta di uomini, non è un prodotto pubblicitario; alla maniera di una cartina al tornasole la comunità del web lascia trasparire ciò che è, senza inganni durevoli, che non siano quantomeno connaturati alla sua identità. Detto ciò, occorre inserire in questo discorso la figura dell’artista o del pensatore qualsivoglia. La retorica del pubblico, nata negli anni settanta, ha guastato la serietà artistica di tutti quanti, abbassando le cime, innalzando le buche, portando al trionfo il medio. Con l’andare del tempo il livellamento verso il basso ha raggiunto profondità incalcolabili. Vuoi la furbizia di venditori di fumo, vuoi la piaggeria ruffiana di molti pensatori, si è giunti ad un decadimento del gusto e financo dell’antica sapienza degli artisti, con la perdita irreparabile di quelle che vengono dette “le fonti”, insomma il sapere comune di base indispensabile ad ogni arte. Dunque il poeta, il letterato, il drammaturgo, soffrendo questo impoverimento espressivo e regressivo, hanno perduto la platea potenziale per assistere ai loro spettacoli, per  fruire la loro materia letteraria, ascoltare le loro canzoni; la perdita di una platea che nel corso dei secoli, seppur non numerosa, essi avevano faticosamente conservato.

 L’arte è divenuta, in successione, ostaggio dei partiti e delle ideologie, serva dello sviluppo tecnologico, funzione industriale, fuga nell’irrazionale e nell’infantile, primitiva, informale, astratta, pop, immaterica, materica, semiotica, critica, confondendo - di passaggio in passaggio, di delirio in delirio - il proprio statuto, le proprie fonti, inquinandole, perdendo il senso stesso del suo esistere. Oltre alla massificazione estetica, alla mercificazione, al totalitarismo consumista, hanno nociuto all’espressione artistica gli sperimentalismi, le avanguardie, le neo-avanguardie, le trans-avanguardie, le neo-trans-avanguardie (etc.etc.): fenomeni opposti, ma dall’effetto simile se non equivalente.

 In un mondo dove una poesia può essere messa in relazione, nell’ordine, ad uno scovolino per Water, alle tette di una valletta, ad interi plichi di note critiche di Eco, l’artista non è più il creatore e depositario dei valori dell’opera, e non lo è più come è giusto che sia l’opera stessa. Secondo queste scimmie innovatrici è il pubblico che decide. Ammesso che sappiano dare un senso alla parola pubblico. La retorica e sciocca prosopopea dei settanta, ereditata, ha finito per diffondersi e inquinare tutto uscendone trionfante. Allora è giusto che le perle non siano date ai porci, o quantomeno  non ci si esponga al nugolo numeroso di quelli che per esistere succhiano le altrui esistenze o le rovinano, in una società dove ci sono molti Salieri e sparuti e spauriti Mozart. Anche perché quasi mai lo fanno con qualche competenza e fondamento, bensì per pura invidia.

Si arriva dunque all’espressione materiale di questo pensiero, alla sua concretizzazione. Gli artisti infatti, devono banalizzarsi od intellettualizzarsi, a discrezione,  mai seguire la fiamma  alchemica  e creatrice dell’arte, altrimenti ci sarà una gogna televisiva pronta ad affondarli nel nome del sacro spirito democratico. Questo accade quando si desacralizza tutto, quando si sputa per sputare; in tempi tali la dissacrazione fine a se stessa, il cinismo decadente, vendono molto; però è una crudeltà finta, che mischia ogni cosa per non dare valore a nulla. Così vomitano su tutto, perché non rimanga niente. Potrebbero essere scoperti! Ritornare nel buio della propria mediocrità, all’ombra del genio. Ciò li turba.

Sarebbero questi i “novatori”? Penso di no.

Perciò il vero artista, che è genio ma anche inconsapevolezza, trova nella rete l’unico spazio, seppur non immune da gogne, dove quantomeno confrontarsi con pubblici meno gretti.

In tal modo vivo io, confinato nel web, pura identità di bit.

Internet è il mondo dicono. Può darsi, però il mondo non è internet. Quindi, se vi invitano come poeti, pensatori, scrittori, cineasti o quant’altro in un talk show, mandateci al posto vostro una scimmia. Saprà farsi valere, davanti a gente talmente evoluta e di ubiquità indefessa del tipo di Costanzo o Vespa e nessuno si accorgerà di niente: sarà il vostro nome che innalzeranno. Ogni salotto troverà la parodia dell’uomo, la scimmia, agitarsi ed incantare le platee, (sotto o sopravvalutate da certe serpi avanguardiste, secondo le poetiche), pubblicizzare i libri di un altro (cioè voi), o dissertare infine del senso ultimo delle cose con il prete esorcista, il trans poeta, il cercatore di fate, l’atleta canguro, la trapezista dantista, il merlo astro fisico. Senza muovervi da casa vostra potrete essere quello che la scimmia è per voi, vivere quello che la vostra parodia demistificata vive per voi. Poi con la clonazione anche il vostro simpatico amico primate verrà fatalmente rimpiazzato. Il ciclo continua. Di scannatoio in scannatoio, sarà la scimmia ad essere torchiata, assillata, denigrata, incensata da gente che molto spesso non ha i mezzi per farlo.Voi lì, a godervi la tv! E la gloria.

Cari artisti, siamo in tempi dove in segreto, nelle case, i geni “abbondano”, fanno muffa, mentre sul canale unico le mezze tacche e gli intellettualoidi scherzano e banchettano con le scimmie di noi stessi. Il canale unico, la somma di tutto, il Moloch che ha reso le arti desuete e vecchie: l’evoluzione. L’evoluzione, quello spassoso primate che vedete e riconoscete assomigliarvi a grandi linee, se non fosse che veste meglio di voi, firmato, sponsorizzato. Con l’evoluzione non si scherza, amici!

Pertanto, preparatevi le noccioline, accendete il video registratore e osservatevi; potreste comparire in televisione (il canale unico) e non riconoscervi, nutrendo tuttavia una grande simpatia per il vostro alter ego, il vostro camuffamento parodiante; e a poco a poco prenderci gusto. 

 

Questa Rubrica Nasce Nel Gennaio 2002

a cura di Tungaska