Liberi di Esprimere

 

30/3/2000

Era lì. Erano lì tutti quanti. Si trovavano in quell’arido posto per un motivo che nessuno di loro disconosceva: i soldi. Non ne potevano fare a meno. Erano tutti quanti accomunati da un desiderio di denaro che potesse dare loro uno status diverso da quello passato. Tutti avevano una storia diversa. Una cosa li accomunava: desiderio giusto di possesso. Camminavano tutti con un finta aria distratta; amici ma con un’egoistica estraneità di fondo. In alcuni il desiderio era stucchevolmente morboso. Le stanze erano un continuo rumoreggiare di fesserie, di discorsi vani che si perdevano per i corridoi per poi riunirsi al grande teatro della sala pausa. Lì si consumavano i siparietti del vero estraneo. Tutti i giorni alla stessa ora, con le stesse modalità aveva luogo lo spettacolo. La ripetitività delle situazioni era a dir poco sconcertante. Stesse frasi, stessi ammiccamenti, stesse risate. Tutto come da copione: anche la latente disperazione.

 

13/9/2000

Anche stavolta è sera.

Una sera lucida.

Il cuore batte in modo repentino e incontrollabile in un caso sempre più spesso cercato.

Non si può.

Non si deve.

Non bisogna.

Ma a volte capita.

Bisogna accettare tutto ciò che capita.

In certi casi però non si può. Non si riesce.

In certi casi è l’orgoglio più profondo che viene colpito.

Ma non si può .

No si deve lasciarsi trasportare.

Almeno fin che si può starne fuori.

Ed è sempre di notte.

Lì in agguato, proprio come lato che nell’oscurità si è trascurato.

E’ lì.

C’è.

Pronto all’azione.

E’ un faro.

Nascosto.

In una notte limpida al chiarore della stella polare.

E il faro è lì.

Pronto ad accendersi.

A lampeggiare.

Servirà a qualcosa.

Stavolta no. Non segna la rotta maestra.

Ma a qualcosa dovrà pur servire.

 

Lampo.

Accecante.

Perché.

 

24/9/2000

Serata rilassata.

Musica estiva, da viaggio.

Sto bene.

E’ raro.

In realtà non sto bene.

Mi sento bene.

Oggi ho dato.

Poco.

Tanto al mio stomaco.

Pancia piena.

 

E la musica va.

Sottofondo musicale fatto di quei ricordi che fanno pensare a certe cose che non ci sono più.

D’altronde non ci sono più le mezze stagioni.

E’ un mistero quello che porta la vita.

Sentimentale.

Assurdo.

Tutto è assurdo.

Si sa.

La vita ti porta dove tu non ti saresti mai immaginato. Luoghi inesplorati dove tutto sfida in un agone irresistibile in uno stupore inimmaginabile.

E tu sei lì.

Hai la calcolatrice.

Hai il computer, la stampante, l’agenda.

A cosa servono?

Non si sa.

Io lo so. Sono un tentativo labile e latente di poter controllare ciò che sfugge.

Tutto sfugge. E l’agenda è lì.

Scritta del poco prevedibile.

Di ciò che può dare stabilità. Siamo soli.

Veramente soli.

Soli, nudi. Ma con un’agenda in mano. Scritta in ogni angolo.

Ma siamo soli e nudi.

Non è una bella immagine.

Magri instabili e nudi. Ma con l’agenda.

No, non è una bella immagine.

Immagina uno che corre.

Ma corre davvero. Corre. Ha il fiatone.

Schiva le macchine, i pedoni, i bambini, le donne e i bambini.

Lo ostacolano e lui corre il fiato è sempre più corto.

Si riposa un secondo. Deve scrivere sull’agenda.

Un appuntamento. Una ragione di vita.

E ricomincia a correre.

Qualcosa non va.

C’è un ostacolo.

E’ un vigile.

No, non può fermarlo.

Non deve fermarlo.

Non si può. No, non si può, sarebbe troppo difficile spiegare…

I vigili sono quattro. Uno per ogni possibile direzione.

In fondo però tutto è in regola, l’agenda è fitta di appuntamenti.

Tutto va bene. Per lui. Per lui solo.

Solo.

Fermato. Contro la sua volontà.

Qualcosa imprevedibilmente non è a posto.

E’ nudo.

E solo.

Credeva che tutte le carte fossero in regola.

E invece no.

E’ solo.

E nudo.

Ha freddo.

Si è fermato. Meglio, si è dovuto fermare.

Contro le sue previsioni.

Contro la sua volontà.

Ed è nudo.

Dell’agenda non si può vestire.

Eppure era tutto a posto, tutte le carte in regola.

Secondo lui.

Tutto era previsto nell’agenda.

Tutto. O quasi.

 

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